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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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ondeggianti verso l’acqua oltre le pianure saline, e anche Ngui le guardò. Non<br />

facemmo commenti. Eravamo cacciatori, ma quella mattina lavoravamo per il<br />

Dipartimento Forestale di Nostro Signore, il Bambino Gesù.<br />

In realtà lavoravamo per Miss Mary, e di conseguenza sentivamo che la nostra<br />

posizione era discutibile. Eravamo tutti mercenari e sapevamo bene che Miss Mary<br />

non era un missionario. Non era neanche agli ordini del Cristianesimo, e non era<br />

costretta ad andare a messa come le altre Memsahib, e la storia dell’albero era un suo<br />

shauri, come lo era stato il leone.<br />

Penetrammo nella profonda foresta dagli alberi gialli e verdi, seguendo la nostra<br />

vecchia strada, che dall’ultima volta che ci eravamo passati era stata ricoperta da erba<br />

ed erbacce, e sbucammo nella radura dove crescevano gli alberi dalle foglie<br />

argentate. Ngui e io descrivemmo un cerchio, lui da una parte e io dall’altra, per<br />

controllare che la femmina di rinoceronte e il suo cucciolo non fossero fra gli arbusti.<br />

Non trovammo niente, tranne qualche impala, e io distinsi le tracce di un leopardo<br />

molto grosso. Era andato a caccia di prede lungo i bordi della palude. Misurai con la<br />

mano la grandezza delle zampe e poi raggiungemmo i tre che scavavano.<br />

Decidemmo che solo un certo numero di noi poteva scavare<br />

contemporaneamente, e poiché a dare gli ordini ci pensavano tanto Keiti quanto Miss<br />

Mary, ci ritirammo ai margini della foresta e ci sedemmo, e Ngui mi offrì la scatola<br />

del tabacco. Ne prendemmo un pizzico ciascuno e restammo a guardare gli esperti in<br />

foreste al lavoro. Lavoravano tutti molto sodo, tranne Keiti e Miss Mary. Ci<br />

sembrava che l’albero non ci sarebbe mai stato, nel retro della camionetta, ma quando<br />

finalmente lo estrassero dalla terra fu evidente che invece ci sarebbe stato, e per noi<br />

arrivò il momento di andare a dare una mano a caricarlo. L’albero era irto di punte e<br />

non facile da maneggiare, ma alla fine ce la facemmo. Sulle radici furono messi<br />

sacchi bagnati d’acqua, e il tronco fu legato, perché per metà della sua lunghezza<br />

sporgeva dal retro del veicolo.<br />

«Non possiamo tornare dalla strada dalla quale siamo venuti» disse Miss Mary.<br />

«Con quelle curve, l’albero potrebbe danneggiarsi.»<br />

«Andremo da un’altra.»<br />

«La macchina potrà passarci?»<br />

«Certo.»<br />

Lungo la strada attraverso la foresta vedemmo le tracce di quattro elefanti e<br />

anche escrementi freschi. Ma le tracce andavano a sud, rispetto a noi. Erano animali<br />

di una discreta grossezza.<br />

Avevo tenuto fra le gambe il fucile più grosso perché, arrivando, tanto io quanto<br />

Ngui e Mthuka avevamo visto le tracce attraversare la strada a nord. Gli elefanti<br />

potevano essere arrivati dal fiume che si riversava nella palude Chulu.<br />

«La strada per il campo è tutta libera» dissi a Miss Mary.<br />

«Bene. Così, quando lo metteremo su, l’albero sarà in buone condizioni.»<br />

Al campo, Ngui, Mthuka e io ci tenemmo in disparte, lasciando che fossero i<br />

volontari e gli entusiasti a scavare la fossa per l’albero. Quando la fossa fu pronta,<br />

Mthuka portò la macchina fuori dall’ombra, e l’albero fu scaricato e piantato davanti<br />

alla tenda. Era molto bello e allegro.<br />

«Non è carino?» disse Miss Mary. E io ammisi che lo era.

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