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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«Sì. Sì» dissi. «Ricordo di aver visto il vecchio Chungo a Parigi. Sì. Sì. Ricordo.<br />

Sì. Sì.»<br />

«No. No» disse G.C. con aria distratta. «No. No. Chungo. Non è un membro del<br />

Dipartimento.»<br />

«Sì. Sì» dissi io. «Temo che lo sia, signore.»<br />

«Il signor Chungo mi ha detto un’altra cosa interessante. Mi ha detto che intingi<br />

i proiettili nel veleno kamba per frecce e che Ngui lo prepara per te e che tutta quella<br />

storia risasi moja su ogni colpo un animale abbattuto è effetto del veleno per frecce.<br />

Si è offerto di farmi vedere sulla sua stessa gamba come fa in fretta, questo veleno, a<br />

risalire su per un rivolo di sangue che sgorga.»<br />

«Senti, senti. Signore, pensa che la signorina farebbe bene ad andare allo Ngoma<br />

con il suo collega signor Chungo? Può anche essere tutto assolutamente nelle regole,<br />

ma la signorina è ancora una Memsahib. È ancora protetta dalla Legge sulle<br />

Responsabilità dell’Uomo Bianco.»<br />

«Verrà allo Ngoma con me» disse G.C. «Ci prepari qualcosa da bere, Miss<br />

Mary? Anzi, no, ci penso io.»<br />

«Sono ancora capace di preparare da bere» disse Miss Mary. «E voi due, finitela<br />

con quell’aria sinistra. L’ho inventata io, la storia del signor Chungo. Qui qualcuno<br />

deve pur prendere in giro Papa e i suoi pagani, e te e Papa e le vostre follie e le vostre<br />

cattiverie notturne. A che ora vi siete alzati, stamattina?»<br />

«Non troppo presto. È ancora lo stesso giorno?»<br />

Miss Mary stava scrivendo un grande poema sull’Africa, ma il guaio era che a<br />

volte lo componeva mentalmente, dimenticandosi di scriverlo, e i versi scomparivano<br />

come un sogno. E quello che scriveva, si rifiutava di farlo vedere a qualcuno.<br />

Avevamo tutti molta fiducia nel suo poema sull’Africa e io ce l’ho ancora, ma mi<br />

piacerebbe di più se lo scrivesse veramente. In quel periodo leggevamo le Georgiche<br />

nella traduzione di C’ Day Lewis. Ne avevamo due copie, ma andavano sempre perse<br />

o lasciate in giro e io non avevo mai conosciuto un libro che si perdesse con tanta<br />

facilità. Per me, l’unico difetto del Mantovano era di far credere a tutte le persone di<br />

intelligenza normale di poter essere grandi poeti. Dante lo faceva credere solo ai<br />

pazzi, di poter essere grandi poeti. Questo non era vero, naturalmente, ma allora quasi<br />

niente era vero, soprattutto in Africa. In Africa, una cosa è vera all’alba e falsa a<br />

mezzogiorno, e per questa cosa non si ha più rispetto di quanto se ne abbia per il bel<br />

lago dalla perfetta corona d’erba che si è visto oltre la pianura salina cotta dal sole. La<br />

mattina abbiamo attraversato quella pianura a piedi e sappiamo che il lago non esiste.<br />

Ma ora è là, assolutamente vero, bello e credibile.<br />

«C’è davvero questo nel tuo poema?»<br />

«Sì, naturalmente.»<br />

«Allora scrivilo prima che suoni come un incidente di macchina.»<br />

«Non sei tenuto a rovinare le poesie della gente, oltre che a sparare ai loro<br />

leoni.»<br />

G.C. alzò lo sguardo su di me come uno scolaretto guardingo e io dissi: «Ho<br />

trovato le mie Georgiche, se le vuoi. Sono quelle senza l’introduzione di Louis<br />

Bromfield. È per questo che le riconosco».<br />

«Le mie le riconosci perché c’è sopra il mio nome.»

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