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Mentre camminavo nel primo mattino e osservavo Ngui che avanzava leggero<br />
sull’erba e pensavo che eravamo fratelli, mi parve stupido essere bianco in Africa e<br />
ricordai che vent’anni prima ero stato portato ad ascoltare un missionario musulmano<br />
il quale aveva spiegato, a noi che eravamo il suo pubblico, i vantaggi della pelle nera<br />
e gli svantaggi della pigmentazione dell’uomo bianco. Io ero abbastanza abbronzato<br />
da passare per un mezzo sangue.<br />
«Osservate l’uomo bianco» aveva detto il missionario. «Cammina sotto il sole, e<br />
il sole lo uccide. Se espone il proprio corpo al sole, si brucia finché non si ricopre di<br />
vesciche e marcisce. Il poveretto deve stare all’ombra e distruggersi con l’alcol e gli<br />
stingah e i bastoni di chutta perché è incapace di affrontare l’orrore del sole che sorge<br />
il giorno dopo. Osservate l’uomo bianco e le sue mwanamuki: le sue memsahib. Se si<br />
espongono al sole, queste donne si ricoprono di macchie scure, macchie scure simili<br />
ai sintomi della lebbra. Se poi insistono, il sole stacca loro la pelle, facendole<br />
sembrare persone passate attraverso il fuoco.»<br />
In quella bella mattinata non tentai di ricordare altro del sermone contro l’uomo<br />
bianco. Era stato parecchio tempo prima e avevo dimenticato molte delle sue parti più<br />
vivaci, ma quello che non avevo scordato era il paradiso dell’uomo bianco,<br />
considerato semplicemente come una delle orripilanti cose in cui l’uomo bianco<br />
credeva e che lo spingevano a colpire con le mazze delle piccole palle bianche,<br />
facendole rotolare sul terreno, o a buttarsi altre palle più grandi, avanti e indietro fra<br />
due reti simili a quelle usate sui laghi per prendere i pesci, finché il sole lo tramortiva<br />
e lui si ritirava nel Club a distruggersi con l’alcol e a maledire Gesù Bambino, a meno<br />
che non fosse presente il suo wanawaki.<br />
Ngui e io superammo insieme un’altra macchia di cespugli dove aveva la tana<br />
un cobra. Il cobra doveva essere ancora fuori o era andato a far visita a qualcuno<br />
senza lasciare l’indirizzo. Nessuno di noi due era un grande cacciatore di serpenti.<br />
Quella sì che era un’ossessione dell’uomo bianco, anche se un’ossessione<br />
giustificata, dato che, se li si calpestava, i serpenti mordevano il bestiame e i cavalli, e<br />
alla fattoria di Pop c’era una taglia fissa in scellini su di loro; tanto per i cobra quanto<br />
per gli altri serpenti velenosi. La caccia ai serpenti fatta per soldi era il livello più<br />
basso a cui un uomo poteva scendere. Conoscevamo i cobra come creature veloci, dai<br />
movimenti sinuosi, che si cercavano tane tanto piccole da sembrare impossibile che<br />
riuscissero a entrarci, e su questo noi facevamo delle battutacce. Si raccontava ancora<br />
di feroci mamba che si alzavano in alto sulle code e inseguivano i poveri coloni o gli<br />
intrepidi Ranger della Caccia mentre erano a cavallo, ma questi racconti ci lasciavano<br />
indifferenti, dato che venivano dal sud, dove si sosteneva che ippopotami con un<br />
nome proprio vagassero in cerca d’acqua per centinaia di chilometri di territorio arido<br />
e che i serpenti facessero festini biblici. Sapevo che tutto questo doveva essere vero,<br />
dato che era stato scritto da uomini d’onore, ma quelli non erano i nostri serpenti e in<br />
Africa contano solo i vostri stessi serpenti.