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La parola e la cura

Ecologia dell'ascolto Numero 2 Anno 2015 La Parola e la cura è una rivista rivolta a tutti i professionisti che utilizzano la parola nel loro lavoro, parla di counselling perché con questo termine indichiamo le comunicazioni professionali caratterizzate da una costante attenzione alla relazione con l'altro, alla qualità dello scambio comunicativo, all'efficacia dei messaggi.

Ecologia dell'ascolto Numero 2 Anno 2015

La Parola e la cura è una rivista rivolta a tutti i professionisti che utilizzano la parola nel loro lavoro, parla di counselling perché con questo termine indichiamo le comunicazioni professionali caratterizzate da una costante attenzione alla relazione con l'altro, alla qualità dello scambio comunicativo, all'efficacia dei messaggi.

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Autunno 2015 <br />

Comunicazione Counsel(l)ing Salute <br />

<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ugo Avalle – Enrico Bandiera – Simone Bellis – Giorgio Bert – <br />

Antonio Bonaldi – Denise Centrel<strong>la</strong> – Leonora Chiavari – <br />

Fabrizia Cogo – Ottavio Davini – Carolina Dello Russo – <br />

Giovanni Di Fine – Valerio Di Monte – Mauro Doglio – Gianni <br />

Garena – Erika Mi<strong>la</strong>nesio – Lucia Pavignano – Silvana Quadrino <br />

– Roberto Quarisa – Arianna Radin – Dafne Rossi – Elvira <br />

Signaroldi – Diego Targhetta Dur – Pao<strong>la</strong> Zimmermann -­‐ <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e <br />

di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Edizioni CHANGE <br />

www.counselling.it


<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

SOMMARIO <br />

EDITORIALE: <br />

(G.B.) <br />

Reti Radici Rizomi <br />

Giorgio Bert <br />

Complessità e auto-­‐organizzazione nei sistemi sociali: il caso Slow Medicine <br />

Antonio Bonaldi <br />

Verso il servizio sociale di comunità: alcune precondizioni <br />

Gianni Garena <br />

Radici e Orizzonti: le SOMS e un nuovo patto sociale e professionale <br />

Diego Targhetta Dur, Elvira Signaroldi, Ugo Avalle, Denise Centrel<strong>la</strong>, Fabrizia Cogo, Carolina <br />

Dello Russo, Giovanni Di Fine, Erika Mi<strong>la</strong>nesio, Lucia Pavignano, Roberto Quarisa, Valerio <br />

Dimonte <br />

<strong>La</strong> fabbrica Olivetti: una storia collettiva di responsabilità <br />

Enrico Bandiera, Lucia Pavignano, Elvira Signaroldi, Diego Targhetta Dur <br />

Una Rete che <strong>cura</strong>. Sogno o realtà? <br />

Pao<strong>la</strong> Zimmermann <br />

Perché è necessario un nuovo patto per <strong>la</strong> salute <br />

Ottavio Davini <br />

Re<strong>la</strong>zioni di <strong>cura</strong> e <strong>cura</strong> delle re<strong>la</strong>zioni <br />

Simone Bellis <br />

<strong>La</strong> competenza del paziente <br />

Dafne Rossi <br />

<strong>La</strong> rete europea del<strong>la</strong> prevenzione all’obesità in età pediatrica <br />

Arianna Radin <br />

Condividere le scelte per decidere consapevolmente: il ruolo del counseling in medicina <br />

Leonora Chiavari <br />

Il gruppo si fa rete. L’utilizzazione di WhatsApp da parte di un gruppo di apprendimento <br />

Mauro Doglio <br />

Elena e le reti <br />

Silvana Quadrino <br />

AI LETTORI <br />

<strong>La</strong> redazione <br />

2 <br />

4 <br />

8 <br />

13 <br />

22 <br />

28 <br />

33 <br />

38 <br />

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46 <br />

50 <br />

55 <br />

59 <br />

66 <br />

68 <br />

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AUTORI <br />

<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Ugo Avalle – Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Enrico Bandiera -­‐ Responsabile settore archiviazione, Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea <br />

Simone Bellis -­‐ Infermiere, svolge attività di ricerca e care management <br />

Giorgio Bert – Medico, cofondatore dell’Istituto CHANGE e di Slow Medicine, direttore di questa <br />

rivista <br />

Antonio Bonaldi – Presidente di Slow Medicine <br />

Denise Centrel<strong>la</strong> – Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Leonora Chiavari -­‐ Counsellor <br />

Fabrizia Cogo – Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Ottavio Davini -­‐ Medico radiologo, direttore Radiodiagnostica Ospedaliera AOU Città del<strong>la</strong> Salute e <br />

del<strong>la</strong> Scienza -­‐ Torino <br />

Carolina Dello Russo -­‐ Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di <br />

Torino <br />

Giovanni Di Fine -­‐ Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Valerio Di Monte -­‐ Presidente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Università di Torino <br />

Mauro Doglio – Filosofo, formatore, supervisor counsellor, responsabile del corso triennale di <br />

counselling e presidente dell’Istituto CHANGE <br />

Gianni Garena – Sociologo, formatore accreditato presso CNOAS, docente a contratto Università del <br />

Piemonte Orientale <br />

Erika Mi<strong>la</strong>nesio – Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Lucia Pavignano – Tutor del Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica di Ivrea, docente Corso di <strong>La</strong>urea in <br />

Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Silvana Quadrino – Psicoterapeuta sistemica, pedagogista, supervisor counsellor, docente e <br />

cofondatrice Istituto CHANGE, cofondatrice Slow Medicine <br />

Roberto Quarisa -­‐ Docente Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Arianna Radin -­‐ Sociologa, docente a contratto di Sociologia del<strong>la</strong> Salute presso l'Università di Torino <br />

e membro del comitato direttivo del Research Network Sociology of Health And Illness dell'European <br />

Sociological Association. <br />

Dafne Rossi -­‐ Presidente Associazione Serena Onlus (gruppo di aiuto donne operate al seno) membro <br />

G.A.R.T.(Gruppo Accademia del Cittadino del<strong>la</strong> Regione Toscana) <br />

Elvira Signaroldi -­‐ Coordinatore Polo Universitario Officina H e del Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica <br />

Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Diego Targhetta Dur – Coordinatore Polo Universitario Officina H e del Corso di <strong>La</strong>urea in <br />

Infermieristica Sede TO4 Ivrea -­‐ Università di Torino <br />

Pao<strong>la</strong> Zimmermann – Servizio per le Organizzazioni di Pazienti, Federazione per il Sociale e <strong>la</strong> Sanità <br />

2


<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

EDITORIALE <br />

(G. B.) <br />

Il sottotitolo di questo numero del<strong>la</strong> rivista, passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure, <br />

ripropone il concetto di “rete” al momento piuttosto in voga in quanto spesso contrapposto al <br />

modello gerarchico piramidale assai più <strong>la</strong>rgamente diffuso. Nel<strong>la</strong> rete, come è immaginata da <br />

chi propone questa struttura organizzativa, non ci sono né base né vertici ma semplicemente <br />

connessioni, nessuna delle quali ha maggior valore o importanza delle altre. Si tratta insomma di <br />

una struttura democratica al limite dell’anarchia intesa nel suo originale senso positivo come <br />

assenza di capi e di padroni, di sudditi e di servi. <br />

Si tratta di una rete virtuale, <br />

metafora dell’oggetto-­‐rete reale <br />

così come <strong>la</strong> conosciamo nelle <br />

sue numerose applicazioni. <br />

Esaminando con attenzione <br />

l’oggetto-­‐rete viene spontanea <br />

una domanda un po’ strana: ma <br />

esiste davvero una “cosa” <br />

chiamata rete? Certo, se <br />

sbattiamo <strong>la</strong> faccia contro una <br />

recinzione non ne dubiteremo <br />

nemmeno per un istante, e così <br />

se proveremo furtivamente a <br />

tagliar<strong>la</strong> con le apposite cesoie. E <br />

tuttavia… <br />

Una rete è fatta di maglie, cioè di buchi, e di nodi <strong>la</strong>ddove si incrociano i fili che <strong>la</strong> compongono. Le <br />

maglie sono spazi vuoti e i nodi come tali non esistono, nel senso che non è possibile “estrarli” <br />

dal<strong>la</strong> rete per esaminarli individualmente. Il termine “rete” insomma definisce una modalità di <br />

connessione dei fili, che sono il solo elemento reale dell’oggetto: è <strong>la</strong> disposizione dei fili a dar <br />

forma e senso al<strong>la</strong> rete, trasformando una serie di elementi lineari, i fili medesimi, in una struttura <br />

complessa e tuttavia semplice in quanto non può venire ulteriormente semplificata se non <br />

destrutturando<strong>la</strong>. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

In questo senso non sembra esserci differenza tra rete reale e rete virtuale: nessuna delle due è <br />

una “cosa”: <strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> definisce una morfologia, una modalità di connessione degli elementi. <br />

Quando sbattiamo <strong>la</strong> faccia su di una recinzione è sul filo di ferro che ci facciamo male, non sul<strong>la</strong> <br />

rete; ed è il filo di ferro, non <strong>la</strong> rete, che tagliamo con le cesoie. <br />

Allorché parliamo di “reti del<strong>la</strong> <strong>cura</strong>” ci riferiamo quindi, prima ancora che a modelli organizzativi, <br />

a strutture concettuali riguardanti l’interconnessione tra elementi diversi: esseri umani, persone <br />

innanzi tutto, poi anche professionisti, tecnici, politici, cittadini… <br />

<strong>La</strong> società umana è costituita esclusivamente da elementi interconnessi: ognuno di noi esiste in <br />

re<strong>la</strong>zione e per confronto con altri. Una persona iso<strong>la</strong>ta non può essere descritta né immaginata, <br />

poiché questo prevedrebbe almeno un altro soggetto vivente che descriva o immagini. Un uomo <br />

iso<strong>la</strong>to, totalmente sprovvisto di re<strong>la</strong>zioni e di connessioni, non lo ha mai visto nessuno né mai lo <br />

vedrà. <br />

Anche in questo caso quindi è <strong>la</strong> disposizione degli elementi a definire <strong>la</strong> struttura. Se essa è <br />

piramidale, <strong>la</strong> connessione è lineare, dal basso verso l’alto, e ogni elemento superiore ha potere su <br />

quello inferiore. Le connessioni coincidono con <strong>la</strong> distribuzione del potere all’interno del<strong>la</strong> <br />

struttura, essendo il massimo del potere concentrato al vertice, che è piccolissimo, e il minimo <br />

concesso al<strong>la</strong> base che ha invece dimensioni assai vaste: al punto che all’interno di essa si <br />

strutturano delle piramidine di micropoteri che in ultima analisi rendono più facile al vertice <strong>la</strong> <br />

gestione e il controllo del sistema. <br />

<strong>La</strong> struttura a rete è invece più flessibile, più adattabile, risponde bene ai cambiamenti, si adegua <br />

facilmente agli obiettivi e al<strong>la</strong> loro variabilità. Poiché, come si è detto, i nodi di una rete non <br />

esistono come tali ma solo come incroci, cioè connessioni, un singolo nodo non può atteggiarsi a <br />

leader se non trasformando <strong>la</strong> rete in piramide; nel<strong>la</strong> rete <strong>la</strong> leadership è provvisoria, condivisa, <br />

diffusa nell’intera struttura, funzionale allo specifico obiettivo di competenza degli elementi <br />

coinvolti, stabilmente sotto controllo attraverso le interconnessioni. <br />

Nel<strong>la</strong> rete delle cure così come <strong>la</strong> immaginiamo, si possono “accendere”, iso<strong>la</strong>tamente o <br />

contemporaneamente, diversi nodi: sanitari, sociali, ambientali… che cooperano al<strong>la</strong> promozione e <br />

al mantenimento del<strong>la</strong> salute. Ovvio che i nodi non coincideranno esclusivamente con i <br />

professionisti e coi tecnici (il che costituirebbe una struttura a piramide), ma includeranno, con <br />

pari importanza, i cittadini con le loro specifiche competenze. <br />

<strong>La</strong> disposizione a rete coincide così con <strong>la</strong> visione sistemica. <br />

3


<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Reti Radici Rizomi <br />

Giorgio Bert <br />

Rete, s.f. Attrezzo costituito da un intreccio, a maglie più o meno fitte, di fili di fibre naturali o <br />

artificiali, usato per pescare o per catturare uccelli e altre prede. (Estens.) Qualsiasi manufatto a <br />

maglie, di fibra o di metallo. (Fig.) Inganno, tranello. Etimo incerto; forse derivato dal <strong>la</strong>tino <br />

“sertus” (tessuto) <br />

Il termine “rete” gode oggi di una vasta popo<strong>la</strong>rità. Molti ne par<strong>la</strong>no come di un modello di <br />

struttura sociale aperto, egualitario, sistemico, ecologico, da contrapporre al più diffuso modello <br />

piramidale gerarchico dominante. <br />

Chiaro? Mica tanto… A ben vedere pochi termini sembrano essere altrettanto ambigui, al punto da <br />

assumere significati non solo molto diversi ma addirittura tra loro opposti. <br />

<strong>La</strong> rete avviluppa, imprigiona, impedisce i movimenti, separa il pesce dal pescatore, <strong>la</strong> mosca dal <br />

ragno: rapporti certo intuitivamente evidenti ma tutt’altro che egualitari in termini di potere. <br />

<strong>La</strong> rete serve a catturare gli uccelli, donde il senso figurato di rete come tranello, inganno. Non per <br />

nul<strong>la</strong> “irretire” significa “sedurre con arte, con inganno, abbindo<strong>la</strong>re, imbrogliare”. <br />

<strong>La</strong> rete separa e divide: una rete metallica è segno di recinzione, di confine; definisce “gli altri” <br />

come quelli da “tenere fuori” o da “chiudere dentro”; impedisce a “loro” di mischiarsi con “noi”. <br />

Qualche volta <strong>la</strong> rete può essere anche una protezione: solo nel mondo circense, però… <br />

E tuttavia rete significa anche intreccio, collegamento, connessione. <strong>La</strong> rete neurale collega tra <br />

loro milioni di cellule nervose; <strong>la</strong> rete dei capil<strong>la</strong>ri sanguigni nota come “rete mirabile” consente lo <br />

scambio di calore, ioni, gas, così da mantenerne costanti e adeguati i livelli. <strong>La</strong> vita biologica, con <br />

buona pace di Menenio Agrippa, dipende spesso da strutture a rete; e non solo <strong>la</strong> vita biologica, se <br />

si pensa ad altre reti di interconnessione che consideriamo necessarie al<strong>la</strong> nostra esistenza come <br />

le reti stradale e ferroviaria, <strong>la</strong> rete elettrica, <strong>la</strong> rete delle telecomunicazioni, il Web… <br />

Rete come separazione, rete come connessione… Si tratta di concetti opposti veri e propri o di <br />

aspetti diversi di un medesimo concetto? Non è forse vero che possono essere connessi solo <br />

elementi tra loro diversi? <strong>La</strong> meravigliosa rete neurale del nostro cervello è composta da milioni di <br />

singole cellule viventi, i neuroni, tra loro anche molto diverse per morfologia e funzioni. <br />

Altre strutture a rete come i sistemi umani, a cominciare dal<strong>la</strong> famiglia, sono composte da <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

elementi interconnessi e tuttavia distinti, non di rado estremamente diversi e talora perfino in <br />

conflitto. <br />

A ben vedere, il duplice ambiguo significato del termine “rete” sembra essere legato più ad una <br />

nostra visione lineare e limitata del<strong>la</strong> realtà che a una descrizione morfologica e funzionale <br />

effettiva. <br />

<strong>La</strong> visione lineare è in qualche modo insita nel nostro essere strutture viventi: il percorso del<strong>la</strong> <br />

vita ha inizio l’anno, il giorno, l’ora del<strong>la</strong> nascita e prosegue nel tempo in un’unica direzione verso <br />

un unico termine, che sarà anch’esso cronologicamente definito. <br />

Nel<strong>la</strong> visione lineare esiste quindi un inizio, un punto zero dove cui tutto comincia, da cui tutto ha <br />

origine. <br />

Usiamo spesso, per <br />

riferirci a quel momento, il <br />

termine “radice”: le nostre <br />

radici… <strong>La</strong> radice di tutto… <br />

<strong>La</strong> metafora vegetale <br />

mette in evidenza <strong>la</strong> <br />

somiglianza con <strong>la</strong> <br />

struttura lineare, <br />

dicotomica del<strong>la</strong> pianta: <br />

dal<strong>la</strong> radice al fusto coi <br />

rami al<strong>la</strong> foglia… Mirabile <br />

s<strong>la</strong>ncio dal basso verso <br />

l’alto… <br />

Stessa metafora lineare <br />

per l’albero genealogico: <br />

da una coppia iniziale-­radice<br />

ad oggi per <br />

successive suddivisioni <br />

dicotomiche. Dal passato <br />

al presente con uno <br />

sguardo volto al futuro… <br />

Che ogni cosa abbia un <br />

inizio ci pare naturale, <br />

normale: in fondo il mito <br />

fondante del<strong>la</strong> nostra <br />

cultura, <strong>la</strong> Bibbia, si apre <br />

con <strong>la</strong> solenne frase “Nel principio Dio creò i cieli e <strong>la</strong> terra”; sicut erat in principio, appunto. <br />

Eppure <strong>la</strong> visione lineare, per quanto risulti estremamente utile nel<strong>la</strong> vita quotidiana, non <br />

soddisfa del tutto. Questa insoddisfazione è oggetto di una complessa riflessione da parte di due <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

filosofi francesi, Deleuze e Guattari, in partico<strong>la</strong>re nel primo capitolo di un’opera alquanto vasta <br />

dal titolo Millepiani. <br />

Il modello dell’albero-­‐radice, secondo i due studiosi, con il suo andamento lineare per successive <br />

diramazioni, prevede pur sempre una forte unità principale, un punto di partenza: per l’appunto <strong>la</strong> <br />

radice. “Si può tranquil<strong>la</strong>mente affermare, scrivono i due Autori, che questo pensiero non ha mai <br />

compreso <strong>la</strong> molteplicità” <br />

E a proposito di molteplicità viene in mente il Calvino delle Lezioni Americane, che proprio <br />

par<strong>la</strong>ndo di “molteplicità” a proposito dell’opera di Carlo Emilio Gadda, osserva che egli “vede il <br />

mondo come un sistema di sistemi” e che di conseguenza “cercò per tutta <strong>la</strong> sua vita di <br />

rappresentare il mondo come un garbuglio o groviglio o gomitolo, senza attenuarne affatto <br />

l’inestricabile complessità o, per meglio dire, <strong>la</strong> presenza simultanea degli elementi più <br />

eterogenei”. <br />

Ecco, <strong>la</strong> metafora dell’albero-­‐radice non soddisfa proprio perché il suo ordinato svolgersi lineare e <br />

dicotomico non è in grado di rappresentare quel garbuglio o gomitolo, quel<strong>la</strong> inestricabile <br />

complessità che è poi <strong>la</strong> vita. <strong>La</strong> nostra vita. <br />

All’albero-­‐radice Deleuze e Guattari contrappongono il rizoma, che dà il titolo al capitolo. <br />

Il rizoma si sviluppa sotto terra come le radici, ma a differenza di esse è un fusto, spesso <br />

intrecciato e ramificato, che può dare autonomamente origine a nuove piante, anche in condizioni <br />

sfavorevoli. <br />

È stato sottolineato che i due studiosi contrappongono <strong>la</strong> concezione rizomatica del pensiero a <br />

una concezione arborescente, tipica del<strong>la</strong> filosofia tradizionale, <strong>la</strong> quale procede gerarchicamente <br />

e linearmente, seguendo rigide categorie binarie ovvero dualistiche; il pensiero rizomatico, <br />

invece, è in grado di stabilire connessioni produttive in qualsiasi direzione. <br />

Analizzando il concetto di rizoma, Deleuze e Guattari propongono alcuni principi, tra i quali: <br />

- Il principio di Connessione: secondo tale principio "qualsiasi punto del rizoma può essere <br />

connesso a qualsiasi altro e deve esserlo”, a differenza dell’albero-­‐radice “che fissa un <br />

punto, un ordine”. <br />

- Il principio di Eterogeneità: il rizoma raggruppa elementi di natura diversa, ognuno dei <br />

quali possiede una sua identità e una sua caratteristica. ”Un rizoma non cessa mai di <br />

collegare anelli semiotici, organizzazioni di potere, occorrenze rinvianti alle arti, alle <br />

scienze, alle lotte sociali” <br />

- Il principio di Molteplicità: il rizoma è un sistema aperto, liberamente e infinitamente <br />

percorribile, e chi lo percorre viene a farne parte. <br />

”In un rizoma non esistono punti o posizioni come in una struttura albero o radice” Sempre <br />

nuove interpretazioni, pertanto, possono essere proposte e diventare, a loro volta, <br />

elementi del rizoma.. <br />

“<strong>La</strong> molteplicità non ha né soggetto né oggetto ma soltanto dimensioni che non possono <br />

crescere senza che essa cambi natura”. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Il rizoma più che <strong>la</strong> rete sembra definire <strong>la</strong> struttura antipiramidale, antigerarchica verso <br />

<strong>la</strong> quale tendiamo. Una struttura, direbbe Gregory Bateson, che connette elementi <br />

diversissimi come persone, gruppi, contesti sociali, ambiente, biologia, filosofia, arte… <br />

Utopia? <strong>La</strong> narrazione lineare dominante afferma che non è immaginabile <br />

un’organizzazione senza leadership, senza gerarchia. Una visione sistemica mostra tutti i <br />

limiti di questa concezione soffocante, che spreca una <strong>la</strong>rga parte delle energie potenziali <br />

del sistema per mantenerlo immutato, per difenderlo dai cambiamenti. Obblighi, divieti, <br />

sanzioni, repressione,, manipo<strong>la</strong>zione finiscono per essere le basi fondanti di un contesto <br />

lineare, con <strong>la</strong> conseguente costruzione di costosi apparati burocratici, polizieschi, <br />

propagandistici, che divorano <strong>la</strong> maggior parte delle risorse. <br />

Oltre un secolo fa Bakunin scrisse, riflettendo sul<strong>la</strong> lunga storia del pensiero anarchico: <br />

“Ricevo e do… Questa è <strong>la</strong> vita umana. Ognuno dirige ed è a sua volta diretto. Quindi non <br />

c’è un’autorità fissa e costante, ma un continuo scambio di mutua, temporanea e <br />

soprattutto volontaria autorità e subordinazione” <br />

Qualche decennio dopo, studiando il Peckham Centre, un comunità associativa anarchica <br />

londinese centrata sul<strong>la</strong> salute, alcuni osservatori scientifici dell’esperimento constatarono <br />

come in assenza di leader istituzionali, i leader emergevano spontaneamente quando <strong>la</strong> <br />

situazione lo richiedeva. In quel caso uno dei membri diventava istintivamente un leader <br />

senza essere ufficialmente riconosciuto come tale per sopperire ai bisogni di quel <br />

partico<strong>la</strong>re momento. Questi leader comparivano spontaneamente a seconda delle <br />

necessità che si presentavano e altrettanto spontaneamente scomparivano una volta <br />

realizzati gli obiettivi previsti. <br />

Altre forme comunitarie simili sono state sperimentate in diversi contesti, e sempre sono <br />

state combattute e duramente represse dal potere gerarchico. Ovvio, perché il pensiero <br />

sistemico, libertario, flessibile, per sua natura antigerarchico e non violento ha un <br />

potenziale rivoluzionario che appare intollerabile a chi del pensiero lineare ha fatto <br />

un’ideologia e una struttura di potere. <br />

Come il rizoma <strong>la</strong> concezione sistemica del<strong>la</strong> complessità si espande e si intreccia <br />

sotterranea, ma in ogni momento in ogni punto può fare emergere una nuova pianta. Non <br />

è una caso che molte piante rizomatose siano, come <strong>la</strong> gramigna, capaci di sopravvivere in <br />

condizioni difficili e siano annoverate tra le “erbacce”, difficili da estirpare. <br />

È <strong>la</strong> “mauvaise herbe” del<strong>la</strong> canzone di Brassens… <strong>La</strong> ma<strong>la</strong> erba che nessuno vuol <br />

raccogliere o mangiare ma che al<strong>la</strong> fine sopravvive a tutti e sovverte <strong>la</strong> monocoltura (e <strong>la</strong> <br />

monocultura). <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Complessità e auto-­‐organizzazione nei sistemi <br />

sociali: il caso Slow Medicine <br />

Antonio Bonaldi <br />

1. Londra 2015: International Roundable on Choosing Wisely <br />

È il 28 maggio 2015, un gruppo di professionisti del<strong>la</strong> salute s’incontra a Londra, presso <strong>la</strong> sede del <br />

Royal College of Anaesthetistis, un moderno edificio di sei piani che si affaccia su Red Lion square, <br />

in uno dei più importanti quartieri commerciali del<strong>la</strong> città. Sta per iniziare <strong>la</strong> 2 a International <br />

Roundable on Choosing Wisely, autorevolmente coordinata da Wendy Levinson, responsabile di <br />

Choosing Wisely Canada (1). All’incontro partecipano una quarantina di persone di 17 Paesi del <br />

nord e sud America, Europa, Asia e Australia, tutti coinvolti nell’implementazione di Choosing <br />

Wisely nei rispettivi Paesi di provenienza. Per l’Italia sono presenti Sandra Vernero e il sottoscritto, <br />

in rappresentata di Slow Medicine (2). <br />

L’atmosfera è cordiale e dinamica. Nonostante le differenze culturali traspare subito un piacevole <br />

senso di amicizia e di curiosità e <strong>la</strong> consapevolezza di prendere parte ad un incontro che <br />

potrebbe contribuire a cambiare il modo di affrontare <strong>la</strong> medicina e <strong>la</strong> salute nei prossimi anni. I <br />

<strong>la</strong>vori sono aperti da Daniel Wolfson vice presidente e direttore esecutivo di ABIM Foundation, <strong>la</strong> <br />

fondazione che ha <strong>la</strong>nciato Choosing Wisely negli Stati Uniti e ne coordina lo sviluppo (3). Daniel ci <br />

par<strong>la</strong> dei principi che guidano Choosing Wisely, di come si sia diffuso negli Stati Uniti e nel mondo <br />

e si sofferma, da ultimo, su alcuni principi che rego<strong>la</strong>no il funzionamento dei sistemi complessi. <br />

Ritiene, infatti, che ci troviamo di fronte ad un importante cambiamento culturale circa il modo di <br />

affrontare i progetti ad alto impatto sociale e che a tale riguardo sia utile porre l’accento su alcuni <br />

concetti sistemici, quali, ad esempio, il passaggio da organizzazioni basate su processi di tipo <br />

gestionale (top-­‐down) a organizzazioni basate su poche regole e molto flessibili (bottom-­‐up), da <br />

progetti dove prevalgono attività di controllo ad iniziative che promuovono l’autonomia e il <br />

rispetto del singole persone, dallo sviluppo di re<strong>la</strong>zioni gerarchiche ad interazioni che nascono in <br />

modo spontaneo dal basso. <br />

2. Slow medicine: una rete di idee in movimento <br />

Questa inaspettata apertura sui sistemi complessi mi piace molto e mi stimo<strong>la</strong> a ripensare ai <br />

principi che rego<strong>la</strong>no <strong>la</strong> nascita e lo sviluppo delle reti, al loro funzionamento e per analogia a <br />

come è nata e si è diffusa Slow Medicine. Nei due giorni del meeting, oltre alle sessioni <br />

strutturate per argomenti, si sono sviluppati anche molti contatti personali in cui si è par<strong>la</strong>to di <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Slow Medicine, dei principi per promuovere una medicina sobria, rispettosa e giusta e delle nostre <br />

molteplici attività. Tutti erano partico<strong>la</strong>rmente stupiti del fatto che un piccolo gruppo di persone, <br />

in poco tempo, senza finanziamenti e senza una formale struttura organizzativa avesse potuto <br />

sostenere una tale espansione in ambito nazionale e internazionale. Ci chiedevano, in partico<strong>la</strong>re, <br />

quali erano state le nostre prime decisioni, come eravamo organizzati, come funzionava il gruppo <br />

e come riuscivamo a trovare le risorse per mantenere il controllo delle attività e per sviluppare <br />

nuovi progetti. Ognuno era al<strong>la</strong> ricerca di qualche utile indicazione da trasferire nel<strong>la</strong> propria <br />

organizzazione o nel<strong>la</strong> gestione di iniziative locali. L’interesse verso Slow Medicine mi ha offerto lo <br />

spunto per ripensare al nostro cammino e per individuare qualche consiglio che fosse <br />

generalizzabile, ancorché sia convinto che <br />

dare indicazioni valide per ogni situazione <br />

sia praticamente impossibile, perché, <br />

come ben ci ricorda Bateson: prive di <br />

contesto le parole e le azioni non hanno <br />

alcun significato (4). <br />

Personalmente, comunque, ritengo che <br />

le chiavi del successo di Slow Medicine, <br />

oltre all’entusiasmo e al<strong>la</strong> dedizione dei <br />

suoi fondatori, siano da ricercare <br />

soprattutto nei principi sistemici che <br />

caratterizzano il suo modo di agire o molto più semplicemente nel fatto di riconoscersi in una <br />

rete di idee in movimento. A questo punto è quindi legittimo chiedersi che cosa siano le reti e <br />

verificare se sia possibile trarre qualche indicazione operativa analizzando il loro funzionamento. <br />

Considerati i limiti di spazio, rinvio ogni approfondimento sulle reti a testi specificamente dedicati <br />

(5), mentre, in questa sede, mi limito a qualche breve riflessione di carattere generale. In primo <br />

luogo per osservare che le reti sono ovunque e che sono destinate a influenzare le nostre vite e a <br />

dominare il nostro futuro con una rapidità e una forza inimmaginabili e poi per presentare alcuni <br />

principi che rego<strong>la</strong>no il loro funzionamento e che potrebbero tornarci utili nel nostro agire <br />

quotidiano. <br />

3. Reti di reti, in mondi interconnessi <br />

Negli ultimi due secoli <strong>la</strong> chiave del<strong>la</strong> conoscenza e del sapere è stata ostinatamente cercata nel<strong>la</strong> <br />

riduzione del<strong>la</strong> realtà in elementi sempre più piccoli e l’interesse degli scienziati si è rivolto quasi <br />

esclusivamente sulle proprietà di molecole, atomi e particelle subatomiche prese singo<strong>la</strong>rmente e <br />

separate dal loro contesto. Da qualche decennio, però, eminenti studiosi, quasi <br />

contemporaneamente e per vie diverse, si sono accorti che questa strada rappresenta solo <strong>la</strong> metà <br />

del cielo. Risulta sempre più evidente, infatti, che nul<strong>la</strong> succede in modo iso<strong>la</strong>to. Viviamo in un <br />

mondo straordinariamente complesso, dove più di sette miliardi di persone interagiscono tra loro <br />

e con l’ambiente biologico e fisico che le circonda, in un groviglio di re<strong>la</strong>zioni, connessioni e legami <br />

apparentemente indecifrabile e imprevedibile. Un mondo, peraltro, che diventa ogni giorno <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

sempre più complicato, dove ogni elemento è direttamente o indirettamente legato a <br />

numerosissimi altri, per formare sistemi integrati, ricompresi l’uno nell’altro, entro confini segnati <br />

da strutture multilivello (6). <br />

In questo intricato sistema di re<strong>la</strong>zioni dove tutto è intimamente connesso, è ragionevole <br />

pensare che non tutti i fenomeni siano spiegabili semplicemente studiando le proprietà dei <br />

singoli elementi. Dal<strong>la</strong> loro interazione, infatti, possono emergere proprietà riconoscibili solo <br />

prendendo in considerazione l’intero sistema, adottando cioè una prospettiva sistemica. Ne <br />

consegue che bisogna imparare a ricongiungere ciò che per anni è stato separato, prendendo atto <br />

che i due approcci (riduzionista e sistemico), rappresentano due modi complementari e non <br />

alternativi di osservare il mondo. Come nel<strong>la</strong> visione binocu<strong>la</strong>re, allorché utilizzando i due occhi <br />

riusciamo a percepire una nuova dimensione dello spazio: <strong>la</strong> profondità. <br />

Questa incredibile trama di re<strong>la</strong>zioni in cui tutti siamo inconsapevolmente immersi e da cui <br />

nessuno, neppure per un istante, può sottrarsi, è il misterioso regno delle reti. Esso è l’invisibile <br />

substrato attraverso cui il nostro mondo è nato e si è evoluto. Ciò che Bateson chiama <strong>la</strong> struttura <br />

che connette: <strong>la</strong> col<strong>la</strong> che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoie, le <br />

commissioni e i consigli umani (4). Oggi, uno dei più affascinanti capitoli di cui si occupano le <br />

scienze del<strong>la</strong> complessità è proprio quello che cerca di dipanare questa intricata matassa, per <br />

capire se, nell’apparente caos delle re<strong>la</strong>zioni che <strong>la</strong> caratterizzano, siano individuabili architetture <br />

e modelli di comportamento indipendenti dalle proprietà degli elementi costitutivi (atomi, <br />

molecole, cellule, animali, persone). Tutto ciò, ovviamente, non solo come mero oggetto di <br />

specu<strong>la</strong>zione, ma allo scopo di trarne qualche utile indicazione operativa. <br />

4. Autopoiesi e complessità delle reti sociali <br />

Gli organismi viventi e i processi evolutivi sono i campi più utilizzati per studiare le reti e più in <br />

generale per comprendere i sistemi complessi. È logico quindi chiedersi se sia possibile estendere <br />

l’approccio sistemico ai fenomeni sociali e se alcune delle proprietà dei sistemi biologici viventi <br />

(cioè <strong>la</strong> struttura delle loro interazioni) siano trasferibili al dominio sociale. Per rispondere a questa <br />

domanda è utile ricordare <strong>la</strong> principale caratteristica dei sistemi viventi: quel<strong>la</strong> che Maturana e <br />

Vare<strong>la</strong>, definiscono autopoiesi (7). Un organismo autopoietico è un sistema circoscritto in grado di <br />

rigenerare gli elementi e le strutture di cui è composto e di introdurre cambiamenti come risposta <br />

agli stimoli provenienti dall’ambiente che lo circonda. In altre parole, un organismo autopoietico è <br />

caratterizzato da una rete d’interazioni che si rigenerano e che mantengono in vita l’intero <br />

sistema. <br />

Con il progredire degli studi sui sistemi complessi si è chiarito che anche le organizzazioni sociali <br />

possono essere pensate come sistemi viventi autopoietici di cui condividono alcune delle <br />

caratteristiche essenziali. Le reti sociali, però, anziché organizzarsi intorno a processi metabolici di <br />

tipo chimico-­‐fisico (come nel<strong>la</strong> cellu<strong>la</strong>), si costruiscono sull’interazione tra persone (dotate di ben <br />

più ampia autonomia rispetto alle molecole), attraverso reti di comunicazioni che generano <br />

strutture virtuali, basate su “significati condivisi” (8). Tali strutture che devono essere <br />

costantemente alimentate e rinnovate, sono l’espressione del<strong>la</strong> cultura, cioè il substrato di valori, <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

aspettative e credenze entro il quale le reti sociali si riconoscono e si sviluppano. È evidente, <br />

quindi, che se per studiare le cellule dobbiamo conoscere <strong>la</strong> biochimica e <strong>la</strong> fisica, per apprendere <br />

il funzionamento delle reti sociali dobbiamo studiare i concetti e le idee che caratterizzarono il <br />

pensiero, il linguaggio, <strong>la</strong> comunicazione, <strong>la</strong> coscienza, <strong>la</strong> mente, l’etica. <strong>La</strong> formazione di chi <br />

occupa posizioni di governo nelle organizzazioni umane, dovrebbe quindi essere oggetto di un <br />

radicale cambiamento e prevedere non solo l’approfondimento di modelli organizzativi e <br />

manageriali ma anche lo studio delle discipline che riguardano lo sviluppo del<strong>la</strong> persona e il suo <br />

modo di comunicare, di cooperare e di agire con lealtà e senso etico. <br />

Lo straordinario sviluppo dei sistemi di comunicazione ha consentito alle reti sociali, <br />

un’espansione senza precedenti e tale da influenzare in modo potente <strong>la</strong> cultura e <strong>la</strong> vita <br />

quotidiana. Tutto ciò ha portato ad un vero e proprio salto di paradigma nel modo di gestire le <br />

organizzazioni umane e ha dato origine allo sviluppo di movimenti sociali in grado di espandersi e <br />

di influenzare il nostro futuro in modo decisivo e assolutamente imprevedibile. Si pensi, per <br />

esempio, alle primavere arabe, al terrorismo, ai nuovi movimenti politici e sociali che nascono dal <br />

web, dove elementi con caratteristiche virtuali danno origine e veri e propri sconvolgimenti sociali <br />

che agiscono prepotentemente sul<strong>la</strong> nostra quotidianità e che nessuno è in grado di prevedere e <br />

control<strong>la</strong>re. <br />

5. Qualche consiglio finale <br />

Concludo queste mie brevi e ultra-­‐semplificate riflessioni sulle reti riassumendo in una tabel<strong>la</strong> <br />

alcuni degli elementi che caratterizzano le organizzazioni umane dal punto di vista meccanicistico <br />

e sistemico. Si tratta ovviamente di pochi elementi attraverso cui osservare le organizzazioni, non <br />

per sostituire un modello con l’altro (entrambi sono utili), ma per aiutarci a riconoscere il nostro <br />

modo operare, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso. <br />

È su questi presupposti sistemici che nasce Slow Medicine e si sviluppano i suoi progetti che si <br />

propongono di contrapporre ad un mondo dominato da interessi personali, una medicina più <br />

sobria, rispettosa e giusta. Una rete sociale, in cui ogni individuo svolge un ruolo primario e dove <br />

ciascuno contribuisce in modo autonomo e responsabile al suo sviluppo. Un movimento attento <br />

a salvaguardare <strong>la</strong> diversità e <strong>la</strong> creatività di tutti coloro che riconoscono in Slow Medicine un <br />

punto di riferimento per cambiare il modo di intendere <strong>la</strong> salute e di praticare <strong>la</strong> medicina nei <br />

prossimi anni. <br />

Tabel<strong>la</strong> n.1 Elementi che caratterizzano le organizzazioni umane dal punto di vista meccanicistico e <br />

sistemico. <br />

Chi decide <br />

Modello meccanicistico <br />

Manager che pianifica, comanda <br />

e control<strong>la</strong>. <br />

Modello sistemico <br />

Leader che guida e motiva. <br />

Obiettivi <br />

Predefiniti e descritti in modo <br />

esplicito. <br />

Orientati da un sistema integrato di <br />

valori, significati e aspirazioni. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Modalità <br />

gestione <br />

Struttura <br />

organizzativa <br />

di <br />

Basata su organigrammi, <br />

procedure e rego<strong>la</strong>menti. <br />

Promuove l’omologazione e non <br />

accetta le contraddizioni. <br />

Gerarchica. <br />

Presume <br />

l’individuazione di strutture <br />

organizzative formali e stabili. <br />

Si avvale di regole minime. <br />

Promuove <strong>la</strong> diversità, l’autonomia e <br />

<strong>la</strong> personalizzazione e convive con i <br />

paradossi. <br />

A rete con aggregazioni flessibili, <br />

informali e autogenerate. <br />

A chi è affidata <br />

l’azione <br />

Esperti, specialisti. <br />

Gruppi multidisciplinari, team work. <br />

Potere Esercitato attraverso <strong>la</strong> <br />

gerarchia. <br />

Auto-­‐attribuito come membro <br />

dell’organizzazione. <br />

Risultati Espressi come indicatori, Descrittivi e incorporati nel<strong>la</strong> cultura. <br />

misurabili e funzionali <br />

all’organizzazione. <br />

6. Bibliografia <br />

1. Choosing Wisely Canada: http://www.choosingwiselycanada.org/ <br />

2. Slow medicine: http://www.slowmedicine.it/ <br />

3. Choosing Wisely USA: http://www.choosingwisely.org/ <br />

4. Bateson G: Mente e Natura. Adelphi Edizioni, 1984. <br />

5. Barabasi AL: Link, <strong>La</strong> scienza delle reti. Giulio Einaudi Editore, 2004. <br />

6. Capra F, Luisi PL: Vita e natura, una visione sistemica. Aboca 2014. <br />

7. Maturana, H, Vare<strong>la</strong>, F: L’albero del<strong>la</strong> conoscenza. Un nuovo meccanismo per spiegare le radici <br />

biologiche del<strong>la</strong> conoscenza umana. Garzanti Editore, Mi<strong>la</strong>no, 1987. <br />

8. Luhmann N: Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale. Il Mulino, 2001. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Verso il servizio sociale di comunità: alcune <br />

precondizioni <br />

Gianni Garena <br />

Le numerose e ricche esperienze di formazione sul tema del <strong>la</strong>voro sociale di comunità, avviate <br />

negli ultimi anni in diverse realtà del Paese, inducono consistenti interrogativi e spingono ad <br />

alcune riflessioni non tanto sulle specifiche tecniche – come configurate nel<strong>la</strong> letteratura in <br />

materia -­‐ quanto sulle precondizioni che riguardano l'implementazione di questa pratica <br />

professionale. Interrogativi e riflessioni che si innestano nel variegato e fecondo dibattito <br />

contemporaneo sul<strong>la</strong> cittadinanza in quanto abitanza comune di beni comuni (aria, acqua, suolo, <br />

casa, paesaggio, cultura, trasporti, servizi primari, accessibilità, sicurezza…), in quanto diritti e <br />

doveri nel<strong>la</strong> costruzione del senso di abitare responsabilmente <strong>la</strong> comunità locale. <br />

In questo scenario, in quale modo, come, le organizzazioni di servizio sociale, pur nel<strong>la</strong> crisi e nelle <br />

fragilità, forniscono, garantiscono, ai propri funzionari e operatori cittadinanza (abitanza)? E -­‐ <br />

contemporaneamente -­‐ in quale modo, come, gli operatori possono sentirsi cittadini (abitanti) <br />

delle (loro) organizzazioni ? <br />

Queste domande configurano almeno due aspetti, due precondizioni fondamentali e fortemente <br />

corre<strong>la</strong>te tra di loro: il <strong>la</strong>voro professionale di sviluppo di comunità implica un deciso <br />

cambiamento di paradigma; il <strong>la</strong>voro professionale di sviluppo di comunità implica una forte, <br />

rinnovata motivazione e conseguenti scelte – anche radicali – nel<strong>la</strong> vita professionale e <br />

personale degli operatori. <br />

Cambiare paradigma <br />

Siamo nel<strong>la</strong> “Babel” ove nul<strong>la</strong> sembra stare più al suo posto, ove stiamo sospesi tra non più e non <br />

ancora (Bauman Z., Mauro E., 2015), ove si manifestano consistenti deficit di solidarietà, di <br />

coniugazione di giustizia (mettere l'altro nelle condizioni di esercitare i propri diritti) e di equità <br />

(l'attenzione alle differenze e alle soggettività), ove rischiamo di rimanere paralizzati e frustrati di <br />

fronte ai fenomeni di<strong>la</strong>ganti di malgoverno, immoralità, corruzione, macro e micro mafie, <br />

crescenti disuguaglianze ed esclusioni sociali, città “capsu<strong>la</strong>rizzate”. <br />

In questa Babel che fanno i Servizi Sociali e i professionisti che li abitano? <br />

Pare evidente che, prima o poi, dovranno fare i conti con <strong>la</strong> inadeguatezza dei tradizionali <br />

paradigmi – e dei conseguenti dispositivi tecnicoamministrativi -­‐ con cui oggi affrontano i problemi <br />

sociali: è un'impresa si<strong>cura</strong>mente estesa e faticosa come tutte le imprese che implicano mutazioni <br />

radicali di prospettiva, rotture e abbandoni di sicurezze, aperture al<strong>la</strong> dimensione ansiogena <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

dell'incerto, dell'insicuro, del rischioso. E' l'impresa che oggi le scienze umane sono chiamate ad <br />

affrontare per superare <strong>la</strong> vision positivista e meccanicistica del mondo in cui sussiste una netta <br />

separazione tra il soggetto e l'oggetto, in cui chi interpreta <strong>la</strong> realtà non è in grado di costruire il <br />

mondo nel quale abita. <br />

Si tratta di cambiare, credendo nel<strong>la</strong> possibilità di applicare scientificamente un nuovo paradigma <br />

di <strong>la</strong>voro sociale in grado di trasformare, costruttivisticamente, le logiche del capitale in logiche di <br />

beni comuni fondate sullo sviluppo di comunità. Si tratta, ad esempio, di uscire dal paradigma <br />

diagnosi-­‐terapia-­‐guarigione, di accettare di stare dentro <strong>la</strong> complessità e <strong>la</strong> multiproblematicità <br />

promuovendo <strong>la</strong> distinzione tra cure (saperi medici di diagnosi-­‐<strong>cura</strong>-­‐riabilitazione) e care (saperi <br />

del<strong>la</strong> <strong>cura</strong> olistica del<strong>la</strong> persona). Questa uscita significa spezzare il legame con sedi-­‐artefatti <br />

(ambienti chiusi, stanze, uffici a volte blindati) e con competenze meramente distributive <br />

caratterizzate da procedure, protocolli, comportamenti prefissati e sempre più codificati cui <br />

corrisponde <strong>la</strong> condizione-­‐immagine di assistiti fittiziamente chiamati utenti (in diversi casi <br />

chiamati inopinatamente clienti). Uscire, quindi, dal modo di <strong>la</strong>vorare a testa bassa sui deficit, sui <br />

sintomi e sugli effetti del disagio; liberarsi dal<strong>la</strong> trappo<strong>la</strong> del tecnicismo e orientarsi alle logiche <br />

di reciprocità, di reciproca-­‐mente (il vero processo di aiuto prevede un utente che può donare-­donarsi<br />

lui stesso aiuto), di trasformazione del<strong>la</strong> vision degli “aiutati” (da meri recettori di <br />

prestazioni a coproduttori di servizi-­‐beni pubblici e parte attiva del sistema), di valorizzazione <br />

delle capacità di empowerement, di attenzione al<strong>la</strong> corre<strong>la</strong>zione tra qualità degli aiutati e qualità <br />

degli aiutanti. <br />

In questo modo si può tentare di rompere il nefasto cortocircuito “mancano i soldi → è <br />

impossibile rispettare i diritti” in cui ci si sta adattando. E rifondare il ruolo di agenti di <br />

cambiamento dei professionisti nei confronti dei decisori (amministratori, dirigenti, stakeholders) <br />

per influenzare le scelte nelle politiche sociali portando dati, fatti… E non aver paura di prendere <br />

posizione, e imparare a gestire il paradosso del welfare generativo “-­‐ risorse x + persone = risultati <br />

migliori”. <br />

Rotto il circuito, rifondato il ruolo, si potrà uscire dalle obsolete -­‐ ma comode -­‐ logiche di <br />

progettazione lineare-­‐sinottica, affrontando le sfide del<strong>la</strong> progettazione concertativa-­partecipativa-­‐incrementale<br />

o del<strong>la</strong> progettazione euristica; in queste sfide, costruire, ricostruire <br />

nuovi modelli di azione professionale e nuove forme organizzative per affrontare le straordinarie <br />

difficoltà a condurre un efficace <strong>la</strong>voro sociale nel<strong>la</strong> comunità locale…..verso una nuova <br />

grammatica, verso un fecondo com-­‐prendere per far convivere ed evolvere le due anime del <br />

<strong>la</strong>voro sociale (l’intervento sul caso, i progetti a valenza collettiva). <br />

Per affrontare questo percorso di sfide è opportuno vestirsi adeguatamente: occorrono almeno <br />

due abiti mentali: l’ascolto attivo come capacità negativa (Bion), di gestione creativa dei conflitti e <br />

di abitare l’incerto e l’insicuro,….; l’empatia (non solo mettersi nei panni dell’altro, ma portare <br />

l’altro nel mio mondo). <br />

E' a questo punto evidente come i professionisti dei Servizi Sociali debbano dotarsi di una <br />

disciplina rigorosa. Disciplina nel costruire responsabilmente mappe di orientamento rispetto ad <br />

un cambiamento nel rapporto con <strong>la</strong> conoscenza ed i saperi e con <strong>la</strong> propria organizzazione <br />

(<strong>la</strong>vorare, innanzitutto, sul proprio cambiamento, prima che sul cambiamento degli altri). <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Disciplina nello sforzo di costruire narrazioni dei contesti in cui si opera per <strong>la</strong> ricerca del miglior <br />

equilibrio possibile tra azione nel sociale e tempo, tra desiderio e realtà, contro <strong>la</strong> <br />

rassegnazione. Disciplina per riprendersi il potere sul tempo <strong>la</strong>voro: coniugare diversamente le <br />

professioni di aiuto (che continuano ad essere professioni prevalentemente “al femminile”); <br />

mettersi all’opera per costruire e sperimentare nuovi modelli di <strong>la</strong>voro capaci di conciliare i tempi <br />

del<strong>la</strong> famiglia con i tempi dell’impegno professionale (che richiede sempre meno orari prestabiliti, <br />

prestazioni standardizzate, tecniche rigide) 1 ; esercitare costantemente <strong>la</strong> propria responsabile <br />

autonomia nel<strong>la</strong> gestione dei diversi fattori organizzativi (compreso il tempo del<strong>la</strong> lettura e del<strong>la</strong> <br />

scrittura, del<strong>la</strong> meditazione e del<strong>la</strong> suggestione). Disciplina – ancora – per affrontare quelle forme <br />

innovative di radical social work tese a superare l'attuale vision dominante di un operatore sociale <br />

nettamente delegittimato nel<strong>la</strong> sca<strong>la</strong> valoriale rispetto agli altri professionisti. <br />

Esercitare questa disciplina, nelle coniugazioni ora accennate, implica ovviamente un costante <br />

allenamento ad utilizzare con intelligenza sempre e contemporaneamente tutti i cinque sensi. <br />

L'operatore sociale è professionista in quanto “sa”, è competente nell'utilizzare le proprie <br />

conoscenze scientifiche attraverso <strong>la</strong> vista, l'udito, l'olfatto, il tatto, il gusto; i suoi sensi sono <br />

formidabili attrezzi di <strong>la</strong>voro sociale per un approccio ermeneutico: interpretazione dei fenomeni, <br />

dare senso attraverso <br />

i processi e <strong>la</strong> loro <br />

lettura, <strong>la</strong>voro e per <br />

ricercare un “cum-­versus”<br />

comune. <br />

Così si manifesta <br />

l’adultità di <br />

professionisti <br />

intelligenti, impegnati <br />

sulle nuove <br />

declinazioni del <br />

sapere, del saper fare, <br />

del saper essere che <br />

riguardano <br />

l’accogliere, il <br />

rispettare i <br />

fondamenti etici e <br />

scientifici, l’agire l’autonomia tecnico-­‐professionale e l’indipendenza di giudizio, il gestire le <br />

responsabilità. Il professionista intelligente investe nel proprio potenziale biopsicologico per <br />

ricercare i significati dentro le cose, per coglierne il senso (utilizzando i diversi aspetti del<strong>la</strong> propria <br />

identità e del<strong>la</strong> propria mente, non solo quelli razionali ma anche quelli emozionali).2 <br />

1 Garena G., Il tempo dell’A.S. nel welfare che verrà: verso nuovi profili contrattuali e nuovi piani di impiego”, in Riv. Welfare oggi, n. <br />

1/2015 <br />

2<br />

Il professionista intelligente nutre e allena costantemente tutte <strong>la</strong> molteplicità dei proprio ingegno:intelligenza<br />

linguistica, logico-matematica, kinestetica, video-spaziale, musicale, intrapersonale, interpersonale, naturalistica, esistenziale<br />

(Gardner, 1994), intelligenza emotiva (Goleman, 1998)<br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Una rinnovata motivazione <br />

E' si<strong>cura</strong>mente molto difficile, oggi più che in passato, <strong>la</strong>vorare responsabilmente e <br />

professionalmente nei Servizi Sociali, anche dentro ai paradigmi tradizionali. Molti operatori sono <br />

comprensibilmente in difficoltà a riconoscere e rispettare le proprie e le altrui fragilità, spesso si <br />

vive nell’inquietudine del buio del<strong>la</strong> crisi, si stenta ad individuare possibili fonti generative di <br />

speranza sia per <strong>la</strong> presenza di oggettive generali e complesse condizioni di oscurità incombenti <br />

anche sul<strong>la</strong> vita personale e professionale, sia per <strong>la</strong> carenza o assenza di riferimenti-­‐modelli. Per <br />

certi versi, anche nei Servizi, possiamo registrare ...una società senza padre (Recalcati M., 2013, <br />

2014) condizionata dal<strong>la</strong> forte tentazione di non immischiarsi troppo nelle contraddizioni e nei <br />

problemi “sociali”, di <strong>la</strong>sciarli fuori dal<strong>la</strong> porta del Servizio (Sociale ?), di concentrasi su aspetti <br />

“clinici” del <strong>la</strong>voro di <strong>cura</strong>, su specifiche prestazioni ancora re<strong>la</strong>tivamente sicure. <br />

E' “<strong>la</strong> tentazione del comfort….quel c<strong>la</strong>ndestino che entra in casa come un invitato, poi diventa un <br />

ospite e infine un padrone di casa”(Gibran, 1923). <br />

Queste zone di comfort possono rappresentare luoghi fisici e/o virtuali in cui l’operatore crede <br />

di conoscere e sapere quasi tutto, in cui tutto è (burocraticamente) definito da una si<strong>cura</strong> <br />

routine, in cui – quindi – si sente re<strong>la</strong>tivamente sicuro e protetto, anche nelle avversità <br />

quotidiane, da alcuni definiti punti di forza formali e istituzionali. Qui non è chiesto di pensare <br />

troppo, di interrogarsi e porsi domande di senso... magari inquietanti, cui nessuno al momento <br />

riesce a trovare risposte; qui non ci si occupa di welfare generativo, di progettare e coprogettare il <br />

<strong>la</strong>voro “sociale” professionale per il nuovo scenario che è alle porte. <br />

L’uscita, <strong>la</strong> spinta a sconfinare da queste zone di comfort, comporta certamente uno sforzo <br />

mentale – ma anche fisico, ma anche di riorganizzazione del<strong>la</strong> propria vita personale – per molti <br />

oggi insostenibile. <strong>La</strong>sciare <strong>la</strong> zona di comfort significa pensare, desiderare, sognare, un altrove, <br />

una nuova abitanza che è zona di apprendimento. Zona di opportunità, certo stimo<strong>la</strong>nte, ma irta <br />

di rischi: <strong>la</strong> scomodità di pensare e di abitare una situazione nuova che inquieta in quanto <strong>la</strong> si <br />

conosce poco, l’alimentare il desiderio di entrare in nuove (probabilmente faticose) re<strong>la</strong>zioni, il <br />

“cacciarsi” in una situazione che può risultare stressogena (ove c’è paura, disagio troppo grande e <br />

incontrol<strong>la</strong>bile, ove l’ apprendere può risultare paralizzato e frustrato). <br />

E' quindi preferibile stare in un porto – zona di comfort, ancorati in uno spazio certo limitato, ma <br />

re<strong>la</strong>tivamente sicuro in cui difendersi, come singolo operatore e come Servizio Sociale, dai marosi <br />

che, là oltre il molo e il frangiflutti, caratterizzano gli aspetti più preoccupanti del mare-­‐comunità: <br />

<strong>la</strong> crisi e le condizioni maligne del<strong>la</strong> fragilità, <strong>la</strong> sfiducia, <strong>la</strong> scomparsa del prossimo, <strong>la</strong> <br />

desertificazione sociale e ambientale (<strong>la</strong> società rotonda), le violenze sui più deboli, <strong>la</strong> corruzione <br />

di<strong>la</strong>gante, <strong>la</strong> sostituzione dei rapporti diretti con <strong>la</strong> più arida comunicazione tecnologica, <strong>la</strong> <br />

mediatizzazione e <strong>la</strong> personalizzazione del<strong>la</strong> politica (che favoriscono una sorta di populismo <br />

mediatico), l’età senza casa,….. <br />

Molti operatori hanno perso <strong>la</strong> fiducia che le loro organizzazioni sappiano/vogliano garantir loro <br />

tute<strong>la</strong>, cioè una buona navigazione fuori porto-­‐Servizio. E si chiudono a riccio, si rifugiano in quelle <br />

zone di supposto comfort caratterizzate dal vorrei, ma non so ! so, ma non voglio ! non so, non <br />

voglio! <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Vorrei, ma non so! si traduce in continue richieste di istruzioni, di ricette-­‐chiavi magiche. In questi <br />

casi -­‐ spesso escludendo il learning by doing, <strong>la</strong> formazione vera – anziché spingersi oltre il molo ci <br />

si rifugia ancor più nel comfort del prima ci istruiscano, ci presentino i modelli, gli strumenti, i <br />

metodi e le esperienze di altri (nel nostro caso, per il <strong>la</strong>voro di sviluppo di comunità)... poi vediamo <br />

se, come, quando, applicarli anche qui da noi. <br />

So, ma non voglio! rimanda al<strong>la</strong> intricata tematica del<strong>la</strong> motivazione e del<strong>la</strong> spinta vitale, volontà, <br />

disponibilità al cambiamento. <br />

Non so, non voglio! è <strong>la</strong> chiusura totale. Il porto viene definitivamente chiuso, diventa un <strong>la</strong>go <br />

limaccioso ove imputridiscono le speranze e muore <strong>la</strong> mission stessa dell’operatore sociale <br />

professionale. <br />

Contemporaneamente, molte organizzazioni di <strong>la</strong>voro sociale professionale, e le rispettive funzioni <br />

dirigenziali, hanno perso fiducia nel<strong>la</strong> affidabilità, nelle capacità dei loro operatori a <strong>la</strong>sciare quel <br />

porto in cui è facile il controllo operativo: organizzazioni che hanno dimenticato che <strong>la</strong> loro salute <br />

implica mettere al primo posto le persone, le emozioni, le motivazioni e <strong>la</strong> personalità, le <br />

narrazioni di ciascun professionista; organizzazioni che non riescono ad essere vero ed effettivo <br />

Servizio Sociale; organizzazioni che sovente si amma<strong>la</strong>no e manifestano sintomi e disturbi <br />

contagiosi di tipo paranoideo, ossessivo, isterico, depressivo, ... schizoide. <br />

Per queste ragioni, si rimane cronicamente in porto. Peccato che “… le navi nel porto sono al <br />

sicuro, ma non per questo sono state costruite” (Shedd, 1928). <br />

Diviene allora “vitale” ragionare sul tema del<strong>la</strong> motivazione. Motivazione ad uscire dalle zone di <br />

comfort come condizione imprescindibile per ritrovare <strong>la</strong> propria qualità di cittadini al servizio <br />

sociale di altri cittadini e per sentirsi attori di una storia collettiva. Motivazione a <strong>la</strong>sciare il porto <br />

sicuro verso lo sterminato oceano (dal<strong>la</strong> zona di comfort al<strong>la</strong> zona di apprendimento) ove si potrà <br />

sperimentare <strong>la</strong> capacità di immaginare se stessi assieme agli altri, di riscoprire valori etici <br />

condivisi, di pensare ad un <strong>la</strong>voro di sviluppo di comunità-­‐polis; ove si potrà sperimentare <br />

volontà, assunzione del<strong>la</strong> responsabilità collettiva per garantire a tutti <strong>la</strong> libertà nel<strong>la</strong> giustizia: è <br />

questo l’unico percorso per uscire dal<strong>la</strong> barbarie e rientrare nel<strong>la</strong> civiltà (Bianchi, 2010). <br />

Ma come generare, nutrire, allevare, mantenere <strong>la</strong> motivazione a trovare un senso condiviso per <br />

sviluppare <strong>la</strong>voro professionale di comunità? <br />

Pare consigliabile una attenta visitazione (o rivisitazione) del<strong>la</strong> teoria del motivazionalismo nelle <br />

organizzazioni con le opportune specifiche interconnessioni del<strong>la</strong> motivazione con il sistema dei <br />

bisogni e il sistema valoriale 3 . Questi riferimenti, aiutano a identificare e a rispettare, nel “sistema <br />

<strong>la</strong>voro”: <br />

-­‐ <strong>la</strong> complessità dei bisogni a partire da quelli fisiologici di riproduzione (retribuzione dignitosa, <br />

sicurezza e protezione eco-­‐ambientale, ecc.) a quelli attinenti al<strong>la</strong> dimensione psicologica del<strong>la</strong> <br />

sicurezza (nel posto di <strong>la</strong>voro, nel<strong>la</strong> continuità dell’impiego, nel<strong>la</strong> chiarezza nelle funzioni, attività e <br />

compiti da svolgere, ecc.); <br />

-­‐ l’area delle emozioni: bisogno di protezione (ad es. protezione da stress, burn out, <br />

comportamenti di mobbing), d’appartenenza, di socializzazione, di solidarietà. Elementi questi che <br />

3<br />

Ci si riferisce in partico<strong>la</strong>re ai contributi di Maslow (sca<strong>la</strong>rità dei bisogni, 1954), Alderfer (<strong>la</strong> teoria ERG, 1972), Argyris (analisi critica<br />

del<strong>la</strong> razionalità assoluta, 1998), Herzberg, (i fattori di motivanti, 1959), McGregor (teoria x e y, 1960), Likert (ruolo del<strong>la</strong> leadership, 1988)<br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

conducono ai bisogni d’ordine superiore quali <strong>la</strong> stima (eterostima ed autostima) e il <br />

riconoscimento sociale (anche attraverso gratificazioni economiche e psicologiche) che rafforza <br />

l’autostima personale e professionale come precondizione per il bisogno di realizzazione-­‐ <br />

autorealizzazione professionale 4 . <br />

Come noto, immediatamente discendenti dai bisogni, o sovrapponibili agli stessi, le motivazioni <br />

costituiscono quell’insieme processuale di stimoli interni (più o meno forti) che originano il <br />

comportamento (più o <br />

meno costoso in <br />

re<strong>la</strong>zione agli sforzi <br />

compiuti), lo direzionano <br />

e lo sostengono nel <br />

tempo. <br />

Le motivazioni – che <br />

sono rilevanti solo per <br />

l'individuo ed incidono <br />

sul piano personale -­‐ in <br />

ragione del<strong>la</strong> loro <br />

complessità concettuale <br />

assumono diverse <br />

dimensioni <br />

e <br />

sfaccettature dal punto di <br />

vista dei contenuti <br />

(bisogno di riuscire/di <br />

crescere in termini di <br />

potere, possesso, successo, sapere, re<strong>la</strong>zioni), del<strong>la</strong> loro formazione processuale (<strong>la</strong> rilevanza di <br />

fattori quali <strong>la</strong> forza del<strong>la</strong> motivazione che è data da un mixing di peso, attesa, coerenza), delle <br />

percezioni (re<strong>la</strong>tivamente all’equità, trasparenza, legittimità sociale dell’organizzazione/sistema del <br />

quale si è parte, <strong>la</strong> chiarezza degli obiettivi assegnati, <strong>la</strong> rappresentazione del grado di <br />

raggiungimento degli obiettivi e <strong>la</strong> soddisfazione ad essa corre<strong>la</strong>ta). <br />

Oltre le zone di comfort, verso un fecondo locus of control <br />

<strong>La</strong> rivisitazione dei fattori motivanti può aiutare gli operatori ed i loro Servizi a trovare le energie <br />

per ripartire. Il dovere è quello di uscire dal porto; infatti, riprendendo <strong>la</strong> metafora di Shedd, i <br />

professionisti non si sono certo formati per stare “tranquilli”, in qualche quieta struttura-­‐Servizio <br />

ben protetta da mura, procedure, forme e adempimenti, a dispensare prestazioni rigide e <br />

preconfezionate. <br />

Nel caso specifico dell'Assistente Sociale, l’art. 36 del codice deontologico è a questo proposito <br />

chiarissimo: l’ássistente sociale deve contribuire al<strong>la</strong> promozione, allo sviluppo e al sostegno di <br />

4 l’area di questi bisogni è altamente variabile in termini di quantità e di qualità, si modifica nel tempo e nello spazio, va storicizzata e <br />

localizzata in re<strong>la</strong>zione ai sistemi più generali di riferimento e, in questo “qui ed ora”, dimensionata al senso/valore attribuito dallo stesso <br />

soggetto e ai più o meno ampi investimenti intellettuali, emozionali e motivazionali che sono attivati sul<strong>la</strong> sfera del “<strong>la</strong>voro”, piuttosto che sulle <br />

altre sfere che attengono al “personale” (rete affettiva, parentale, amicale, interessi artistici, culturali, sportivi, hobby, ecc). <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

politiche sociali integrate favorevoli al<strong>la</strong> maturazione, emancipazione e responsabilizzazione <br />

sociale e civica di comunità e gruppi marginali e di programmi finalizzati al miglioramento del<strong>la</strong> <br />

loro qualità di vita favorendo, ove necessario, pratiche di mediazione e di integrazione. <br />

Quel deve rappresenta un forte imperativo a porsi in un’ottica proattiva (promuovere, <br />

sviluppare, sostenere processi integrati), a mettere in gioco le proprie conoscenze e intelligenze <br />

in un mare inquieto, oggi si<strong>cura</strong>mente tempestoso, ove i paradigmi del<strong>la</strong> maturazione-­emancipazione-­‐responsabilizzazione<br />

sono costantemente a rischio, ove le pratiche di mediazione-­integrazione<br />

rappresentano si<strong>cura</strong>mente sfide complesse dovendo misurarsi con modelli sociali e <br />

culturali spesso opposti. <br />

Quel deve significa pertanto dovere di resistere e di superare le tentazioni – oggi <br />

comprensibilissime – a costruirsi, a stare in zone di comfort. Dovere di spiegare le vele verso un <br />

locus of control (Argentero, Vidotto, 1994) di impegno fecondo basato sul<strong>la</strong> percezione soggettiva <br />

che ciascun professionista ritiene di avere sul proprio destino e sugli eventi, basato su una forma <br />

mentis orientata a determinare le proprie azioni -­‐ ed i re<strong>la</strong>tivi risultati -­‐ rispetto all’influenza del <br />

caso o delle persone/circostanze esterne. <br />

In questo locus of control l’operatore potrà sperimentarsi a diversi livelli. <br />

Nel<strong>la</strong> accettazione del<strong>la</strong> attuale condizione di carenza-­‐assenza di riferimenti sicuri (carenza-­assenza<br />

di padri, di leadership positive forti e competenti), nel mettere in campo una adultità <br />

professionale. <br />

Nel proporre legami validi, anche se non esaustivi, in grado di garantire appartenenza e, <br />

contemporaneamente, di non inibire l’allontanamento. <br />

Nell’autoautorizzarsi ad osare anche se il management, l’organizzazione non lo richiede, non lo <br />

prescrive. Quindi, esercitare il pensiero, <strong>la</strong> riflessione sulle omissioni di azione dei Servizi Sociali, a <br />

guardare oltre a partire da come gestisce le proprie tre arti (Demetrio, 2012) 5 . In sostanza, tornare <br />

a sognare, riprendere <strong>la</strong> potenza del desiderio di cambiare, stupirsi e trovare coraggio di essere <br />

creativi (il coraggio-­‐fortitudo legato al<strong>la</strong> libertà e antidoto al<strong>la</strong> paura in quanto usa conoscenza, <br />

….<strong>la</strong> conoscenza che toglie <strong>la</strong> paura dal cuore), gustare <strong>la</strong> propria rinnovata capacità di cambiare <br />

attraverso l'esercizio costante dell’etica del<strong>la</strong> responsabilità contro le quotidiane <br />

deresponsabilizzazioni del “...sono forse io il custode di mio fratello?..... da quel<strong>la</strong> domanda di <br />

Caino ebbe inizio ogni immoralità, ……”(Bauman, 2007) <br />

Qualche brevissima riflessione metodologica <br />

<strong>La</strong> situazione degli attori, di fronte alle sollecitazioni ora esposte, interroga su chi control<strong>la</strong> il <br />

destino (l’intreccio di futuro personale e professionale) di questi operatori, su quale rapporto <br />

esiste tra istanze di crescita individuale e istanze dell’organizzazione, sul<strong>la</strong> percezione soggettiva in <br />

merito alle possibilità di determinare le proprie azioni ed i re<strong>la</strong>tivi risultati rispetto all’influenza <br />

dell’organizzazione di appartenenza. <br />

5 Le arti nobili (<strong>la</strong> forza interiore, <strong>la</strong> sagacia, <strong>la</strong> disciplina e autodisciplina), le arti povere (il sapersi narrare, il divenire scrittori di se <br />

stessi e delle storie delle persone e delle comunità per/con cui si <strong>la</strong>vora, per cui ci si batte, …scrivere di bellezza !). Ma anche le arti negative, <br />

le arti ignobili (<strong>la</strong> capacità molto offensiva di obliare, di esercitare arroganza, incuria, superficialità, truffa, raggiro, di tradire <strong>la</strong> promessa) <br />

(Demetrio, 2012). <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Ad esempio, si è già deciso, chi ha deciso, di orientare il <strong>la</strong>voro sociale professionale verso nuovi <br />

paradigmi ed in partico<strong>la</strong>re verso lo sviluppo di comunità? Che ruolo ha il momento casuale, il <br />

momento magico, l’accidentalità, per cambiare? <br />

Ovviamente queste domande non possono essere affrontate in termini generali: occorre condurle <br />

ad un qui ed ora ben delimitato, a specifici attori ed specifiche condizioni socioambientali. E non <br />

sono ipotizzabili cambiamenti globali e repentini, riorganizzazioni eterodirette, ordini di servizio i <br />

cui effetti ricadono indiscriminatamente su tutti gli attori. <br />

Si può pensare a piccoli passi nel<strong>la</strong> quotidianità, al<strong>la</strong> sperimentazione di brevi uscite dal porto, a <br />

brevi e piccoli iniziali sconfinamenti. Si può tentare di scovare ed utilizzare gli anfratti, gli interstizi: <br />

nessuna organizzazione è così monolitica da non consentire l’inserimento di cambiamenti positivi <br />

tra le proprie faglie. <br />

Qui i koowledge workers possono misurarsi, su progetti circoscritti, ad esercitare l’adultità, a <br />

giocarsi le intelligenze più fini, a sperimentare <strong>la</strong> gioia di inventare ciò che non c’è partendo anche <br />

da minimi segni, tracce di vita di comunità magari sottese, magari tras<strong>cura</strong>te dal<strong>la</strong> frenesia e dalle <br />

quotidiane nevrosi organizzative. <br />

Qui i koowledge workers possono scoprire (o riscoprire) <strong>la</strong> serendipità 6 . E’ razionalmente corretto <br />

provare a far succedere qualcosa di nuovo (attraverso <strong>la</strong> progettazione-­‐pianificazione-­programmazione,<br />

attraverso <strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione di proposte), ma è contemporaneamente utile (e <br />

scientificamente sostenibile) abitare <strong>la</strong> comunità locale per ascoltare-­‐osservare e per riflettere su <br />

quanto succede, su quanto è successo, di previsto ma anche di imprevisto. Spesso un fenomeno <br />

imprevisto, non cercato, trovato mentre cercavi altro, costituisce il motore del<strong>la</strong> scoperta e del<strong>la</strong> <br />

crescita del<strong>la</strong> conoscenza; spesso si riesce ad affermare l'idea di una realtà che deve essere letta <br />

attraverso i segnali che ci fornisce. Spesso le scoperte più esaltanti, e le conseguenti <br />

teorizzazioni, nascono proprio dall'osservazione di un dato inaspettato, inusuale o imprevisto; si <br />

afferma così l‘imprescindibile esigenza di riflettere sull’accidentalità che è insita nel <strong>la</strong>voro <br />

scientifico (Merton, 2000, 2002). <br />

Le esperienze più significative di <strong>la</strong>voro professionale di sviluppo di comunità hanno si<strong>cura</strong>mente <br />

queste componenti. <br />

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI <br />

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Associati, Mi<strong>la</strong>no <br />

6 noto neologismo, coniato da H.Walpole nel XVIII sec,, indicante <strong>la</strong> sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e <br />

imprevista mentre se ne sta cercando un'altra <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Radici e Orizzonti: le SOMS e un nuovo patto sociale <br />

e professionale <br />

Diego Targhetta Dur, Elvira Signaroldi, Ugo Avalle, Denise Centrel<strong>la</strong>, <br />

Fabrizia Cogo, Carolina Dello Russo, Giovanni Di Fine, Erika Mi<strong>la</strong>nesio, <br />

Lucia Pavignano, Roberto Quarisa, Valerio Dimonte <br />

Quel<strong>la</strong> sera del 12 ottobre 1848, in Pinerolo <br />

un Calzo<strong>la</strong>io, <br />

un Indoratore, <br />

quattro Falegnami, <br />

due Sarti, <br />

un Capomastro, <br />

un Decoratore e <br />

un Meccanico <br />

si riunirono al<strong>la</strong> Locanda del Cavallo Bianco per costituire <strong>la</strong> prima Società di Mutuo <br />

Soccorso d’Italia <br />

Questa frase, scritta sul muro lungo <strong>la</strong> sca<strong>la</strong> che sale al primo piano, accoglie chi si reca presso <strong>la</strong> <br />

sede del<strong>la</strong> storica SOMS (Società Operaia di Mutuo Soccorso) di Pinerolo (1). <br />

A soli sette mesi dallo Statuto Albertino del Regno Sabaudo, promulgato il 5 marzo 1848, che <br />

riconosceva il diritto di Associazione, il vento che sin dai primi decenni del secolo stava <br />

attraversando il Regno Unito, <strong>la</strong> Germania e il sud del<strong>la</strong> Francia, valicò le Alpi e trovò in Pinerolo <strong>la</strong> <br />

prima zol<strong>la</strong> fertile. Da quel<strong>la</strong> sera di Ottobre, in pochi anni, le forme di mutualità si sarebbero <br />

estese a tutta <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, anticipando l’ormai imminente unità nazionale. Nelle città e in <br />

campagna si svilupparono forme di mutualità di diverso orientamento: socialista, religioso o <br />

derivanti dalle corporazioni dei mestieri, dai tipografi ai sarti o farmacisti. <br />

Questa marea crescente costituisce una prima risposta collettiva alle conseguenze drammatiche <br />

del processo di industrializzazione e segna <strong>la</strong> rivendicazione di dignità e di autonomia di interi <br />

gruppi sociali che affermano concretamente <strong>la</strong> volontà di difendersi collettivamente dai rischi del <br />

mercato, sfuggendo all’umiliazione di dover chiedere aiuto nei momenti drammatici dell’esistenza: <br />

<strong>la</strong> perdita del <strong>la</strong>voro, <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia, <strong>la</strong> morte (2). <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Sin dalle origini le <br />

SOMS si pongono <br />

all’avanguardia <br />

anche nel <br />

contrastare le <br />

discriminazioni di <br />

genere e già nel 1951 <br />

nasce a Torino <br />

l’Associazione <br />

Generale di Mutuo <br />

Soccorso delle <br />

Operaie di Torino che <br />

dopo pochi anni <br />

potrà contare su circa <br />

2000 socie (3). Il <br />

Piemonte onora il <br />

ruolo di Regione che <br />

ospita <strong>la</strong> prima SOMS <br />

italiana e nel 1864 fa <br />

registrare 443 SOMS <br />

attive con 111.608 <br />

soci, su una <br />

popo<strong>la</strong>zione totale pari a 2.400.000 abitanti (4). <br />

Nell’ultimo decennio dell’800 e il primo del ‘900 si osserva una costante espansione nazionale <br />

delle SOMS che nel censimento del 1894 risultano essere quasi 6800 per un totale di quasi un <br />

milione di soci (su una popo<strong>la</strong>zione totale di circa 30 milioni). Ormai <strong>la</strong> mutualità rappresenta una <br />

realtà diffusa e partecipata a livello nazionale e il 15 aprile 1886 arriva <strong>la</strong> Legge 3818 che, nel <br />

riconoscere loro personalità giuridica, norma e sancisce le modalità di funzionamento e ne <br />

definisce i campi di intervento. <br />

L’avvento del Fascismo, con il conseguente azzeramento del<strong>la</strong> partecipazione democratica e delle <br />

libertà personali, determinò <strong>la</strong> scomparsa di molte espressioni del<strong>la</strong> mutualità e anche le <br />

sopravvissute si trovarono di fronte al nuovo scenario introdotto dal regime e poi proseguito con <br />

<strong>la</strong> Repubblica: <strong>la</strong> centralità dello Stato nel dare risposte sociali, previdenziali e sanitarie agendo <br />

sul<strong>la</strong> fiscalità generale. <br />

Dagli anni ’20 al 1978, anno del<strong>la</strong> legge di Riforma Sanitaria 833 che istituì il Servizio Sanitario <br />

Nazionale (SSN) l’attività delle SOMS divenne via via più marginale, residuale, finalizzata al<strong>la</strong> <br />

gestione del cospicuo patrimonio immobiliare e limitata principalmente alle attività ristorative. <br />

Attività residuali di cui non meriterebbe dar conto se non fosse perché quel fiume carsico è <br />

riaffiorato negli anni Novanta e si sta ora intrecciando con un’altra storia: quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> crisi del <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

welfare, ma anche delle istituzioni democratiche e delle forme di socialità che hanno <br />

accompagnato lo sviluppo del paese (2). <br />

Dal 1886 al 2012 trascorrono ben 126 anni, un secolo e un quarto di storia intensa, vorticosa, <br />

massimamente collocata proprio nel “secolo breve” del ‘900. Un arco di tempo che ha visto, in <br />

Italia, avanzare il fronte dei diritti conquistando un approccio universalistico e redistributivo e uno <br />

Stato farsi Sociale nel garantire istruzione, previdenza e salute ai cittadini. Un impianto che matura <br />

nel secondo dopoguerra negli anni definiti “i trenta gloriosi” che vanno dal 1945 al 1973 (anno <br />

del<strong>la</strong> crisi petrolifera). <br />

A mandare in crisi il modello universalistico concorrono più fattori. Quello demografico, in primo <br />

luogo. L’equilibrio basato sull’alta natalità e altrettanto alta mortalità, quale era ancora quello <br />

degli anni Cinquanta, ha reso possibile l’impianto di un sistema previdenziale a ripartizione, <br />

tendenzialmente universalistico, perché il numero dei contribuenti sopravanzava di molto il <br />

numero dei fruitori. Da qualche decennio l’aumento del<strong>la</strong> domanda e dell’offerta di servizi ha <br />

creato le condizioni per un secondo fattore di criticità rappresentato dall’aumento del<strong>la</strong> pressione <br />

fiscale. Tale andamento del<strong>la</strong> fiscalità si aggrava ulteriormente nell’opinione pubblica poiché si <br />

accompagna al sospetto che il costo dei servizi erogati attraverso burocrazie pubbliche sia troppo <br />

elevato se commisurato al<strong>la</strong> qualità dei servizi medesimi (2). <br />

<strong>La</strong> crisi del sistema sanitario pubblico così com’è oggi organizzato è palese e oggettivabile. Si <br />

stima infatti che in Italia <strong>la</strong> spesa out of pocket delle famiglie per <strong>la</strong> salute, ovvero <strong>la</strong> spesa che <br />

viene sostenuta direttamente, escludendo anche i premi assi<strong>cura</strong>tivi, si aggira tra il 25 e il 30% <br />

del<strong>la</strong> spesa sanitaria. I dati dell’indagine Multiscopo dell’Istat del 2005 mostrano che più del 50% <br />

delle visite specialistiche vengono pagate dai pazienti, con una netta prevalenza delle visite <br />

odontoiatriche e ostetrico-­‐ginecologiche. Molto inferiore il peso del pagamento diretto degli <br />

accertamenti diagnostici (il 6,6% degli esami del sangue e il 21% degli esami specialistici), ma pari a <br />

poco meno del 50% <strong>la</strong> spesa privata per farmaci (5). <br />

Si viene pertanto a delineare un quadro di forte disomogeneità in termini di opportunità e <br />

garanzie, dove <strong>la</strong> parte più fragile del<strong>la</strong> società si trova esposta a rischi senza poter contare su <br />

politiche di tute<strong>la</strong> e salvaguardia. <br />

Questo scenario del nuovo millennio, pur con i dovuti e opportuni adeguamenti, richiama lo <br />

scenario dell’ottocento e tale assonanza non è sfuggita al legis<strong>la</strong>tore se il 13 dicembre 2012 il <br />

Par<strong>la</strong>mento ha convertito in legge il D. Lgs. 179 del 18 ottobre “Ulteriori misure urgenti per <strong>la</strong> <br />

crescita del Paese”, che all’art. 23 contiene “Misure per le Società di mutuo soccorso”, tra cui <br />

alcuni aggiornamenti al<strong>la</strong> legge 3818 del 1886, ancora in vigore, che disciplina le attività dei <br />

Sodalizi. Il provvedimento, in estrema sintesi, “modernizza” <strong>la</strong> modalità di costituzione delle <br />

Società di mutuo soccorso e attualizza gli ambiti di attività previsti dagli articoli 1 e 2 del<strong>la</strong> legge <br />

3818, con un importante passaggio che riguarda <strong>la</strong> possibilità di svolgere le attività previste anche <br />

attraverso l’istituzione o <strong>la</strong> gestione dei fondi sanitari integrativi. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

<strong>La</strong> storia, che dal<strong>la</strong> sorgente Pinerolese del ’48, ha saputo farsi marea e poi “carsicamente” <br />

resistere nel<strong>la</strong> seconda metà del ‘900, sta riaffiorando con tutta <strong>la</strong> sua potenziale attualità in <br />

buona parte ancora da scoprire e scrivere. <br />

Questo “neo mutualismo” può rappresentare un importante interlocutore per le professioni <br />

sanitarie e tra queste soprattutto per l’Infermieristica. A fronte di una disartico<strong>la</strong>zione dell’offerta <br />

di tutele socio-­‐sanitarie territoriali si registra una crescente domanda, espressa e non espressa, di <br />

salute. Le SOMS, se si intraprendesse con forza <strong>la</strong> via di una medicina proattiva, potrebbero <br />

diventare per l’Infermieristica un committente privilegiato grazie al<strong>la</strong> loro capil<strong>la</strong>rità, prossimità e <br />

rapporto diretto con i soci. <br />

Presso il Polo Formativo Universitario Officina H di Ivrea, sede del Corso di <strong>La</strong>urea in <br />

Infermieristica, sin dal 2013 è stato avviato un percorso di col<strong>la</strong>borazione prima con le SOMS del <br />

territorio e poi con il Coordinamento Regionale. <br />

Delle circa 2000 SOMS censite come ancora attive a livello nazionale, più di 400 sono piemontesi, a <br />

dimostrazione di una vocazione e di <br />

una vitalità mai venuta meno. Questo <br />

scenario, composto a volte da micro <br />

realtà che contano qualche decina di <br />

soci, sin dal<strong>la</strong> metà degli anni ’90 ha <br />

trovato nell’azione determinata del <br />

Presidente del<strong>la</strong> Fondazione Società <br />

di Mutuo Soccorso Piemonte, <br />

Sebastiano So<strong>la</strong>no e nel Presidente <br />

del<strong>la</strong> SOMS di Pinerolo e del <br />

Coordinamento Regionale delle <br />

Società di Mutuo Soccorso, Ermanno <br />

Sacchetto, due infaticabili tessitori di <br />

rapporti, capaci di mettere in rete e <br />

di far comunicare e confrontarsi <strong>la</strong> <br />

variegata ga<strong>la</strong>ssia del<strong>la</strong> mutualità <br />

Piemontese. <br />

Proprio da questa regia illuminata, <br />

capace di valorizzare e condividere le <br />

iniziative virtuose promosse dalle <br />

varie realtà locali, sono originati progetti come “Un filo d’acqua” finanziato nel 2003 anche con <br />

fondi europei per promuovere una rete di ospitalità per il turismo culturale e ambientale e, nel <br />

2008, “Nessuno è un’iso<strong>la</strong>” per creare una rete di accoglienza e servizi nelle sedi delle Società di <br />

mutuo soccorso rivolta a persone che vivono situazioni di disagio abitativo. <br />

Il 12 maggio 2014, giornata internazionale dell’Infermiere, per sancire e ri<strong>la</strong>nciare <strong>la</strong> reciproca <br />

comunanza di valori e strategie tra l’Infermieristica e le SOMS è stato organizzato a Ivrea il <br />

Convegno Regionale dal titolo: “Mutualità e professioni sanitarie -­‐ una nuova alleanza per il <br />

welfare di domani”. L’evento, che ha visto confrontarsi i massimi rappresentanti del<strong>la</strong> Mutualità <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

regionale e nazionale con esponenti dell’Università, del<strong>la</strong> Federazione Nazionale dei Collegi <br />

Infermieri (IPASVI) e dell’Ente Nazionale del<strong>la</strong> Previdenza e Assistenza del<strong>la</strong> Professione <br />

Infermieristica (ENPAPI), si è concluso con l’istituzione di un Osservatorio permanente Regionale <br />

composto dal Corso di <strong>La</strong>urea in Infermieristica, sede di Ivrea, e dal Coordinamento Regionale <br />

delle SOMS. <br />

Il tavolo di <strong>la</strong>voro, che nel corso del<strong>la</strong> sua attività ha coinvolto altri stakeholders sociali e del <br />

territorio come le Organizzazioni Sindacali e rappresentanze dell’Associazionismo, si è posto <br />

l’obiettivo di censire, soprattutto al<strong>la</strong> luce delle modifiche normative del 2012 che chiedono a ogni <br />

singo<strong>la</strong> realtà di operare realmente nel campo del<strong>la</strong> mutualità per poter ancora fruire delle <br />

agevo<strong>la</strong>zioni fiscali e di funzionamento, quali fossero le attività in essere. <br />

Ogni SOMS è stata contattata per avere un aggiornamento circa il numero di associati, <strong>la</strong> quota <br />

associativa, i servizi offerti ai soci e <strong>la</strong> progettazione avviata. Inoltre è stato somministrato un <br />

questionario ai soci per indagare quali siano oggi i bisogni avvertiti e quali servizi gradirebbero <br />

ricevere dal<strong>la</strong> propria Società Operaia. Questa indagine, ormai in fase di completamento, sta <br />

fornendo interessanti elementi di confronto tra mutualità e Infermieristica: si sta infatti <br />

delineando il profilo di competenza richiesto all’Infermiere per poter essere risorsa “acquisibile” <br />

dalle SOMS come servizio rivolto ai soci. Già oggi ad esempio, presso alcune realtà, si registrano <br />

attività di assistenza Infermieristica domiciliare e ospedaliera di sostegno al socio e al<strong>la</strong> sua <br />

famiglia in caso di necessità. <br />

Così come è diffusa una certa dinamicità delle SOMS negli ambiti preventivi e di screening, come <br />

dimostrano alcuni progetti avviati con unità sanitarie mobili in ambito oftalmico, cardiovasco<strong>la</strong>re e <br />

neurologico. <br />

L’annoso e mai radicalmente risolto quesito circa <strong>la</strong> natura di questo welfare parallelo: <br />

integrativo o sostitutivo al<strong>la</strong> sanità pubblica? ha sempre incontrato, nelle SOMS una risposta <br />

chiara e netta che le colloca nel campo dell’integrazione agendo addirittura con un ruolo di <br />

raccolta e organizzazione dei bisogni e delle fragilità finalizzato al confronto con le ASL e i <br />

Territori, per apportare migliorie al SSN. <br />

Risulterà ancora più evidente e non equivocabile <strong>la</strong> vocazione “integrativa” di questo nuovo-­‐ <br />

antico ruolo del<strong>la</strong> mutualità se si andrà a implementare un approccio preventivo, educativo, <br />

promozionale di buoni stili di vita, inclusivo e partecipativo. Tale percorso, pienamente coerente <br />

con gli obiettivi del<strong>la</strong> medicina di iniziativa, potrà garantire l’incisività e <strong>la</strong> capacità di leggere, <br />

dall’interno di ogni picco<strong>la</strong> comunità, le specificità, le risorse e le migliori strategie utilizzabili. Su <br />

quel fronte capace di promuovere salute e non solo di fare sanità potranno incontrarsi <strong>la</strong> <br />

mutualità, l’infermieristica e altre professioni sociali e sanitarie per disegnare un nuovo sistema <br />

di garanzie e diritti, in piena coerenza con i criteri e i valori di sobrietà, rispetto e giustizia <br />

promossi da Slow Medicine. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Bibliografia <br />

1. Targhetta Dur D. (2011) Quel<strong>la</strong> sera del 12 ottobre 1848... I colori del bianco. Anno 2; 2:13 <br />

2. Luciano A. (2012) Dalle società di mutuo soccorso al<strong>la</strong> mutualità. Risposte al<strong>la</strong> crisi del <br />

welfare, Euricse Working Paper; N.032 | 12 <br />

3. Gera B. (1994) Donne in società: storie di mutualismo femminile in Piemonte. Regione <br />

Piemonte <br />

4. Menegatti B, Robotti D. (2009) Il Mutuo Soccorso a carte scoperte. Repertorio di archivi <br />

delle società operaie piemontesi. Editore Centro Studi Piemontesi (col<strong>la</strong>na Cultura del<strong>la</strong> <br />

solidarietà) <br />

5. Cis<strong>la</strong>ghi C, Giuliani F. (2006) L’out of pocket sanitario nelle regioni italiane. Analisi dei dati <br />

dell’indagine multiscopo 2005, Mimeo <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

<strong>La</strong> fabbrica Olivetti: una storia collettiva di <br />

responsabilità <br />

Enrico Bandiera, Lucia Pavignano, Elvira Signaroldi, Diego <br />

Targhetta Dur <br />

«<strong>La</strong> nuova comunità, imperniata sul<strong>la</strong> libertà dell'uomo, sull'autonomia del<strong>la</strong> <br />

persona, sul<strong>la</strong> dignità del<strong>la</strong> vita umana, presuppone un mondo liberato <br />

dall'asservimento, dal<strong>la</strong> forza, dallo strapotere del denaro». <br />

Adriano Olivetti, Il cammino del<strong>la</strong> comunità, 1959 <br />

Pur con i limiti derivanti dal<strong>la</strong> complessità del<strong>la</strong> storia olivettiana, ci si può avventurare a <br />

presentare alcuni spunti di riflessione sul significato di una modalità organizzativa che ha percorso <br />

molti decenni del<strong>la</strong> Società Olivetti, delle donne e degli uomini che vi hanno <strong>la</strong>vorato, dei territori <br />

che ne hanno conosciuto le fabbriche, in tutto il mondo. <br />

E’ una storia che parte dal 29 ottobre 1908, data in cui nasce a Ivrea, <strong>la</strong> Ing. C. Olivetti & C., “Prima <br />

fabbrica nazionale di macchine per scrivere”, fondata da Camillo Olivetti, inventore, imprenditore e <br />

socialista che “non tra<strong>la</strong>scia alcun mezzo per insinuare le sue idee al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia", come recita <br />

una scheda intestata a suo nome presso il Commissariato di Ivrea del tempo [1] . <br />

Difficile comprendere <strong>la</strong> giustapposizione di quei tre aggettivi, quasi un ossimoro ai nostri orecchi, <br />

ma «L'ultimo dei manovali o fattorini sapeva che l'ing. Camillo meritava il rispetto non come <br />

“padrone” ma come tecnico capace e capace organizzatore e tutore del <strong>la</strong>voro altrui», come <br />

scrisse Libero Bigiaretti, uno dei più fini intellettuali italiani del ‘900 [2] . <br />

E’ da questo inizio che occorre partire per comprendere come si svolse quel<strong>la</strong> singo<strong>la</strong>re storia <br />

industriale e umana, tecnologica ed economica insieme. L’alta sensibilità di Camillo, le sue <br />

capacità organizzative e tecniche, l'attenzione e il rispetto per gli operai e le operaie del<strong>la</strong> sua <br />

fabbrica, per il loro <strong>la</strong>voro e <strong>la</strong> loro vita, innervarono <strong>la</strong> struttura organizzativa aziendale <br />

stabilendone da subito i canoni essenziali: valorizzare le capacità di ognuno, indirizzarle al bene <br />

comune che passa per <strong>la</strong> capacità di produrre oggetti (macchine per scrivere) che generino <br />

ricchezza economica, da utilizzare per produrre altri tipi di ricchezza: culturale, sociale, <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

ambientale, oltre che utile a sostenere le nuove idee di progetto, processo e organizzazione <br />

aziendale. <br />

Il testimone di Camillo venne raccolto e amplificato, fin dal<strong>la</strong> metà degli anni ’30, dall’opera <br />

intellettuale, imprenditoriale e umana del figlio Adriano, che permise al<strong>la</strong> Olivetti di raggiungere <br />

obiettivi che <strong>la</strong> collocarono ai vertici nel<strong>la</strong> storia industriale delle multinazionali italiane. <br />

Il tema del rispetto, concreto e verificato ogni giorno da chi <strong>la</strong>vorava in Olivetti, raccoglie in <br />

un’unica <strong>paro<strong>la</strong></strong> il filo conduttore delle re<strong>la</strong>zioni umane in azienda. Non una generica o superficiale <br />

“amicosità”, bensì un’idea che generava valori, diritti, doveri e responsabilità condivise, seppur <br />

diversificate, volte a costruire un progetto condiviso. <br />

Uguaglianza nel rispetto e nel<strong>la</strong> dignità di ognuno, nel riconoscimento del<strong>la</strong> diversità dei ruoli <br />

necessari al<strong>la</strong> costruzione del progetto comune – <strong>la</strong> fabbrica appunto -­‐ con il <strong>la</strong>voro in essa <br />

compiuto e <strong>la</strong> ricchezza in essa prodotta. Il tutto vissuto con <strong>la</strong> consapevolezza di una <br />

responsabilità individuale tesa a mettere a disposizione <strong>la</strong> propria creatività e il proprio <strong>la</strong>voro per <br />

far crescere l’azienda al fine di raggiugere un obiettivo condiviso: produrre ricchezza. Nelle sue <br />

diverse forme: certamente economica, ma anche culturale, sociale e ambientale a beneficio sia di <br />

chi in fabbrica ci <strong>la</strong>vora sia del territorio in cui l’azienda insiste. <br />

<strong>La</strong> creatività e <strong>la</strong> libertà d’iniziativa sono costitutive di ogni livello del<strong>la</strong> catena produttiva, dove <br />

sono riconosciute le competenze di ognuno e l’autorevolezza non è data dal ruolo, ma dalle <br />

capacità. Questi valori, resi concreti nell’attività di ogni giorno, portano inevitabilmente a modelli <br />

organizzativi insoliti. S’introduce qui il tema del<strong>la</strong> fiducia, che costituisce un metodo di <br />

organizzazione del <strong>la</strong>voro. Un’ocu<strong>la</strong>ta scelta di metodo che permette risultati migliori rispetto a un <br />

sistema basato sul<strong>la</strong> sua assenza. <br />

Re<strong>la</strong>tivamente al controllo di gestione del processo produttivo, in un sistema (che per semplicità <br />

definiremo verticistico) in cui vige l’assenza di fiducia, vi è <strong>la</strong> necessità di elevati livelli di controllo, <br />

utili a sottolineare gli eventuali errori, al di là del riscontro positivo sul processo produttivo che il <br />

controllo deve esercitare. Il tutto con un dispendio di risorse, energie e <strong>la</strong>voro che di poco o nul<strong>la</strong> <br />

migliorano <strong>la</strong> capacità produttiva, a fronte di una crescente instabilità del sistema che giunge <br />

rapidamente al crash non avendo risorse adeguate a garantirne <strong>la</strong> stabilità. <br />

Al contrario, in un sistema in cui vige <strong>la</strong> fiducia, il necessario controllo si basa sugli elementi sopra <br />

descritti di reciproco rispetto, azione responsabile e riconoscimento delle competenze, per cui chi <br />

control<strong>la</strong> ha l’autorevolezza per farlo e si pone a servizio del miglioramento del processo di <br />

produzione; sa rendere disponibili le proprie competenze senza il timore di essere usurpato o <br />

sopraffatto, contribuendo a un sapere comune condiviso. Oggi ritroviamo in modo concreto <br />

modelli che richiamano questo sistema nel mondo dell’hardware e del software libero, in cui <strong>la</strong> <br />

condivisione del sapere genera innovazione, ricchezza economica, <strong>la</strong>voro. <strong>La</strong> filosofia che li <br />

sottende si può ricondurre al pensiero sistemico, secondo cui pensare sistemicamente non è solo <br />

interessarsi al rapporto e alle connessioni tra gli elementi, ma anche “passare dal<strong>la</strong> categoria del <br />

colpevole/responsabile al<strong>la</strong> logica delle condizioni che hanno facilitato un accadimento” [3] . <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Libertà creativa, responsabilità, competenza, coscienza dei diritti e dei doveri, passione per il <br />

proprio <strong>la</strong>voro, ricerca del<strong>la</strong> bellezza estetica quale giusto veicolo del<strong>la</strong> funzionalità meccanica <br />

degli oggetti prodotti e quale utile strumento all'elevazione spirituale intesa nel senso più genuino <br />

del progresso umano, tutto questo si traduce in un altro paradigma: eccellenza. <br />

Sfogliando le locandine del Centro Culturale Olivetti e del<strong>la</strong> Biblioteca Olivetti si può leggere <br />

dell’incontro sul<strong>la</strong> poesia, organizzato per gli operai durante <strong>la</strong> pausa mensa, tenuto da Eugenio <br />

Montale; sul teatro, con un intervento di Eduardo De Filippo; sul federalismo, con una lezione di <br />

Altiero Spinelli, sul<strong>la</strong> cultura popo<strong>la</strong>re, con il contributo di Pier Paolo Pasolini [4] . <br />

Insomma, non era sufficiente proporre agli operai tematiche culturali di vario genere, occorreva <br />

farlo con le eccellenze in quei campi. E così <strong>la</strong> necessità dell’eccellenza selezionava le migliori <br />

figure di tecnici, designer e ricercatori e affinava capacità di <strong>la</strong>voro operaio invidiabili. L'eccellenza <br />

infatti veniva stimo<strong>la</strong>ta e richiesta a tutti i livelli, dal giovane operaio al grande designer, come si <br />

coglie ad esempio dal<strong>la</strong> testimonianza di un “semplice” disegnatore tecnico, chiamato a giudicare i <br />

progetti delle carrozzerie delle macchine per scrivere e da calcolo di uno dei più grandi designer <br />

del ‘900 quale fu Ettore Sottsass. Quest'ultimo aveva infatti riconosciuto in lui <strong>la</strong> capacità di capire <br />

quanto quel<strong>la</strong> data scocca potesse risultare adeguata al<strong>la</strong> meccanica del<strong>la</strong> nuova macchina che <br />

stava entrando in produzione, trovando così il giusto punto d’incontro tra design e meccanica, tra <br />

bellezza e funzionalità: il grande designer Ettore Sottsass riconosceva <strong>la</strong> competenza di Alberto <br />

Toretta, disegnatore tecnico. <br />

E' comprensibile che una simile modalità di approccio al <strong>la</strong>voro, che libera <strong>la</strong> creatività e <strong>la</strong> <br />

passione per quanto si sta costruendo, esca dai limiti aziendali e coinvolga il territorio. Diventa <br />

sguardo d'insieme, attenzione sincera verso <strong>la</strong> comunità, in un'ottica sistemica di <br />

interconnessione tra fabbrica e territorio, all'interno di una rete che giustifica interventi sul<strong>la</strong> <br />

popo<strong>la</strong>zione come ad esempio <strong>la</strong> campagna di vaccinazioni anti-­‐polio nell'eporediese 7 da parte <br />

delle Assistenti Sanitarie del<strong>la</strong> Olivetti, durante l'epidemia di poliomielite del 1957 8 , <strong>la</strong> prima <br />

attuata in Italia [5] . <br />

E' impossibile sintetizzare <strong>la</strong> costante attenzione ai bisogni sociali, al<strong>la</strong> promozione culturale e <br />

al<strong>la</strong> responsabilità verso il territorio, al cui sviluppo integrale si sente di dover partecipare come <br />

obbligo morale, si può però affermare che il modello di attenzione ai bisogni del territorio non <br />

poteva che approdare all’impegno politico. Adriano Olivetti proverà una sintesi teorica per una <br />

nuova modalità di azione che anticiperà alcuni temi allora fortemente osteggiati: federalismo <br />

solidale, opposizione al<strong>la</strong> partitocrazia, nuovo modello economico che fonde tra loro le migliori <br />

idee ed energie dell’azione dello Stato e dell’iniziativa privata, volte al progresso collettivo. <br />

<strong>La</strong> nascita del Movimento Comunità tentò una risposta in questa direzione. Sorse l’idea di <br />

comunità concrete che, forti dei valori sin qui esposti, operassero per interventi mirati d’iniziativa <br />

7 Eporediese: territorio del<strong>la</strong> zona di Ivrea (chiamata anticamente Eporedia) <br />

8 In Italia nel 1957 ci sono stati circa 6.000 casi di poliomielite paralitica, poi con l'inizio del<strong>la</strong> vaccinazione <strong>la</strong> <br />

ma<strong>la</strong>ttia si è progressivamente ridotta <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

pubblica (molte amministrazioni comunali del Canavese nel<strong>la</strong> metà degli anni ’50 erano <br />

comunitarie) e sostenessero nuove attività economiche (attraverso l-­‐RUR, Istituto per il <br />

Rinnovamento Urbano e Rurale) con modalità originali, ma concretamente volte a risolvere i <br />

problemi del territorio. <br />

<strong>La</strong> sfida assunse contorni radicali quando Adriano Olivetti presentò il suo progetto di Fondazione <br />

(intendeva chiamar<strong>la</strong> Fondazione Camillo Olivetti) che avrebbe assunto <strong>la</strong> proprietà del<strong>la</strong> fabbrica. <br />

Al<strong>la</strong> proprietà, divisa in parti eguali, avrebbero partecipato i <strong>la</strong>voratori, l’Università quale <br />

rappresentante del mondo culturale e <strong>la</strong> Città di Ivrea per l’ambito pubblico. Nell’ottica di <br />

considerare <strong>la</strong> fabbrica motore del territorio e fonte di ricchezze per il suo sviluppo, questo pareva <br />

ad Adriano il naturale approdo del<strong>la</strong> Olivetti. <strong>La</strong> Fondazione Camillo Olivetti non ebbe mai luce <br />

poiché Adriano morì il 27 febbraio 1960. <br />

E’ forte <strong>la</strong> tentazione, a questo punto, di limitarsi a un malinconico commento sui bei tempi <br />

andati. Ma a nul<strong>la</strong> serve conoscere quell’esperienza e quelle esperienze se non per riprenderne <br />

l’essenza valoriale e provare a costruire oggi nuove modalità di organizzazione del <strong>la</strong>voro e del<strong>la</strong> <br />

società, consone alle esigenze di ognuno di noi e di noi tutti. <br />

<strong>La</strong> campana, simbolo del Movimento di Comunità, veniva instal<strong>la</strong>ta sul muro degli edifici che i Comuni del Canavese <br />

facenti parte del Movimento individuavano come centro di aggregazione sociale. <br />

In partico<strong>la</strong>re, quest’opera, in ceramica dipinta, è ancora visibile in piazza Adriano Olivetti a Pa<strong>la</strong>zzo Canavese. <br />

Bibliografia <br />

1. Ochetto V. Adriano Olivetti industriale e utopista. Ivrea, Cossavel<strong>la</strong> Editore, 2000;24 <br />

2. Bigiaretti L. Camillo Olivetti. Estratto dal<strong>la</strong> pubblicazione aziendale “Olivetti 1908-­‐1958” – <br />

Ivrea,1958. Disponibile su: <br />

http://www.storiaolivetti.it/upload/1114512350111Bigiaretti%20su%20Camillo_6464.pdf <br />

Ultima consultazione: settembre 2015 <br />

3. Pirri P, Di Bacco M. Il pensiero sistemico: un approccio al<strong>la</strong> complessità. Le Letture di HXO <br />

Vol. 5. Amazon Media EU (e-­‐book), gennaio 2015 <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

4. Associazione Archivio Storico Olivetti (internet). <strong>La</strong> Biblioteca aziendale e il Centro culturale <br />

Olivetti. Disponibile su http://www.storiaolivetti.it/ Ultima consultazione: settembre 2015 <br />

5. Pavignano L. I servizi socio-­‐sanitari del<strong>la</strong> Olivetti in fabbrica e sul territorio canavesano. Tesi <br />

di Master di Infermieristica di Famiglia e di Comunità, Università di Torino, Facoltà di <br />

Medicina e Chirurgia -­‐ Sede San Luigi Gonzaga di Orbassano. A.A. 2008/2009 <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Una Rete che <strong>cura</strong>. Sogno o realtà? <br />

Pao<strong>la</strong> Zimmermann <br />

Scorrendo il documento programmatico re<strong>la</strong>tivo all’assistenza sanitaria dell’Alto Adige 2020(1), ci <br />

si imbatte nel<strong>la</strong> seguente affermazione: “Anche <strong>la</strong> soppressione di gerarchie nei reparti <br />

ospedalieri favorisce <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione a pari livello tra <strong>la</strong> primaria ed il primario ed il team <br />

medico, nonché una migliore col<strong>la</strong>borazione tra professionisti.“ <br />

Emerge quindi, all’interno delle strutture ospedaliere, <strong>la</strong> difficoltà dei diversi operatori sanitari di <br />

re<strong>la</strong>zionarsi tra loro, per tutta una serie di rigidità proprie del<strong>la</strong> struttura organizzativa. <br />

Eliminare il concetto gerarchico può rive<strong>la</strong>rsi una mossa vincente per avvicinare tra loro i <br />

professionisti sanitari e farli interagire meglio ed allo stesso livello. <br />

Non ci si può fermare a considerare le difficoltà re<strong>la</strong>zionali all’interno del solo Ospedale. Le <br />

politiche sanitarie sono sempre più orientate a pianificare l’assistenza anche sul territorio con i <br />

medici di medicina generale, i pediatri, i distretti, le farmacie, le case di riposo, gli specialisti <br />

privati, gli psicologi, ma anche presso il domicilio con i pazienti, i familiari, i caregivers, gli <br />

assistenti privati, i gruppi di auto aiuto e le Associazioni di volontariato. <br />

Considerando <strong>la</strong> miriade di interlocutori coinvolti in un processo di <strong>cura</strong>, dall’Ospedale al territorio <br />

al domicilio, vien da chiedersi se sia ipotizzabile una rete non gerarchica, efficace, coerente, nel<strong>la</strong> <br />

quale <strong>la</strong> condizione indispensabile per il suo sviluppo sia <strong>la</strong> costruttiva partecipazione degli attori <br />

coinvolti; una rete nel<strong>la</strong> quale non esistano spazi autoreferenziali che limitano l’interazione con <br />

gli altri e dove ciascuno rappresenti un nodo del<strong>la</strong> rete, collegato e comunicante con gli altri <br />

nodi, senza reputarsi più importante o dominante degli altri. <br />

<strong>La</strong> definizione che l’Organizzazione Mondiale del<strong>la</strong> Sanità ha dato del<strong>la</strong> Rete nel 1998(2) è <strong>la</strong> <br />

seguente: “Un insieme di individui, organizzazioni ed agenzie, organizzato su base non gerarchica <br />

intorno a temi e questioni comuni da affrontare in modo pro-­‐attivo e sistematico, e basato su <br />

impegno e fiducia reciproca”. <br />

Si può notare come questo concetto torni a proporci il tema del<strong>la</strong> “non gerarchia”. <br />

Si può quindi iniziare a pensare, in ambito sanitario, ad un’organizzazione a rete, ad un <br />

approccio integrato tra sanitari e pazienti, in grado di ridurre tutte le conflittualità? <br />

Per alcuni questo non è assolutamente realizzabile, per altri è una via da intraprendere a tutti i <br />

costi. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Riprendo alcuni commenti <strong>la</strong>sciati da membri del gruppo Facebook di Slow Medicine, proprio su <br />

questo argomento: “Destrutturazione gerarchica. Paro<strong>la</strong> su cui sono costruiti errori enormi da <br />

persone che non vivono <strong>la</strong> realtà ospedaliera” – “<strong>La</strong> gerarchia non serve in Sanità. Serve <strong>la</strong> <br />

col<strong>la</strong>borazione” – “<strong>La</strong> destrutturazione gerarchica è il passaggio ad una concezione sistemica, a <br />

rete, del<strong>la</strong> struttura stessa, nel<strong>la</strong> quale non vengono affatto negate o abolite le competenze e le <br />

responsabilità specifiche, ma nessuna di esse “pesa” o “vale” nel sistema più di altre”. <br />

Merita comunque evidenziare alcuni progetti orientati ad un modello di <strong>cura</strong> “al<strong>la</strong> pari”, dove <strong>la</strong> <br />

rete funziona in quanto le singole competenze si ascoltano a vicenda, interagendo. <br />

Nell’ambito del<strong>la</strong> <strong>cura</strong> delle ma<strong>la</strong>ttie croniche possono essere portati all’attenzione dei lettori <br />

alcune esperienze nazionali ed estere, come ad esempio: <br />

• Il Selfmanagement <br />

Uno dei punti di forza del Chronic Care Model (CCM). Sviluppato da E.H.Wagner come <br />

modello di riferimento per <strong>la</strong> gestione delle ma<strong>la</strong>ttie croniche e delle cure primarie. Questo <br />

modello sottolinea l’importanza del<strong>la</strong> partnership tra paziente ed operatori sanitari come <br />

elemento essenziale per un trattamento efficace, poiché offre l’opportunità di <br />

responsabilizzare il paziente ad assumere un ruolo attivo nel<strong>la</strong> gestione del<strong>la</strong> propria salute <br />

ed il Selfmanagement, in partico<strong>la</strong>re, è un percorso interattivo teso a migliorare <strong>la</strong> qualità <br />

di vita delle persone affette da patologie croniche. <br />

Seguendo l’esempio dell’Azienda Sanitaria di Livorno, anche Bolzano ha implementano <br />

percorsi di Selfmanagement destinati a persone che soffrono di ma<strong>la</strong>ttie croniche e loro <br />

familiari e/o caregivers. <br />

I corsi sono tenuti in coppia da una persona con patologia cronica e da un’infermiera/e <br />

appositamente formate e questo binomio aiuta l’interazione al<strong>la</strong> pari tra tutors e <br />

partecipanti. <br />

• I Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistiti (PDTA) <br />

Sono strumenti importantissimi per dare risposte assistenziali a gruppi di pazienti affetti/e <br />

da una precisa patologia cronica. Secondo L'European Pathway Association obiettivo del <br />

PDTA è "migliorare <strong>la</strong> qualità delle cure prestate attraverso <strong>la</strong> continuità delle stesse, <br />

attraverso <strong>la</strong> promozione del<strong>la</strong> sicurezza, aumentando <strong>la</strong> soddisfazione dei pazienti ed <br />

ottimizzando l'uso delle risorse". I Percorsi funzionano solo se vengono progettati dalle <br />

persone che poi li praticheranno (quindi personale sanitario del territorio e dell'Ospedale), <br />

insieme ai pazienti che soffrono di quel<strong>la</strong> condizione. <strong>La</strong> condivisione del<strong>la</strong> loro <br />

progettazione da parte dei pazienti, da so<strong>la</strong>, è in grado di produrre un miglioramento nello <br />

stato di salute o persino una riduzione del<strong>la</strong> mortalità delle persone re<strong>la</strong>tivamente al<strong>la</strong> <br />

condizione studiata, a patto che gli interventi diagnostici e terapeutici siano di provata <br />

efficacia. <br />

Si instaura quindi un dialogo molto aperto tra professionisti e pazienti, dove i primi sono <br />

esperti del<strong>la</strong> pratica clinica ed i secondi del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

• I Gruppi di Auto Aiuto ed orientamento al paziente in ambito sanitario <br />

(Selbsthilfefreundlichkeit und Patientenorientierung im Gesundheitswesen) <br />

In Germania l’Auto Aiuto è riconosciuto come un settore indipendente del Servizio <br />

Sanitario, è finanziato dalle Casse Ma<strong>la</strong>ti e, dopo <strong>la</strong> medicina generale, <strong>la</strong> specialistica e <strong>la</strong> <br />

riabilitazione, rappresenta il quarto pi<strong>la</strong>stro sul quale poggia <strong>la</strong> Sanità. <br />

Integra l’assistenza e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> medica e viene considerato dal mondo sanitario come partner <br />

competente ed importante, soprattutto nell’orientamento del paziente. <br />

Strutture sanitarie certificate “amiche dei gruppi di Auto Aiuto” sfruttano queste <br />

competenze e si distinguono nell’ampliare le proprie competenze dall’esperienza dei <br />

Gruppi di Auto Aiuto e del contatto che questi hanno con i pazienti, che sostengono <br />

attivamente. <br />

Di seguito alcune strategie di intervento, anch’esse appartenenti a realtà nazionali e non, che <br />

integrano il trattamento psichiatrico tradizionale: <br />

• Trialogo o dialogo a tre (3) <br />

“Iniziativa che affronta le <br />

questioni intorno al<strong>la</strong> <br />

comunicazione, <br />

correggendo il tradizionale <br />

modello di interazione e <br />

comunicazione che si <br />

verifica solo tra paziente e <br />

professionista o tra il <br />

parente e chi se ne occupa. <br />

Comunque sia esercitato, il <br />

modello tradizionale esita <br />

in un gap comunicativo tra <br />

il professionista di salute <br />

mentale ed i familiari che <br />

può essere superato <br />

esclusivamente par<strong>la</strong>ndo ad una so<strong>la</strong> voce e in uno spirito di cooperazione. Il modello del <br />

“trialogo” -­‐ una discussione a tre tra utenti, professionisti e familiari -­‐ è stato usato in <br />

alcuni paesi con una modalità flessibile per affrontare questioni specifiche per il singolo <br />

paziente ed i familiari che se ne occupano.” <br />

• Il Dialogo aperto (5) <br />

È un modello fin<strong>la</strong>ndese di trattamento del<strong>la</strong> schizofrenia adottato da Seikku<strong>la</strong> e suoi <br />

col<strong>la</strong>boratori; grazie ad un trattamento psicoterapeutico familiare intensivo centrato sul<strong>la</strong> <br />

famiglia e sul<strong>la</strong> rete sociale dei pazienti vanta una percentuale di guarigione dell’81%. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

• Il Fare Assieme (4) <br />

Nel Servizio di salute mentale di Trento <strong>la</strong> psichiatria italiana di comunità è applicata con <br />

alcune specificità: il fareassieme e gli UFE (Utenti Familiari Esperti) hanno un obiettivo <br />

speciale: coinvolgere attivamente utenti e familiari nel percorso di <strong>cura</strong>. Il fareassieme <br />

sono tutte le attività, i gruppi, le aree di <strong>la</strong>voro promosse dal Servizio di salute mentale di <br />

Trento, in col<strong>la</strong>borazione con alcune Associazioni di categoria, in cui sono coinvolti al<strong>la</strong> <br />

pari utenti, familiari, operatori e cittadini che così imparano a <strong>la</strong>vorare assieme. <br />

Con gli anni in molti partecipanti alle attività del fareassieme è cresciuta <strong>la</strong> fiducia verso il <br />

Servizio, <strong>la</strong> voglia di essere maggiormente impegnati al suo interno, <strong>la</strong> consapevolezza del <br />

valore del proprio sapere esperienziale. Da qui <strong>la</strong> nascita ‘spontanea e dal basso’ degli UFE, <br />

che ‘<strong>la</strong>vorano dentro’ il sistema, fornendo, in modo strutturato e continuativo, delle <br />

prestazioni riconosciute. Affiancano gli operatori, ma non li sostituiscono, sono un valore <br />

aggiunto, migliorano il clima, favoriscono l’adesione ai trattamenti. <br />

Gli UFE sono dei professionisti, ‘esperti per esperienza’ e sono riconosciuti e retribuiti <br />

dall’Azienda sanitaria. <br />

In conclusione merita una menzione quest’iniziativa promossa all’interno dell’Ospedale Santo <br />

Spirito, orientata all’accoglienza e, quindi, assolutamente in linea con un approccio pluralista, <br />

centrato sul paziente: <br />

• Tavolo Interreligioso di Roma / Progetto Ospedale Santo Spirito (6) <br />

L’obiettivo del progetto è quello di migliorare <strong>la</strong> qualità dell’accoglienza dei servizi <br />

sanitari, nel rispetto dei Diritti dei cittadini nelle politiche a tute<strong>la</strong> del<strong>la</strong> salute pubblica. <br />

Evidenzia <strong>la</strong> necessità di proporre e realizzare modalità di accoglienza, orientamento ed <br />

assistenza ai cittadini, con partico<strong>la</strong>re riferimento agli aspetti re<strong>la</strong>zionali e alle differenze <br />

culturali e confessionali, che rappresentano le fondamenta di una cultura <br />

dell’umanizzazione delle cure e dell’Assistenza. È stato scelto un approccio pluralista ed <br />

interculturale in cui l’ascolto, <strong>la</strong> conoscenza, <strong>la</strong> comprensione e il confronto rivestono un <br />

ruolo essenziale. <br />

Auspicando quindi che i termini “comunicazione”, “cooperazione”, “integrazione” tra <br />

professionisti del mondo sanitario e pazienti non rimangano circoscritti al<strong>la</strong> so<strong>la</strong> buona volontà dei <br />

singoli, ma che diventino parte integrante del<strong>la</strong> quotidianità e delle politiche sanitarie, si riporta <br />

un’affermazione del Card. Carlo Maria Martini, estratta sempre dal sito del Tavolo Interreligioso di <br />

Roma: <br />

“…. procedendo sul<strong>la</strong> via del dialogo e comprensione tra le differenti culture e religioni, si <br />

possono trovare le profonde motivazioni di quel<strong>la</strong> comprensione, di quel<strong>la</strong> fiducia reciproca di <br />

cui sentiamo <strong>la</strong> grande importanza nel<strong>la</strong> nostra attuale situazione…” <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Note <br />

1. http://www.asdaa.it/download/Assistenza_Sanitaria_2020.pdf <br />

2. http://www.who.int/healthpromotion/about/HPR%20Glossary%201998.pdf <br />

3. http://www.psichiatria.it/wp-­‐content/uploads/2013/03/Gruppo-­‐di-­‐<strong>la</strong>voro-­‐SIRIF.pdf <br />

4. http://www.fareassieme.it/ <br />

5. www.psichiatriacritica.it <br />

6. (www.tavolointerreligiosodiroma.it) <br />

Alcuni spunti utilizzati per redigere il presente articolo sono tratti dai seguenti documenti: <br />

• “Rete sanitaria: un’opportunità?” a <strong>cura</strong> del Medico Cantonale – vol. IV no. 9 Tribuna <br />

MedicaTicinese <br />

http://www4.ti.ch/fileadmin/DSS/DSP/UMC/sportello/pubblicazioni/epidem/esp_0009.pdf <br />

• Il Community care quale possibile modello di integrazione socio-­‐sanitaria a livello territoriale <br />

di Luciana Ridolfi <br />

• Le reti: opportunità per una migliore composizione tra le ragioni del<strong>la</strong> qualità e quelle <br />

dell’efficienza di Tiziano Carradori, Francesca Bravi e Mattia Altini <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Perché è necessario un nuovo patto per <strong>la</strong> salute <br />

Ottavio Davini <br />

Quando si sente par<strong>la</strong>re di patto per <strong>la</strong> salute, dopo un momento di curiosità, ci si accorge che il <br />

tutto si traduce in documenti densi di indicazioni, riferimenti, prospettive, nei quali le Istituzioni <br />

definiscono i perimetri di re<strong>la</strong>zione e di competenze. Sono documenti che somigliano molto più a <br />

una forma obliqua di norma non vigente, una sorta di enunciazione delle regole del gioco, che a un <br />

reale patto. <br />

Anche perché i protagonisti veri del patto non sono quelli che lo sottoscrivono. <br />

È talora un po’ stucchevole l’abitudine, affrontando un tema, di rifarsi all’etimologia del<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> <br />

chiave, ma se un patto deve essere un accordo, un contratto, viene da chiedersi perché a questo <br />

patto (il cui ruolo non intendo disconoscere, segna<strong>la</strong>ndone qui solo l’incoerenza del contenuto con <br />

<strong>la</strong> definizione) non siano chiamati anche i veri protagonisti del<strong>la</strong> salute, che sono coloro che <br />

hanno come obiettivo <strong>la</strong> sua conservazione o il suo recupero (i cittadini e i pazienti) e coloro che <br />

a tale obiettivo dedicano le loro competenze e le loro energie (i professionisti sanitari). <br />

È forse quindi tempo che i patti si estendano, uscendo dalle stanze dei ministeri, e coinvolgano <br />

finalmente i protagonisti veri, rendendoli maggiormente partecipi e consapevoli dei loro diritti e <br />

dei loro doveri, trasformandoli da oggetto a soggetto. <br />

E molto c’è da fare su questa strada. <br />

Già qualche anno fa Richard Smith 9 parlò del<strong>la</strong> necessità di un nuovo contratto tra medici e <br />

pazienti, che prevedesse una maggiore consapevolezza reciproca dei rispettivi ruoli, dei limiti <br />

del<strong>la</strong> moderna scienza medica e delle aspettative (realistiche) che ne possono derivare. <br />

Il paziente, dice Smith, non può illudersi che attraverso <strong>la</strong> medicina sia risolvibile ogni proprio <br />

problema, ma sono soprattutto i professionisti che devono smettere di alimentare questa <br />

illusione. <br />

Un nuovo contratto dovrebbe prevedere che medici e pazienti sappiano che: <br />

o <strong>la</strong> morte, <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia e il dolore sono parte del<strong>la</strong> vita; <br />

o <strong>la</strong> medicina ha dei poteri limitati, specialmente nel risolvere problemi sociali, ed è rischiosa; <br />

o i medici non possono sapere tutto; <br />

o i pazienti non possono scaricare i loro problemi ai medici; <br />

o i medici dovrebbero essere chiari su questi limiti; <br />

9 R. Smith: Why doctors are so unhappy?, BMJ 2001;322:1073–4.<br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

o i politici dovrebbero abbandonare le promesse irrealistiche e concentrarsi sul<strong>la</strong> realtà. <br />

Ma un contratto di questa natura deve avere dei presupposti molto diversi da quelli nei quali <br />

navighiamo ogni giorno. <br />

Prima di tutto occorrerebbe che i professionisti sanitari, e i medici in partico<strong>la</strong>re, trovassero <br />

l’onestà di riconoscere i limiti del<strong>la</strong> medicina, anche quando questo ne potrebbe minare il <br />

prestigio e il ruolo sociale. Credo che <strong>la</strong> maggioranza di loro sia convinto di questa necessità, ma <br />

una minoranza non silenziosa, che ama le luci del<strong>la</strong> ribalta (e i vantaggi che ne derivano) continua <br />

ad alimentare, con il contributo dei media e spesso l’insipienza del<strong>la</strong> politica, aspettative <br />

irrealistiche. <br />

In secondo luogo sarebbe necessario che l’opinione pubblica, e di nuovo il ruolo di facilitatore da <br />

parte del<strong>la</strong> politica sarebbe cruciale, assumesse <strong>la</strong> consapevolezza (tra i doveri di cui accennavo in <br />

apertura, sollecitati da Romanow nel<strong>la</strong> sua indagine sul sistema sanitario canadese nel 2002) che <br />

<strong>la</strong> salute è frutto non solo delle magnificenze del<strong>la</strong> scienza medica, ma in primo luogo dei propri <br />

comportamenti e delle proprie azioni, riconoscendo a che pratica <strong>la</strong> medicina il ruolo di <br />

accompagnamento e informazione nelle scelte, ruolo che oggi viene sempre più spesso delegato <br />

al<strong>la</strong> compulsiva consultazione di pagine web. <br />

In ultimo, un contratto può trovare spazio se uno spazio viene creato: l’idea distorta di <br />

aziendalizzazione che si è fatta strada nell’ultimo ventennio, ha reso i principali indicatori utilizzati <br />

in sanità del tutto simili a quelli utilizzabili in un’acciaieria o in un <strong>la</strong>nificio: numero di tondini di <br />

ferro prodotti, numero di calze e maglioni, numero di esami e di interventi sanitari... <br />

Pur essendo indubbio che un monitoraggio dell’efficienza delle organizzazioni sanitarie sia <br />

indispensabile, è altrettanto certo che non si possa misurare <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> salute ottenuta <br />

attraverso <strong>la</strong> quantità <br />

delle prestazioni; ma i <br />

mantra dominante <br />

del<strong>la</strong> produttività <br />

spinge a contrarre <br />

sempre di più il tempo <br />

dedicato al<strong>la</strong> <br />

comunicazione tra <br />

paziente e medico, <br />

nell’illusione <br />

totalmente fal<strong>la</strong>ce che <br />

aumentando l’offerta <br />

si riesca a intercettare <br />

una domanda che <br />

invece, in queste <br />

condizioni, è destinata <br />

solo a crescere <br />

39


<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

ulteriormente. <br />

Forse <strong>la</strong> risposta è semplicemente nel tempo che viene dedicato al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione. Gli studi <br />

sull’effetto p<strong>la</strong>cebo dimostrano che una re<strong>la</strong>zione che al primo posto ponga l’ascolto ha di per se <br />

stessa un’azione terapeutica, riducendo l’ansia (e <strong>la</strong> necessità di ulteriori esami e visite, in una <br />

rincorsa senza fine). <br />

È ampiamente condiviso tra i medici, su base empirica, che, quando si riesce a dedicare più tempo <br />

al singolo paziente o ai suoi familiari, <strong>la</strong> inappropriatezza prescrittiva crol<strong>la</strong> e <strong>la</strong> soddisfazione dei <br />

pazienti cresce, senza bisogno di ricorrere all’ennesima Risonanza Magnetica o visita specialistica. <br />

E qui si apre un’altra questione: <strong>la</strong> medicina moderna ha rivoluzionato le nostre vite, risolvendo <br />

molti dei problemi di salute (creandone per <strong>la</strong> verità anche altri), contribuendo in modo <br />

importante (anche se non prevalente) ad allungare <strong>la</strong> durata e qualità del<strong>la</strong> vita e trasmettendo <br />

per conseguenza -­‐ più o meno volontariamente – una percezione di onnipotenza, che poi <br />

naturalmente si scontra ogni giorno con <strong>la</strong> realtà biologica e mortale del<strong>la</strong> nostra specie. <br />

E una delle declinazioni del potere moderno del<strong>la</strong> medicina è certamente <strong>la</strong> <br />

superspecializzazione, che ha amplificato l’approccio riduzionistico, trasformando ogni paziente <br />

in un insieme di pezzi ognuno dei quali ha il suo personale e specifico esperto (quelli che con <br />

delicata ironia Tiziano Terzani chiamava, nel suo libro L’ultimo giro di giostra, gli aggiustatori). <br />

L’importanza delle competenze specialistiche è fuori discussione, anche se qualche volta <strong>la</strong>scia un <br />

po’ attoniti scoprire che per un certo problema o per una certa ma<strong>la</strong>ttia si trova solo una manciata <br />

di professionisti sufficientemente competenti (e talora non si trovano neppure quelli, tanto poco <br />

ancora sappiamo). Cosicché il frazionamento progressivo delle competenze tecniche sembra <br />

condurre talora al<strong>la</strong> paradossale definizione che diede George Bernard Shaw: Lo specialista è colui <br />

che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di niente. <br />

Certo l’ampliarsi delle conoscenze rende in parte indispensabile anche il potenziamento delle <br />

conoscenze settoriali, e l’obiezione sarcastica che mi sembra rapidamente affiorare potrebbe <br />

essere: preferiresti finire nelle mani di un neurochirurgo che ha un approccio olistico ma che <br />

conosce solo approssimativamente l’anatomia del tuo cervello? <br />

Certo che no. <br />

Ma chiamo in soccorso Atul Gawande 10 , che nel suo ultimo libro, “Being mortal. Medicine and <br />

what matters in the end”, mette a parte il lettore di una significativa esperienza personale, che <br />

solleva il velo non solo sul tema del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione medico-­‐paziente, ma anche su quello, così <br />

frequentemente rimosso, del fine vita. <br />

Verso <strong>la</strong> fine del libro Gawande ci racconta <strong>la</strong> storia del declino e del<strong>la</strong> morte di suo padre a causa <br />

di un tumore del midollo spinale. <strong>La</strong> sua esperienza come chirurgo si liquefa come neve al sole e <br />

10 Atul Gawande è un chirurgo americano di origine indiana nato nel 1965. Autore di diversi libri e ricercatore di Public<br />

Health, chirurgo generale ed endocrino presso il Brigham and Women Hospital, professore sia presso il Dipartimento di<br />

politica e gestione sanitaria del<strong>la</strong> Harvard School of Public Health e il Dipartimento di Chirurgia presso <strong>la</strong> Harvard<br />

Medical School.<br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Atul si ritrova a navigare, debole e inadeguato, tra dubbi e incertezze come un figlio piuttosto che <br />

come un clinico. È il figlio preoccupato, non il chirurgo di Boston, che riflette sulle qualità dei <br />

medici <strong>cura</strong>nti di suo padre, chirurgo anch’egli: e sceglie rapidamente, preferendo a certa <br />

sprezzante arroganza l’onestà del riconoscimento delle incertezze e <strong>la</strong> disponibilità ad accettare <br />

rischi. Il primo neurochirurgo che consultano dopo <strong>la</strong> diagnosi “aveva l’aria del professore di fama, <br />

autoritario, sicuro di sé. Ascolta, disse a mio padre, il tumore è pericoloso. Io, il neurochirurgo, ho <br />

una vasta esperienza nel trattare questo tipo di tumori. Nessuno ne ha più di me. <strong>La</strong> decisione per <br />

mio padre era se voleva fare qualcosa per il suo tumore. Se voleva, lui poteva aiutarlo. In caso <br />

contrario, quel<strong>la</strong> sarebbe stata una scelta di mio padre. Quando il neurochirurgo finì di par<strong>la</strong>re, <br />

mio padre non fece altre domande. Ma decise anche che da quell’uomo non si sarebbe fatto <br />

operare.” Gawande si accorge come sia più efficace <strong>la</strong> comunicazione dei medici quando gettano a <br />

mare <strong>la</strong> loro posizione di indipendenti osservatori clinici e par<strong>la</strong>no in termini più empatici: “Sono <br />

preoccupato per il tuo tumore perché...” E al<strong>la</strong> fine si rende conto che talvolta <strong>la</strong> decisione più <br />

coraggiosa e più umana non è quel<strong>la</strong> di tentare a ogni costo, ma quel<strong>la</strong> di non fare. <br />

Quando il tempo del padre arriva al<strong>la</strong> fine, Gawande ha <strong>la</strong> presenza di spirito di chiedergli: <br />

"Quanto sei disposto ad affrontare solo per avere <strong>la</strong> possibilità di vivere più a lungo?" <strong>La</strong> risposta <br />

aiuta a guidare il padre a una morte re<strong>la</strong>tivamente serena tra le braccia del<strong>la</strong> sua famiglia, <br />

evitando una fine tecnologizzata in un reparto di terapia intensiva. <br />

Il messaggio che risuona attraverso le pagine di Being Mortal è che, in fondo, le nostre vite <br />

sono una narrazione e noi vorremmo essere gli autori delle nostre storie; e il capitolo finale di <br />

una storia è il più importante di tutti. <br />

E più in generale, ancora una volta il tempo, l’ascolto, <strong>la</strong> condivisione, possono portare a quel <br />

metodo che gli anglosassoni chiamano “shared decision making”, nel quale le decisioni su come <br />

scrivere i capitoli del<strong>la</strong> propria vita poggiano sia sulle armi potenti (ma non onnipotenti) del<strong>la</strong> <br />

medicina moderna sia sui valori (“values”) di cui ognuno di noi è portatore. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Re<strong>la</strong>zioni di <strong>cura</strong> e <strong>cura</strong> delle re<strong>la</strong>zioni <br />

Simone Bellis <br />

Stiamo osservando in questi anni una crisi del sistema sanitario, che costringe tutti i professionisti <br />

del settore a porsi serie domande non soltanto sul metodo, ma anche sugli obiettivi dei diversi <br />

processi di <strong>cura</strong>. <br />

Come prima cosa è bene realizzare che stiamo par<strong>la</strong>ndo appunto di un sistema, e come tale le <br />

problematiche vanno quindi esaminate in chiave sistemica. <br />

Troppo spesso i problemi in sanità vengono affrontati per compartimenti, nello stesso modo <br />

purtroppo con cui ancora vengono gestiti i percorsi di <strong>cura</strong>. <br />

A onor del vero bisogna ammettere che un numero sempre maggiore di operatori sanitari ha <br />

preso coscienza del<strong>la</strong> situazione e si stanno organizzando dei percorsi di <strong>cura</strong> sistemici, con <br />

fortune alterne. <br />

Per capire quanto sia grande il passo da fare per raggiungere questo risultato bisogna partire dal <br />

piccolo, considerando ad esempio <strong>la</strong> salute di un singolo individuo. <br />

Da anni è stato esplicitato un concetto di salute olistico che riguarda non solo l’assenza di ma<strong>la</strong>ttia <br />

o il benessere fisico, ma che considera anche <strong>la</strong> sfera psico – emotiva e sociale del<strong>la</strong> persona. <br />

Questo si dovrebbe considerare ormai un assunto per ogni professionista sanitario, ma quanti <br />

realizzano veramente <strong>la</strong> responsabilità che questo criterio porta nel nostro agire? <br />

Immaginiamo un singolo individuo con un generico problema di salute nel<strong>la</strong> sfera fisica. Questo <br />

inciderà negativamente sul suo umore, realisticamente creerà ulteriori problemi nel<strong>la</strong> sua sfera <br />

sociale. A questo punto le persone incluse nel<strong>la</strong> sua sfera sociale saranno influenzate dal<strong>la</strong> <br />

ma<strong>la</strong>ttia, che ormai ha già trasceso <strong>la</strong> sfera fisica, e lo saranno maggiormente quanto più sono <br />

vicini al ma<strong>la</strong>to. <br />

Esattamente come un batterio <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia si espande e muta. Da cardiopatia nel paziente zero <br />

diventerà depressione o ansia nel successivo, si trasmetterà su un collega di <strong>la</strong>voro tramite lo <br />

stress, diventerà gastrite e poi ulcera. Diventa impossibile prevedere <strong>la</strong> reale portata di un evento <br />

e il suo peso per <strong>la</strong> società in termini di salute e risorse. <br />

Pensiamo ora che i nostri assistiti non solo possono generare una propria catena di eventi, ma <br />

sono a loro volta inclusi nel<strong>la</strong> catena di eventi di un numero non definibile di altre persone. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Al<strong>la</strong> luce di questo è doveroso che ognuno di noi si ponga delle domande tanto scontate quanto di <br />

difficile soluzione. <br />

Quali devono essere gli obiettivi del<strong>la</strong> sanità? <br />

<strong>La</strong> risposta parrebbe ovvia: perseguire <strong>la</strong> salute degli individui e del<strong>la</strong> comunità. Come arrivare a <br />

questo, purtroppo, è decisamente meno ovvio. <br />

Fino a che punto dobbiamo farci carico delle conseguenze del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia? <br />

Qui ci scontriamo con l’inerzia dei vecchi sistemi. Il cardiologo si occuperà del problema <br />

cardiologico e questioni direttamente corre<strong>la</strong>te. Oltre al<strong>la</strong> divisione per compartimenti sanitari <br />

osserviamo anche una frammentazione su basi geografiche. <br />

Di cosa abbiamo bisogno per <br />

svolgere il nostro <strong>la</strong>voro? <br />

Fino a qualche anno fa una <br />

domanda del genere <br />

avrebbe avuto facile <br />

risposta. Una risposta che si <br />

sarebbe concentrata su <br />

strumenti e risorse necessari <br />

per agire direttamente sul<strong>la</strong> <br />

patologia. Tenendo però <br />

bene a mente il concetto di <br />

salute e <strong>la</strong> natura sistemica <br />

del<strong>la</strong> stessa, risulta evidente <br />

come quello di cui si abbia <br />

veramente bisogno è un <br />

grosso cambio di paradigma <br />

in sanità. <br />

<strong>La</strong> salute va affrontata come un sistema complesso. Non possiamo più concederci il lusso di <br />

tentare di ricondurre ogni processo a un rapporto di causa – effetto, come un vettore che ci porta <br />

dal punto A al punto B. <strong>La</strong> verità è che arriviamo dal punto A al punto B solo grazie al<strong>la</strong> risultante di <br />

un numero imprecisato di vettori, di cui dobbiamo individuare forza e verso con <strong>la</strong> migliore <br />

approssimazione possibile. <br />

Se quindi è un errore tentare di semplificare e frammentare ciò che è per propria natura <br />

complesso, sarebbe ugualmente un errore pensare che di questa continuità assistenziale <br />

debbano farsi carico delle strutture che sono comunque ancora divise per compartimenti. I <br />

professionisti stessi sono formati in re<strong>la</strong>zione a un organo o un tipo di patologia, e in molti casi non <br />

potrebbe essere diversamente, considerato l’altro grado di specializzazione richiesto. Sarebbe <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

assurdo formare dei professionisti altamente specializzati per farsi carico di problemi multi <br />

fattoriali esterni al<strong>la</strong> propria disciplina. <br />

Tornando ancora una volta al concetto di salute dobbiamo anche considerare le difficoltà di <br />

comunicazione e interazione tra il sistema sanitario e i servizi sociali. Facendo riferimento al <br />

concetto olistico di salute non possiamo più accettare questa forzata divisione tra sanità e <br />

politiche sociali. <br />

Ciò che impedisce quindi una piena realizzazione del<strong>la</strong> continuità assistenziale, oltre che del<strong>la</strong> <br />

presa in carico di individui e comunità in senso olistico, non è tanto un errore di fondo nel<strong>la</strong> <br />

pratica delle varie figure specialistiche, quanto <strong>la</strong> mancata evoluzione del sistema e del<strong>la</strong> <br />

sconcertante assenza di un sistemista. Una figura che comprenda il sistema, sappia prendersene <br />

<strong>cura</strong> e che sia in grado di aiutare i professionisti e gli utenti ad interfacciarsi ad esso nel migliore <br />

dei modi. <br />

Come sempre capita ogni problema si accompagna ad una opportunità, ed anche questo è il caso. <br />

Esiste una figura di formazione eclettica, che se confinata in un determinato ambito viene spesso <br />

confusa con una figura generalista: l’infermiere. <br />

L’infermieristica è andata incontro a degli importanti cambiamenti negli ultimi anni, per cui <br />

potremmo dire che sia nel complesso una professione re<strong>la</strong>tivamente giovane. Osservando il <br />

profilo sanitario e il codice deontologico vediamo come l’infermieristica sia già proiettata verso il <br />

cambio di paradigma sanitario, essendo naturalmente incentrata sugli individui e non sulle <br />

patologie, e con una formazione adatta per svolgere quel ruolo di sistemista di cui sopra. <br />

Per contro, forzare gli infermieri a <strong>la</strong>vorare quasi esclusivamente negli ospedali o in un modello <br />

per funzioni disattende le aspettative professionali e può causare attriti con altre figure. <br />

Con un campo di azioni limitato l’infermiere tende a sviluppare gli strumenti specifici per <br />

determinate funzioni, andando così a sovrapporre il proprio campo di azione con quello di altre <br />

figure professionali. Questo non è di per sé un male, a patto che non si perda di vista il core del<strong>la</strong> <br />

professione, l’assistenza. L’infermiere ha come obiettivo <strong>la</strong> soddisfazione dei bisogni dell’assistito; <br />

<strong>la</strong> risoluzione di un problema clinico o di altro tipo è un passo per raggiungere lo scopo, ma non è <br />

certo il fine del<strong>la</strong> professione. <br />

Mettendo gli infermieri nel<strong>la</strong> condizione di poter svolgere questa funzione di sistemista, di care <br />

management, si potrà risolvere l’anomalia sistemica che impedisce a chi si occupa di salute di <br />

farlo in modo olistico. <br />

Immaginiamo quindi di avere una figura che si possa occupare dell’analisi dei bisogni <br />

dell’individuo. Come già detto, <strong>la</strong> formazione infermieristica permette di analizzare i bisogni non <br />

soltanto in ambito clinico, ma anche psico – emotivo e sociale. Invece che concentrarsi su <br />

determinati eventi occorsi durante il processo di <strong>cura</strong>, l’infermiere dovrebbe seguire il percorso di <br />

<strong>cura</strong> nel complesso, interagendo con le diverse figure specialistiche per <strong>la</strong> risoluzione di problemi <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

specifici e complessi e sostenendo una rete assistenziale che includa altri infermieri, al fine da <br />

garantire <strong>la</strong> continuità nel momento in cui l’assistito sarà preso in carico da altri. <br />

Un altro aspetto positivo è l’introduzione di un ulteriore punto di vista nell’e<strong>la</strong>borazione dei <br />

processi di <strong>cura</strong>. L’analisi dei bisogni e il supporto di un’ulteriore professionista aiuterebbe, ad <br />

esempio, i medici nell’appropriatezza prescrittiva. Esplicitando fortemente i criteri di scelta non <br />

soltanto in base al risultato clinico circoscritto a un determinato evento o momento, ma al <br />

benessere dell’individuo e del<strong>la</strong> comunità, i medici avrebbero un ulteriore supporto per poter <br />

evitare le prescrizioni inappropriate. <br />

Non soltanto gli assistiti sarebbero presi in carico, ma tutti i professionisti sarebbero supportati e <br />

agevo<strong>la</strong>ti nel mantenere una rete di <strong>cura</strong> più efficace ed efficiente. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

<strong>La</strong> competenza del paziente <br />

Dafne Rossi <br />

Sono una paziente oncologica dal gennaio del'98; dopo <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia ho avuto una forte depressione <br />

perché, pur avendo una famiglia meravigliosa che mi è stata vicina con tutto il suo amore, le <br />

vicende personali che hanno preceduto <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia, 5 morti, quattro per tumore, tra le quali mia <br />

madre e mia sorel<strong>la</strong> nell'arco di poco più di un anno, avevano minato le mie risorse psicologiche, <br />

tanto da farmi sprofondare nel buio. <br />

Io avevo <strong>la</strong> percezione di quello che mi stava accadendo, stavo perdendo il controllo, ma il mio <br />

medico non mi è stato di aiuto e non ha capito, limitandosi a prescrivermi del valium, fino a che le <br />

cose sono precipitate con crisi di panico ripetute. <br />

Al<strong>la</strong> fine ho trovato uno psicologo che, con l'aiuto di una terapia molto pesante datami da uno <br />

psichiatra, mi ha fatto uscire fuori dal tunnel. Ho trovato qualcuno che si è preso <strong>cura</strong> di me, mi ha <br />

teso una mano, mi ha ascoltata e mi ha fatto sentire meno so<strong>la</strong> e meno diversa. <br />

Passato il momento peggiore mi ha introdotta in un gruppo di auto aiuto ed ho incominciato a <br />

capire l'importanza del contributo che le associazioni dei pazienti possono dare. <br />

Abbiamo <strong>la</strong>vorato insieme 12 anni,mi ha insegnato che potevo aiutare gli altri, previa una <br />

preparazione che mi consentisse di muovermi nel mondo del<strong>la</strong> sanità e che esistono vari livelli di <br />

volontariato, quello diretto di assistenza alle persone bisognose e quello volto a tute<strong>la</strong>re i loro <br />

diritti. <br />

Facendo parte del Consiglio di una importante Associazione di livello internazionale, ho <br />

incominciato a frequentare convegni e congressi in Italia e all'estero, conoscendo realtà molto <br />

diverse dalle nostre, nelle quali il peso dei cittadini era già rilevante. Ho continuato <strong>la</strong> mia <br />

formazione anche con l'Istituto Negri con il quale da anni col<strong>la</strong>boro, che ha al<strong>la</strong>rgato le mie <br />

conoscenze nel campo delle interazioni fra ricerca e case farmaceutiche, sui conflitti di interesse, <br />

sull'eccessivo uso di farmaci ed esami, sull'aiuto che "cittadini esperti" potevano portare in <br />

sanità, con vantaggi oggettivi sia per il sistema che per i ma<strong>la</strong>ti. <br />

Non ho mai smesso di studiare e nel<strong>la</strong> mia regione, che ha deciso avvalendosi anche del Negri di <br />

formare un gruppo di cittadini, è nato il G.A.R.T. i cui membri col<strong>la</strong>borano con il Rischio Clinico, <br />

sono nei Comitati di Partecipazione aziendali, partecipano al<strong>la</strong> formazione, cioè sono inseriti nel <br />

sistema. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Ho partecipato per diversi anni, gestendole, a lezioni per studenti di medicina del secondo e <br />

terzo anno, sul<strong>la</strong> comunicazione medico paziente; dopo essermi presentata chiedevo agli <br />

studenti le motivazioni che li avevano spinti a scegliere medicina: <strong>la</strong> spinta giusta l'avevano in <br />

pochi, molti, troppi perché il padre o <strong>la</strong> madre erano medici, molti perché si aspettavano prestigio <br />

sociale e denaro, solo una picco<strong>la</strong> parte perché volevano contribuire a <strong>cura</strong>re le persone <br />

sofferenti. <br />

L'esperienza è stata bel<strong>la</strong> e formativa molti di quei ragazzi, ora medici, mi fermano ancora per <br />

dirmi di aver imparato a guardare i ma<strong>la</strong>ti in un modo diverso e che le mie parole ancora li <br />

accompagnano. <br />

Il cittadino che si amma<strong>la</strong> entra in un mondo fatto di ansia, paura, incertezza del domani e di <br />

solitudine fisica e morale, l'unica luce in questo tunnel è rappresentata dai medici che sono, per <br />

il ma<strong>la</strong>to, <strong>la</strong> speranza: avere un compito cosi importante e impegnativo dovrebbe essere motivo <br />

di orgoglio e di impegno, <br />

unica preoccupazione non <br />

tradire quel<strong>la</strong> speranza. <br />

<strong>La</strong> solitudine del ma<strong>la</strong>to si <br />

trascina nelle ore passate <br />

ad attendere un esame o <br />

una visita, oppure in <br />

quelle attaccato ad una <br />

flebo che è veleno,cosa di <br />

cui è consapevole, ma che <br />

rappresenta <strong>la</strong> so<strong>la</strong> arma <br />

contro il male e quindi è <br />

accettata nel<strong>la</strong> speranza di <br />

guarire. <br />

<strong>La</strong> solitudine assale nelle ore durante le quali <strong>la</strong> gente normale è impegnata nelle incombenze <br />

del<strong>la</strong> vita, il <strong>la</strong>voro, i figli, <strong>la</strong> spesa, tutto ciò che fino a poco prima era parte importante di chi ora <br />

sta passando le giornate pensando al<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia, al<strong>la</strong> vita trascorsa, al tempo sprecato, al<strong>la</strong> <br />

superficialità con <strong>la</strong> quale aveva evitato di soffermarsi sulle persone amma<strong>la</strong>te. <br />

Solo ora si comprende quanto importante sia <strong>la</strong> presenza di qualcuno accanto, quanto preziosi <br />

siano i momenti in compagnia, momenti che vo<strong>la</strong>no via veloci come lentissimo è il tempo del<strong>la</strong> <br />

solitudine. <strong>La</strong> ma<strong>la</strong>ttia cambia i rapporti fra le persone, si ha bisogno degli altri e si teme di <br />

essere di peso, si ricordano le volte nelle quali, andando a trovare un ma<strong>la</strong>to, si desiderava solo <br />

andare via perché l'odore stesso del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia spaventa, fa pensare ed è più facile evitare di farlo <br />

rituffandosi nel<strong>la</strong> vita normale. Anche in famiglia è difficile evitare che <strong>la</strong> solitudine pesi su chi sta <br />

male, perché <strong>la</strong> vita continua il suo corso e quindi,anche volendo passare più tempo con chi soffre, <br />

risulta impossibile farlo. Il ma<strong>la</strong>to passa molto tempo a contatto con i professionisti deputati alle <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

sue cure, che sono lì con questo compito, prendersi <strong>cura</strong> di lui, ma stranamente loro stessi non <br />

hanno tempo per fare quello che è il loro <strong>la</strong>voro, per cui sono pagati anche con le tasse del ma<strong>la</strong>to <br />

che stanno assistendo. <br />

Oggi <strong>la</strong> medicina è multidisciplinare, “iperspecialistica”, ipertecnologica, peccato che si sia persa <br />

<strong>la</strong> dimensione umana del<strong>la</strong> medicina stessa, che oggi è rivolta alle ma<strong>la</strong>ttie e non a coloro che ne <br />

sono affetti, prende in considerazione gli organi e non l'essere umano di cui fanno parte. <br />

Riflettiamo sull'umiliazione di sentirsi guardato dall'alto in basso, di entrare in un ambu<strong>la</strong>torio <br />

senza che il medico si alzi per presentarsi e salutare come usa fra persone civili, degli inseguimenti <br />

nei corridoi per par<strong>la</strong>re con un medico che fa finta di non vedere e che finge di non sentire e che, <br />

quando si ferma, manifesta in modo così palese il proprio fastidio da far provare vergogna a chi <br />

l'ha fermato. <br />

Pensate al<strong>la</strong> frustrazione di stare disteso su un letto, guardando da sotto in su un gruppo di <br />

medici ed infermieri che par<strong>la</strong>no fra loro come se il ma<strong>la</strong>to non fosse presente; dovrebbero <br />

par<strong>la</strong>re con lui, ma non è così. Il ma<strong>la</strong>to si pone, si sente su un piano diverso ed accetta tutto, <br />

perché non si sente come gli altri: questo lo rende fragile ed insicuro, incapace di pretendere quel <br />

rispetto cui avrebbe diritto, non ha <strong>la</strong> forza di ribel<strong>la</strong>rsi per paura di ritorsioni, vergognandosi quasi <br />

del suo stato, come se sua fosse <strong>la</strong> colpa del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia. <br />

Chi soffre ha bisogno di qualcuno che lo ascolti, che lo aiuti a tirare fuori il groviglio di rabbia, <br />

paura, frustrazione e dolore che ha dentro; non può farlo con i familiari per pudore e per non <br />

creare ulteriori preoccupazioni, sa anche che non lo potrebbero capire, perché solo chi ha provato <br />

può comprendere il tormento che lo pervade. <br />

Le associazioni di pazienti sono utilissime, sanno per esperienza cosa sta passando quel ma<strong>la</strong>to e <br />

rappresentano un elemento positivo, sono fatte di persone che dopo <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia aiutano gli altri <br />

quindi incarnano <strong>la</strong> speranza di guarire. <br />

Lo spazio di gestione sfugge al ma<strong>la</strong>to, è di competenza dei <strong>cura</strong>nti che devono pianificare i <br />

percorsi in funzione dei pazienti, tenendo conto delle loro esigenze e del<strong>la</strong> loro fragilità; i rapporti <br />

non devono essere asettici ed informali ma soprattutto improntati al rispetto di coloro che <br />

soffrono: i medici devono par<strong>la</strong>re ed ascoltare, solo i pazienti sono fonte di informazioni dirette ed <br />

insostituibili. <br />

L'assurda divisione esistente fra ospedale e territorio causa ancora maggiori disagi, il territorio <br />

deve rispondere ai bisogni di chi sta male, non ci possono essere giorni o notti durante i quali non <br />

si ha un punto di riferimento certo che non sia altro che il Pronto Soccorso, per poi <strong>la</strong>mentarsi <br />

perché è usato anche a sproposito. Chi sta male non sa quanto sia grave <strong>la</strong> sua ma<strong>la</strong>ttia, ha <br />

bisogno di risposte e cure e va dove può ottenerle; occorre quindi istituire presidi a cui potersi <br />

rivolgere. I tanti specialisti che si occupano dei pazienti devono trovare il modo per interagire ed <br />

occorre qualcuno che faccia sintesi, sia riferimento fisso per il paziente, che, data <strong>la</strong> sua fragilità, <br />

va aiutato nei percorsi con un accompagnamento costante dentro e fuori l'ospedale. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

<strong>La</strong> rete di protezione non può fare a meno dei "cittadini esperti" sia per <strong>la</strong> parte assistenziale sia <br />

per <strong>la</strong> parte gestionale, col<strong>la</strong>borare insieme vuol dire per il medico conoscere una serie di problemi <br />

e di difficoltà che i suoi pazienti affrontano, sui quali non ha mai riflettuto, vuol dire fare a meno <br />

dell'autoreferenzialità che impedisce al sistema di emendarsi, diventare più giusto e più equo <br />

verso i più deboli ed indifesi. <br />

Molti cittadini sono pronti a col<strong>la</strong>borare non solo sul piano assistenziale ma anche su quello <br />

organizzativo e valutativo, è necessario comprendere che solo una col<strong>la</strong>borazione ampia e senza <br />

pregiudizi, porterà ad un miglioramento sia per i pazienti che per il sistema. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

<strong>La</strong> rete europea del<strong>la</strong> prevenzione all’obesità in età <br />

pediatrica <br />

Arianna Radin <br />

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” sosteneva Tancredi ne Il <br />

Gattopardo. Fortunatamente, questa espressione sembra inadatta per raccontare <strong>la</strong> rete di <br />

attività che vogliono spezzare il ciclo intergenerazionale dell’obesità. Infatti, dal 2006, anno <br />

del<strong>la</strong> primo documento programmatico europeo in merito all’eccesso di peso, <strong>la</strong> WHO <br />

European Ministerial Conference on Counteracting Obesity. Diet and Physical Activity for Health, <br />

al 2013, quando è stata sig<strong>la</strong>ta <strong>la</strong> Vienna Dec<strong>la</strong>ration on Nutrition and Noncommunicable <br />

Diseases in the Context of Health 2020, sono stati realizzati sei <strong>la</strong>vori, tra studi e progetti, <br />

costruiti dai professionisti sanitari in rete tra loro e con le famiglie e le comunità del <br />

territorio: Epode European Network (dal 2008) e Epode International Network (dal 2011), <br />

aggregatori di progetti locali ; ENERGY (2009-­‐2012) e UP4FUN (2011-­‐2012), che si occupano <br />

del bi<strong>la</strong>nciamento energetico dei bambini; TOYBOX (2010-­‐2014) dedicato ai bambini entro i 5 <br />

anni ed infine EARLY NUTRITION (dal 2012) che studia l’impatto del programming <br />

nutrizionale. <br />

In questo articolo si cercherà pertanto di evidenziare, <strong>la</strong>ddove documentata, <strong>la</strong> <br />

creazione del<strong>la</strong> rete reale e di quel<strong>la</strong> virtuale ed il coinvolgimento delle famiglie, degli <br />

insegnanti e degli stakeholders locali. <br />

Prima di entrare nelle maglie di questa rete, occorre però fare alcune precisazioni. <br />

Innanzitutto, l’analisi di questi progetti nasce da uno studio più ampio realizzato tra il 2012 e <br />

il 2014 e non pretende di essere una fotografia dell’attuale situazione. In secondo luogo, non <br />

si vuole stabilire un nesso causale diretto tra distribuzione progetti ed efficacia di questi studi <br />

e progetti: sono infatti partico<strong>la</strong>rmente attivi tanto Paesi quali <strong>la</strong> Francia o il Belgio che si <br />

trovano al fondo del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssifica europea per sovrappeso e obesità in età pediatrica quanto <br />

l’Uk, <strong>la</strong> Spagna e <strong>la</strong> Grecia, che invece si trovano nel<strong>la</strong> situazione opposta. <br />

Ciò che spinge un gruppo di ricercatori e professionisti sanitari ad entrare o meno in un <br />

network internazionale non è facilmente ricavabile, se non attraverso deduzioni legate ad una <br />

diversa sensibilità al tema dell’alimentazione e dell’attività fisica o al<strong>la</strong> facilità di accesso a dati <br />

o scambi di informazioni: probabilmente conta anche, ma questo potrebbero essere solo <br />

specu<strong>la</strong>zioni intellettuali, <strong>la</strong> vicinanza geografica alle sedi dell’Unione Europea. In terzo luogo, <br />

infine, come si può notare dal<strong>la</strong> Tabel<strong>la</strong> 1 11 ci sono i Paesi dell’Europa Centrale che sembrano <br />

essere stati esclusi dal circuito e manca un’affinità di intenti tra i Paesi dell’area mediterranea, <br />

che avrebbero un facile punto in comune nell’ omonima dieta. <br />

11 Sebbene EARLY NUTRION e EIN, abbiano un respiro decisamente internazionale, sono stati inseriti nel<strong>la</strong> tabel<strong>la</strong> solo i progetti<br />

europei.<br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Tabel<strong>la</strong> 1 – <strong>La</strong> rete di studi e progetti sull’obesità in età pediatrica in Europa tra il 2006 <br />

e il 2013 <br />

EPODE <br />

ENERGY <br />

EEN <br />

EIN <br />

EARLY <br />

NUTRITION <br />

TOYBOX <br />

Austria <br />

Belgio <br />

Bulgaria <br />

Danimarca <br />

Francia <br />

Germania <br />

Grecia <br />

Ir<strong>la</strong>nda <br />

Israele <br />

Italia <br />

Norvegia <br />

Paesi Bassi <br />

Polonia <br />

Portogallo <br />

Romania <br />

Slovacchia <br />

Spagna <br />

Uk <br />

Ungheria <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Quest’ultimo aspetto può essere facilmente spiegato dal fatto che il primo progetto in rete di <br />

contrasto all’obesità in età pediatrica sia stato realizzato nel cuore dell’Europa e più <br />

precisamente in Francia. <br />

Il progetto francese Ensemble Prévenons l’Obésité Des Enfants, meglio noto con l’acronimo <br />

Epode, è infatti l’implementazione del progetto FLVS, realizzato a partire dal 1992 in tre cicli <br />

da un lustro ciascuno nelle due città del nord del<strong>la</strong> Francia, Fluerbaix e <strong>La</strong>ventie, al confine <br />

con il Belgio appunto. Nonostante il buon successo dell’iniziativa, che aveva portato ad una <br />

diminuzione dell’aumento del<strong>la</strong> prevalenza del sovrappeso, gli ideatori del progetto erano <br />

convinti che agire solo nell’ambiente sco<strong>la</strong>stico non fosse sufficiente e che fosse necessario <br />

aprirsi all’intera comunità, coinvolgendo le strutture di ristorazione quanto le associazioni <br />

sportive, le famiglie quanto i rappresentanti politici, gli operatori sanitari quanto tutti i <br />

potenziali stakeholders <br />

locali, pubblici o provati che <br />

fossero. <br />

E’ questo approccio <br />

multidimensionale che ha <br />

trasformato il progetto nel <br />

cosiddetto modello Epode, <br />

garantito dall’ Epode Central <br />

Coordination Team (CCT) e <br />

dai diversi local manager. <br />

Il CCT ha il compito di <br />

mobilitare le risorse tra <br />

tutti gli stakeholders del<strong>la</strong> <br />

comunità e pro<strong>cura</strong>rsi <br />

l’endorsement degli attori <br />

politici locali, definire con <br />

il local manager gli strumenti metodologici più adatti per sviluppare il progetto e poi valutarlo <br />

e comunicarne le fasi e i risultati, mentre il local manager, oltre ad avere un ruolo di raccordo, <br />

ha anche il compito di occuparsi delle misurazioni (peso e altezza) per un efficace <br />

monitoraggio, secondo lo schema proposto nel<strong>la</strong> figura 12 . <br />

Anche gli altri studi e gli altri progetti hanno un coordinamento centrale, ma certamente meno <br />

organizzato verticisticamente. Passando al<strong>la</strong> rete virtuale, tutti gli studi e i progetti <br />

realizzati tra il 2006 e il 2013 analizzati hanno un sito internet dedicato e attivo anche <br />

oltre <strong>la</strong> chiusura del progetto. EEN e EIN hanno anche una pagina Facebook dedicata, <br />

mentre solo Early Nutrition ha anche un account Twitter. <br />

Il sito internet di quest’ultimo progetto costituisce un’eccezione anche per <strong>la</strong> volontà di <br />

proporre una timida traduzione dei materiali dello studio disponibili online con le sue due <br />

12 Rie<strong>la</strong>borazione e traduzione a <strong>cura</strong> dell’autrice.Fonte: Borys, J. M., Le Bodo, Y., Jebb, S. A., Seidell, J. C., Summerbell, C., Richard,<br />

D., ... & Swinburn, B. (2012). EPODE approach for childhood obesity prevention: methods, progress and international development,<br />

Obesity reviews, 13(4), 299-315. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

sezioni, una scientifica e una per il pubblico, e soprattutto per essere il collegamento con l’ <br />

ENeA, l’Early Nutrition e-­‐Academy, una piattaforma di e-­‐learning creata nel 2012 che propone <br />

sporadiche conferenze e quattro moduli formativi -­‐ nutrizione e stile di vita nel<strong>la</strong> gravidanza, <br />

al<strong>la</strong>ttamento, alimentazione con <strong>la</strong>tte artificiale e alimentazione complementare nel<strong>la</strong> prima <br />

infanzia-­‐ aperti non solo agli esperti. <br />

<strong>La</strong> volontà di aprirsi al<strong>la</strong> comunità sembra caratterizzare molti dei progetti e degli studi <br />

analizzati, come si legge dai rispettivi siti internet: “proporre un nuovo approccio che <br />

coinvolga tutte le parti interessate” (EEN), “realizzare un sistema di prevenzione school <br />

based e che preveda il coinvolgimento delle famiglie (ENERGY), “sviluppare un intervento <br />

che coinvolga <strong>la</strong> famiglia” (TOYBOX). <br />

In realtà il coinvolgimento dei genitori rimane più sul<strong>la</strong> carta, letteralmente, che nel<strong>la</strong> pratica. <br />

Ad esempio, per i genitori coinvolti in EEN e EIN vengono realizzati opuscoli informativi in <br />

merito al consumo di frutta e verdura, distribuiti nelle scuole, nei centri medici, nelle <br />

farmacie, nei supermercati, insomma nei luoghi di aggregazione frequentati dalle famiglie <br />

del<strong>la</strong> comunità, ricette sane ed economiche e generici poster informativi 13 . <br />

O ancora, in Toybox, che è kingergaten-­‐based , ai genitori vengono distribuite fino a nove <br />

newsletters e otto tip cards, ovvero brevi indicazioni in merito all’importanza di mangiare <br />

bene, muoversi e bere acqua. Questo progetto sembrerebbe, infatti, essere indirizzato <br />

principalmente ai docenti degli asili nei quali il progetto si svolge: a loro viene chiesto di <br />

cambiare l’ambiente sco<strong>la</strong>stico in modo che siano facilmente accessibili e a disposizione acqua <br />

e merende sane nonché un adeguato spazio per svolgere moderate attività fisica due volte al <br />

mattino e due al pomeriggio; viene chiesto loro di ricordare ai bambini con una certa <br />

rego<strong>la</strong>rità di bere acqua, a loro spetta organizzare tanto l’ora settimana con il pupazzetto-­‐logo <br />

del progetto quanto due sessioni da 45 minuti di educazione fisica al<strong>la</strong> settimana 14 . <br />

Per questo motivo, il corpo docente delle scuole dell’infanzia inserite nel progetto è stato <br />

coinvolto in tre sessioni di training formativo, realizzate a partire dal 2012. Il coinvolgimento <br />

del corpo insegnante è stato adottato anche dal progetto UP4FUN, costo<strong>la</strong> operativa dello <br />

studio ENERGY, per aumentare <strong>la</strong> motivazione e l’adesione all’implementazione <br />

dell’intervento tra gli insegnanti 15 : sono state infatti previste sessioni di formazione <br />

comprensive e un vero e proprio manuale per gli insegnanti, nel quale sono fornite anche <br />

delle indicazioni in merito alle proposte di movimento da somministrare ai ragazzi e, in realtà, <br />

che dovrebbero già essere patrimonio pedagogico del<strong>la</strong> professione. <br />

I <br />

13 Gracia-Marco L., Mayer J., Vincente-Rodriguez G.,Renes R.J., Le Bodo Y e Moreno L.A. (2011), Methods and social marketing in<br />

Borys J-M.,Le Bodo Y., De Henauw S., Moreno L.A., Romon M., Seidell J.C e Visccher T.L.S. , Preventing Childhood Obesity,<br />

<strong>La</strong>voisier, Cachan<br />

14 Manios, Y., Androutsos, O., Katsarou, C., Iotova, V., Socha, P., Geyer, C., ... & De Bourdeaudhuij, I. (2014). Designing and<br />

implementing a kindergarten-­‐based, family-­‐involved intervention to prevent obesity in early childhood: the ToyBox-­‐study. Obesity<br />

Reviews, 15(S3), 5-13. <br />

15 Androutsos, O., Katsarou, C., Payr, A., Birnbaum, J., Geyer, C., Wildgruber, A., ... & Manios, Y. (2014). Designing and implementing<br />

teachers' training sessions in a kindergarten-­‐based, family-­‐involved intervention to prevent obesity in early childhood. The ToyBox-­study,<br />

Obesity Reviews, 15(S3), 48-52.<br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

nfine, come già introdotto a proposito del metodo Epode, ci sono gli stakeholders locali che <br />

vengono coinvolti in tutti gli studi e i progetti presi in esame. I diversi progetti locali di EEN e <br />

EIN si adeguano certamente ai dettami del social marketing , che introduce alle c<strong>la</strong>ssiche <br />

quattro P del marketing -­‐ Product, P<strong>la</strong>ce, Price e Promotion-­‐ anche <strong>la</strong> P di People. <br />

E’ necessaria infatti <strong>la</strong> partecipazione dell’intera comunità già in fase progettuale in <br />

quanto anche i locali posseggono informazioni utili in merito alle esigenze e alle <br />

peculiarità del contesto in cui il progetto sarà realizzato: così, ad esempio, in Belgio sono <br />

stati organizzati sia programmi che incentivassero l’attività fisica o il consumo di frutta e <br />

verdura sia che facessero riflettere sul consumo eccessivo di patatine fritte, il piatto nazionale <br />

del Paese! <br />

Le peculiarità locali più interessanti sono però il frutto di una riflessione interna al<strong>la</strong> <br />

professione medica. I tre progetti che si svolgono in Portogallo, Paesi Bassi e Italia, infatti, si <br />

distinguono dagli altri perché, accanto alle attività di prevenzione dell’eccesso di peso, hanno <br />

previsto o prevedono delle pratiche di trattamento per i bambini e i ragazzi che si possono già <br />

definire in sovrappeso o obesi. Insomma, come ci ricorda il responsabile del progetto Jogg: “<strong>la</strong> <br />

prevenzione è importante ma sarebbe eticamente scorretto dimenticarsi di chi è già in <br />

sovrappeso e obeso!” <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Condividere le scelte per decidere <br />

consapevolmente: il ruolo del counseling in <br />

medicina <br />

Leonora Chiavari <br />

L’obbligo di ottenere il “consenso informato” del paziente prima di procedere ad un atto medico <br />

ha sancito anche in Italia il diritto (e il dovere) del paziente a ricevere tutte le informazioni <br />

disponibili sul<strong>la</strong> procedura medica a cui è invitato a sottoporsi (comprese le alternative), a <br />

chiedere delucidazioni qualora le informazioni non risultassero chiare e a scegliere liberamente se <br />

sottoporsi al<strong>la</strong> procedura diagnostica o terapeutica proposta. <br />

Di fronte ad ogni atto medico ci sono, potenzialmente, una o più alternative di scelta, ma il <br />

margine di scelta varia in base al<strong>la</strong> forza delle evidenze scientifiche, all’impatto che <strong>la</strong> procedura <br />

proposta può avere sul<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> persona e al tipo di procedura. <br />

Le evidenze scientifiche a favore di un intervento chirurgico in caso di appendicite acuta, per <br />

semplificare, sono così elevate che il margine di scelta è minimo e le persone che manifestano <br />

dubbi sono una minoranza. Sul versante opposto ci sono le decisioni in cui non c’è un’opzione <br />

superiore in termini di evidenze scientifiche e <strong>la</strong> “scelta migliore” dipende dal valore che <strong>la</strong> <br />

persona attribuisce ai rischi, ai benefici e alle incertezze scientifiche. In inglese queste decisioni <br />

si chiamano “preference sensitive” o “values based”(1). <br />

Le procedure mediche che hanno un impatto importante sul<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> persona (un esempio può <br />

essere <strong>la</strong> dialisi) richiedono un’attenta valutazione dei vantaggi e degli svantaggi sia in termini di <br />

evidenze scientifiche sia sul versante del<strong>la</strong> qualità di vita e delle inclinazioni personali e impongono <br />

quindi un coinvolgimento diretto del paziente nel<strong>la</strong> scelta. <br />

In ultimo le nuove frontiere del<strong>la</strong> medicina, dove i valori personali giocano un ruolo determinante, <br />

ampliano ulteriormente il margine di scelta. Ne sono un esempio le analisi genetiche con tutte le <br />

implicazioni che possono avere per il singolo soggetto e per tutta <strong>la</strong> sua famiglia, gli interventi <br />

chirurgici per <strong>la</strong> riduzione del rischio oncologico in cui viene proposta l’asportazione di un organo <br />

sano e tutta l’area del<strong>la</strong> procreazione medicalmente assistita. <br />

<strong>La</strong> scelta quindi è tanto più complessa maggiore è il margine di scelta e l’impatto sul<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> <br />

persona. Per questo è importante che queste scelte siano consapevoli. <strong>La</strong> consapevolezza è un <br />

fenomeno intimo che non si limita al superficiale essere informati, né al semplice sapere. E’ una <br />

condizione in cui <strong>la</strong> cognizione di qualcosa si fa interiore, profonda, perfettamente armonizzata <br />

con il resto del<strong>la</strong> persona (2). <br />

55


<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Nel processo di scelta quindi le informazioni mediche devono essere ca<strong>la</strong>te nel<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> <br />

persona, integrate con i suoi valori. Medico e paziente devono col<strong>la</strong>borare mettendo in campo <br />

ognuno le proprie competenze (l’uno in medicina e l’altro come esperto del<strong>la</strong> sua vita) per <br />

arrivare ad una decisione condivisa e consapevole. <br />

Un processo complesso quindi che richiede un grosso investimento in termini di impegno, di <br />

tempo e di coinvolgimento da parte del medico e del paziente. A cosa porta questo processo? Lo si <br />

fa “solo” perché è eticamente corretto e <strong>la</strong> legge lo impone? Ovviamente no. <strong>La</strong> letteratura <br />

scientifica è ricca di studi che mostrano che <strong>la</strong> partecipazione attiva alle scelte terapeutiche e al <br />

percorso di <strong>cura</strong> migliora l’adesione al trattamento, favorisce l’autonomia del paziente nel<strong>la</strong> <br />

gestione del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia e riduce l’incidenza di errori medici e di azioni legali grazie ad un dialogo <br />

più aperto tra medico e paziente (3). <br />

Gli effetti positivi del <br />

coinvolgimento del <br />

paziente nelle scelte e <br />

nel percorso di <strong>cura</strong> <br />

hanno spinto molti paesi <br />

ad investire nel<strong>la</strong> ricerca <br />

di strumenti per favorire <br />

scelte consapevoli. <br />

I supporti decisionali <br />

sono strumenti cartacei, <br />

computerizzati o basati <br />

sul<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione (colloqui <br />

di counselling) costruiti <br />

per aiutare le persone a <br />

partecipare alle scelte <br />

sul<strong>la</strong> propria salute. <br />

Hanno lo scopo di <br />

migliorare <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> <br />

decisione, definita coma <br />

<strong>la</strong> congruenza tra <strong>la</strong> <br />

decisione presa e i valori personali del<strong>la</strong> persona. In linea generale i supporti decisionali forniscono <br />

informazioni, basate sulle evidenze scientifiche, sul<strong>la</strong> condizione di salute, sulle opzioni, sui rischi e <br />

i benefici delle singole opzioni e sulle incertezze scientifiche, aiutano <strong>la</strong> persona a riconoscere i <br />

valori personali che entrano in gioco nel<strong>la</strong> decisione, ad attribuire un valore ai vantaggi, agli <br />

svantaggi e alle incertezze scientifiche, aiutano <strong>la</strong> persona a comunicare e a discutere con il <br />

proprio medico e con le altre persone coinvolte nel<strong>la</strong> decisione (personale sanitario e familiari) i <br />

propri desideri e i propri dubbi (1). <br />

Il counselling, noto in letteratura come decisional counselling o decisional coaching, che per sua <br />

natura si configura come un intervento breve, mirato e concreto, è un supporto decisionale che, <br />

a differenza dei supporti cartacei o computerizzati, usa <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione come strumento <strong>la</strong>voro (4). <br />

Ed è proprio <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione il valore aggiunto del counselling rispetto agli altri supporti decisionali. <br />

Durante il colloquio, strutturato ma aperto ad accogliere i bisogni specifici del<strong>la</strong> persona, si <br />

possono discutere temi attinenti al<strong>la</strong> sfera personale. <br />

Ho estrapo<strong>la</strong>to dal<strong>la</strong> mia esperienza (che si riferisce a colloqui di counselling nell’ambito del<strong>la</strong> <br />

fertilità e procreazione in oncologia e dell’oncogenetica svolti presso l’Istituto Europeo di <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Oncologia) i temi più ricorrenti nei colloqui e nello stesso tempo basi<strong>la</strong>ri per favorire una scelta <br />

consapevole (5). <br />

IL COLLOQUIO DI COUNSELLING <br />

Un colloquio o più colloqui? Certamente alcuni temi meriterebbero di essere approfonditi ed è pur <br />

vero che spesso in un colloquio non si riescono ad affrontare tutti i temi che <strong>la</strong> persona porta. Ma <br />

alcune decisioni hanno tempi molto stretti ed è stato necessario costruire un modello di <br />

intervento in cui viene offerto un solo colloquio di counselling. E’ chiaro quindi che non sempre <br />

vengono affrontati tutti i temi di seguito riportati, non sempre è necessario e a volte vengono <br />

discussi temi che, essendo meno frequenti, non ho ritenuto di riportare in questa sede. <br />

Il ruolo <br />

Di fronte ad un problema di salute <strong>la</strong> prima scelta che <strong>la</strong> persona è chiamata a fare riguarda il <br />

ruolo che intende assumere nelle decisioni. Nel percorso di scelta <strong>la</strong> persona decide (più o meno <br />

consapevolmente) quanto vuole sapere del<strong>la</strong> sua condizione di salute e delle proposte <br />

terapeutiche e fino a che punto vuole delegare al medico <strong>la</strong> scelta. Al di là delle motivazioni <br />

(paura, difficoltà a prendere decisioni, cultura o altro) <strong>la</strong> scelta di delegare al medico una decisione <br />

sul<strong>la</strong> propria salute è lecita quanto quel<strong>la</strong> di scegliere autonomamente. <strong>La</strong> possibilità di scegliere <br />

consapevolmente il ruolo che si intende assumere favorisce una re<strong>la</strong>zione aperta con il medico e <br />

probabilmente mette a riparo da possibili pentimenti. <br />

Dal<strong>la</strong> rinuncia al<strong>la</strong> scelta <br />

Uscire dal dilemma si/no-­‐accettare/rinunciare per esplorare e costruirsi un ventaglio di possibilità <br />

è il primo passo per individuare <strong>la</strong> strada più adatta a se stessi. Senza entrare nel merito si può <br />

decidere se, decidere cosa, quando, come, dove, con chi. <br />

A volte anche solo piccoli aggiustamenti delle scelte possibili aiutano <strong>la</strong> persona a cucire su di sé <strong>la</strong> <br />

decisione finale. <br />

Dal<strong>la</strong> certezza al<strong>la</strong> probabilità <br />

<strong>La</strong> maggior parte delle persone che si rivolge ad uno specialista per un problema di salute rilevante <br />

sa cosa vuole: vuole guarire. <strong>La</strong> maggior parte di queste persone però si confronta con una <br />

medicina diversa da quel<strong>la</strong> che si aspettava: una medicina che non è una scienza esatta, che non <br />

dà certezze ma probabilità, che par<strong>la</strong> di rischi e di probabilità di successo e di dati statistici. <br />

E’ compito del counsellor aiutare <strong>la</strong> persona a riformu<strong>la</strong>re <strong>la</strong> domanda: cosa sono disposto a fare <br />

per ridurre il rischio di recidiva? Cosa sono disposto a fare per aumentare le probabilità di avere <br />

un figlio? <br />

Dai dati scientifici ai valori personali <br />

Le informazioni mediche, come detto, sono essenziali per poter decidere. Il counsellor non <br />

fornisce informazioni mediche, può semmai aiutare il paziente a riordinare quelle che ha <br />

ricevuto e a recuperare quelle essenziali che gli mancano. <br />

Spesso però il compito del counsellor è quello di spostare l’attenzione dal<strong>la</strong> spasmodica ricerca di <br />

informazioni (qual è esattamente <strong>la</strong> percentuale di rischio di recidiva per una donna di 37 anni con <br />

il mio tipo di tumore se non fa <strong>la</strong> terapia x ma fa quel<strong>la</strong> y?) al valore che <strong>la</strong> persona attribuisce alle <br />

diverse opzioni di <strong>cura</strong>, alle risorse a cui può attingere per decidere e per portare avanti <strong>la</strong> propria <br />

decisione, al suo modo di narrarsi <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia e a come questa si inserisce nel<strong>la</strong> sua vita. E’ questo <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

spostamento dell’attenzione dal dato scientifico al<strong>la</strong> propria storia che può favorire una <br />

decisione consapevole. <br />

RIFLESSIONI FINALI <br />

Negli ultimi anni stiamo assistendo a cambiamenti importanti di diversi aspetti del<strong>la</strong> medicina: da <br />

un <strong>la</strong>to assistiamo a scoperte che offrono trattamenti più mirati ed efficaci mentre sul versante <br />

del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione medico-­‐paziente stiamo abbandonando il modello paternalistico a favore di un <br />

modello più col<strong>la</strong>borativo. Per gestire questi scenari sono necessari strumenti nuovi: i modelli <br />

organizzativi devono essere adattati per integrare le nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche <br />

e dal punto di vista del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione si cercano tecniche e strumenti che possano favorire una <br />

re<strong>la</strong>zione col<strong>la</strong>borativa. <br />

Il counselling si inserisce nel<strong>la</strong> rete dei servizi sanitari non tanto come anello di congiunzione tra <br />

gli attori coinvolti (in tal caso sarebbe più una mediazione tra il paziente e gli operatori sanitari) <br />

quanto come strumento per far emergere i desideri e le risorse del paziente, per favorire <strong>la</strong> sua <br />

autonomia nelle scelte e una comunicazione aperta con gli operatori sanitari. <br />

Contribuendo a far emergere i desideri del paziente, il counselling diventa uno strumento <br />

essenziale per costruire un intervento personalizzato inteso non solo come intervento moleco<strong>la</strong>re <br />

ma prima di tutto come intervento cucito sulle specificità del<strong>la</strong> persona. <br />

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI <br />

(1) Stacey D, Bennett CL, Barry MJ, Col NF, Eden KB, Holmes-­‐Rovner M et al. (2011). Decision <br />

aids for people facing health treatment or screening decisions. Cochrane Database Syst Rev <br />

5(10): CD001431 <br />

(2) www.una<strong>paro<strong>la</strong></strong>algiorno.it <br />

(3) Coulter A. (2002) After Bristol: putting patients at the centre. Qual Saf Health <br />

Care. Jun;11(2):186-­‐8. <br />

(4) Stacey D, Murray MA, Legare F, Sandy D, Menard P, O'Connor A (2008) Decision coaching to <br />

support shared decision making: a framework, evidence, and implications for nursing <br />

practice, education,and policy. Worldviews Evid Based Nurs 5(1):25–35. <br />

(5) Chiavari L., Gandini S., Feroce I., Guerrieri-­‐Gonzaga A., Russel-­‐Edu W., Bonanni B., Peccatori <br />

FA. (2015) Difficult choices for young patients with cancer: the supportive role of decisional <br />

counselling. Support Care Cancer. April:1-­‐8. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Il gruppo si fa rete. L’utilizzazione di WhatsApp da <br />

parte di un gruppo di apprendimento <br />

Mauro Doglio <br />

Dal punto di vista sistemico, una rete è un sistema e come tale esiste in funzione delle <br />

comunicazioni che avvengono tra i suoi elementi. Oggi avviene sempre più spesso che persone <br />

che condividono interessi o percorsi, oltre a comunicare “in presenza”, formino gruppi utilizzando <br />

le reti dei social network. In questo articolo vorrei esplorarne uno, cercando di mettere in <br />

evidenza a quali bisogni risponda il fatto di ampliare lo spazio comunicativo utilizzando uno <br />

strumento come WhatsApp. <br />

Si tratta di un gruppo di corsisti del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> di counselling dove insegno (Istituto Change di Torino) <br />

che, gentilmente, mi hanno inviato i loro contributi a questa riflessione.* Siccome un gruppo <br />

quando comunica con i social network si definisce virtuale, utilizzerò questa occasione anche per <br />

riflettere sul concetto di virtuale; analizzandolo dal punto di vista filosofico. <br />

Bisogni <br />

Perché un gruppo si mette in re<strong>la</strong>zione utilizzando WA? Ogni gruppo risponde alle necessità <br />

pratiche ed emozionali che lo caratterizzano in forme e modi diversi, in questo caso l’utilizzazione <br />

di WA ha permesso ai nostri corsisti di creare spazi aggiuntivi, oltre a quelli vissuti in presenza, per <br />

far passare informazioni, emozioni e per prendersi <strong>cura</strong> delle re<strong>la</strong>zioni. Per qualcuno si tratta di <br />

un logico sviluppo del<strong>la</strong> dimensione di gruppo: <br />

Il gruppo WA è stata una conseguenza legata al<strong>la</strong> formazione del nostro gruppo di c<strong>la</strong>sse. <br />

Altre ne sottolineano l’utilità sia sul piano dell’apprendimento che su quello personale: <br />

Ha risposto ad esigenze pratiche ma anche emozionali. <br />

Pratiche perché è facile e agevole scambiarsi notizie sul corso, segna<strong>la</strong>re ritardi ed è bello <br />

segna<strong>la</strong>re eventi, libri, film ecc... utili al nostro percorso counselling... <br />

Emozionali perché ha risposto a un sentire il bisogno di vederci anche fuori del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, tenerci <br />

insieme, e forse questa è <strong>la</strong> parte più carica di emozione: quel<strong>la</strong> che rappresenta da una parte un <br />

valido col<strong>la</strong>nte e aiuto per le esigenze più razionali, dall'altra è qualcosa che "corre sul filo" e che ci <br />

fa percepire come un gruppo (sistema) consapevole di quello che sta succedendo (sul piano <br />

razionale e emozionale)... <br />

Le esigenze sono state svariate: a partire da quel<strong>la</strong> di aiuto all'apprendimento con richieste di invii <br />

lezioni mancanti o spiegazioni su alcuni concetti espressi da voi insegnanti a lezione, fino ad <br />

arrivare a richieste di aiuto personale, a condivisioni di viaggi, eventi (nascite, matrimoni, <br />

soprattutto cose belle fortunatamente!), a simpatiche disamine tra "bionde" ;-­‐)). <br />

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Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Ma non è facile definire cosa faccia succedere esattamente una forma di connessione come <br />

questa alle persone che ne fanno parte. Un corsista scrive: <br />

Personalmente non riesco a vedere in maniera chiara in che modo il nostro gruppo Whatsapp <br />

possa rappresentare le reti del<strong>la</strong> <strong>cura</strong>, però mi sembra che ci sia qualcosa che va al di là <br />

dell'esplicito, qualcosa di non detto ma che, personalmente, sento. <br />

In questi giorni è capitato che qualcuno abbia voluto par<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> propria situazione sentimentale: <br />

sentivo di voler dire qualcosa, ma non sapevo come farlo senza essere banale, così mi è venuto uno <br />

spontaneo "E comunque noi siamo qua!!!" <br />

Ecco, credo che quest'affermazione rappresenti l'essenza, per me, di questo gruppo...ci si rivede tra <br />

un mese, ma intanto noi siamo qua!!! <br />

Quest’ultimo intervento mette in evidenza un importante aspetto dell’utilizzazione di WA: il <br />

significato re<strong>la</strong>zionale di questo tipo di comunicazioni in rete. Come ha messo in luce Bateson <br />

infatti, <strong>la</strong> maggior parte delle comunicazioni in cui siamo coinvolti hanno come principale <br />

argomento le re<strong>la</strong>zioni tra noi e gli altri, e <strong>la</strong> cosa principale che comunichiamo è <strong>la</strong> nostra distanza <br />

o vicinanza re<strong>la</strong>zionale. WA sembra facilitare <strong>la</strong> risposta a questo bisogno di ‘sentire <strong>la</strong> vicinanza’ <br />

degli altri. <br />

Identità <br />

Appartenere al gruppo su WA rinforza l’identità, a sottolinearlo è stato scelto un simbolo che <br />

spiritosamente richiama al fatto che l’argomento principale del percorso per diventare counsellor <br />

è <strong>la</strong> comunicazione. <br />

Intanto le tre scimmiette sono lì perché sono il logo del gruppo, al momento, fintanto che a <br />

qualcuno non venga voglia o abbia interesse a cambiarlo; al momento del<strong>la</strong> creazione del gruppo <br />

sembrava perfetto! <br />

Condivisione <br />

WA si rive<strong>la</strong> in molti casi un ottimo modo di condividere informazioni, idee, riflessioni, a partire <br />

dalle quali i rapporti si consolidano e possono approfondirsi maggiormente. <br />

Il nostro è un gruppo che ci mette a nostro agio: in ogni momento, senza motivi, so che posso <br />

condividere spunti pensieri anche solo x dare piacere a loro, come l'ho ricevuto io nel leggere quel<strong>la</strong> <br />

cosa <br />

Rende concreto e tangibile <strong>la</strong> presenza di persone che sto a poco a poco apprezzando e stimando <br />

sempre più, e con le quali condivido un interesse e un percorso. Mi sembra che, anche grazie a <br />

questo strumento, si possa avere <strong>la</strong> speranza di "coltivarci", e chissà, di scoprire amicizie con A <br />

maiusco<strong>la</strong>. <br />

Una corsista mette bene in luce l’aspetto di condivisione reso possibile da WA paragonandolo ad <br />

una ‘scossa’ che unisce, come una sorta di corrente o di campo magnetico che avvolge il gruppo e <br />

lo supporta, garantendo una continuità nel tempo per persone che condividono “in presenza” solo <br />

un fine settima al mese. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

A volte io non avrei avuto tempo per stare lì a chattare, ma il dito mi diceva che non potevo non <br />

rispondere, sarebbe stato come interrompere una “scossa” che tiene uniti. <br />

Siamo fatti dello spazio del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, dei nostri libri ecc… e quello strumentino che sembra niente <br />

Wathsapp, rappresenta <strong>la</strong> possibilità di mantenere una sorta di continuità di spazio, tempo e luogo <br />

molto trasversale, veloce in un certo modo polisensoriale: emoticons, parole, risate, evocazioni… <br />

manca il profumo (con il tatto ci siamo perché toccare i tasti è come un po’ toccare, o sfiorare le <br />

persone)… ma per il “profumo di noi” c’è l’immaginazione!!! <br />

Quindi sì… è anche una re<strong>la</strong>zione di <strong>cura</strong>, e non solo perché ci si sostiene nei momenti down… ci si <br />

dice dai che ce <strong>la</strong> fai ecc… (un po’ da boyscout), ma anche perché questa “scossa”, questo sentire <br />

che qualcosa c’è e si svolge … beh questo fa bene e non fa sentire mai soli. <br />

WA è uno spazio in cui si possono <strong>la</strong>nciare sollecitazioni e stimoli in modo da farne partecipi gli <br />

altri. <br />

Nel mio caso mi aiuta a rimanere un po' agganciato a Torino, non <strong>la</strong>sciando<strong>la</strong> come una puntina <br />

fissata su una mappa e un calendario una volta al mese. Proviamo a scriverci un po' di tutto: a me <br />

piace condividere esperienze, mettere foto (le mie gatte...), o buttare lì qualche frase letta o che mi <br />

viene in mente, per far <br />

nascere un dialogo <br />

interattivo. <br />

Aiuto <br />

L’utilizzazione di WA <br />

contribuisce a fornire ai <br />

partecipanti al gruppo un <br />

aiuto, sia per quello che <br />

riguarda le problematiche <br />

legate al percorso di studio, <br />

che per altri aspetti del<strong>la</strong> vita <br />

privata. <br />

Ho un bel ricordo: giugno, <br />

preparazione tesina, ansia ... <br />

Ci siamo scritti tanto, anche <br />

nel<strong>la</strong> notte, nei giorni <br />

precedenti... Anche solo per <br />

dirci che avevamo mangiato <br />

alle due del mattino, dopo <br />

avere scritto e ripetuto , o per <br />

dirci "ora basta! Vado a <br />

dormire"... È tutto ciò è stato <br />

decisamente efficace <br />

nell'attutire ansie e timori di <br />

non farce<strong>la</strong>! Per non par<strong>la</strong>re <br />

del<strong>la</strong> presenza costante di <br />

Caterina che con le sue parole <br />

ha reso noi impaurite ed <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

inesperte di fronte a fogli bianchi o all'idea di par<strong>la</strong>re di fronte a uditorio (a maggior ragione a <br />

cotanto uditorio) , più coraggiose! <br />

A volte per me è stato quasi come se si fosse formato un gruppo di "mutuo aiuto".... sì perché <br />

anche nelle richieste di "aiuto" personale c'è stata una vera accoglienza da parte di tutti e quindi <br />

una vera "rete di <strong>cura</strong>" per superare un momento di partico<strong>la</strong>re difficoltà. <br />

Durante le lezioni di "autobiografia", inerenti al percorso personale, spesso il nostro gruppo è <br />

riuscito a condividere cose molto personali, ad accoglierle con delicatezza e supportarle al meglio, <br />

senza sentirsi giudicati e senza imbarazzi partico<strong>la</strong>ri. <br />

Questa è <strong>la</strong> forza del nostro gruppo che, oltre ad essere un gruppo c<strong>la</strong>sse, è un gruppo aperto, in <br />

movimento, che si attiva e si evolve anche in altri contesti importanti. <br />

Apprendimento <br />

Per molti il gruppo è un aiuto all’apprendimento, anche se non tutti si trovano a loro agio <br />

nell’utilizzare WA come supporto didattico. <br />

Si<strong>cura</strong>mente il gruppo, proprio per il clima che c'è tra noi, è strumento utile per riempire <strong>la</strong>cune del <br />

corso : appunti mancanti , mancanza di informazioni o dubbi da sciogliere. <br />

Trovo interessante che un gruppo, eterogeneo per età e professione, come il nostro abbia creato e <br />

sostenuto una re<strong>la</strong>zione di <strong>cura</strong> e amicizia dentro e fuori le giornate di corso tale da far sentire <br />

tutti e ognuno bene sempre. Penso che il piacere di seguire un percorso di studio molto <br />

interessante, condotto con professionalità e attenzione nei nostri confronti abbia promosso un <br />

apprendimento al<strong>la</strong> <strong>cura</strong> prima ancora che ne capissimo il significato. <br />

Per ciò che riguarda l'apprendimento, non mi piace... girano foto e foto di fogli di appunti di <br />

lezione, anche a me l'anno scorso vennero inoltrati, ma francamente non mi piace leggere da lì, <br />

non comincio nemmeno, faccio fatica a concentrarmi. <br />

Genere <br />

Qualcuno infine nota una differenza nell’utilizzazione del social network tra maschi e femmine e, <br />

più che negli aspetti re<strong>la</strong>zionali, sottolinea che l’utilità del<strong>la</strong> rete è nelle comunicazioni di servizio. <br />

Ho notato un grande "viavai" di messaggi sul gruppo da parte delle femminucce. Noi maschietti <br />

siamo molto meno presenti nel rispondere. Ma è una partico<strong>la</strong>rità che ho notato anche in altri <br />

gruppi di cui ho fatto parte o faccio parte. <br />

Personalmente non amo molto questo scambio di parole su whatsapp, per il semplice fatto che mi <br />

viene difficile stare dietro al filo del discorso... Dopo un po' mi perdo e smetto di leggere... ho anche <br />

provato a farmi mandare appunti di una lezione persa tramite una foto su whatsapp ma era <br />

illeggibile. <br />

Uso le comunicazioni sul gruppo per "comunicazioni di servizio", non tanto per condividere pensieri <br />

o sensazioni con gli altri. Almeno, finora è stato cosi. <br />

Virtuale? <br />

Dopo aver analizzato il modo in cui “un gruppo si fa rete” o forse meglio “si estende con <strong>la</strong> rete”, <br />

mi sembra utile riflettere brevemente sul concetto di virtuale. <br />

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Di solito infatti, par<strong>la</strong>ndo di re<strong>la</strong>zioni che avvengono per mezzo di reti informatiche, si par<strong>la</strong> di <br />

re<strong>la</strong>zioni virtuali, e normalmente con un senso vagamente peggiorativo. Ritengo quindi utile <br />

provare ad approfondire il senso che diamo al<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> ‘virtuale’. <br />

Di solito si associa l’idea di virtuale a qualcosa che non è reale, nel senso che non ricade sotto i <br />

nostri sensi come un oggetto, per esempio una seggio<strong>la</strong>. Questa visione è comprensibile ma anche <br />

piuttosto limitata, per andare oltre ad essa abbiamo bisogno di strumenti concettuali che ci <br />

fornisce il filosofo francese Pierre Lévy nel suo libro Il virtuale. <br />

L’edizione francese del libro risale al 1995 ma a mio parere è ancora molto utile perché, <br />

utilizzando in modo stimo<strong>la</strong>nte concetti basi<strong>la</strong>ri del<strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> filosofia, permette di acquisire <br />

una visione più complessa di quel<strong>la</strong> che viene utilizzata di solito per riflettere su questi temi. <br />

Lévy nota che di solito si considerano il virtuale e il possibile come contrapposti al reale: da una <br />

parte c’è <strong>la</strong> solida realtà del mondo, gli oggetti materiali, le cose che utilizziamo le re<strong>la</strong>zioni faccia <br />

a faccia e dall’altra parte ci sono il possibile e il virtuale. Il possibile è quello che potrebbe accadere <br />

ma non è (ancora) accaduto, il virtuale viaggia un mondo collocato accanto a quello reale e lo <br />

scimmiotta, senza però essere ‘realmente’ reale, e di solito parliamo di rapporti virtuali per <br />

indicare re<strong>la</strong>zioni che intercorrono tra persone che non sono faccia a faccia, le une davanti alle <br />

altre. <br />

Secondo Lévy invece bisognerebbe trattare questi concetti in un modo diverso, e per farlo li <br />

separa in coppie: da una parte mette possibile e reale. Dal suo punto di vista queste sono due <br />

categorie che stanno sullo stesso piano logico: il possibile infatti è già interamente costruito e può <br />

passare sul piano dell’esistenza concreta senza cambiare niente del<strong>la</strong> sua natura. È possibile che <br />

piova, e se piove il possibile è diventato reale, se non piove è rimasto possibile. Il possibile è un <br />

reale, solo non ancora realizzato, è esattamente come il reale: gli manca solo l’esistenza. <br />

L’altra coppia di concetti è quel<strong>la</strong> che collega virtuale e attuale. Il virtuale non si oppone al reale, <br />

ma all’attuale. Contrariamente al possibile, statico e già definito, il virtuale si può definire come un <br />

complesso problematico, un nodo di tendenze e di forze che accompagna una situazione, un <br />

evento, un oggetto o un’entità qualsiasi e che richiede un processo di trasformazione: <br />

l’attualizzazione. Tale complesso problematico fa parte dell’entità considerata, anzi ne costitutisce <br />

uno degli aspetti di maggior rilievo. Lévy mette qui in luce una importante caratteristica del <br />

virtuale: esso è un’entità dinamica che fa parte del<strong>la</strong> cosa che viene considerata, ma non come una <br />

possibilità che può realizzarsi o no, ma come un elemento del<strong>la</strong> sua complessità. Un buon esempio <br />

per spiegare il significato di virtuale come campo problematico è quello del seme: <br />

Il problema del seme, per esempio, è di far crescere un albero. Il seme “è” questo problema, anche <br />

se non si esaurisce in esso. Questo non significa che il seme “conosca” esattamente quale sarà <strong>la</strong> <br />

forma dell’albero che in seguito stenderà il proprio fogliame sopra di lui. A partire dai vincoli che gli <br />

sono propri, dovrà inventarlo, coprodurlo insieme alle circostanze in cui si imbatterà (p. 6). <br />

Insomma se il reale assomiglia al possibile, l’attuale non è affatto simile al virtuale: l’attuale è una <br />

risposta a ciò che si determina sul piano virtuale e a sua volta influisce sul virtuale. È possibile che <br />

da un seme nasca un albero: o nasce o non nasce, è un aut-­‐aut. Ma il seme, se lo consideriamo <br />

nello spazio del virtuale, è una struttura problematica che attualizzandosi in un certo albero <br />

esprime le proprie virtualità e, mentre fa questo, ne crea altre, in un processo circo<strong>la</strong>re, è un et-­‐et: <br />

virtuale e reale sono uno alternativo all’altro, ma sono compresenti. <br />

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Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Il virtuale è una domanda a cui l’attuale risponde, a sua volta l’attuale, nel rispondere, diventa <br />

virtuale riproponendo una nuova problematicità. Lévy generalizza questo esempio e utilizza il <br />

concetto di virtuale come uno strumento concettuale per rendere visibile questa circo<strong>la</strong>rità: un <br />

fatto, una decisione, un’azione aprono dei campi nuovi e quindi dei nuovi spazi virtuali, ma <strong>la</strong> <br />

virtualità stessa intesa come complesso problematico è una parte di ciò che essi sono: <br />

Da un <strong>la</strong>to, l’entità ha in sé e produce le proprie virtualità: un evento, per esempio, riorganizza una <br />

problematica anteriore, ed è suscettibile di ricevere delle interpretazioni diverse. Dall’altro il <br />

virtuale costitutisce l’entità: le virtualità inerenti ad un essere, <strong>la</strong> sua problematica, il nodo di <br />

tensioni, di vincoli e di progetti che lo animano, gli interrogativi che lo muovono sono una parte <br />

del<strong>la</strong> sua determinazione (p. 6). <br />

Le re<strong>la</strong>zioni umane hanno in sé spazi di virtualità perché consistono di nodi problematici e quindi <br />

sono situazioni aperte. Quando parliamo di re<strong>la</strong>zioni dovremmo sempre tenere conto che sono <br />

un’inestricabile compenetrazione di virtuale e di attuale: viviamo in un certo modo in quanto <br />

attualizziamo i campi problematici che ci costituiscono come esseri umani in re<strong>la</strong>zione e in <br />

quanto viviamo così rendiamo possibile il costituirsi di nuovi spazi di virtualità. <br />

È un po’ <strong>la</strong> stessa cosa che succede quando leggiamo un libro: comprendiamo il testo perché <br />

attualizziamo delle virtualità presenti nel<strong>la</strong> nostra re<strong>la</strong>zione con lui, ma comprendendo il testo e <br />

attualizzando le virtualità creiamo dei nuovi campi virtuali e così via. <br />

Virtualità elettroniche <br />

Al<strong>la</strong> luce di queste riflessioni il virtuale acquisisce un nuovo significato molto ampio che può <br />

aiutarci a capire meglio anche quello che succede quando un gruppo di persone decide di mettersi <br />

in rete utilizzando un social network. Utilizzando il punto di vista di Lévy, quando diciamo che <br />

siamo in presenza di una comunità virtuale non dobbiamo intendere che si tratta di uno spazio <br />

re<strong>la</strong>zionale di serie B, piuttosto dobbiamo interrogarci sul campo problematico che esso <br />

rappresenta, sulle trasformazioni e attualizzazione che implica. <br />

Non parlerei quindi di <br />

mondo virtuale per <br />

indicare gli spazi creati <br />

dai nostri mezzi di <br />

comunicazione, le <br />

re<strong>la</strong>zioni con i mezzi e <br />

attraverso i mezzi sono <br />

una componente del<strong>la</strong> <br />

più complessa è più <br />

utile invece considerare <br />

l’incessante movimento <br />

che collega le persone <br />

con i loro scopi, le loro <br />

necessità, le loro <br />

emozioni e gli strumenti <br />

che esse utilizzano. E <br />

non importa che questi <br />

strumenti siano <strong>la</strong> <br />

<strong>paro<strong>la</strong></strong>, il libro, il <br />

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Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

telefono o il computer, l’importante è ciò che fanno succedere. <br />

Inviare in un gruppo messaggi (immagini, suoni, testi) che vengono ricevuti simultaneamente da <br />

un gruppo di persone può essere visto in molti modi, noi lo consideriamo ora come un campo <br />

virtuale che si attualizza, attualizzazione che sarà di volta in volta diversa a seconda dei <br />

partecipanti al gruppo, ai loro scopi e alle loro re<strong>la</strong>zioni, esattamente come ogni albero è diverso a <br />

partire dallo stesso tipo di seme, e queste attualizzazioni del virtuale daranno vita ad altri campi <br />

problematici (di nuovo lo spazio del virtuale) e cosi via. <br />

Bibliografia <br />

Gregory Bateson, Verso un’ecologia del<strong>la</strong> mente, Mi<strong>la</strong>no, Adelphi, 2005. <br />

Pierre Lévy, Il virtuale, Mi<strong>la</strong>no, Cortina, 1997. <br />

* Questo articolo è stato scritto con il contributo di Federica Bal<strong>la</strong>, Andrea Bariselli, Barbara <br />

Fragomeni, Marco Moretti, Enrica Pierobon, Marina Ravio<strong>la</strong>, Giovanna Rostagno, Isotta Russo, <br />

Annamaria Santin, Caterina Schiavon, Sara Simon, corsiste e corsisti del secondo anno del Corso di <br />

Counselling Sistemico dell’Istituto Change. <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

Elena e le reti <br />

Silvana Quadrino <br />

-­‐ Nonna, cosa è una rete? <br />

-­‐ Bè, vediamo se ne troviamo una… ecco, <strong>la</strong> tua amaca <br />

-­‐ Quel<strong>la</strong> che sta sotto il mio letto nave dei pirati? <br />

-­‐ Sì, quel<strong>la</strong>. Vedi? Secondo te come è fatta? <br />

-­‐ Boh? Ha tanti buchi… <br />

-­‐ E intorno ai buchi? <br />

-­‐ Del<strong>la</strong> corda? <br />

-­‐ Sì, ma non potresti sdraiarti su una corda, invece sull’amaca puoi, e quando guardate i cartoni ci <br />

si mette anche <strong>la</strong> tua amica Rosanna, che non è proprio una piuma… <br />

-­‐ E’ vero. Allora una rete è più forte di una corda? <br />

-­‐ Dimmelo tu: cosa ha di diverso <strong>la</strong> tua amaca da una corda? <br />

-­‐ Aspetta… Dei nodi? E’ una corda con dei nodi? <br />

-­‐ Bravissima. E poi? <br />

-­‐ Bè, dai, nonna: una corda è lunga lunga, <strong>la</strong> mia amaca è anche <strong>la</strong>rga. Adesso forse ho capito: i <br />

nodi servono a far diventare <strong>la</strong> corda più comoda, così ci si può dormire <br />

-­‐ Già; e secondo te come fanno i nodi a trasformare <strong>la</strong> corda in una rete? <br />

-­‐ Non lo so: io vedo del<strong>la</strong> corda e dei nodi, ma adesso non capisco più se per fare una rete servono <br />

di più i nodi o <strong>la</strong> corda <br />

-­‐ Te lo dico io: servono tutti e due. <strong>La</strong> corda senza i nodi non diventa una rete, ma per fare i nodi ci <br />

vuole <strong>la</strong> corda <br />

-­‐ Io però non sarei capace di far<strong>la</strong>, una rete con del<strong>la</strong> corda <br />

-­‐ E sai perché? Perché per fare una rete ci vuole qualcuno che sa far<strong>la</strong>, e che ha voglia di far<strong>la</strong>, e <br />

che fa sempre attenzione che <strong>la</strong> rete sia ben solida, che tutti I nodi siano ben stretti, che <strong>la</strong> corda <br />

non si sfi<strong>la</strong>cci…. perché quel<strong>la</strong> rete serve a qualcosa di importante <br />

-­‐ Come <strong>la</strong> mia amaca? <br />

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Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

-­‐ Anche. O come le reti di persone <br />

-­‐ Ma nonna…! Adesso anche le persone diventano reti? Ma le persone non sono di corda! <br />

-­‐ Vediamo: se immagini che una persona sia un nodo, e che intorno ci siano altre persone <br />

importanti per lei, quelle a cui telefona quando è triste, quelle che <strong>la</strong> invitano a fare merenda <br />

insieme, o a fare insieme il compito di scienze… Cosa è che le tiene insieme? <br />

-­‐ Il cellu<strong>la</strong>re! Dillo tu a mamma che lo voglio anch’io, se no come faccio a fare il nodo e <strong>la</strong> rete? <br />

-­‐ Figurati, hai solo sette anni, niente cellu<strong>la</strong>re. Puoi fare lo stesso il nodo e <strong>la</strong> rete, e sai perché? <br />

Perché sai che quelle persone ci sono, e loro sanno che tu ci sei, e ognuno sa cosa può chiedere agli <br />

altri, e cosa può fare per gli altri <br />

-­‐ Allora <strong>la</strong> corda sono le cose che facciamo per gli altri? <br />

-­‐ Più o meno: sono le re<strong>la</strong>zioni, le informazioni che ognuno dà agli altri, gli scambi; e poi una rete di <br />

persone si al<strong>la</strong>rga, compaiono altri nodi che si legano agli altri con quel<strong>la</strong> corda che sono gli <br />

scambi, le re<strong>la</strong>zioni… Senza <strong>la</strong> rete tutti saremmo più soli, potremmo contare solo su noi stessi o <br />

su pochissime persone…. <br />

-­‐ Allora mi piace essere un nodo e stare in una rete. Però secondo me se dici a mamma di <br />

comperarmi il cellu<strong>la</strong>re <strong>la</strong> mia rete funziona meglio… se no devo sempre farmelo prestare da <br />

Rosanna <br />

-­‐ Vedi? Se Rosanna te lo presta, significa che è un buon punto rete per te; quello che lega le <br />

persone sono anche le risorse, quello che ciascuno ha e può mettere a disposizione degli altri. Tu le <br />

metti a disposizione l’amaca e i videogiochi, lei ti presta il cellu<strong>la</strong>re… va benissimo così. Niente <br />

cellu<strong>la</strong>re fino al<strong>la</strong> prima media! <br />

-­‐ Uffaaaa! <br />

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Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

AI LETTORI <br />

<strong>La</strong> redazione <br />

Vi ringraziamo di averci seguiti fin qui. <br />

Per <strong>la</strong> prima volta dal 2004 il numero primaverile di <strong>La</strong> Paro<strong>la</strong> e <strong>la</strong> Cura non <br />

uscirà. <br />

Abbiamo bisogno di una pausa per riflettere sugli effetti del passaggio dal<strong>la</strong> <br />

rivista su carta al<strong>la</strong> rivista on line. Noi vediamo dei pro e dei contro, e vi <br />

saremmo grati di un vostro parere in proposito. <br />

Stiamo anche pensando al<strong>la</strong> possibilità di un prodotto nuovo e diverso; <br />

l’obiettivo resta quello di promuovere e diffondere le basi su cui poggia <strong>la</strong> <br />

cultura che CHANGE vuole promuovere e diffondere: <strong>la</strong> visione sistemica, le <br />

competenze comunicative e re<strong>la</strong>zionali, le cosiddette humanities: antropologia, <br />

pedagogia, letteratura, scrittura autobiografica, arte, cinema, poesia… <br />

Cerchiamo insieme lo strumento migliore per raggiungere, compatibilmente con <br />

le nostre forze e con le nostre risorse, quell’obiettivo. <br />

A presto! <br />

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<strong>la</strong> <strong>paro<strong>la</strong></strong> e <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <br />

Ecologia dell’ascolto. Passaggio di storie e di dati nel<strong>la</strong> rete delle cure <br />

LA PAROLA E LA CURA <br />

Comunicazione e counsel(l)ing in ambito sanitario <br />

Registrazione n. 5886 del 23/06/05 presso il Tribunale di Torino <br />

Autunno 2015 <br />

DIRETTORE RESPONSABILE <br />

Giorgio Bert <br />

REDAZIONE <br />

Massimo Giuliani Roberta Ravizza Milena Sorrenti <br />

PROGETTO GRAFICO <br />

Milena Sorrenti <br />

FOTOGRAFIE <br />

Giulio Ameglio <br />

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE <br />

Istituto CHANGE <br />

Via Valperga Caluso, 32 – 10125 Torino <br />

Tel. 011 6680706 fax 011 8609278 <br />

Email: change@counselling.it <br />

www.counselling.it <br />

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