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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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vivo e lucido, e le tracce del leopardo, che erano state lasciate da balzi di lunghezza<br />

irregolare, vi erano penetrate, e sulle foglie c’erano tracce di sangue, all’altezza della<br />

schiena, nel punto in cui si era accucciato per entrare.<br />

Ngui si strinse nelle spalle e scosse la testa. Ora eravamo entrambi molto seri, e<br />

non c’erano Uomini Bianchi che parlassero pacatamente, con un sapere nato<br />

dall’esperienza; né Uomini Bianchi che dessero ordini violenti, sbalorditi per la<br />

stupidità dei loro “boys” e che imprecassero contro di loro come se fossero stati<br />

segugi troppo lenti. C’era solo un leopardo ferito e sfortunato, che era stato buttato<br />

giù con uno sparo dall’alto ramo di un albero, aveva subito una caduta alla quale<br />

nessun essere umano sarebbe sopravvissuto e si era rifugiato in un posto dove, se<br />

conservava la sua bella, incredibile vitalità felina, poteva mutilare o ferire gravemente<br />

qualunque essere umano che gli fosse andato vicino. Avrei voluto che non avesse mai<br />

ucciso le capre e che io non avessi mai firmato un contratto con una rivista a<br />

distribuzione nazionale per ucciderlo ed essere fotografato, e azzannai soddisfatto il<br />

pezzo di osso, facendo un cenno alla macchina. L’estremità appuntita dell’osso<br />

fracassato mi aveva ferito l’interno di una guancia e ora potevo assaporare la<br />

familiarità del mio stesso sangue mescolato al sangue del leopardo. Dissi: «Twendi<br />

kwa chui» usando l’imperativo plurale dell’uomo di stato: «Andiamo dal leopardo».<br />

Andare dal leopardo non era molto facile. Ngui aveva lo Springfield 30-06 e<br />

aveva anche buoni occhi. Il portatore d’armi di Pop imbracciava il .577, che se avesse<br />

sparato l’avrebbe fatto cadere sul culo, e anche lui aveva occhi buoni come quelli di<br />

Ngui. In quanto a me, avevo il vecchio, amatissimo fucile a pompa Winchester<br />

modello 12 levigato dall’uso. Una volta era bruciato e tre volte aveva subito il cambio<br />

del calcio ed era più veloce di un serpente. Dopo trentacinque anni che eravamo<br />

insieme, con segreti, trionfi e disastri condivisi e mai rivelati, lo consideravo un<br />

amico e un compagno caro quasi quanto l’altro amico che un uomo ha con sé per<br />

tutta la vita. Superammo le radici incrociate e sovrapposte delle rizofore entrando dal<br />

punto con le macchie di sangue e andando verso sinistra, o verso ovest, da dove<br />

potevamo vedere la macchina ma non il leopardo. Poi tornammo indietro quasi<br />

strisciando e guardando nel buio delle radici finché raggiungemmo l’altra estremità<br />

della macchia di arbusti. Non avendo trovato il leopardo, tornammo di nuovo al punto<br />

in cui il sangue, sulle foglie verde scuro, era ancora fresco.<br />

Ora il portatore d’armi di Pop era in piedi dietro di noi, con il grosso fucile<br />

imbracciato, e io, accoccolandomi, cominciai a sparare da destra a sinistra, contro le<br />

radici avviticchiate, intere cariche di cartucce n’ 8. Alla quinta carica il leopardo<br />

emise un enorme ruggito, che arrivò dal folto della vegetazione, leggermente spostato<br />

a sinistra rispetto al sangue sulle foglie.<br />

«Riesci a vederlo?» chiesi a Ngui.<br />

«Hapana.»<br />

Ricaricai il lungo tubo del caricatore e sparai velocemente per due volte verso il<br />

punto da cui era arrivato il ruggito. Il leopardo ruggì di nuovo e poi tossì e tossì.<br />

«Piga tu» dissi a Ngui, e anche lui sparò nella stessa direzione.<br />

Il leopardo ripeté il ruggito e Ngui disse: «Piga tu».<br />

Sparai due volte contro il ruggito e il portatore di Pop disse: «Lo vedo».<br />

Ci raddrizzammo e anche Ngui riuscì a vederlo, ma io no. «Piga tu» gli dissi.

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