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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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Si trattava di un ragazzo simpatico, ancora un guerriero, orgoglioso ma anche<br />

intimidito dal malanno che aveva. Era un classico. La framboesia era molto diffusa e<br />

non era nuova, e dopo averla esaminata calcolai mentalmente la penicillina che ci<br />

restava e ricordai a me stesso che non bisogna mai spaventarsi e che avevamo un<br />

aereo che poteva portarne ancora. Dissi al ragazzo di sedersi, mentre bollivo di nuovo<br />

l’ago e la siringa, perché sapevo che quello che avrebbe potuto beccarsi da loro<br />

sarebbe stato peggiore di ciò che già aveva, e Msembi prese del cotone imbevuto<br />

d’alcol e ripulì le natiche, questa volta piatte e sode come devono esserlo quelle degli<br />

uomini, e io feci l’iniezione e osservai il minuscolo gocciolio oleoso che era il segno<br />

della mia inefficienza, e attraverso Mwindi e Arap Meina dissi al ragazzo ora in piedi<br />

e con la lancia in mano, quando doveva tornare e che doveva tornare sei volte e poi<br />

portare all’ospedale un appunto che gli avrei dato. Non ci stringemmo la mano perché<br />

era più giovane di me. Ma sorridemmo e lui era orgoglioso di aver fatto l’iniezione.<br />

Mthuka, che non c’entrava con quella storia, era entrato per osservare la pratica<br />

della medicina e nella speranza che intraprendessi qualche forma di chirurgia, dato<br />

che a volte operavo seguendo un libro sorretto da Ngui, che aveva affascinanti<br />

illustrazioni a colori, alcune delle quali, ripiegate, potevano essere aperte in modo da<br />

mostrare gli organi contemporaneamente dal davanti e dal di dietro del corpo. Tutti<br />

amavano la chirurgia, ma quel giorno non ce n’era stata, e arrivò Mthuka lungo e<br />

dinoccolato e sordo e con le belle cicatrici fatte molto tempo prima per piacere a una<br />

ragazza e con indosso la camicia a scacchi e il cappello che erano appartenuti a<br />

Tommy Shevlin. «Kwenda na Shamba.»<br />

«Kwenda» gli dissi, e a Ngui: «Due pistole. Tu, io e Mthuka».<br />

«Hapana halal?»<br />

«Okay. Porta Charo.»<br />

«Mzuri» disse Ngui, dato che sarebbe stata un’offesa uccidere un buon pezzo di<br />

carne senza farla macellare dagli anziani di religione musulmana. Keiti sapeva fin<br />

troppo bene che eravamo tutti dei ragazzacci, ma ora avevamo il sostegno di una<br />

religione seria che, come gli avevo spiegato, aveva origini vecchie quanto la<br />

Montagna, se non più vecchie, e lui aveva cominciato a prenderci sul serio. Penso che<br />

saremmo riusciti a ingannare Charo, la qual cosa sarebbe stata terribile dato che<br />

aveva il conforto della sua stessa fede, molto meglio organizzata della nostra, ma non<br />

intendevamo fare del proselitismo e il solo fatto che anche Charo ci prendesse sul<br />

serio era già un bel passo avanti.<br />

Miss Mary detestava ciò che sapeva della nostra religione, il che era molto poco,<br />

e non sono sicuro che nel nostro gruppo desiderassero tutti che lei ne diventasse<br />

membro. Se era membro per diritto tribale andava bene, e Miss Mary sarebbe stata<br />

rispettata e ubbidita per questo. Ma non so se ce l’avrebbe fatta a entrarci, se si fosse<br />

andati per votazione. Naturalmente, all’interno del suo gruppo, formato da tutti gli<br />

Scout della Caccia e guidato dal magnifico Chungo, così eretto, ben inamidato e<br />

bello, sarebbe stata eletta Regina del Cielo. Ma nella nostra religione non esistevano<br />

Dipartimenti della Caccia, e noi progettavamo di abolire tanto la fustigazione quanto<br />

la pena capitale per chiunque tranne che per i nostri nemici, e non ci sarebbe più stata<br />

la schiavitù tranne che per quelli che avevamo fatto prigionieri personalmente, e il<br />

cannibalismo sarebbe stato completamente e assolutamente abolito tranne che per

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