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E così l’avevo portato lassù cinque giorni prima perché qualcuno doveva pur<br />
farlo e io potevo farlo se non con delicatezza, almeno senza infliggergli sofferenza, e<br />
che importanza aveva ciò che sarebbe successo dopo. Il guaio, alla fine, era che lui lo<br />
considerava un nuovo gioco e lo stava imparando. Mi aveva dato un bel bacio con le<br />
labbra gommose e poi aveva controllato la posizione dell’altro cavallo. Sapeva che<br />
non potevo cavalcarlo, visto come si era spaccato lo zoccolo, ma tutto questo era<br />
nuovo e lui voleva impararlo.<br />
«Addio, Vecchio Imbroglione» avevo detto e gli avevo preso l’orecchio destro,<br />
massaggiandone l’attaccatura con le dita. «So che faresti lo stesso per me.»<br />
Non aveva capito, naturalmente, e quando aveva visto alzarsi la pistola, aveva<br />
tentato di darmi un altro bacio per dimostrare che andava tutto bene. Avevo pensato<br />
di potergli impedire di vederla ma lui l’aveva vista e i suoi occhi avevano capito che<br />
cos’era e se n’era rimasto immobile e tremante e io gli avevo sparato all’incrocio fra<br />
le pieghe che andavano da quest’occhio a quell’orecchio e le zampe gli erano<br />
mancate di sotto ed era caduto di colpo ed era diventato esca per orsi.<br />
Dopo, sdraiato sotto il ginepro, non avevo finito con il mio dolore. Per tutta la<br />
vita avrei provato le stesse cose per il Vecchio Imbroglione, o così mi ero detto<br />
allora, ma avevo guardato le sue labbra che non c’erano perché le avevano mangiate<br />
le aquile e gli occhi, anche quelli andati, e il punto in cui era stato squarciato<br />
dall’orso, tanto che ora sembrava sgonfiato, e il pezzo mangiato dall’orso prima che<br />
lo interrompessi e mi mettessi ad aspettare le aquile.<br />
Alla fine ne era spuntata una, calando con un sibilo di pallottola, pronta a<br />
colpire, le ali spiegate e le zampe e gli artigli protesi in avanti per colpire il Vecchio<br />
Imbroglione, come per ucciderlo. Poi aveva girellato pomposamente attorno e aveva<br />
cominciato a lavorare nella cavità. L’altra era scesa con più delicatezza e con ali più<br />
grosse ma con le stesse piume lunghe e lo stesso collo tozzo, la stessa testa grossa e il<br />
becco ricurvo e gli occhi dorati.<br />
Ero rimasto a guardarle mangiare il corpo del mio amico e compagno che avevo<br />
ucciso e avevo pensato che erano più belle in aria. Dato che erano condannate le<br />
avevo lasciate mangiare per un po’ e litigare e camminare e becchettare la loro scelta<br />
di interiora. Avrei voluto avere un fucile da caccia ma non l’avevo. E così alla fine<br />
avevo imbracciato il Winchester .22 e avevo sparato un colpo nella testa di una e due<br />
nel corpo dell’altra. Questa aveva tentato di volare ma non ce l’aveva fatta ed era<br />
venuta giù ad ali spalancate e io avevo dovuto rincorrerla su per la ripida salita. Quasi<br />
tutti gli uccelli e gli animali quando sono feriti vanno verso valle. Ma l’aquila sale<br />
verso l’alto e quando avevo fatto cadere quella e le avevo immobilizzato le zampe e<br />
gli artigli e, piantandole il piede sul collo, le avevo unito le ali e l’avevo tenuta ferma,<br />
mi aveva guardato con gli occhi pieni di odio e di sfida e io non avevo mai visto un<br />
animale o un uccello che mi guardasse come mi aveva guardato l’aquila. Era<br />
un’aquila reale e adulta e abbastanza grossa da portarsi via un intero capretto, e<br />
ingombrante da reggere, e mentre guardavo le aquile camminare con le faraone e<br />
ricordavo che in genere non camminano con nessuno, stavo male per il dolore di Miss<br />
Mary, ma non riuscii a spiegarle che cosa significavano le aquile per me né perché<br />
avevo ucciso quelle due, l’ultima fracassandole la testa contro un albero giù nel<br />
bosco, né che cos’avevo comprato con le loro penne al Lame Deer della Riserva.