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ondeggianti verso l’acqua oltre le pianure saline, e anche Ngui le guardò. Non<br />
facemmo commenti. Eravamo cacciatori, ma quella mattina lavoravamo per il<br />
Dipartimento Forestale di Nostro Signore, il Bambino Gesù.<br />
In realtà lavoravamo per Miss Mary, e di conseguenza sentivamo che la nostra<br />
posizione era discutibile. Eravamo tutti mercenari e sapevamo bene che Miss Mary<br />
non era un missionario. Non era neanche agli ordini del Cristianesimo, e non era<br />
costretta ad andare a messa come le altre Memsahib, e la storia dell’albero era un suo<br />
shauri, come lo era stato il leone.<br />
Penetrammo nella profonda foresta dagli alberi gialli e verdi, seguendo la nostra<br />
vecchia strada, che dall’ultima volta che ci eravamo passati era stata ricoperta da erba<br />
ed erbacce, e sbucammo nella radura dove crescevano gli alberi dalle foglie<br />
argentate. Ngui e io descrivemmo un cerchio, lui da una parte e io dall’altra, per<br />
controllare che la femmina di rinoceronte e il suo cucciolo non fossero fra gli arbusti.<br />
Non trovammo niente, tranne qualche impala, e io distinsi le tracce di un leopardo<br />
molto grosso. Era andato a caccia di prede lungo i bordi della palude. Misurai con la<br />
mano la grandezza delle zampe e poi raggiungemmo i tre che scavavano.<br />
Decidemmo che solo un certo numero di noi poteva scavare<br />
contemporaneamente, e poiché a dare gli ordini ci pensavano tanto Keiti quanto Miss<br />
Mary, ci ritirammo ai margini della foresta e ci sedemmo, e Ngui mi offrì la scatola<br />
del tabacco. Ne prendemmo un pizzico ciascuno e restammo a guardare gli esperti in<br />
foreste al lavoro. Lavoravano tutti molto sodo, tranne Keiti e Miss Mary. Ci<br />
sembrava che l’albero non ci sarebbe mai stato, nel retro della camionetta, ma quando<br />
finalmente lo estrassero dalla terra fu evidente che invece ci sarebbe stato, e per noi<br />
arrivò il momento di andare a dare una mano a caricarlo. L’albero era irto di punte e<br />
non facile da maneggiare, ma alla fine ce la facemmo. Sulle radici furono messi<br />
sacchi bagnati d’acqua, e il tronco fu legato, perché per metà della sua lunghezza<br />
sporgeva dal retro del veicolo.<br />
«Non possiamo tornare dalla strada dalla quale siamo venuti» disse Miss Mary.<br />
«Con quelle curve, l’albero potrebbe danneggiarsi.»<br />
«Andremo da un’altra.»<br />
«La macchina potrà passarci?»<br />
«Certo.»<br />
Lungo la strada attraverso la foresta vedemmo le tracce di quattro elefanti e<br />
anche escrementi freschi. Ma le tracce andavano a sud, rispetto a noi. Erano animali<br />
di una discreta grossezza.<br />
Avevo tenuto fra le gambe il fucile più grosso perché, arrivando, tanto io quanto<br />
Ngui e Mthuka avevamo visto le tracce attraversare la strada a nord. Gli elefanti<br />
potevano essere arrivati dal fiume che si riversava nella palude Chulu.<br />
«La strada per il campo è tutta libera» dissi a Miss Mary.<br />
«Bene. Così, quando lo metteremo su, l’albero sarà in buone condizioni.»<br />
Al campo, Ngui, Mthuka e io ci tenemmo in disparte, lasciando che fossero i<br />
volontari e gli entusiasti a scavare la fossa per l’albero. Quando la fossa fu pronta,<br />
Mthuka portò la macchina fuori dall’ombra, e l’albero fu scaricato e piantato davanti<br />
alla tenda. Era molto bello e allegro.<br />
«Non è carino?» disse Miss Mary. E io ammisi che lo era.