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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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Forse il ghepardo un po’ meno, perché in parte sembrava un cane, e poi il suo<br />

mantello era adatto al tempo umido. Le tane dei serpenti erano di sicuro piene<br />

d’acqua e i rettili dovevano essere tutti fuori, e quel clima avrebbe richiamato anche<br />

le formiche volanti.<br />

Pensai a quanto eravamo fortunati questa volta in Africa. Vivevamo nello stesso<br />

posto da tempo, e conoscevamo gli animali uno per uno, così come conoscevamo le<br />

tane dei serpenti e i serpenti che ci stavano dentro. La prima volta che ero stato in<br />

Africa avevamo sempre fretta di spostarci da una località all’altra per dare la caccia<br />

agli animali feroci e farne trofei. Imbattersi in un cobra era raro come incontrare un<br />

serpente a sonagli sulla strada per il Wyoming. Ora conoscevamo molti posti dove<br />

vivevano i cobra. Era ancora raro vederli, ma erano nella nostra zona e volendo<br />

avremmo potuto rintracciarli tutti. Quando ci capitava di uccidere per caso un<br />

serpente, si trattava sempre di un serpente che invece di restare a cercare nutrimento<br />

nella sua zona, aveva sconfinato nella nostra. Lo dovevamo a G.C. se avevamo il<br />

grande privilegio di conoscere quella meravigliosa parte del paese e di viverci, e<br />

anche se avevamo una sorta di lavoro che giustificava la nostra presenza nella<br />

regione. Gli ero sempre molto grato per questo.<br />

Mi ero lasciato alle spalle da tempo il periodo in cui abbattevo gli animali per<br />

farne dei trofei, eppure amavo ancora sparare e uccidere. Ma in modo pulito. Ora<br />

sparavo per procurarci la carne e per proteggere Miss Mary contro animali che per<br />

qualche ragione erano stati dichiarati fuori legge o per quello che veniva definito<br />

controllo degli animali devastatori, predatori e nocivi. Avevo ucciso un solo impala<br />

per farne un trofeo, e a Magadi, per la sua carne, avevo abbattuto un orice. Solo dopo<br />

avevo visto che le sue corna erano abbastanza belle da meritare di essere conservate.<br />

E, sempre a Magadi, in un momento di emergenza in cui eravamo a corto di cibo,<br />

avevo abbattuto un unico bufalo con un paio di corna che era valso la pena di<br />

trasformare in trofeo per ricordare la breve emergenza che Mary e io avevamo<br />

condiviso. Ora infatti la ricordavo con felicità, e sapevo che sempre con felicità<br />

l’avrei ricordata. Era una delle piccole cose con le quali ci si addormenta, o con le<br />

quali ci si sveglia di notte o che, se necessario, si possono evocare nei momenti di<br />

angoscia.<br />

«Ricordi la mattina con il bufalo, gattina?» chiesi.<br />

Miss Mary mi guardò attraverso il tavolo da pranzo. «Non farmi domande come<br />

questa. Sto pensando al leone.»<br />

Quella sera, dopo una cena fredda, andammo a letto presto. Mary aveva finito a<br />

pomeriggio inoltrato di scrivere sul suo diario. Restammo sdraiati ad ascoltare il<br />

battito pesante della pioggia sulla canapa tesa.<br />

Ma nonostante quel rumore regolare non dormii bene, e mi svegliai due volte,<br />

tutto sudato, in preda agli incubi. L’ultimo era stato molto brutto. Allungai la mano<br />

sotto la zanzariera per prendere la bottiglia dell’acqua e la fiaschetta squadrata piena<br />

di gin. Le misi nel letto con me, e poi rinfilai la zanzariera sotto la coperta e il<br />

materasso ad aria della branda. Nell’oscurità alzai il cuscino in modo da poterci<br />

appoggiare contro la nuca, trovai il cuscinetto pieno di aghi di pino e me lo cacciai<br />

sotto il collo. Poi toccai la torcia elettrica e la pistola che tenevo vicino alla gamba, e<br />

alla fine svitai il tappo della fiaschetta di gin.

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