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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«Lo so. E dobbiamo essere buoni e gentili l’uno con l’altra, se vogliamo<br />

meritarci questa fortuna. Oh, spero che il mio leone arrivi e spero di essere tanto alta<br />

da poterlo vedere bene. Sai quanto significhi per me.»<br />

«Credo di sì. Lo sanno tutti.»<br />

«Qualcuno pensa che io sia pazza. Ma ai vecchi tempi gli uomini andavano a<br />

cercare il Santo Graal e il Vello d’Oro, e nessuno li prendeva per pazzi. Un gran<br />

leone è migliore e più serio di qualunque calice e di qualunque pelle di pecora. E non<br />

m’importa di quanto fossero santi o d’oro. Ognuno ha qualcosa che desidera<br />

veramente, e il leone significa tutto, per me. So quanto sei stato paziente e quanto lo<br />

sono stati gli altri. Ma ora, dopo questa pioggia, sono sicura d’incontrarlo. Non vedo<br />

l’ora che arrivi la prima notte in cui lo sentirò ruggire.»<br />

«Ha un ruggito meraviglioso, e lo vedrai presto.»<br />

«Dall’esterno, nessuno capirebbe mai. Ma il leone mi ripagherà di tutto.»<br />

«Lo so. Non lo odi, vero?»<br />

«No. Lo amo. È meraviglioso e intelligente, e non ho bisogno di spiegarti perché<br />

devo ucciderlo.»<br />

«No. Certo che no.»<br />

«Pop lo sa. È lui che l’ha spiegato a me. Mi ha anche raccontato di quella donna<br />

terribile che aveva un leone contro il quale spararono quarantadue colpi. Ma sarà<br />

meglio che non ne parli perché nessuno capirebbe mai.»<br />

Noi sì che capivamo, perché avevamo visto insieme le prime orme del grande<br />

leone. Erano il doppio di quanto sarebbero dovute essere, e impresse su un terreno<br />

polveroso sul quale aveva piovuto appena da inumidirlo, sicché erano come<br />

intagliate. Stavo braccando un kongoni per procurare la carne per il campo, e quando<br />

io e Ngui avevamo visto le orme, le avevamo indicate con i bastoni che avevamo in<br />

mano. Avevo notato che la fronte di Ngui si imperlava di sudore. Avevamo aspettato<br />

Mary senza muoverci, e quando anche lei si era accorta delle orme, aveva tirato un<br />

profondo respiro. Ormai ne aveva viste parecchie, di orme, e aveva visto uccidere<br />

molti leoni, ma quelle erano incredibili. Ngui aveva continuato a scuotere la testa,<br />

mentre io sentivo il sudore inumidirmi le ascelle e l’inguine. Avevamo seguito le<br />

orme come segugi e avevamo riconosciuto il punto del ruscello fangoso in cui<br />

l’animale aveva bevuto prima di risalire su per la collina. Non avevo mai visto orme<br />

come quelle, mai, e nel fango vicino al ruscello erano ancora più nitide.<br />

Non avevo saputo decidere se tornare a cercare il kongoni e correre il rischio di<br />

sparare, con l’eventualità che il leone, al rumore dello sparo, lasciasse la zona. Ma<br />

avevamo bisogno di carne, e quella era una zona in cui di carne ce n’era poca, e tutti<br />

gli animali erano spaventati perché c’erano tante bestie feroci. Non capitava mai di<br />

uccidere una zebra che non avesse addosso le profonde cicatrici nere lasciate dagli<br />

unghielli di un leone, e le zebre erano timide e inavvicinabili quanto le gazzelle. Era<br />

un territorio di bufali, rinoceronti, leoni e leopardi, e non piaceva a nessuno cacciare<br />

da quelle parti, tranne che a G.C. e a Pop, anche se Pop si innervosiva. G.C. era<br />

dotato di nervi tanto saldi che aveva finito col sembrare senza nervi, e non ammetteva<br />

mai la presenza del pericolo finché non ci si era sottratto sparando. Ma Pop aveva<br />

detto di non aver mai cacciato in quella parte del paese senza incontrare guai. E sì che<br />

molti anni prima che G.C. arrivasse e che in Africa Orientale venissero portate le

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