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calva e dal portamento signorile e pensai a Debba e al grande letto di legno della<br />
grande casa, coperto di pelle, odoroso di pulito e lucidato a mano, e alle quattro<br />
bottiglie di birra rituale che avevo pagato per poterlo usare, a dimostrazione che le<br />
mie intenzioni erano onorevoli, con la birra che aveva un suo specifico nome tribale;<br />
penso che fra tutte le altre birre rituali fosse conosciuta come Birra per Dormire nel<br />
Letto della Suocera ed era l’equivalente del possedere una Cadillac nei circoli di John<br />
O’Hara, ammesso che esistessero ancora circoli del genere. Sperai ardentemente che<br />
ce ne fossero e pensai a O’Hara, grasso come un boa constrictor che avesse ingollato<br />
l’intera spedizione di una rivista chiamata “Collier’s” e attonito come un mulo che,<br />
morso dalle mosche tse-tse, continua ad andare senza accorgersi di essere morto, e gli<br />
augurai buona fortuna e tutta la felicità possibile, mentre ricordavo allegramente la<br />
cravatta da sera bordata di bianco che aveva indossato alla sua festa d’addio a New<br />
York e il nervosismo della padrona di casa mentre lo presentava, sperando che non si<br />
disintegrasse. Per quanto male possano andare le cose, gli esseri umani potranno<br />
sempre rallegrarsi ricordando O’Hara e la sua splendida epoca.<br />
Pensai ai nostri progetti per Natale. Avevo sempre amato il Natale, che<br />
ricordavo in molti paesi diversi. Avevamo deciso di invitare tutti i Masai e tutti i<br />
Wakamba, e sapevo che il risultato poteva essere o meraviglioso o veramente<br />
orribile, e che era il tipo di Ngoma che se non fosse stato condotto a dovere avrebbe<br />
decretato la fine di tutti gli Ngoma. Ci sarebbe stato l’albero magico di Miss Mary,<br />
che i Masai avrebbero riconosciuto per ciò che era veramente, anche se Miss Mary<br />
non ne era capace. Poiché il problema aveva molti aspetti, non sapevo se dovevamo<br />
dirglielo, che il suo albero in realtà era un albero dall’effetto marijuana extrapotente.<br />
Miss Mary era assolutamente decisa ad avere quel particolare tipo d’albero, ed era<br />
stato accettato dai Wakamba come parte di ciò che di lei non sapevano o dei costumi<br />
tribali che l’avevano costretta a uccidere il leone. Arap Meina mi aveva confidato che<br />
con quell’albero lui e io potevamo restare ebbri per mesi e che se un elefante avesse<br />
mangiato l’albero scelto da Miss Mary, lui, l’elefante, sarebbe rimasto ebbro per<br />
giorni e giorni.<br />
Sapevo che Miss Mary, non essendo una sciocca, doveva aver passato una bella<br />
serata a Nairobi, l’unica città che avevamo, con il salmone fresco del New Stanley e<br />
un capo cameriere comprensivo anche se connivente. Ma il pesce dei grandi laghi, il<br />
pesce senza nome, era altrettanto buono, e poi c’erano le spezie, anche se lei non<br />
doveva mangiarne, subito dopo la dissenteria. Ma ero sicuro che avesse cenato bene e<br />
speravo che fosse in un buon locale notturno e pensai a Debba e a come saremmo<br />
andati a comprare i tessuti per le due belle collinette che lei esibiva con tanto orgoglio<br />
e tanta modestia e a come la stoffa le avrebbe valorizzate e a come avremmo<br />
esaminato le diverse fantasie e a come saremmo stati osservati dalle donne masai con<br />
le loro lunghe gonne e dai mariti folli, ipocriti, tirati a lucido nella loro insoddisfatta<br />
sfrontatezza e nella loro gelida bellezza sifilitica, e a come noi due Kamba, che non ci<br />
eravamo mai fatti forare le orecchie ma eravamo orgogliosi e addirittura insolenti per<br />
le molte cose che i Masai non avrebbero mai potuto sapere, ci saremmo messi a<br />
tastare i tessuti e a studiare le fantasie e a comprare altre cose per darci importanza<br />
nel negozio.