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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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quelli che decidevano di praticarlo. No, da noi Miss Mary non avrebbe ricevuto lo<br />

stesso numero di voti che certo avrebbe ottenuto dai suoi.<br />

E così andammo allo Shamba e io mandai Ngui a prendere Debba e con lei<br />

seduta al mio fianco, una mano stretta attorno alla fondina incisa della pistola, ci<br />

allontanammo di nuovo, e Debba accettò i saluti dei bambini e dei vecchi come se<br />

accettasse i saluti di un reggimento del quale fosse colonnello onorario. Ormai<br />

uniformava il suo comportamento pubblico alle fotografie delle riviste illustrate che<br />

le avevo dato, e adottava la dignità e la grazia dei migliori regnanti perfino quando<br />

sceglieva i tessuti nel duka. Non le avevo mai chiesto a chi si ispirava per il suo<br />

comportamento, ma era stato un anno molto fastoso e lei non aveva che da scegliere.<br />

Avevo tentato di insegnarle il movimento del polso e l’ondulazione delle dita con i<br />

quali la principessa Aspasia di Grecia mi salutava attraverso il chiasso del fumoso<br />

Harris Bar di Venezia, ma a Laitokitok non ce l’avevamo ancora, un Harris Bar.<br />

E così ora lei accettava i saluti e io mantenevo una rigida amabilità, mentre<br />

imboccavamo la strada che curvava su per il pendio della Montagna, dove speravo di<br />

uccidere un animale sufficientemente grosso, grasso e succulento da fare felici tutti.<br />

Cacciammo diligentemente e ce ne stemmo sdraiati su una vecchia coperta sulla parte<br />

alta del pendio fino a quando non fu quasi buio, ad aspettare che un animale uscisse a<br />

cercare nutrimento sull’altura aperta. Ma non uscì nessun animale, e quando arrivò<br />

l’ora di tornare a casa, uccisi un’antilope maschio, che in fondo bastava e avanzava.<br />

Puntai la canna verso di lui, misi il dito di Debba sul grilletto sopra il mio, e mentre<br />

io seguivo l’animale con il mirino sentii la pressione del suo dito e la sua testa contro<br />

la mia e capii che si sforzava di non respirare. Poi dissi: «Piga» e il suo dito s’irrigidì<br />

sul grilletto come s’irrigidì il mio, solo con un’ingannevole frazione di secondo più in<br />

fretta, e l’animale, che mentre mangiava aveva fatto andare la coda, morì, con le<br />

quattro zampe rigide verso il cielo, e Charo corse verso di lui nei suoi calzoni<br />

stracciati e la vecchia giacca azzurra e il turbante sbiadito per tagliargli la gola e<br />

purificarlo.<br />

«Piga mzuri» disse Ngui a Debba, e lei si voltò a guardarlo, tentando di<br />

assumere l’atteggiamento regale, ma non ci riuscì e cominciò a piangere, dicendo:<br />

«Asanta sana».<br />

Ce ne restammo seduti e lei pianse, e poi smise e tornò tranquilla. Osservammo<br />

Charo che proseguiva con il suo compito, e poi da dietro la curva della montagna<br />

arrivò la camionetta, che si avvicinò all’animale, e Mthuka scese per abbassare la<br />

sponda posteriore, e lui e Charo, piccolissimi a quella distanza, così come<br />

piccolissima sembrava la macchina, si chinarono, tirarono su l’animale e lo<br />

caricarono nel retro. C’era stato un momento in cui avrei voluto contare i passi per<br />

misurare la distanza dello sparo, ma sarebbe stato stupido, perché un uomo dovrebbe<br />

essere capace di sparare da qualunque distanza, tenuto conto anche della differenza di<br />

traiettoria dall’alto verso il basso.<br />

Debba guardò l’animale come se fosse stato la prima antilope che vedeva e mise<br />

il dito nel foro dov’era passato il proiettile, nella parte più alta della spalla, e io le<br />

raccomandai di non sporcarsi con il sangue sparso sul pavimento della camionetta. Il<br />

pavimento era coperto di strisce di ferro che tenevano la carne al di sopra del calore

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