Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
anziano o no, pensai di voltare a sinistra e di andare giù per quella strada rossastra<br />
fino all’altro Shamba, dove avrei trovato due del nostro gruppo e non la moglie di Lot<br />
o di Putifarre, ma quella di Simenon, per vedere se riuscivo a scambiare una seconda<br />
scelta per vero amore. Ma neanche questa era una cosa da farsi e così tornai a casa e<br />
scesi dalla macchina e mi sedetti nella tenda pranzo a leggere Simenon. Msembi ci<br />
era rimasto molto male, ma né lui né io avevamo voglia di parlarne.<br />
Mi fece solo una proposta molto ardita: sarebbe andato a prendere la Vedova<br />
insieme al nostro autista. Risposi hapana e ripresi a leggere Simenon.<br />
Msembi continuava a sentirsi sempre peggio e non aveva nessun Simenon da<br />
leggere e la proposta successiva fu che lui e io dovevamo salire in macchina e andare<br />
a prendere la ragazza. Disse che era un uso kamba e che al massimo sarebbe costato<br />
una multa. E poi, aggiunse, lo Shamba era illegale. Nessuno era qualificato per<br />
portarci sotto processo e io avevo fatto molti regali a mio suocero, oltre ad avere<br />
ucciso un leopardo per lui quello stesso giorno.<br />
Ci pensai sopra e decisi di no. Qualche tempo prima avevo pagato il prezzo<br />
tribale per dormire nel letto di mia suocera: gran brutta azione, certo, ma come faceva<br />
a saperlo, Keiti? In teoria doveva sapere tutto, ma la struttura che avevamo costruito<br />
era estremamente chiusa e forse anche peggiore di quanto lui si rendesse conto. Non<br />
ero sicuro di questo dato che lo rispettavo e lo ammiravo, in particolar modo dopo<br />
Magadi. Laggiù Keiti aveva continuato ad aprire la pista con rivoli di sudore che gli<br />
colavano sulla faccia contratta, anche quando io non ce la facevo più e Ngui<br />
cominciava ad avere serie difficoltà. Aveva aperto la pista a una temperatura che il<br />
buon termometro del campo misurava in cinquanta gradi all’ombra, e l’unica ombra<br />
era quella che io, sfiancato, trovavo quando facevo una sosta sotto un piccolo albero,<br />
considerandola un grande dono e respirando profondamente e cercando di calcolare<br />
quanti chilometri ci dividevano dal campo, quel posto favoloso con la meravigliosa<br />
ombra del fico e il ruscello che gorgogliava e le sacche dell’acqua che trasudavano<br />
fresco.<br />
Quel giorno Keiti ci aveva spronati senza nessuna ostentazione, e se lo<br />
rispettavo, una ragione c’era. Ma adesso ancora non ero sicuro del perché fosse<br />
intervenuto. Lo fanno sempre per il vostro bene. Ma una cosa era certa: io e Msembi<br />
non saremmo tornati indietro come gamberi per ricominciare tutto da capo.<br />
Si dice che gli africani non soffrono di niente. Questa è un’invenzione dei<br />
bianchi che occupano temporaneamente il loro paese. Si dice anche che gli africani<br />
non sentono il dolore perché non gridano. O almeno, alcuni di loro non lo fanno. E<br />
invece non accusare il dolore quando lo si subisce è una questione tribale e un grande<br />
lusso. Mentre noi in America avevamo la televisione, il cinema e mogli costose dalle<br />
mani morbide e, di notte, dalla faccia sempre cosparsa di crema, e il visone selvaggio<br />
chiuso in un frigorifero da qualche parte, e per poterlo ritirare bisognava presentare<br />
uno scontrino simile a quello dei banchi di pegno, gli africani delle tribù migliori si<br />
concedevano il lusso di non accusare il dolore. Noi, i Moi, come ci chiamava Ngui,<br />
non avevamo mai conosciuto le vere difficoltà tranne che in guerra, e guerra<br />
significava una vita nomade e noiosa con l’occasionale compensazione dei<br />
combattimenti e del piacere del saccheggio, che viene concesso così come un osso<br />
viene lanciato a un cane da un padrone al quale non importa niente di lui. Noi, i Moi,