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I nostri serpenti erano timidi o stupidi o misteriosi e potenti. Avevo esibito<br />
grande entusiasmo per la caccia al serpente, ma non avevo ingannato nessuno tranne,<br />
forse, Miss Mary. Ce l’avevamo tutti con il cobra, perché aveva sputato contro G.C.<br />
Quella mattina, quando scoprimmo che il cobra era assente e non era tornato alla<br />
tana, dissi a Ngui che comunque, probabilmente, il serpente era il nonno di Tony e<br />
noi dovevamo rispettarlo.<br />
Ngui ne rimase compiaciuto, dato che i serpenti sono gli antenati di tutti i Masai.<br />
Dissi che il serpente poteva essere anche l’antenato della sua ragazza del Manyatta<br />
masai. Era una bella ragazza alta, che aveva in sé una certa dose di serpentinità. Ngui<br />
rimase sollevato e anche leggermente terrorizzato dall’eventuale ascendenza del suo<br />
amore illegale, e io gli chiesi se secondo lui il freddo delle mani delle donne masai e<br />
l’ancor più strano freddo occasionale di altre parti del loro corpo poteva essere<br />
attribuito a sangue di serpente. Dapprima disse che era impossibile, che i Masai erano<br />
sempre stati così. Poi, mentre camminavamo fianco a fianco diretti verso gli alti<br />
alberi del campo che si stagliavano gialli e verdi sulla rugosa base marrone e<br />
guardavamo l’alta neve della Montagna e il campo invisibile e delimitato solo dagli<br />
alberi, disse che poteva essere vero. Le donne italiane, disse, avevano mani fredde e<br />
calde. Le mani potevano essere fredde e poi diventare calde, brucianti come getti<br />
d’acqua bollente, anche se lui non li ricordava nemmeno più, i getti d’acqua bollente.<br />
E avevano meno bubo, la penalizzazione dei rapporti, delle donne masai. Forse i<br />
Masai avevano veramente sangue di serpente. Dissi che la prossima volta che<br />
uccidevamo un serpente dovevamo toccare il sangue per sentire com’era. Non avevo<br />
mai toccato il fiotto di sangue di serpente perché l’idea mi era insopportabile e<br />
sapevo che lo era anche per Ngui. Ma ci accordammo per toccarlo e per farlo toccare<br />
anche agli altri, ammesso che riuscissero a superare la ripugnanza. Tutto questo era<br />
nell’interesse dei nostri studi antropologici, che perfezionavamo giorno dopo giorno.<br />
Continuammo a camminare e a pensare ai problemi con i cobra e anche ai nostri<br />
piccoli problemi personali, che tentammo di far rientrare nei grandi interessi<br />
dell’antropologia finché le tende del campo comparvero sotto gli alberi verdi e gialli<br />
che la prima luce del sole stava trasformando in un brillante verde scuro dorato, e noi<br />
potemmo vedere il fumo grigio dei fuochi e il movimento degli Scout della Caccia e,<br />
seduta accanto al fuoco davanti alle nostre tende accovacciate sotto gli alberi e sotto<br />
la luce del sole del nuovo giorno, la figura di G.C. che leggeva, su una poltroncina da<br />
campo vicino a un tavolo di legno, con una bottiglia di birra in mano.<br />
Ngui prese il fucile e se lo mise in spalla insieme alla vecchia carabina e io mi<br />
avvicinai al fuoco.<br />
«Buongiorno, generale» disse G.C. «Ti sei alzato presto.»<br />
«A noi cacciatori va regolarmente male» dissi io. «Abbiamo sempre i piedi<br />
stanchi e la fortuna a terra.»<br />
«Una volta o l’altra, qualcuno dovrà raccattarla, quella fortuna. Se no la calpesti<br />
con i tuoi stessi piedi. Bevi un po’ di birra.»<br />
Versò dalla bottiglia con molta attenzione, fin quasi a far traboccare il bicchiere,<br />
e poi aggiungendo la birra goccia a goccia per riempirlo fino all’orlo.<br />
«Sarà Satana a trovare lavoro per le mani pigre» dissi e alzai il bicchiere, che era<br />
stato riempito al punto che un monticello della schiuma bianca sembrava sospeso in