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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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elle corna che scrutava indietro e attorno mentre entrava anche lui, chiudendo la fila,<br />

pensai che strana coppia dovevano sembrare agli animali Miss Mary e Charo.<br />

Nessuno di essi dava segno di aver paura dei due. Ci era capitato di verificarlo molte<br />

volte. Invece di temere la piccola bionda con la giacca verde foresta, e l’ancor più<br />

piccolo nero in giacca azzurra, gli animali sembravano solo interessati. Era come se<br />

gli fosse stato permesso di vedere un circo o quantomeno qualcosa di estremamente<br />

strano, e soprattutto le bestie feroci sembravano attratte da loro. Quella mattina<br />

eravamo tutti rilassati. Nella parte dell’Africa dov’eravamo, accadeva ogni giorno<br />

qualcosa, qualcosa di orribile o qualcosa di meraviglioso. All’alba, quando ci<br />

svegliavamo, eravamo sempre eccitati, come se ci aspettasse una gara di discesa sugli<br />

sci o dovessimo guidare un bob a tutta velocità. Lo sapevamo, qualcosa doveva<br />

accadere, e di solito accadeva prima delle undici. In Africa, non una sola mattina mi<br />

era capitato di svegliarmi senza essere felice. Almeno finché non ricordavo le<br />

questioni lasciate in sospeso. E quella mattina, nella momentanea assenza di<br />

comando, eravamo rilassati in modo particolare e io ero felice perché i bufali, che<br />

rappresentavano il nostro problema principale, dovevano evidentemente essere da<br />

qualche parte dove non potevamo raggiungerli. Per quello che speravamo di fare era<br />

necessario che fossero loro a venire da noi, e non noi da loro.<br />

«Come hai intenzione di procedere?»<br />

«Prendo la macchina e giro attorno al lago per controllare le tracce e poi entro<br />

nel tratto di foresta che costeggia la palude, controllo anche lì e torno fuori. Saremo<br />

controvento rispetto agli elefanti, e chissà che tu non li veda. Probabilmente no.»<br />

«Possiamo tornare attraverso il territorio dei gerenuk?»<br />

«Naturalmente. Mi dispiace che ci siamo mossi tardi. Ma con Pop che se ne<br />

andava e il resto...»<br />

«Mi piacerebbe andare là dentro, in quel brutto posto. Per vedere che cosa riesco<br />

a trovare come albero di Natale. Pensi che il mio leone sia là?»<br />

«Probabilmente. Ma non riusciremo a vederlo, in quel tipo di territorio.»<br />

«Che razza di bastardo di leone intelligente. Perché quella volta non mi hanno<br />

permesso di sparare allo splendido leone accucciato tranquillamente sotto l’albero? È<br />

così che le donne sparano ai leoni.»<br />

«È così che sparano, e il più bel leone dalla criniera nera mai abbattuto da una<br />

donna aveva in corpo una quarantina di colpi. Poi le signore scattano le loro belle<br />

fotografie, dopodiché devono continuare a convivere con il maledetto leone e mentire<br />

su di lui con i loro amici e con se stesse per il resto della vita.»<br />

«Mi dispiace di aver mancato quel magnifico leone, a Magadi.»<br />

«Non dispiacerti. Devi esserne orgogliosa.»<br />

«Non so che cosa mi ha resa così. Devo abbatterlo e dev’essere proprio quello.»<br />

«Gli abbiamo dato troppo la caccia, tesoro. È molto intelligente. Adesso<br />

dobbiamo fargli riacquistare la sicurezza e aspettare che commetta un errore.»<br />

«Lui non commette errori. È più intelligente di te e di Pop messi insieme.»<br />

«Tesoro, Pop voleva che tu lo abbattessi o lo perdessi subito. Per fortuna ti vuole<br />

bene, se no tu avresti sparato a qualunque tipo di leone.»<br />

«Non parliamo di lui» disse Miss Mary. «Voglio pensare all’albero di Natale.<br />

Avremo un Natale magnifico.»

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