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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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Mthuka aveva spedito Ngui giù alla pista a prendere la macchina. Salimmo a<br />

bordo e io feci cenno a Mthuka di andare verso la lingua d’acqua all’estremità della<br />

palude. Io e Ngui ci sporgevamo dai due lati per controllare le tracce sul terreno.<br />

Dalla palude dei papiri andavano e venivano vecchi segni di pneumatici e orme di<br />

animali. C’erano anche tracce di gnu e tracce di zebre e di gazzelle di Thomson.<br />

La strada descrisse una curva e ci trovammo più vicini alla foresta e poi<br />

vedemmo le orme di un uomo. Poi di un altro uomo che portava gli stivali. Su queste<br />

tracce era piovuto leggermente e io pensai di far fermare la macchina per controllare<br />

a piedi.<br />

«Tu e io» dissi a Ngui.<br />

«Sì» sorrise. «Uno ha piedi grandi e cammina come se è stanco.»<br />

«E uno è scalzo e cammina come se il fucile gli pesasse troppo. Ferma la<br />

macchina» dissi a Mthuka. Scendemmo.<br />

«Guarda» disse Ngui. «Uno cammina come se è molto vecchio e non vede.<br />

Quello con le scarpe.»<br />

«Guarda» dissi io. «Quello scalzo cammina come se avesse cinque mogli e venti<br />

vacche. Ha speso un patrimonio in birra.»<br />

«Non arriveranno da nessuna parte» disse Ngui. «Guarda, quello con scarpe<br />

cammina come se deve morire da un momento all’altro. Barcolla sotto il peso del<br />

fucile. Tu, cosa pensi che ci fanno, qui?»<br />

«E che ne so? Guarda, ora quello con le scarpe cammina più veloce.»<br />

«Pensa allo Shamba» disse Ngui.<br />

«Kwenda na shamba.»<br />

«Ndio» disse Ngui. «Secondo di te quanti anni ha il vecchio con scarpe?»<br />

«Fatti gli affari tuoi» risposi. Facemmo cenno alla macchina di avvicinarsi e<br />

quando arrivò salimmo e io indicai a Mthuka di proseguire verso la foresta. Il<br />

guidatore rideva, scuotendo la testa.<br />

«Perché voi due seguivate le vostre stesse tracce?» chiese Miss Mary. «So che<br />

dev’essere buffo, perché ridevano tutti. Ma sembrava solo molto stupido.»<br />

«Ci divertivamo.»<br />

Quella parte della foresta mi deprimeva sempre. Gli elefanti dovevano pur<br />

mangiare qualcosa, ed era meglio che mangiassero gli alberi, piuttosto che<br />

distruggere i raccolti degli indigeni. Ma la rovina era immensa, se proporzionata al<br />

nutrimento che traevano dagli alberi abbattuti, e guardarla faceva venire tristezza. In<br />

Africa, prima della media raggiunta attualmente, gli elefanti erano gli unici animali<br />

cresciuti con regolarità di numero. Si erano moltiplicati fino a diventare un problema<br />

per gli indigeni, tanto da dover essere decimati. Solo che poi avevano cominciato a<br />

essere uccisi indiscriminatamente. Gli uomini incaricati di farlo ci avevano preso<br />

gusto e si erano messi ad ammazzare vecchi maschi, giovani maschi, femmine e<br />

neonati. Avrebbe dovuto esserci qualche tipo di controllo. Ma vedendo i danni alla<br />

foresta e il modo in cui venivano tirati giù gli alberi per essere spogliati, e sapendo<br />

che cosa gli elefanti potevano fare in una sola notte in uno Shamba indigeno,<br />

cominciai a pensare ai problemi che questo controllo avrebbe generato. E per tutto il<br />

tempo continuai a osservare le tracce dei due elefanti che avevamo visto aprire il<br />

varco nella foresta. Li conoscevo, quei due elefanti, e sapevo dove probabilmente

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