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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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cresciuta ai margini della palude dei papiri. Se possibile, volevo contarli e fotografarli<br />

e localizzare il vecchio maschio dalle splendide corna che non vedevamo da più di tre<br />

mesi. Non intendevamo spaventarli, né fargli capire che li seguivamo, ma solo<br />

rintracciarli per poi, al ritorno di Mary, poterli fotografare bene e con cura.<br />

Intercettammo i bufali; il grosso branco avanzava sotto di noi. C’erano il fiero<br />

maschio capobranco, le grosse, vecchie femmine, i giovani maschi e le giovani<br />

femmine e i nuovi nati. Riuscivo a vedere la curva delle corna e le rughe profonde, il<br />

fango essiccato e le chiazze consunte della pelle, il pesante movimento della massa<br />

nera e l’enorme distesa grigia e gli uccelli, piccoli e dal becco appuntito e indaffarati<br />

come stornelli su un prato. I bufali si muovevano lentamente, mangiando mentre<br />

avanzavano, e dietro di loro l’erba era sparita. Fummo raggiunti dall’intenso tanfo<br />

animale e poi arrivarono le mosche. Mi ero tirato la camicia sulla testa, mentre<br />

contavo centoventiquattro bufali. Il vento era giusto, e ai bufali non arrivava il nostro<br />

odore. Gli uccelli non potevano vederci perché rispetto a loro eravamo in alto.<br />

Fummo trovati solo dalle mosche.<br />

Era quasi mezzogiorno e faceva molto caldo; noi non lo sapevamo, ma la<br />

fortuna ci aspettava. Attraversammo la zona delle foreste e tutti noi osservammo ogni<br />

albero possibile. Il leopardo al quale davamo la caccia era un leopardo pericoloso e<br />

mi era stato chiesto di ucciderlo dalla gente dello Shamba, dove aveva ammazzato<br />

sedici capre. Lo braccavo anche per il Dipartimento della Caccia e così per inseguirlo<br />

potevamo usare la macchina. Il leopardo, considerato un tempo carne da macello e<br />

ora Fauna Reale, non aveva mai saputo di essere stato promosso, altrimenti non<br />

avrebbe mai ucciso le sedici capre che l’avevano fatto considerare un criminale e<br />

rispedire nella categoria dalla quale era partito. Sedici capre erano troppe da uccidere<br />

in una sola notte, quando una capra è tutto quello che un leopardo riesce a mangiare.<br />

Come se non bastasse, otto capre erano appartenute alla famiglia di Debba.<br />

Sbucammo in una radura molto bella e sulla nostra sinistra vidi un alto albero<br />

con uno dei rami superiori che si stendeva a sinistra in una diritta linea parallela e un<br />

altro più nascosto che si stendeva a destra. Era un albero verde dalla cima folta di<br />

fogliame.<br />

«Ecco l’albero ideale per il leopardo» dissi a Ngui.<br />

«Ndio» rispose sottovoce. «E in quell’albero c’è un leopardo.»<br />

Mthuka ci aveva visti guardare e malgrado non potesse sentirci né, dalla parte<br />

dove stava, vedere il leopardo, fermò la camionetta. Scesi con lo Springfield che<br />

avevo tenuto di traverso sulle gambe e quando ebbi piantato i piedi a terra, vidi il<br />

leopardo sdraiato pesantemente sull’alto ramo destro dell’albero. Il lungo corpo<br />

chiazzato era lambito dall’ombra del fogliame che si spostava nel vento. Era a sedici<br />

metri d’altezza, un posto ideale in cui starsene in quella bella giornata, ma aveva<br />

commesso un errore ancora più grave di quando aveva ucciso senza ragione sedici<br />

capre.<br />

Alzai il fucile inspirando una volta e poi ributtai fuori il fiato e mirai con cura<br />

nel punto in cui il collo sporgeva dietro l’orecchio. Sparai troppo alto, mancando<br />

completamente il bersaglio, e lui si appiattì sul ramo, lungo e pesante, mentre io<br />

espellevo la cartuccia e gli sparavo alla spalla. Vi fu un botto soffocato e lui cadde a

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