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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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che lo splendido colpo a distanza di G.C. l’avesse ucciso all’istante. Ora lui era morto<br />

e noi avremmo sentito la mancanza della caccia che gli avevamo dato.<br />

Mi sforzai di riaddormentarmi, ma cominciai a pensare al leone e a quello che<br />

avremmo fatto se avesse raggiunto la foresta e a ricordare le esperienze degli altri<br />

nelle stesse circostanze e poi pensai al diavolo tutto questo. Era una questione di cui<br />

parlare con G.C. e di cui discutere con Pop. Speravo che Mary si svegliasse dicendo:<br />

“Sono così contenta di aver preso il mio leone”. Ma era troppo da aspettarsi ed erano<br />

le tre del mattino. Ricordai Scott Fitzgerald e di come aveva scritto che nel qualcosa<br />

qualcosa dell’anima qualcosa qualcosa sono sempre le tre del mattino. Per molti mesi<br />

le tre del mattino avevano rappresentato le due ore, o l’ora e mezzo, prima che ci si<br />

alzasse e ci si infilasse gli stivali per andare a caccia del leone di Miss Mary. Alzai la<br />

zanzariera, allungai la mano e trovai la bottiglia di sidro. Era fresca per il freddo della<br />

notte e io aumentai lo spessore dei cuscini piegandoli in due e poi mi ci adagiai<br />

contro, con il ruvido cuscinetto quadrato balsamico dietro al collo, e pensai all’anima.<br />

Prima dovetti verificare mentalmente la citazione di Fitzgerald. L’avevo trovata in<br />

una serie di articoli nei quali Fitzgerald aveva abbandonato i suoi precedenti ideali<br />

tanto pretenziosi e si era definito un piatto incrinato. Andando indietro con la<br />

memoria ricordai la citazione. Diceva così: «In una notte veramente buia dell’anima<br />

sono sempre le tre del mattino».<br />

E mentre me ne stavo seduto sveglio nella notte africana capii che non sapevo<br />

niente dell’anima. La gente che ne sapeva qualcosa ne parlava in continuazione e ne<br />

scriveva. Io non conoscevo nessuno che ne sapesse qualcosa, né ero sicuro che<br />

l’anima esistesse. Mi sembrava una nozione molto strana ed ero consapevole che,<br />

perfino se ne avessi saputo qualcosa, avrei fatto molta fatica a tentare di spiegarla a<br />

Ngui e a Mthuka e agli altri. Prima di svegliarmi avevo sognato e nel sogno avevo il<br />

corpo di un cavallo ma la testa e le spalle da uomo e mi chiedevo come mai nessuno<br />

l’avesse capito prima. Era un sogno molto logico e aveva a che fare con l’esatto<br />

momento in cui avviene il cambiamento nel corpo quando si trasforma in corpo<br />

umano. Mi era parso un ottimo sogno e mi chiesi che cosa ne avrebbero pensato gli<br />

altri quando gliel’avessi raccontato. Ora ero sveglio e il sidro era freddo e gradevole<br />

ma io sentivo ancora i muscoli che avevo nel sogno quando il mio corpo era un corpo<br />

di cavallo. Questo non mi aiutava con l’anima e mi sforzai di pensare a che cosa<br />

potesse essere nei termini nei quali credevo io. Probabilmente ciò che avevamo era<br />

più vicino a una fonte di acqua chiara e fresca che non diminuiva mai durante la<br />

siccità e mai gelava durante l’inverno piuttosto che all’anima di cui tutti parlavano.<br />

Ricordai che quando ero bambino, la base dei Chicago White Sox si chiamava Harry<br />

Lord, uno capace di continue finte lungo la linea della terza base finché il lanciatore<br />

avversario era sfinito o diventava buio e la partita veniva sospesa. All’epoca ero<br />

molto giovane e vedevo tutto esagerato, ma ricordo ancora che scendeva il buio,<br />

questo accadeva prima che nei campi ci fosse l’illuminazione, e Harry non la<br />

smetteva con le sue finte e la folla urlava: «Dio, Dio ti salvi l’anima». Era il massimo<br />

di vicinanza all’anima che avessi mai avuto. Una volta credevo che l’anima mi fosse<br />

stata strappata e poi fosse tornata. Ma a quei tempi ero molto egoista e avevo sentito<br />

parlare tanto dell’anima e ne avevo letto tanto da convincermi di averne una anch’io.<br />

Poi cominciai a chiedermi se Miss Mary o G.C. o Ngui o Charo o io fossimo stati

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