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uggito un po’ di volte e se n’era andato in cerca delle prede alle quali aveva diritto.<br />
Ma era necessario provarlo a Miss Mary e provare che non si trattava del leone al<br />
quale dava la caccia da tanto tempo e che era accusato di molti crimini e le cui<br />
enormi impronte, con la sinistra posteriore segnata da una cicatrice, avevamo seguito<br />
tante volte solo per poi, alla fine, vederle scomparire nell’erba alta che conduceva al<br />
folto d’alberi vicino alla palude o nella boscaglia del territorio dei gerenuk, su vicino<br />
al vecchio Manyatta, in direzione delle colline Chulu. Era così scuro, con la sua folta<br />
criniera bruna, da sembrare nero, e aveva una testa enorme, che ciondolava bassa,<br />
quando si allontanava per addentrarsi in territori in cui per Mary era impossibile<br />
seguirlo. Gli era stata data la caccia per molti anni e di sicuro non era un leone con il<br />
quale farsi fotografare.<br />
Ora ero vestito e bevevo il tè nella prima luce della mattina, vicino al fuoco<br />
rattizzato, e aspettavo Ngui. Lo vidi arrivare attraverso il campo con la lancia in<br />
spalla. Procedeva agile sull’erba ancora umida di rugiada. Mi vide e venne dalla parte<br />
del fuoco, lasciando una scia nell’erba bagnata.<br />
«Simba dumi kidogo» esclamò, dicendomi che era un piccolo leone maschio.<br />
«Nanyake» continuò, ripetendo la battuta fatta da Keiti. «Hapana mzuri per la<br />
Memsahib.»<br />
«Grazie» dissi. «Lascerò dormire la Memsahib.»<br />
«Mzuri» disse lui e andò al fuoco della cucina.<br />
Arrivò Arab Minor con notizie sul grosso leone dalla criniera nera visto dai<br />
Masai in un Manyatta sulle colline a occidente mentre uccideva due mucche e ne<br />
trascinava una via con sé. I Masai subivano da molto tempo le sue incursioni.<br />
L’animale si spostava in continuazione e non tornava mai nei posti dove aveva<br />
lasciato una preda uccisa, come ci si sarebbe aspettati da un leone. Arap Meina aveva<br />
una teoria secondo la quale questo leone una volta era tornato a nutrirsi di una<br />
carogna avvelenata da un ex Ranger della Caccia, era stato terribilmente male e aveva<br />
imparato, o deciso, di non tornare mai più su un animale ucciso. Questo spiegava i<br />
suoi continui spostamenti, ma non il modo disordinato con cui andava a far visita ai<br />
vari Manyatta o ai villaggi masai. In quel periodo la pianura, le pozze salate e le<br />
foreste erano piene di selvaggina, perché dopo le violente piogge di novembre l’erba<br />
era cresciuta alta e Arap Meina, Ngui e io ci aspettavamo che il grosso leone calasse<br />
dalle colline fino alla pianura, dove poteva braccare le sue prede ai bordi della<br />
palude. In quel distretto era così che cacciavano i leoni.<br />
I Masai sanno essere molto sarcastici. Per loro il bestiame che posseggono non<br />
rappresenta solo la ricchezza, ma molto di più, e l’Informatore mi aveva riferito che<br />
uno dei capi aveva parlato male di me in quanto avevo avuto due occasioni di<br />
uccidere il leone e avevo rimandato perché fosse una donna ad abbatterlo. Avevo<br />
fatto sapere al capo che se i suoi giovani non fossero stati donnicciole che passavano<br />
il tempo a Laitokitok a bere sherry Golden Jeep, lui non avrebbe avuto bisogno di<br />
chiedere a me di uccidere il suo leone, ma comunque avrei fatto in modo che fosse<br />
abbattuto la prima volta che capitava nella zona. Se voleva, poteva portare i suoi<br />
giovani, e io avrei imbracciato una lancia insieme a loro per uccidere il leone<br />
infilzandolo. Gli chiesi di venire al campo per discutere la questione di persona.