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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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ero ragazzo e avrei voluto avere un cestino di erba intrecciata per tenercelo dentro<br />

quando viaggiavo o da mettere nel letto sotto la zanzariera quando era notte. Anche il<br />

sidro sapeva di Michigan e io continuavo a ricordare la raffineria di sidro e la porta<br />

che non era mai chiusa a chiave, ma trattenuta solo da un gancio fermato da un<br />

chiodo di legno e l’odore dei sacchi usati per il pressaggio e poi distesi ad asciugare e<br />

poi ancora disposti sopra le vasche profonde dove gli uomini venuti a schiacciare i<br />

loro carichi di mele lasciavano la parte dovuta alla raffineria. Sotto il bacino della<br />

raffineria si apriva una pozza profonda, con un vortice dell’acqua che prima scendeva<br />

e poi tornava indietro ribollendo. Se si aveva pazienza, ci si potevano pescare le trote,<br />

e quando ne prendevo una la uccidevo e la mettevo nella grande cesta di vimini che<br />

tenevo all’ombra e la ricoprivo di foglie di felci e poi entravo nella raffineria per<br />

staccare il bicchiere di latta dal gancio infisso nella parete sopra le vasche e sollevavo<br />

la pesante copertura di tela di sacco da una delle vasche e tiravo su un bicchiere di<br />

cidro e bevevo. Il sidro che avevamo con noi adesso mi ricordava il Michigan,<br />

soprattutto con il cuscino.<br />

Seduto al tavolo, ero contento perché Mary sembrava stare meglio e speravo che<br />

il leone comparisse a pomeriggio inoltrato e che lei lo uccidesse, lasciandolo freddo<br />

come merda di serpente, e che fosse felice per sempre. Finimmo di pranzare e tutti<br />

erano molto allegri e tutti dissero che andavano a fare un pisolino e io avrei chiamato<br />

Miss Mary quando fosse arrivata l’ora di andare a cercare il leone.<br />

Mary si addormentò non appena si fu sdraiata sulla branda. La tenda aveva il<br />

retro aperto e dalla Montagna soffiava un vento fresco che l’attraversava tutta. In<br />

genere dormivamo davanti all’apertura della tenda, ma io presi i cuscini e li misi ai<br />

piedi della branda, poi li piegai in due e mi sdraiai con il cuscinetto balsamico sotto il<br />

collo, dopo essermi tolto stivali e calzoni, e lessi con la luce dietro di me. Stavo<br />

leggendo un ottimo libro di Gerald Hanley, che aveva scritto un altro buon libro<br />

intitolato The Consul at Sunset. Questo parlava di un leone che creava un sacco di<br />

guai e uccideva praticamente tutti i personaggi. Io e G.C. usavamo leggerlo di<br />

mattina al gabinetto per trarne ispirazione. I pochi personaggi che il leone non<br />

uccideva erano comunque destinati a qualche altro tipo di fine crudele, e così non ce<br />

la prendevamo tanto. Hanley scriveva benissimo e il libro era eccellente e, se si era<br />

alle prese con la caccia, carico d’ispirazione. Una volta avevo visto arrivare un leone<br />

a tutta velocità e ne ero rimasto colpito, e ancora ne sono colpito. Quel pomeriggio<br />

leggevo molto lentamente perché il libro era così buono e non volevo finirlo. Speravo<br />

che il leone uccidesse l’eroe o il vecchio Maggiore perché erano entrambi figure<br />

nobili e simpatiche e io mi ero molto affezionato al leone e volevo che ammazzasse<br />

qualche personaggio di primo piano. Il leone se la cavava già abbastanza bene e<br />

aveva appena ucciso un altro personaggio molto sensibile e importante, quando decisi<br />

che era meglio lasciare il resto a più tardi e mi alzai e mi infilai pantaloni e stivali<br />

senza allacciarli e andai a vedere se G.C. era sveglio. Tossii davanti alla sua tenda<br />

come l’Informatore tossiva sempre davanti alla tenda pranzo.<br />

«Entra, generale» disse.<br />

«No» risposi. «La casa di un uomo è il suo castello. Sei abbastanza in forma da<br />

affrontare gli animali assassini?»<br />

«È troppo presto. Mary ha dormito?»

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