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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«Certo» risposi.<br />

«Kwenda na shamba» disse Debba.<br />

«Vi porta Mthuka.»<br />

«Vieni anche tu.»<br />

«No hay remedio» dissi. Era una delle prime frasi in spagnolo che le avevo<br />

insegnato e ora lei la ripeteva sempre puntualmente. Era la cosa più triste che sapessi<br />

in quella lingua e avevo pensato che fosse meglio per lei impararla fin dagli inizi.<br />

Non avendole mai spiegato che cosa significasse e avendole detto solo che era una<br />

frase da imparare, credeva che facesse parte della mia religione, che stava imparando<br />

a conoscere.<br />

«No hay remedio» disse con grande orgoglio.<br />

«Hai delle belle mani forti» le dissi in spagnolo. Quello era stato uno dei nostri<br />

primi scherzi e gliel’avevo tradotto con molta cura. «Sei la regina degli Ngoma.»<br />

«No hay remedio» rispose con umiltà. Poi nel buio e molto in fretta: «No hay<br />

remedio, no hay remedio, no hay remedio».<br />

«No hay remedio, tú» dissi. «Prendi la carne e va’.»<br />

Quella notte, mentre ero sveglio ad ascoltare le iene che parlavano e litigavano<br />

sugli scarti della macellazione e a guardare la luce del fuoco attraverso l’apertura<br />

della tenda, pensai a Mary addormentata profondamente, felice per com’era stata<br />

brava a braccare e uccidere lo gnu, e mi chiesi dove fosse il leone e che cosa stesse<br />

facendo nel buio. Prevedevo che mentre scendeva alla palude avrebbe ucciso ancora.<br />

Poi pensai allo Shamba e al fatto che non c’era rimedio né soluzione. Ero pieno di<br />

rimorsi per essermi lasciato coinvolgere, ma no hay remedio, adesso, e forse non<br />

c’era mai stato. Non avevo cominciato io. Era cominciato da solo. Poi pensai di<br />

nuovo al leone e ai Mau Mau kamba, e decisi che dovevamo cominciare ad aspettarli<br />

dall’indomani pomeriggio. Poi, per un attimo, non vi fu più nessun rumore. Tutto si<br />

era fermato e io pensai merda, probabilmente sono i Mau Mau kamba e io non sono<br />

stato abbastanza vigile, e presi il Winchester che avevo caricato con proiettili da<br />

caccia grossa e ascoltai con la bocca aperta per sentire meglio, mentre il cuore mi<br />

batteva forte. Poi i rumori notturni ripresero e dal fiume mi arrivò l’urlo di un<br />

leopardo. Era un rumore simile a un do emesso da una corda di viola colpita dalla<br />

raspa di un maniscalco. Il leopardo, in caccia, urlò di nuovo e l’intera notte cominciò<br />

a parlare di lui e io mi rimisi il fucile sotto la gamba e cominciai ad addormentarmi,<br />

sentendomi orgoglioso di Miss Mary e amandola, e orgoglioso di Debba e provando<br />

molto, molto affetto per lei.

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