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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«È stato un bel pomeriggio» disse lei. «Grazie, a tutti, grazie mille.»<br />

Andò verso la tenda, dove Mwindi aveva pronta l’acqua calda per il bagno da<br />

versare nella vasca di canapa e io ero felice che lei fosse felice per come aveva<br />

sparato e, aiutato dalla fiaschetta Jinny, ero sicuro che avremmo risolto tutti i<br />

problemi e al diavolo l’eventuale piccolo scarto di quaranta centimetri nel corpo di un<br />

leone da una distanza di venticinque metri. Sì, poteva andarsene al diavolo. La<br />

macchina proseguì, lentamente, fino al posto in cui scuoiavamo e macellavamo.<br />

Venne fuori Keiti con gli altri che lo seguivano e io scesi, dicendo: «La Memsahib ha<br />

ucciso uno gnu con un bel colpo secco».<br />

«Mzuri» disse Keiti.<br />

Lasciammo accesi i fari della macchina per illuminare la scena. Ngui, con in<br />

mano il mio miglior coltello, si unì allo scuoiatore, che aveva già cominciato a<br />

lavorare, accucciato vicino allo gnu.<br />

Mi avvicinai e detti un colpetto alla spalla di Ngui per portarlo fuori dal cono di<br />

luce. Era molto preso dalla macellazione, ma capì e uscì in fretta dal chiarore.<br />

«Taglia un bel pezzo in alto sul dorso per lo Shamba» dissi. Segnai il punto con<br />

il dito sulla sua schiena.<br />

«Ndio.»<br />

«Avvolgilo in parte della trippa, quando la trippa sarà pulita.»<br />

«Bene.»<br />

«Da’ a tutti un bel pezzo di carne normale.»<br />

«Ndio.»<br />

Avrei voluto distribuirne di più, di carne, ma sapevo che non sarebbe stato<br />

giusto e mi placai la coscienza pensando che era necessaria per le operazioni dei due<br />

giorni futuri, e ricordandomelo dissi a Ngui: «Aggiungi anche un grosso pezzo di<br />

carne da stufato per lo Shamba».<br />

Poi mi allontanai dalle luci della macchina e raggiunsi l’albero subito fuori dal<br />

bagliore del fuoco della cucina, dove aspettavano la Vedova, il suo bambino e Debba.<br />

Le due donne indossavano i loro abiti variopinti, ormai scoloriti, e stavano<br />

appoggiate all’albero. Il bambino venne avanti e mi picchiò la testa sulla pancia e io<br />

lo baciai sulla testa.<br />

«Come va, Vedova?» chiesi. Lei scosse la testa.<br />

«Jambo, tu» dissi a Debba. Baciai anche lei sulla testa e lei rise. Alzai la mano<br />

per posargliela sul collo e poi sulla nuca, e lei mi dette due colpetti contro il cuore e<br />

io le baciai di nuovo la testa. La Vedova era molto tesa, quando disse: «Kwenda na<br />

shamba» il che significava, torniamo al villaggio. Debba non aprì bocca. Aveva perso<br />

la sua bella impudenza kamba e io le accarezzai di nuovo la testa china, che era<br />

morbida al tatto, e le sfiorai i punti segreti dietro le orecchie e lei alzò la mano,<br />

furtivamente, per toccare le mie peggiori cicatrici.<br />

«Vi accompagna Mthuka con la macchina» dissi. «C’è della carne per la<br />

famiglia. Io non posso venire. Jambo, tu» aggiunsi, con quello che era il modo più<br />

brusco e amorevole per porre fine in fretta alla situazione.<br />

«Quando verrai?» chiese la Vedova.<br />

«Uno di questi giorni. Quando sarà mio dovere venire.»<br />

«Andremo a Laitokitok prima della Nascita di Gesù Bambino?»

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