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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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17<br />

La mattina Mwindi mi portò il tè e io lo ringraziai e andai a berlo fuori dalla tenda,<br />

vicino ai resti del fuoco, e mentre lo bevevo ricordai e pensai, e poi mi vestii per<br />

andare a cercare Keiti.<br />

Non sarebbe stata una giornata tranquilla né, come avevo sperato, dedicata alla<br />

lettura e alla contemplazione. Arap Meina si fermò vicino all’apertura della tenda,<br />

salutò con eleganza e disse: «Bwana, abbiamo qualche piccolo problema.»<br />

«Di che tipo?»<br />

«Niente di grave.»<br />

In quella che poteva considerarsi la zona di accoglienza, nella parte del campo<br />

dietro ai fuochi della cucina, c’erano molti grandi alberi e sotto gli alberi aspettavano<br />

gli uomini guida dei due Manyatta masai. Non esistevano capi, dato che un capo è<br />

uno che ha preso del denaro o qualche medaglietta dagli inglesi, e quindi è un<br />

venduto. Quelli erano solo i rappresentanti dei loro villaggi, che distavano più di<br />

venti chilometri ma avevano gli stessi guai con un leone. Mi sedetti nella poltroncina<br />

davanti alla tenda con il mio bastone da Mzee e mi sforzai di emettere borbottii<br />

intelligenti e anche dignitosi sia quando capivo sia quando non capivo, mentre<br />

Mwindi e Meina facevano da interpreti. Nessuno di noi era uno studioso di Masai, ma<br />

quelli erano bravi uomini seri, e le loro preoccupazioni legittime. Uno di loro aveva<br />

sulla spalla quattro lunghi tagli che sembravano fatti da un rastrello da grano e l’altro,<br />

che a un certo punto della vita aveva perso un occhio, aveva una ferita atroce che<br />

partiva appena sopra l’attaccatura dei capelli e scendeva giù, sull’occhio perduto,<br />

quasi fino alla mascella.<br />

Ai Masai piace parlare e discutere, ma nessuno di quei due era un parlatore, e a<br />

loro e a quelli venuti con loro, che se ne stavano in piedi senza dire niente, promisi di<br />

risolvere il problema. Per fare questo dovetti parlare con Mwindi, il quale parlò con<br />

Arap Meina, il quale parlò con i nostri visitatori. Mi appoggiai al mio bastone da<br />

Mzee, che nell’impugnatura ha incastrato uno scellino d’argento appiattito, ed emisi<br />

roche esclamazioni in puro stile masai, sembrando un po’ Marlene Dietrich quando<br />

esprime piacere sessuale, comprensione o affetto. I suoni variano, ma sono sempre<br />

profondi con una tendenza a salire.<br />

Ci scambiammo tutti una stretta di mano e poi Mwindi, che ama annunciare le<br />

peggiori notizie, disse in inglese: «Bwana, ci sono due signore con bubu».<br />

Il bubu è qualunque forma di malattia venerea, ma include anche la framboesia,<br />

sulla cui categorizzazione le autorità non sono d’accordo. È indubbio che la<br />

framboesia ha una spirocheta molto simile a quella della sifilide, ma le opinioni sono<br />

divise su come la si contrae. Si pensa che si possa prendere bevendo da un bicchiere o<br />

sedendosi stupidamente sull’asse di un gabinetto pubblico o baciando uno<br />

sconosciuto. Nella mia limitata esperienza non ho mai incontrato uno così sfortunato.

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