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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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dimenticare, era allegra e senza problemi. Riusciva a dimenticare più completamente<br />

e amabilmente di chiunque avessi conosciuto. Una sera poteva anche litigare ma per<br />

la fine della settimana aveva dimenticato tutto, completamente e sinceramente. Aveva<br />

una memoria molto selettiva, che non sempre andava a suo favore. In quella sua<br />

memoria perdonava se stessa e anche gli altri. Era una ragazza assai strana e io<br />

l’amavo molto. Al momento aveva solo due difetti. Non era adeguata all’onesta<br />

caccia al leone e aveva un cuore troppo buono per essere un’assassina, e alla fine<br />

avevo deciso che era questo a farla esitare e mancare leggermente la mira, quando<br />

sparava a un animale. Io lo trovavo carino e non ne ero mai esasperato. Lei invece lo<br />

era, esasperata, perché nella sua testa capiva il motivo per cui uccidevamo ed era<br />

necessario uccidere e aveva finito con il piacerle, dopo aver stabilito che non avrebbe<br />

mai abbattuto un animale bello come l’impala, ma solo animali brutti e pericolosi. In<br />

sei mesi di uscite quotidiane aveva imparato ad amare la caccia, una cosa vergognosa<br />

se fatta senza regole e priva di vergogna se fatta in modo corretto, ma in lei c’era<br />

qualcosa di troppo buono che scattava inconsapevolmente e la portava a sbagliare il<br />

bersaglio. L’amavo per questo allo stesso modo in cui non avrei mai potuto amare<br />

una donna capace di lavorare in un parco bestiame o di abbattere un cane o un gatto<br />

per non farlo soffrire o di eliminare un cavallo che si è rotto una zampa durante una<br />

corsa.<br />

«Come si chiamava il soldato?» chiese G.C. «Albertine?»<br />

«No. Monsieur.»<br />

«Ci prende in giro, Miss Mary.»<br />

Continuarono a parlare di Londra. E così anch’io cominciai a pensare a Londra,<br />

e non fu sgradevole, anche se ebbi la sensazione di troppo rumore e di poca<br />

normalità. Mi resi conto di non sapere niente di Londra e così ricominciai a pensare a<br />

Parigi, e con più particolari di prima. In realtà ero preoccupato per il leone di Mary,<br />

come lo era G.C., solo che affrontavamo la cosa in modo diverso. Quando accadeva<br />

realmente, era sempre abbastanza facile. Ma la storia del leone di Mary durava da<br />

troppo tempo e volevo levarmela dai piedi e farla finita.<br />

Poi, quando i diversi dudu, che era il nome generico per tutti i parassiti, gli<br />

scarafaggi e gli insetti, ebbero formato sul pavimento della tenda pranzo un tappeto<br />

abbastanza spesso da scricchiolare sotto i piedi, ce ne andammo a letto.<br />

«Non preoccuparti per il domani» dissi a G.C., mentre si avviava verso la sua<br />

tenda.<br />

«Vieni qui un momento.» Eravamo a metà strada dalla sua tenda, e Mary era<br />

entrata nella nostra. «Dove ha mirato, quando ha sparato contro quel povero gnu?»<br />

«Non te l’ha detto?» chiesi.<br />

«No.»<br />

«Va’ a letto. Tanto, noi non entriamo prima del secondo atto.»<br />

«Non potresti mettere in scena la vecchia commedia del marito e della moglie?»<br />

«No. È da un mese che Charo mi supplica di farlo.»<br />

«Miss Mary è meravigliosamente ammirevole» disse G.C. «Anche tu sei<br />

ammirevole, ma solo leggermente.»<br />

«Siamo un branco di ammirevoli ammiragli.»<br />

«Buonanotte, ammiraglio.»

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