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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«Le darò una prova.»<br />

«Kwisha» dissi. Poi, a Mthuka: «Kwenda na duka».<br />

Il duka era affollato di Masai che facevano spese o guardavano gli altri che<br />

compravano. Le donne ti squadravano sfacciatamente dalla testa ai piedi e i giovani<br />

guerrieri dai capelli rasati sulla fronte e alle tempie erano allegri e insolenti. I Masai<br />

emettono un buon odore e le donne hanno mani fredde, e quando le mettono nelle<br />

vostre non le ritirano mai, ma si deliziano del calore delle vostre palme e le esplorano<br />

allegramente senza alcun pudore. Il locale di Benji era un posto movimentato e<br />

allegro, come giù a casa sono gli empori degli indiani il sabato pomeriggio o in un<br />

giorno di paga. Keiti aveva trovato del buon posho e tutte le Coca-Cola e le bevande<br />

analcoliche di cui avevamo bisogno per lo Ngoma, e stava ordinando degli articoli<br />

del tutto inutili riposti sulle mensole più alte, in modo da poter guardare la ragazza<br />

indiana bella e intelligente che amava G.C. da una grande distanza e che tutti<br />

ammiravamo e di cui ci saremmo innamorati se non fosse stato inutile, da poterla<br />

guardare mentre tirava giù la roba e gliela consegnava. Era la prima volta che notavo<br />

quanto Keiti amasse osservare la ragazza ed ero felice perché questo ci dava un lieve<br />

vantaggio su di lui. La ragazza mi parlò con la sua voce aggraziata e mi chiese di<br />

Miss Mary e disse quanto era felice per il leone e mentre io traevo grande piacere dal<br />

guardarla e dall’ascoltare la sua voce e dallo stringerle la mano non potei fare a meno<br />

di accorgermi di quanto avanti si fosse spinto Keiti. Solo allora notai com’erano<br />

puliti, eleganti e ben stirati i suoi abiti e vidi che indossava la sua migliore divisa da<br />

safari e il turbante nuovo.<br />

Aiutata da Mthuka, la gente del duka cominciò a portare fuori i sacchi di cibo e<br />

le casse di bevande analcoliche e io pagai il conto e comprai sei fischietti per lo<br />

Ngoma. Poi, dato che il duka aveva poco personale, uscii per tenere d’occhio il fucile<br />

mentre Keiti dava una mano con le casse. Sarei stato lieto di aiutarli a caricare, ma<br />

sarebbe stato considerato indecoroso. Quando eravamo a caccia da soli, lavoravamo<br />

sempre insieme, ma in città e in pubblico non si poteva, e così presi posto sul sedile<br />

anteriore con il fucile fra le gambe ad ascoltare le richieste dei Masai che volevano<br />

venire in macchina con noi sulla Montagna. Lo châssis di un camion Chevrolet sul<br />

quale era stata costruita la carrozzeria della camionetta aveva buoni freni, ma carichi<br />

com’eravamo non potevamo portare più di sei persone oltre a noi. In passato, ne<br />

avevamo raccolte anche più di una dozzina. Ma sulle curve era troppo pericoloso, e a<br />

volte la corsa faceva venire la nausea alle donne masai. Non portavamo mai guerrieri<br />

in discesa, giù per la strada della Montagna, anche se a volte li tiravamo su mentre<br />

salivamo. Agli inizi c’era stato un po’ di risentimento per questo, ma ormai era un<br />

uso accettato e gli uomini che portavamo su lo spiegavano agli altri.<br />

Alla fine caricammo tutto. Quattro donne con le loro sporte, i fagotti, le zucche e<br />

le merci miste si erano sistemate nel retro, altri tre sedevano sul sedile posteriore con<br />

Keiti alla loro destra, e io, Mwengi e Mthuka sul sedile anteriore. Ci mettemmo in<br />

moto, mentre i Masai agitavano le mani per salutare e io aprii la bottiglia di birra<br />

ancora avvolta nel giornale e la offrii a Mwengi. Lui mi fece cenno di bere per primo<br />

e scivolò giù sul sedile per sottrarsi alla vista di Keiti. Bevvi e gli passai la bottiglia e<br />

lui tracannò usando l’angolo della bocca, per tenere nascosta la grossa bottiglia da un<br />

quarto. Poi me la restituì e io la offrii a Mthuka.

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