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ero ragazzo e avrei voluto avere un cestino di erba intrecciata per tenercelo dentro<br />
quando viaggiavo o da mettere nel letto sotto la zanzariera quando era notte. Anche il<br />
sidro sapeva di Michigan e io continuavo a ricordare la raffineria di sidro e la porta<br />
che non era mai chiusa a chiave, ma trattenuta solo da un gancio fermato da un<br />
chiodo di legno e l’odore dei sacchi usati per il pressaggio e poi distesi ad asciugare e<br />
poi ancora disposti sopra le vasche profonde dove gli uomini venuti a schiacciare i<br />
loro carichi di mele lasciavano la parte dovuta alla raffineria. Sotto il bacino della<br />
raffineria si apriva una pozza profonda, con un vortice dell’acqua che prima scendeva<br />
e poi tornava indietro ribollendo. Se si aveva pazienza, ci si potevano pescare le trote,<br />
e quando ne prendevo una la uccidevo e la mettevo nella grande cesta di vimini che<br />
tenevo all’ombra e la ricoprivo di foglie di felci e poi entravo nella raffineria per<br />
staccare il bicchiere di latta dal gancio infisso nella parete sopra le vasche e sollevavo<br />
la pesante copertura di tela di sacco da una delle vasche e tiravo su un bicchiere di<br />
cidro e bevevo. Il sidro che avevamo con noi adesso mi ricordava il Michigan,<br />
soprattutto con il cuscino.<br />
Seduto al tavolo, ero contento perché Mary sembrava stare meglio e speravo che<br />
il leone comparisse a pomeriggio inoltrato e che lei lo uccidesse, lasciandolo freddo<br />
come merda di serpente, e che fosse felice per sempre. Finimmo di pranzare e tutti<br />
erano molto allegri e tutti dissero che andavano a fare un pisolino e io avrei chiamato<br />
Miss Mary quando fosse arrivata l’ora di andare a cercare il leone.<br />
Mary si addormentò non appena si fu sdraiata sulla branda. La tenda aveva il<br />
retro aperto e dalla Montagna soffiava un vento fresco che l’attraversava tutta. In<br />
genere dormivamo davanti all’apertura della tenda, ma io presi i cuscini e li misi ai<br />
piedi della branda, poi li piegai in due e mi sdraiai con il cuscinetto balsamico sotto il<br />
collo, dopo essermi tolto stivali e calzoni, e lessi con la luce dietro di me. Stavo<br />
leggendo un ottimo libro di Gerald Hanley, che aveva scritto un altro buon libro<br />
intitolato The Consul at Sunset. Questo parlava di un leone che creava un sacco di<br />
guai e uccideva praticamente tutti i personaggi. Io e G.C. usavamo leggerlo di<br />
mattina al gabinetto per trarne ispirazione. I pochi personaggi che il leone non<br />
uccideva erano comunque destinati a qualche altro tipo di fine crudele, e così non ce<br />
la prendevamo tanto. Hanley scriveva benissimo e il libro era eccellente e, se si era<br />
alle prese con la caccia, carico d’ispirazione. Una volta avevo visto arrivare un leone<br />
a tutta velocità e ne ero rimasto colpito, e ancora ne sono colpito. Quel pomeriggio<br />
leggevo molto lentamente perché il libro era così buono e non volevo finirlo. Speravo<br />
che il leone uccidesse l’eroe o il vecchio Maggiore perché erano entrambi figure<br />
nobili e simpatiche e io mi ero molto affezionato al leone e volevo che ammazzasse<br />
qualche personaggio di primo piano. Il leone se la cavava già abbastanza bene e<br />
aveva appena ucciso un altro personaggio molto sensibile e importante, quando decisi<br />
che era meglio lasciare il resto a più tardi e mi alzai e mi infilai pantaloni e stivali<br />
senza allacciarli e andai a vedere se G.C. era sveglio. Tossii davanti alla sua tenda<br />
come l’Informatore tossiva sempre davanti alla tenda pranzo.<br />
«Entra, generale» disse.<br />
«No» risposi. «La casa di un uomo è il suo castello. Sei abbastanza in forma da<br />
affrontare gli animali assassini?»<br />
«È troppo presto. Mary ha dormito?»