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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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all’albero e mi spogliai, piegando con cura gli indumenti e mettendoli sul baule ai<br />

piedi del letto, e poi mi infilai fra le lenzuola e rimboccai il bordo della zanzariera.<br />

Era ancora presto, ma ero stanco e avevo sonno. Dopo un po’ arrivò Miss Mary<br />

e io relegai l’altra Africa da qualche parte e ritrovai la nostra Africa personale. Era<br />

un’Africa diversa, e dapprima mi sentii un ribollire caldo nel petto e poi lo accettai e<br />

smisi di pensare e sentii solo quello che sentivo, e Mary era bella da avere nel letto.<br />

Facemmo l’amore e poi lo facemmo di nuovo e poi, dopo che avemmo fatto un’altra<br />

volta l’amore, in silenzio e al buio e senza parlare né pensare, e come una pioggia di<br />

meteore in una notte fredda, ci addormentammo. A un certo punto della notte Miss<br />

Mary lasciò il letto per andare nel suo, e io dissi: «Buonanotte, amore mio».<br />

Mi svegliai che cominciava il giorno e m’infilai sul pigiama una giacca di lana e<br />

l’accappatoio, sul quale allacciai la cintura con la fondina, e poi mi misi gli stivali<br />

antizanzare. Uscii per raggiungere Msembi che preparava il fuoco, per leggere i<br />

giornali e per bere la teiera di tè portata da Mwindi. Prima misi i giornali in ordine di<br />

data e poi cominciai dal più vecchio. Ormai ad Auteuil e a Enghien le gare ippiche<br />

dovevano essere finite, ma su quelle edizioni aeree inglesi non c’era nessun risultato<br />

di corse francesi. Andai a vedere se Miss Mary era sveglia e la trovai in piedi e<br />

vestita, fresca e radiosa, e si stava mettendo il collirio negli occhi.<br />

«Come stai, tesoro?» chiese. «E come hai dormito?»<br />

«Splendidamente» risposi. «E tu?»<br />

«Ho dormito fino a pochi minuti fa. Dopo che Mwindi mi ha portato il tè, mi<br />

sono riaddormentata.»<br />

La tenni fra le braccia, sentendo il suo bel corpo e il profumo della camicia<br />

cambiata di fresco. Una volta, Picasso l’aveva definita il mio Rubens tascabile, e lei<br />

era un Rubens tascabile, ma ridotto a cinquantacinque chili a forza di ginnastica, e<br />

non aveva mai avuto una faccia da Rubens. Inspirai il suo odore di pulito e le<br />

sussurrai qualcosa.<br />

«Oh, sì, e tu?»<br />

«Sì.»<br />

«Non è meraviglioso essere qui da soli con la nostra Montagna e il nostro bel<br />

paese incontaminato?»<br />

«Sì. Vieni a fare colazione.»<br />

Fece una colazione completa, con fegato di impala e pancetta alla griglia, e<br />

mezza papaya arrivata dalla città con il limone da spremerci sopra e due tazze di<br />

caffè. Io ne bevvi una tazza con latte in scatola ma senza zucchero, e ne avrei bevuta<br />

un’altra, ma non sapevo che cosa avremmo fatto, e comunque, qualunque cosa<br />

facessimo, non volevo avere del caffè che mi sciacquettava nello stomaco.<br />

«Ti sono mancata?»<br />

«Oh, sì.»<br />

«Anche a me sei mancato terribilmente, ma c’erano tante cose da fare. Non ho<br />

avuto proprio tempo, davvero.»<br />

«Hai visto Pop?»<br />

«No. Non è venuto in città e io non avevo né il tempo né un mezzo di trasporto<br />

per andare fino da lui.»<br />

«G.C. l’hai visto, invece.»

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