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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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Ora eravamo là con il leone e il leone era di Mary e ormai lei lo sapeva, mentre<br />

guardava quanto era splendido e lungo e bello. Era ricoperto di tafani e gli occhi<br />

gialli non erano ancora vitrei. Passai la mano nel nero scuro della criniera. Mthuka<br />

aveva fermato la Land Rover ed era venuto a stringere la mano a Mary, che era<br />

inginocchiata vicino al leone.<br />

Poi vedemmo il camion arrivare dal campo attraverso la pianura. Avevano<br />

sentito gli spari e Keiti era uscito con tutti, tranne i due uomini che avevano lasciato<br />

di guardia. Cantavano la canzone del leone e quando si riversarono fuori dal camion<br />

Mary non ebbe più dubbi su chi fosse il proprietario del leone. Avevo visto molti<br />

leoni uccisi e molte celebrazioni. Ma nessuna come questa. Volevo che Mary se la<br />

godesse tutta. Ero sicuro che ora con lei andasse tutto bene ed entrai nell’isola di<br />

alberi e di arbusti che il leone aveva tentato di raggiungere. Ce l’aveva quasi fatta e<br />

mi chiesi come sarebbe andata se io e G.C. fossimo stati costretti ad andare a stanarlo<br />

là dentro. Volevo dare un’occhiata prima che la luce scomparisse. Il leone ci sarebbe<br />

arrivato dopo un’altra cinquantina di metri, e quando fossimo arrivati noi, nella<br />

foresta sarebbe stato buio. Mi chiesi che cosa sarebbe accaduto e tornai alle<br />

celebrazioni e agli scatti delle fotografie. I fari del camion e della Land Rover erano<br />

concentrati su Miss Mary e sul leone, che G.C. ritraeva. Ngui mi portò la fiaschetta<br />

Jinny, che aveva preso nella sacca sulla Land Rover, e io bevvi una breve sorsata e<br />

gliela restituii. Anche lui bevve una breve sorsata e scosse la testa e me la restituì.<br />

«Piga» disse e ridemmo tutti e due. Questa volta mi scolai una lunga sorsata e ne<br />

sentii il calore e sentii la tensione abbandonarmi come un serpente che perde la pelle.<br />

Fino a quel momento non mi ero davvero reso conto che alla fine avevamo preso il<br />

leone. Tecnicamente lo sapevo da quando l’incredibile lungo sparo ad arco e freccia<br />

l’aveva colpito e abbattuto e Ngui mi aveva picchiato la mano sulla schiena. Ma poi<br />

c’era stata la preoccupazione di Mary e il suo sgomento, e quando ci eravamo<br />

avvicinati all’animale eravamo freddi e distaccati, come se si fosse trattato della fine<br />

di un attacco. Ora, con i brindisi e le celebrazioni e le fotografie, le detestate e<br />

indispensabili fotografie, a sera troppo inoltrata, senza flash e nessun professionista<br />

capace di farle nel modo giusto per immortalare il leone di Mary sulla pellicola,<br />

mentre guardavo la faccia radiosa di lei felice alla luce dei fari e la grossa testa del<br />

leone, troppo pesante perché Mary riuscisse a sollevarla, orgoglioso di lei e<br />

innamorato del leone, vuoto dentro come una stanza vuota, e vedevo il taglio storto<br />

del sorriso di Keiti mentre si chinava su Mary per toccare la criniera incredibilmente<br />

nera del leone, con tutti che tubavano in kikamba, come tortore, e ogni uomo<br />

individualmente orgoglioso di quel nostro leone, nostro e di tutti e di Mary perché era<br />

stata lei a volergli dare la caccia per mesi e a colpirlo, risentita e orgogliosa quando le<br />

cose erano parse andare male, e ora felice e radiosa alla luce dei fari, simile a un<br />

piccolo angelo luminoso e non proprio micidiale, con tutti che amavano lei e quel<br />

nostro leone, cominciai a rilassarmi e a divertirmi.<br />

Charo e Ngui avevano raccontato a Keiti com’era andata e lui mi si avvicinò per<br />

stringermi la mano, dicendo: «Mzuri sana Bwana. Uchawi tu».<br />

«Sono stato fortunato.» E Dio sa se non era vero.<br />

«Non fortunato» disse Keiti. «Mzuri. Mzuri. Uchawi kubwa sana.»

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