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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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E così l’avevo portato lassù cinque giorni prima perché qualcuno doveva pur<br />

farlo e io potevo farlo se non con delicatezza, almeno senza infliggergli sofferenza, e<br />

che importanza aveva ciò che sarebbe successo dopo. Il guaio, alla fine, era che lui lo<br />

considerava un nuovo gioco e lo stava imparando. Mi aveva dato un bel bacio con le<br />

labbra gommose e poi aveva controllato la posizione dell’altro cavallo. Sapeva che<br />

non potevo cavalcarlo, visto come si era spaccato lo zoccolo, ma tutto questo era<br />

nuovo e lui voleva impararlo.<br />

«Addio, Vecchio Imbroglione» avevo detto e gli avevo preso l’orecchio destro,<br />

massaggiandone l’attaccatura con le dita. «So che faresti lo stesso per me.»<br />

Non aveva capito, naturalmente, e quando aveva visto alzarsi la pistola, aveva<br />

tentato di darmi un altro bacio per dimostrare che andava tutto bene. Avevo pensato<br />

di potergli impedire di vederla ma lui l’aveva vista e i suoi occhi avevano capito che<br />

cos’era e se n’era rimasto immobile e tremante e io gli avevo sparato all’incrocio fra<br />

le pieghe che andavano da quest’occhio a quell’orecchio e le zampe gli erano<br />

mancate di sotto ed era caduto di colpo ed era diventato esca per orsi.<br />

Dopo, sdraiato sotto il ginepro, non avevo finito con il mio dolore. Per tutta la<br />

vita avrei provato le stesse cose per il Vecchio Imbroglione, o così mi ero detto<br />

allora, ma avevo guardato le sue labbra che non c’erano perché le avevano mangiate<br />

le aquile e gli occhi, anche quelli andati, e il punto in cui era stato squarciato<br />

dall’orso, tanto che ora sembrava sgonfiato, e il pezzo mangiato dall’orso prima che<br />

lo interrompessi e mi mettessi ad aspettare le aquile.<br />

Alla fine ne era spuntata una, calando con un sibilo di pallottola, pronta a<br />

colpire, le ali spiegate e le zampe e gli artigli protesi in avanti per colpire il Vecchio<br />

Imbroglione, come per ucciderlo. Poi aveva girellato pomposamente attorno e aveva<br />

cominciato a lavorare nella cavità. L’altra era scesa con più delicatezza e con ali più<br />

grosse ma con le stesse piume lunghe e lo stesso collo tozzo, la stessa testa grossa e il<br />

becco ricurvo e gli occhi dorati.<br />

Ero rimasto a guardarle mangiare il corpo del mio amico e compagno che avevo<br />

ucciso e avevo pensato che erano più belle in aria. Dato che erano condannate le<br />

avevo lasciate mangiare per un po’ e litigare e camminare e becchettare la loro scelta<br />

di interiora. Avrei voluto avere un fucile da caccia ma non l’avevo. E così alla fine<br />

avevo imbracciato il Winchester .22 e avevo sparato un colpo nella testa di una e due<br />

nel corpo dell’altra. Questa aveva tentato di volare ma non ce l’aveva fatta ed era<br />

venuta giù ad ali spalancate e io avevo dovuto rincorrerla su per la ripida salita. Quasi<br />

tutti gli uccelli e gli animali quando sono feriti vanno verso valle. Ma l’aquila sale<br />

verso l’alto e quando avevo fatto cadere quella e le avevo immobilizzato le zampe e<br />

gli artigli e, piantandole il piede sul collo, le avevo unito le ali e l’avevo tenuta ferma,<br />

mi aveva guardato con gli occhi pieni di odio e di sfida e io non avevo mai visto un<br />

animale o un uccello che mi guardasse come mi aveva guardato l’aquila. Era<br />

un’aquila reale e adulta e abbastanza grossa da portarsi via un intero capretto, e<br />

ingombrante da reggere, e mentre guardavo le aquile camminare con le faraone e<br />

ricordavo che in genere non camminano con nessuno, stavo male per il dolore di Miss<br />

Mary, ma non riuscii a spiegarle che cosa significavano le aquile per me né perché<br />

avevo ucciso quelle due, l’ultima fracassandole la testa contro un albero giù nel<br />

bosco, né che cos’avevo comprato con le loro penne al Lame Deer della Riserva.

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