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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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Miss Mary era sveglia, ma non del tutto. Se lasciava l’ordine tassativo di<br />

svegliarla alle quattro e mezzo o alle cinque si alzava in fretta, attiva e pronta a<br />

innervosirsi per qualunque ritardo. Ma quella mattina si svegliò lentamente.<br />

«Che succede?» chiese, insonnolita. «Perché nessuno mi ha chiamata? Il sole è<br />

alto. Che succede?»<br />

«Non era il grosso leone, tesoro. Così ti ho lasciata dormire.»<br />

«Come fai a sapere che non era il grosso leone?»<br />

«Ha controllato Ngui.»<br />

«Che mi dici del grosso leone?»<br />

«Non è ancora venuto giù.»<br />

«E questo, come lo sai?»<br />

«È arrivato Arap Meina.»<br />

«Andrai fuori a controllare?»<br />

«No, lascio tutto così com’è. Abbiamo un piccolo problema.»<br />

«Posso fare qualcosa?»<br />

«No, tesoro. Dormi ancora un po’.»<br />

«Se non hai bisogno di me, resto a letto per qualche minuto. Ho fatto dei sogni<br />

meravigliosi.»<br />

«Prova a riacchiapparli. Fatti portare la chacula, quando sarai pronta.»<br />

«Dormirò solo un pochino» disse. «Erano sogni veramente splendidi.»<br />

Frugai sotto la mia coperta e trovai la cintura con la pistola e il laccio che<br />

pendeva dalla fondina. Mi lavai nella catinella, mi sciacquai gli occhi con una<br />

soluzione all’acido borico, mi passai un asciugamano sui capelli, tanto corti da non<br />

aver bisogno né di pettine né di spazzola, mi vestii e infilai il piede sinistro nel laccio<br />

da gamba della fondina, lo tirai su e mi allacciai la cintura alla vita. Ai vecchi tempi<br />

non portavamo mai la pistola, ma ormai ce la mettevamo con la stessa naturalezza<br />

con cui ci abbottonavamo la patta dei calzoni. Portavo due caricatori di riserva in una<br />

busta di plastica che tenevo nella tasca del giaccone di tela e le munizioni in un<br />

flacone da medicinale dall’imboccatura grande, che era stato pieno di capsule di olio<br />

di fegato di merluzzo. Il flacone aveva contenuto cinquanta capsule bianche e rosse e<br />

ora conteneva sessantacinque proiettili dalla punta cava. Ngui ne aveva uno e io un<br />

altro.<br />

Tutti amavano la pistola perché poteva uccidere le faraone, le otarde più piccole,<br />

gli sciacalli, che portavano l’idrofobia, e le iene. A Ngui e a Mthuka piaceva perché<br />

emetteva brevi latrati secchi, simili ai versi di un cane, e poi apparivano sbuffi di<br />

polvere davanti alla iena che correva ventre a terra, e poi ancora plunk, plunk, plunk e<br />

la iena rallentava il galoppo e cominciava a girare in tondo. Ngui mi porgeva il<br />

caricatore pieno che aveva tirato fuori dalla mia tasca e io lo infilavo nella pistola, e<br />

di nuovo uno sbuffo di polvere e un altro plunk, plunk e la iena rotolava sulla schiena<br />

con le zampe in aria.<br />

Andai al confine del campo per discutere con Keiti dei nuovi sviluppi. Gli chiesi<br />

di venire dove potevamo parlare da soli e lui se ne restò rilassato, e parve vecchio e<br />

saggio e cinico e in parte dubbioso e in parte divertito.<br />

«Non credo che verranno qui» disse. «Sono Mau Mau wakamba. Non sono<br />

stupidi. Lo sanno che siamo da queste parti.»

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