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Ernest Hemingway VERO ALL'ALBA

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«No. Si è divertito?»<br />

«Sì, Papa.»<br />

«Ne sono felice. Non preoccupiamoci di lui. Ha la pistola.»<br />

«Una pistola che non vale niente» disse uno dei due. «Gliel’hai spiegato, Papa?»<br />

«Sì. Avrebbe potuto procurarsene di qualunque tipo.»<br />

«Forse sarebbe stato più contento con una pistola mitragliatrice.»<br />

«No» disse l’altro. «Le pistole mitragliatrici sono troppo compromettenti. Gli va<br />

benissimo quella che gli hai dato tu.»<br />

A questo punto, avevamo lasciato perdere.<br />

G.C. non dormiva bene e spesso restava sveglio a leggere per quasi tutta la<br />

notte. Aveva un’ottima biblioteca, nella sua casa di Kajiado, e io mi ero portato dietro<br />

una grossa sacca da marinaio piena di volumi che avevamo sistemato nella tenda<br />

pranzo dentro cassette vuote che fungevano da biblioteca. C’era una buona libreria<br />

nel New Stanley Hotel di Nairobi e un’altra altrettanto buona lungo la stessa strada, e<br />

quando andavo in città compravo la maggior parte dei nuovi libri che sembrava<br />

valesse la pena di leggere. La lettura era il miglior palliativo per l’insonnia di G.C.<br />

Ma non era una cura, e mi capitava di vedere la luce della sua tenda accesa per tutta<br />

la notte. Dato che non solo aveva una carriera di fronte a sé ma era anche stato tirato<br />

su a quel modo, non voleva avere niente a che fare con le donne africane. Né pensava<br />

che fossero belle o attraenti, e quelle che io conoscevo e più mi piacevano non<br />

consideravano attraente lui. Ma c’era una ragazza indiana ismailita, una delle persone<br />

più gradevoli di mia conoscenza, che era profondamente, disperatamente innamorata<br />

di G.C. L’avevo convinto che a essere innamorata era sua sorella, la quale era nel più<br />

rigido purdah, e gli mandava messaggi e doni da parte di questa sorella. Era una<br />

storia triste, ma anche pulita e allegra, e piaceva a tutti noi. G.C. non aveva niente a<br />

che fare con la ragazza, tranne quando le rivolgeva cortesemente la parola se gli<br />

capitava di entrare nel negozio dei suoi. Lui ce l’aveva una donna, una bianca di<br />

Nairobi, alla quale era molto affezionato, e io non gli parlavo mai di lei.<br />

Probabilmente Mary lo faceva. Noi tre non ci perdevamo mai in pettegolezzi su<br />

questioni personali che consideravamo serie.<br />

Nello Shamba era diverso. Là e nel quartiere degli uomini al campo non c’erano<br />

libri da leggere, né radio, e così parlavamo. Un giorno chiesi alla Vedova e alla<br />

ragazza che aveva deciso di voler essere mia moglie perché non provavano simpatia<br />

per G.C., e in un primo momento non vollero dirmelo. Alla fine la Vedova spiegò che<br />

non era educato parlarne. Saltò fuori che era una questione di odore. In genere, tutte<br />

le persone con la pelle del mio stesso colore emanavano un odore molto sgradevole.<br />

Eravamo seduti sotto un albero sulla riva del fiume e io aspettavo i babbuini che,<br />

a sentire loro, stavano scendendo verso di noi.<br />

«Il Bwana della Caccia ha un buon odore» avevo detto. «Lo sento in<br />

continuazione. Ha un odore proprio buono.»<br />

«Hapana» disse la Vedova. «Tu odori come Shamba. Tu odori come cuoio<br />

affumicato. Odori come pombe.» L’odore del pombe non mi piaceva, e non ero<br />

sicuro che mi andasse di odorare come lui.

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