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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«Grazie per aver deciso di non andare allo Shamba» disse Mary. «A volte sei<br />

bravo, riguardo allo Shamba.»<br />

«Sei tu che sei brava.»<br />

«No che non lo sono. Mi piace che tu ci vada e mi piace che impari tutto quello<br />

che c’è da imparare.»<br />

«Ma io non ci vado, a meno che non mi chiamino per qualche ragione.»<br />

«Ti chiameranno eccome» disse Mary. «Non preoccuparti.»<br />

Quando non andavamo allo Shamba il viaggio di ritorno al campo era<br />

bellissimo. Una lunga radura aperta dopo l’altra, collegate come laghi, con gli alberi<br />

verdi e la boscaglia che facevano da spiaggia. C’erano sempre i chiari posteriori<br />

squadrati delle gazzelle di Grant e i loro corpi bianchi e marroni che trottavano; e le<br />

antilopi che si spostavano veloci e leggere e i maschi con le pesanti corna orgogliose<br />

ricurve all’indietro. Poi aggiravamo una lunga macchia di alberi frondosi ed ecco le<br />

tende verdi del campo con gli alberi gialli e, dietro, la Montagna.<br />

Era il primo giorno che eravamo soli al campo, e mentre me ne stavo seduto<br />

all’ombra di un grande albero sotto la tettoia della tenda dove consumavamo i pasti e<br />

aspettavo che arrivasse Mary dopo essersi rinfrescata, in modo da poter bere qualcosa<br />

con lei prima di pranzo, speravo che non ci fossero problemi e che la giornata<br />

scorresse facile. In genere, le cattive notizie arrivavano in fretta, ma non avevo visto<br />

messaggeri di sciagure vicino ai fuochi della cucina. Il camion della legna era ancora<br />

fuori. Avrebbe portato anche l’acqua e, quando fosse arrivato, magari ci avrebbe<br />

portato notizie dello Shamba. Mi ero lavato e cambiato la camicia, e mi ero messo i<br />

calzoni corti e i mocassini. Mi sentivo fresco e a mio agio, all’ombra.<br />

Il retro della tenda era aperto e dalla Montagna soffiava un vento che portava il<br />

freddo della neve.<br />

Mary entrò e disse: «Perché non hai bevuto? Preparo io qualcosa per tutti e<br />

due».<br />

Aveva l’aria fresca negli sbiaditi calzoni e camicia kaki appena stirati, ed era<br />

bella, e mentre versava gin e Campari negli alti bicchieri e cercava il sifone tenuto al<br />

fresco nella sacca di tela per l’acqua, disse: «Sono felice che siamo soli. Sarà come a<br />

Magadi, ma ancora meglio». Preparati gli aperitivi, mi dette il mio e facemmo un<br />

brindisi. «Voglio molto bene al signor Percival e mi piace stare con lui. Ma con te e<br />

me soli è meraviglioso. Non farò la cattiva, se ti prenderai cura di me, e non sarò<br />

irascibile. Farò di tutto tranne che provare simpatia per l’Informatore.»<br />

«Sei terribilmente brava» dissi io. «Quando siamo soli, è vero, ci divertiamo<br />

molto. Ma sii paziente con me, quando sono stupido.»<br />

«Non sei stupido e staremo benissimo. Questo posto è molto più bello di<br />

Magadi, e lo avremo tutto per noi. Sarà bello. Vedrai.»<br />

Qualcuno tossì, fuori dalla tenda. Lo riconobbi e pensai qualcosa che è meglio<br />

non scrivere.<br />

«E va bene» dissi. «Entra.» Era l’Informatore del Dipartimento della Caccia.<br />

Alto e solenne, indossava calzoni lunghi, camicia sportiva blu con sottili bande<br />

laterali bianche, uno scialle sulla schiena e copricapo a tamburello. Tutti gli<br />

indumenti avevano l’aria di essergli stati regalati. Mi accorsi che lo scialle era<br />

ricavato da un tessuto in vendita in uno degli empori indù di Laitokitok. Aveva la

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