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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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che era una città che avevo conosciuto in qualunque circostanza. La conoscevo e<br />

l’amavo tanto da non volerne parlare se non con le persone dei vecchi tempi. Ai<br />

vecchi tempi ognuno di noi aveva il suo caffè dove andava da solo e non conosceva<br />

nessun tranne i camerieri. Quei caffè erano luoghi segreti e ai vecchi tempi tutti quelli<br />

che amavano Parigi avevano i loro caffè personali. Erano meglio dei club e ci si<br />

faceva arrivare la posta che non si voleva ricevere a casa. In genere se ne avevano<br />

due o tre, di caffè segreti. Ce n’era uno dove si andava a lavorare e a leggere il<br />

giornale, e l’indirizzo non lo si dava a nessuno. Ci si andava di mattina, ci si sedeva<br />

nella veranda, si prendeva un café crème e un croissant e poi, quando avevano pulito<br />

l’angolo in cui si trovava il nostro tavolo, all’interno e vicino alla vetrata, si lavorava<br />

finché non era stato pulito, scopato e lucidato anche il resto della sala. Era gradevole<br />

avere attorno gente che lavorava: aiutava nel proprio lavoro. All’ora in cui nel locale<br />

cominciava ad arrivare gente, si pagava per la mezza bottiglia di Vichy, si usciva e si<br />

percorreva a piedi il quai dove si sarebbe bevuto un aperitivo e pranzato. C’erano<br />

posti segreti in cui pranzare e anche ristoranti frequentati da gente che si conosceva.<br />

I migliori posti segreti venivano sempre scoperti da Mike Ward. Conosceva<br />

Parigi e l’amava più di chiunque altro. Non appena un francese scopriva un posto<br />

segreto, Mike dava una grande festa per celebrare il segreto. Io e Mike andavamo a<br />

caccia di posti segreti che avessero almeno un paio di buoni vini e un cuoco capace,<br />

in genere uno squinternato, e che facessero del loro meglio per far marciare le cose<br />

prima di essere costretti a vendere o a fallire. Non volevamo posti segreti che<br />

crescessero di fama o diventassero di moda. Era quello che succedeva sempre con i<br />

ristoranti segreti di Charley Sweeny. Quando ci portava nel locale, il segreto era già<br />

stato svelato al punto che bisognava mettersi in fila per avere un tavolo.<br />

Ma Charley era bravissimo con i cafés segreti e possedeva uno splendido senso<br />

di riservatezza per se stesso e per gli altri. I suoi, naturalmente, erano i nostri cafés di<br />

ripiego, che usavamo il pomeriggio o la sera presto. C’era un momento della giornata<br />

in cui si poteva aver voglia di parlare con qualcuno e a volte andavo io in uno dei<br />

cafés di ripiego di Charley, e a volte veniva lui in uno dei miei. Magari diceva di<br />

voler portare una ragazza che intendeva presentarmi o magari lo dicevo io. Tutte le<br />

ragazze lavoravano. Altrimenti non erano serie. Nessuno, tranne gli stupidi,<br />

manteneva una ragazza. Non la volevamo fra i piedi durante il giorno e non volevamo<br />

i problemi che si portava dietro. Se accettava di essere la tua ragazza e lavorava,<br />

allora era seria, e noi eravamo liberi, e le sere in cui avevamo voglia di vederla la<br />

invitavamo a cena e quando ne aveva bisogno le facevamo dei regali. Io non avevo<br />

mai portato molte ragazze da esibire a Charley, il quale aveva sempre ragazze belle e<br />

docili, che lavoravano tutte ed erano tutte perfettamente controllabili. Non le avevo<br />

mai portate perché all’epoca la mia ragazza era la mia concièrge. Non mi era mai<br />

capitato di conoscere una concièrge giovane, ed era stata un’esperienza<br />

entusiasmante. La sua più grande virtù era che non poteva mai andare non solo in<br />

società, ma da nessuna parte. Quando l’avevo conosciuta, da locataire, era<br />

innamorata di un soldato della Garde Républicaine, uno di quei tizi con la coda di<br />

cavallo sull’elmo, medaglie e baffi, e la caserma nello stesso quartiere, non molto<br />

lontano. Faceva servizio a ore regolari ed era una bella figura d’uomo e ci trattavamo<br />

con grande formalità, dandoci del “Monsieur”.

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