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MAGGIONI Bruno. Dio ha tanto amato il mondo - Meicmarche.it

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DIO HA TANTO AMATO IL MONDOBRUNO <strong>MAGGIONI</strong>PrefazioneCon l'EMI ho pubblicato alcuni anni fa un libro, La Parola si fa carne, che fudescr<strong>it</strong>to come <strong>it</strong>inerari biblici di spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à missionaria (1996, ristampa nel 1999).Dicevo allora, nella prefazione, che quel testo era nato "sul campo", cioè da m<strong>il</strong>leincontri con giovani e meno giovani, da conferenze, lezioni, raduni di missionari inarrivo o in partenza... Anche questo nuovo libro che affido all'Ed<strong>it</strong>rice Missionaria"è nato sul campo". Ma <strong>ha</strong> un'origine più un<strong>it</strong>aria: è fondamentalmente un corso diesercizi spir<strong>it</strong>uali e di questa sua origine conserva, nonostante qualche r<strong>it</strong>occo equalche semplificazione, lo st<strong>il</strong>e parlato e un po' esortativo.Ricordo che fu <strong>il</strong> carissimo e compianto p. Giacomo Girardi del PIME - allorasegretario nazionale della Pontificia Unione Missionaria - a chiedermi quel corso.Quanti lo <strong>ha</strong>nno conosciuto - e sono tanti - sanno che era uomo di attivismostraordinario, ma forse proprio per questo <strong>ha</strong> sempre sent<strong>it</strong>o <strong>il</strong> bisogno, per sé e pergli altri, di una forte spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à. Mirava però ad una spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à essenziale, senzafronzoli e senza pose, che avesse due riferimenti precisi: la parola di <strong>Dio</strong>, da unaparte, fondamento di ogni autentica spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à, e, dall'altra, la concretezza dellamissione universale, vocazione sua e del suo Ist<strong>it</strong>uto, ma che egli r<strong>it</strong>enevagiustamente essere, in qualche forma, doverosa per ogni cristiano. Forse per questochiamò un biblista, come io sono considerato (e sono felice di considerarmi), e unbiblista che con i missionari <strong>ha</strong> avuto e <strong>ha</strong>, per sua grande fortuna, una lungafrequentazione. Curando questo libro - da quel corso di esercizi - ho avuto semprein mente <strong>il</strong> p. Giacomo, prematuramente scomparso, e ho cercato di restare fedele aquella sua ispirazione di spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à essenziale, concreta e universale.Dicevo che questo libro è più un<strong>it</strong>ario, perché un corso di esercizi spir<strong>it</strong>uali obbligain qualche modo a prendere un tema e a sv<strong>il</strong>upparlo: presi allora <strong>il</strong> vangelo diGiovanni e cercai di sv<strong>il</strong>upparne le prospettive missionarie, che sono di unaprofond<strong>it</strong>à e di una bellezza ineguagliab<strong>il</strong>e. L'ultimo cap<strong>it</strong>olo è un commento allebeat<strong>it</strong>udini del vangelo di Matteo, ma questo non altera la prospettiva giovannea,anzi ne è in qualche modo un coronamento. I partecipanti al corso erano moltodifferenziati fra loro (missionari, sacerdoti, religiosi, qualche laico), tutti peròugualmente appassionati al tema della missione. Non potevo non tener conto diquesti destinatari e <strong>il</strong> testo ne risente. Credo, tuttavia, che rimanga valido per ognicristiano, prete, religioso, religiosa, missionario, missionaria, laico o laica, sposatoo non sposato che sia. Con Giovanni si va veramente alle radici. E le radici sono lestesse per tutti, da qualunque parte poi si diriga l'ampiezza dei rami.1


I IN PRINCIPIO ERA LA PAROLAIn principio era <strong>il</strong> Verbo,<strong>il</strong> Verbo era presso <strong>Dio</strong>e <strong>il</strong> Verbo era <strong>Dio</strong>.Egli era in principio presso <strong>Dio</strong>:tutto è stato fatto per mezzo di luie senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste.In lui era la v<strong>it</strong>ae la v<strong>it</strong>a era la luce degli uomini;la luce splende nelle tenebre,ma le tenebre non l'<strong>ha</strong>nno accolta (Gv 1,1-5)."In principio era la Parola" (Gv 1,1-18).Sono contento che Giovanni inizi così <strong>il</strong> suo vangelo. Oggi preferiremmoaffermare che in principio era l'amore, la car<strong>it</strong>à.Il prologo del vangelo di Giovanni ci suggerisce che in <strong>Dio</strong> c'è comunicazione.Per dire la dinamica della relazione si può anche usare la categoria dell'amore, maGiovanni <strong>ha</strong> prefer<strong>it</strong>o usare quella della parola.<strong>Dio</strong> è comunicazione.Tutto ciò che <strong>ha</strong> origine da <strong>Dio</strong> è fatto per trasmettersi, per mostrarsi, per lasciartrasparire qualcosa, persino la realtà di <strong>Dio</strong>. Dire semplicemente che <strong>Dio</strong> è Parola ecomunicazione può indurre a pensare che la creazione del <strong>mondo</strong> e dell'uomoderivi dalla necess<strong>it</strong>à di <strong>Dio</strong> di comunicare.All'interno della dinamica trin<strong>it</strong>aria c'ègià comunicazione.La comunicazione "all'esterno" poteva non esserci e invece c'è, non comenecess<strong>it</strong>à, ma come dono.La nostra v<strong>it</strong>a, così come quella del <strong>mondo</strong>, trae la suaorigine da una relazione, da un circolo comunicativo."Logos" vuol dire parola che comunica, parola che spiega, soprattutto parola intrisadi significato: non chiacchiera, né insieme di parole confuse o esoteriche.Anche se sappiamo che <strong>Dio</strong> è l'infin<strong>it</strong>o, e che <strong>il</strong> mistero profondo di <strong>Dio</strong> èineffab<strong>il</strong>e, impariamo dalla tradizione biblica, e in particolare da questo prologodel vangelo di Giovanni, che <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio non basta davanti a <strong>Dio</strong>, che siamochiamati a comunicare ciò che <strong>Dio</strong> ci dice.La Parola traduce un'esperienza rendendola comunicab<strong>il</strong>e. La nostra stessaesperienza di incontro con <strong>Dio</strong> si chiarisce attraverso la parola, anche se le nostreparole non ne esauriscono <strong>il</strong> significato.Possiamo comunicare qualcosa quando riusciamo a tradurre la parola in terminiche poi possono cost<strong>it</strong>uire un racconto. Per far questo è necessario rivalorizzare lostudio e la riflessione. Chi annuncia <strong>il</strong> vangelo prova continuamente e sempre inmodo nuovo a comunicare <strong>Dio</strong> agli altri.2


Un vecchio missionario, insegnante di f<strong>il</strong>osofia, mi diceva:"Negli ambientimissionari c'è sempre qualcuno che sostiene che non serve studiare, che inmissione è più ut<strong>il</strong>e essere buoni meccanici o muratori. Questi missionari non sisono messi in ascolto della Parola nel nuovo contesto culturale in cui si sonotrovati. Hanno insegnato <strong>il</strong> catechismo esattamente come l'<strong>ha</strong>nno imparato perché,sentendolo sotto un'altra forma, non riescono a riconoscerlo. Chi invece si è apertoallo studio e alla riflessione riesce a dire qualcosa. Ciò non vale solo per imissionari, ma per chiunque, e vale soprattutto per la v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale! Non èpossib<strong>il</strong>e una v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale adulta se manca <strong>il</strong> nutrimento della Parola, dellostudio, della riflessione. Molta gente legge di tutto, e non legge ciò che puòalimentare la v<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale!".Parola e ascoltoIl "Logos", la Parola, era presso <strong>Dio</strong>, accanto a <strong>Dio</strong>, rivolta a <strong>Dio</strong>, da sempre.Il suomodo originario di esistere è essere davanti a <strong>Dio</strong>, guardando a <strong>Dio</strong>.L'essenza diquesta Parola è di essere da sempre in ascolto.Per chi annuncia la parola, e per i missionari in modo particolare, <strong>il</strong> primato nonspetta all'evangelizzazione, ma all'ascolto: "Ascolta Israele le leggi e le norme cheoggi io proclamo davanti a voi: imparatele e custod<strong>it</strong>ele e mettetele in pratica"(Dt5,1).Può cap<strong>it</strong>are di essere indaffarati per <strong>il</strong> regno di <strong>Dio</strong> senza più nemmeno mettersiin ascolto della voce dello Spir<strong>it</strong>o. Diceva un vecchio rabbino di un giovanerabbino: "Parla <strong>tanto</strong> di <strong>Dio</strong> da dimenticarsi che esiste".A chi ascolta in modo autentico cap<strong>it</strong>a di rimanere incantato da ciò che stasentendo.Le uniche parole efficaci che noi stessi riusciamo a dire sono quelleprima ascoltate.Il Logos è Parola in ascolto che, divenuta carne, continua ad ascoltare.Il Logos di cui parla Giovanni non solo riesce a parlare di <strong>Dio</strong> perché è presso diLui e lo ascolta, ma diventa l'immagine stessa di <strong>Dio</strong>, trasparenza del Padre.Questa Parola, "grazie alla quale tutto è stato fatto e senza la quale nulla è statofatto" (Gv 1,3) è <strong>il</strong> progetto di <strong>Dio</strong> sul <strong>mondo</strong>. Gli uomini sono stati fatti in vista diquesta Parola, e tutta la realtà ne è intrisa. Il <strong>mondo</strong> è stato creato perché rimangain ascolto e, in modo sempre più trasparente, diventi Parola di <strong>Dio</strong>.L'annunciatore della Parola, <strong>il</strong> testimone, <strong>ha</strong> <strong>il</strong> comp<strong>it</strong>o di risvegliare <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>all'ascolto e di annunciare quel <strong>Dio</strong> che si è lasciato riconoscere nel volto delFiglio.Il prologo di Giovanni sottolinea anche, per ben tre volte, <strong>il</strong> rifiuto da parte del<strong>mondo</strong> del progetto di <strong>Dio</strong>:- la Parola br<strong>il</strong>la ma le tenebre la rifiutano (1,5)- <strong>il</strong> Verbo è venuto nel <strong>mondo</strong>, ma <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> non lo riconosce (1,10)- è venuto tra i suoi e i suoi non l'<strong>ha</strong>nno accolto (1,11).3


Parola e libertàIl rifiuto è la prova della cattiveria e dell'ottus<strong>it</strong>à degli uomini, ma anche della nonviolenzadel Verbo. La parola di <strong>Dio</strong>, così necessaria, non trionfa imponendosi conla violenza, ma fa appello alla libertà, accettando pienamente la libertà dell'uomo e<strong>il</strong> suo rifiuto: "La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'<strong>ha</strong>nno sopraffatta"(Gv 1,5).Nessuna meraviglia, quindi, di fronte al rifiuto, e nessun tentativo di ricorrere astratagemmi per ev<strong>it</strong>arlo, violentando la libertà degli uomini o 'correggendo'l'annuncio. La Parola, pur rifiutata, vince. Chi parte da questo presupposto riesce avincere <strong>il</strong> pessimismo e lo scandalo di fronte al fallimento.Il cristiano deve avere occhi per vedere <strong>il</strong> male nel <strong>mondo</strong>, senza minimizzarlo, madeve contemporaneamente essere in grado di accorgersi che <strong>il</strong> germe del Regnoc'è, come una luce che nemmeno le f<strong>it</strong>te tenebre possono spegnere.E <strong>il</strong> Verbo si fece carnee venne ad ab<strong>it</strong>are in mezzo a noi;e noi vedemmo la sua gloria,gloria come di unigen<strong>it</strong>o dal Padre,pieno di grazia e ver<strong>it</strong>à (Gv 1,14).La Parola diviene carne: questa è la nov<strong>it</strong>à del cristianesimo.Il Logos, da sempre inascolto di <strong>Dio</strong>, per parlare agli uomini si fa uomo.<strong>Dio</strong> non comunica "a distanza", ma sceglie di parlare all'uomo vivendo la suaesperienza dall'interno. Il vangelo racconta che <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong> <strong>ha</strong> spinto la suacondivisione dell'esperienza umana fino al punto di trovarsi tentato, davanti a <strong>Dio</strong>e alla sua volontà. Gesù <strong>ha</strong> sperimentato la volontà del Padre come una prova, inmodo particolare nel Getsemani.Gesù parla di <strong>Dio</strong> perché è davanti a Lui, ma parla anche all'uomo perché necondivide la condizione L'"inculturazione" più radicale è quella di Gesù:l'incarnazione!L'incarnazione non comporta solo una sal<strong>it</strong>a dal basso all'alto, l'assunzionedell'uomo, ma anche la discesa della Parola.Gesù, Figlio di <strong>Dio</strong> che parla all'uomo, è uomo davanti a Lui: non <strong>ha</strong> sol<strong>tanto</strong>qualcosa da dirci, ma ci rappresenta.La Parola si fa carneLa Parola divenuta carne è piena di "grazia e ver<strong>it</strong>à" (Gv 1, 14). Le parole "grazia ever<strong>it</strong>à", che riecheggiano dai testi antico-testamentari, dicono l'alleanza che nasceda un amore gratu<strong>it</strong>o e fedele.Gesù rende visib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> volto di <strong>Dio</strong> attraverso tutti i suoi gesti che manifestanoquesto amore gratu<strong>it</strong>o, fedele e ostinato, che rimane solidale anche se l'altro rifiuta.4


La Chiesa stessa, anche quando non è accolta, deve rimanere davanti al <strong>mondo</strong>pronta a servire gratu<strong>it</strong>amente.La logica di <strong>Dio</strong> non è quella del contratto, ma della gratu<strong>it</strong>à e dell'amore. In un<strong>mondo</strong> in cui domina <strong>il</strong> cr<strong>it</strong>erio della contrattual<strong>it</strong>à <strong>il</strong> discepolo di Gesù è rifiutato,quando ama con lo stesso amore di Gesù Cristo:"Io ho dato a loro la tua parola e <strong>il</strong><strong>mondo</strong> li <strong>ha</strong> odiati perché essi non sono del <strong>mondo</strong>, come io non sono del <strong>mondo</strong>"(Gv 17, 14).Giovanni, anticipando nel prologo alcuni contenuti essenziali del suo vangelo, <strong>ha</strong>sent<strong>it</strong>o <strong>il</strong> bisogno di dire che Gesù non <strong>ha</strong> fatto altro che raccontarci <strong>il</strong> Padre: "<strong>Dio</strong>nessuno l'<strong>ha</strong> mai visto, <strong>il</strong> Figlio unigen<strong>it</strong>o che è nel seno del Padre, Lui ce lo <strong>ha</strong>rivelato" (Gv 1,18)."Nessuno <strong>ha</strong> mai visto <strong>Dio</strong>": <strong>il</strong> verbo al perfetto dice la stab<strong>il</strong><strong>it</strong>à del non-vedere.Alla visione, che non c'è ancora, è sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a l'esegesi, cioè <strong>il</strong> racconto, lanarrazione, la spiegazione: <strong>il</strong> nostro <strong>Dio</strong> lo incontriamo così!Il racconto biblico non si regge sulla visione, ma sulla parola e sull'ascolto.Dell' "Unigen<strong>it</strong>o Figlio che ci <strong>ha</strong> parlato" <strong>il</strong> testo dice "che è nel seno del Padre"(Gv 1,18). "Che è" (eis ton colpon) esprime un moto a luogo. L'intera espressionedovrebbe essere tradotta con "rivolto al seno del Padre".La Parola che si è fatta carne continua a essere rivolta al Padre.Nella frase "nessuno <strong>ha</strong> mai visto <strong>Dio</strong>", <strong>il</strong> verbo, al tempo perfetto, indica unacondizione stab<strong>il</strong>e, ma nell'espressione "Lui ce ne <strong>ha</strong> fatto l'esegesi" <strong>il</strong> verbo èall'aoristo. Il volto di <strong>Dio</strong> si manifesterà dopo la risurrezione nella presenza delCristo che vive nella Chiesa. Ma la rivelazione di Gesù è anche evento storico, chenon può essere misconosciuto, né sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dall'esperienza del singolo credente edella comun<strong>it</strong>à.Il missionario si fa annunciatore di un'esperienza di incontro con Cristo, ma la suaesperienza, per profonda che sia, non riesce mai a "dire" tutto Gesù Cristo.Né la car<strong>it</strong>à della Chiesa, né l'eroismo dei missionari, né i fatti che riattualizzano laparola del vangelo sono sufficienti a dir tutto.L'autentico testimone racconta la manifestazione di <strong>Dio</strong>, unica nella storia,accaduta "nella pienezza dei tempi", e corregge la propria esperienza su quella,facendosi serv<strong>it</strong>ore dello Spir<strong>it</strong>o.Molte comun<strong>it</strong>à oggi parlano continuamente di se stesse e della "propria esperienzadel Cristo", fino a mettere in secondo piano quel crocifisso che <strong>ha</strong> rivelato <strong>Dio</strong>,attraverso un certo modo di esistere, di vivere e di morire. Nel leggere <strong>il</strong> vangelodi Giovanni ci si accorge che la sottolineatura più ripetuta è che Gesù non diceparole sue, ma parole ascoltate, le parole del Padre: "Le parole che io vi dico, nonle dico da me; ma <strong>il</strong> Padre che è con me compie le sue opere" (Gv 14, 10).La parola del testimone autentico è fedele al vangelo e a Gesù Cristo: non nasce daopinioni personali e non si modella secondo ciò che è gradevole sentire.5


II LA VIA DELLA TESTIMONIANZAIl vangelo di Giovanni è estremamente concentrato: in uno stesso brano sonoraccolti molti significati che, a loro volta, possono essere colti da diverseangolature. Prenderemo in considerazione alcuni testi che riguardano latestimonianza: l'annuncio della Parola passa attraverso questa via. Per <strong>il</strong>lustrare inmodo semplice alcuni aspetti molto evidenti presenti nel vangelo di Giovanni, cisoffermiamo su cinque figure che vengono presentate come testimoni: GiovanniBattista, <strong>il</strong> discepolo, lo Spir<strong>it</strong>o Santo, Gesù e l'evangelista.Giovanni <strong>il</strong> BattistaVenne un uomo mandato da <strong>Dio</strong> e <strong>il</strong> suo nome era Giovanni. «Egli venne cometestimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo d<strong>il</strong>ui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce» (Gv 1,6-8).In questi tre versetti la parola e <strong>il</strong> verbo "testimonianza/testimoniare" sono ripetut<strong>it</strong>re volte. Giovanni viene presentato come "un uomo mandato da <strong>Dio</strong>", come Gesùe i discepoli.Chi è mandato si fa presente per decisione di un altro e parla a nome di chi loinvia; chi è mandato compie un movimento: va, deve spostarsi, non può essere unsedentario. Di Giovanni si dice che è mandato a dare testimonianza alla luce.Lo scopo del testimone non è di presentare sé stesso, ma di testimoniare qualcosafuori da sé e qualcuno al di là di sé stesso. Giovanni viene totalmente ricondotto alsuo ruolo di testimone: <strong>il</strong> suo comportamento si basa su una duplice affermazioneripetuta più volte: "non sono io", "è lui".La v<strong>it</strong>a del testimone autentico comprende <strong>il</strong> "tirarsi indietro": è <strong>tanto</strong> luminosa daattirare l'attenzione, ma non così abbagliante da impedire di vedere qualcos'altro.La Chiesa, <strong>il</strong> missionario, la comun<strong>it</strong>à cristiana testimoniano Cristo se si mettonoun po' da parte, se non parlano sempre e troppo di sé stessi. La distanza deveapparire.A chi è indirizzata la testimonianza di Giovanni <strong>il</strong> Battista? A tutti: "perché tutticredessero" (Gv 1,7). È una testimonianza universale, resa di fronte a tutti e per lafede di tutti, come la Parola che viene nel <strong>mondo</strong> è "luce vera, che <strong>il</strong>lumina ogniuomo" (Gv 1,9).La testimonianza <strong>ha</strong> come caratteristica costante l'universal<strong>it</strong>à. La testimonianzanon sceglie a chi rivolgersi, è resa davanti a tutti perché interessa tutti. Si tratta didare testimonianza alla luce: Gesù Cristo, <strong>il</strong> Verbo fatto carne. In questo caso lametafora della luce è abbastanza chiara."Questa" luce è necessaria per vedere, per orientarsi nel <strong>mondo</strong>, per camminare, eper rispondere a due fondamentali domande: Chi è <strong>Dio</strong>? Chi sono io? Latestimonianza del Battista accennata qui viene poi ripresa ampiamente dopo alcuniversetti (Gv 1,19-34), per introdurre la storia di Gesù.6


La parola testimonianza viene usata sub<strong>it</strong>o: "E questa è la testimonianza diGiovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e lev<strong>it</strong>i perinterrogarlo" (Gv 1,19).La sezione si conclude ancora con <strong>il</strong> verbo testimoniare: "Io ho visto e ho resotestimonianza che questi è <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong>" (Gv 1,34).La testimonianza del Battista viene ripresa in 3,22-36, dopo <strong>il</strong> colloquio conNicodemo: "Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: non sono io <strong>il</strong> Cristo, ma iosono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dellosposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questamia gioia è compiuta. "Egli deve crescere e io invece diminuire"(Gv 3,28-30)."Non sono io", ma è lui: la figura di Giovanni <strong>il</strong> Battista è un d<strong>it</strong>o puntato indirezione di Cristo, non parla d'altro, non mostra altro.Il vedersi messo da parte lo rende pieno di gioia perché la sua attenzione non siconcentra sul proprio destino, ma su un evento nuovo: "egli deve crescere".Il brano che <strong>il</strong>lustra meglio questo atteggiamento è quello in cui Giovanni indica <strong>il</strong>Messia che sta passando e due dei suoi discepoli lo abbandonano perché <strong>ha</strong>nnotrovato un altro maestro:"Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando losguardo su Gesù che passava, disse: 'Ecco l'agnello di <strong>Dio</strong>!'.E i due discepoli,sentendolo parlare così, seguirono Gesù" (Gv 1,35-37).In Gv 1,19-28, alla domanda "chi sei?", posta da coloro che sono stati mandatidalle autor<strong>it</strong>à per interrogarlo, Giovanni risponde innanz<strong>it</strong>utto negando di essere <strong>il</strong>Cristo, Elia o <strong>il</strong> profeta, e poi affermando: "Io sono voce di uno che grida neldeserto"(Gv 1,23). Giovanni non parla di sé, grida parlando di un altro.E più avanti: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che non conoscete,uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere <strong>il</strong> legaccio delsandalo" (Gv 1,26).La testimonianza di Giovanni <strong>il</strong> Battista consiste nel rivelare qualcuno che non èconosciuto; tuttavia questo qualcuno che va conosciuto non è assente o lontano, maè già "in mezzo". Il missionario, dovunque vada, deve far conoscere qualcuno chec'è già, che è arrivato prima di lui.Il testimone non deve "portare" nessuno, ma soloindicare.In Giovanni 1,32 si legge: "Giovanni rese testimonianza dicendo: 'Ho visto loSpir<strong>it</strong>o scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui'".La visione sta alla base della testimonianza di Giovanni.Il "vedere" di cui si parla a propos<strong>it</strong>o di Giovanni non riguarda qualcosa diprodigioso, totalmente al di là dell'esperienza umana, ma ciò che tutti vedono, dicui <strong>il</strong> Battista <strong>ha</strong> colto <strong>il</strong> significato.Giovanni <strong>ha</strong> visto la presenza di <strong>Dio</strong> nella carne di Gesù. L'uomo Gesù è statovisto da tutti nella carne, ma <strong>il</strong> Battista <strong>ha</strong> cap<strong>it</strong>o che in lui c'è la gloria.La storia umana viene vissuta e letta da tutti, ma non tutti vedono <strong>il</strong> regno di <strong>Dio</strong>presente in essa. Il testimone annuncia qualcosa che <strong>ha</strong> visto, di cui <strong>ha</strong> compreso <strong>il</strong>significato. In Giovanni 1,34 si legge: "E io ho visto e ho reso testimonianza".7


Nell'originale greco, vedere e testimoniare vengono usati al perfetto: si tratta di"vedere" qualcosa di permanente, non perché continua a ripetersi, ma perché unavolta accaduto continua ad essere presente.Il testimone <strong>ha</strong> visto una volta, e la visione permane: <strong>il</strong> suo è <strong>il</strong> racconto di un fattopassato di cui <strong>ha</strong> cap<strong>it</strong>o <strong>il</strong> significato, e nello stesso tempo <strong>il</strong> racconto di un fattopresente perché entrato nella sua v<strong>it</strong>a.La parola che <strong>il</strong> testimone annuncia non è sua, ma di <strong>Dio</strong>; si tratta tuttavia anche diun racconto autobiografico perché quella parola e quell'episodio si sono realizzatianche dentro di lui.Il testimone non racconta innanz<strong>it</strong>utto ciò che gli è cap<strong>it</strong>ato, ma <strong>il</strong> vangelo.Il modocon cui legge o racconta dipende dal fatto che <strong>il</strong> testimone <strong>ha</strong> vissuto un evento chegli <strong>ha</strong> parlato, che <strong>ha</strong> ascoltato una parola valida anche per sé. La testimonianza pereccellenza è parlare del vangelo mostrando come quella parola sia ver<strong>it</strong>à per séstessi: un evento presente e quotidiano che <strong>ha</strong> assunto anche <strong>il</strong> proprio timbro.Il discepoloIl vangelo di Giovanni introduce la figura del discepolo parlando dei discepoli diGiovanni che decidono di seguire Gesù (Gv 1,35-51). Di loro non si dice cheabbiano lasciato la barca, le reti, la famiglia, ma che <strong>ha</strong>nno lasciato <strong>il</strong> vecchiomaestro perché ne <strong>ha</strong>nno trovato uno nuovo."Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: 'Che cercate?'Glirisposero: 'Rabbì dove ab<strong>it</strong>i?'.Disse loro: 'Ven<strong>it</strong>e e vedrete'.Andarono dunque evidero dove ab<strong>it</strong>ava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattrodel pomeriggio" (Gv 1,38-39).Manca <strong>il</strong> verbo "testimoniare", ma <strong>il</strong> comportamento dei due discepoli fa parte diuna catena di testimonianze: <strong>il</strong> Battista <strong>ha</strong> reso testimonianza e i suoi discepoliseguono Gesù, scoprono dove dimora e chiamano altri.L'incontro genera una catena di testimonianze, è contagioso. La radice dellatestimonianza è l'incontro.Il testimone parla ad altri perché <strong>ha</strong> trovato qualcosa dicosì bello, ut<strong>il</strong>e e prezioso da dover essere raccontato e condiviso con tutti.Nell'esperienza dell'incontro c'è qualcosa di più: <strong>il</strong> discepolo scopre che senzasaperlo cercava già ciò che ora <strong>ha</strong> incontrato.L'incontro gli svela come essenzialeciò di cui prima faceva a meno.L'esperienza dell'incontro da parte dell'apostolo mette in evidenza unacontraddizione: <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> attende Cristo ma vive e può vivere facendone a meno.Cristo non è oggetto di un'attesa, ma è di più, è l'incontro che apre la porta anche achi non attende niente.L'esperienza dell'incontro svela l'attesa.L'Antico testamento è preparazione delNuovo se si crede nell'evento di Gesù Cristo, altrimenti può essere vissutoautonomamente, come fanno gli ebrei.Che l'uomo abbia un'inquietudine religiosa è vero, ma non è detto che a riempirlasia necessario Gesù Cristo: i musulmani non <strong>ha</strong>nno forse riemp<strong>it</strong>o la loroinquietudine con altro?8


È solo l'incontro susc<strong>it</strong>ato dalla testimonianza di altri che fa emergere <strong>il</strong> bisogno diCristo.I discepoli <strong>ha</strong>nno vissuto questa esperienza: <strong>ha</strong>nno incontrato, <strong>ha</strong>nno cap<strong>it</strong>oe <strong>ha</strong>nno testimoniato.Lo Spir<strong>it</strong>o SantoLo Spir<strong>it</strong>o Santo appare nei discorsi di addio (Gv 15,26-27; 16,8-11) come <strong>il</strong>testimone. "Quando verrà <strong>il</strong> Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spir<strong>it</strong>o diver<strong>it</strong>à che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza e anche voi mirenderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio"(Gv 15,26-27).Il contesto è <strong>il</strong> rifiuto da parte del <strong>mondo</strong>. "Se <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> vi odia sappiate che prima<strong>ha</strong> odiato me; se foste del <strong>mondo</strong> <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> amerebbe ciò che è suo, poiché invecenon siete del <strong>mondo</strong>, ma io vi ho scelto dal <strong>mondo</strong>, per questo <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> viodia"(Gv 15,18-19).Il contenuto della testimonianza è sempre Gesù Cristo. Questo odio da parte del<strong>mondo</strong> viene precisato immediatamente dopo nel rifiuto da parte dei giudei: "Viscacceranno dalle sinagoghe, anzi verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà direndere culto a <strong>Dio</strong>" (Gv 16,2).Siamo in un contesto di persecuzione, di rifiuto da parte del <strong>mondo</strong>.Lapersecuzione giudaica è semplicemente un esempio di quella generale, cheriguarda <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>.Qui l'azione del testimone rientra nel suo amb<strong>it</strong>o specifico: <strong>il</strong>processo. In questo caso chi rende testimonianza lo fa a favore di colui che sta peressere rifiutato e condannato.Il rischio è evidente: testimoniando a favore di qualcuno che sta per esserecondannato si rischia di subire la stessa condanna.L'evangelista Giovanni dice che l'odio nasce dal fatto che <strong>il</strong> cristiano nonappartiene al <strong>mondo</strong> perché ragiona secondo una logica alternativa, quella dellanon violenza e della gratu<strong>it</strong>à. Questa è la radice dell'odio e del rifiuto.Lo Spir<strong>it</strong>o rende testimonianza a Gesù nel <strong>mondo</strong>, ma anche all'interno dellacomun<strong>it</strong>à dei cristiani: "Lo Spir<strong>it</strong>o mi renderà testimonianza" (Gv 15,26).Questo brano del vangelo parla ai cristiani, alla comun<strong>it</strong>à cristiana che trovandosinel <strong>mondo</strong> rifiutata e persegu<strong>it</strong>ata, si interroga sull'efficacia della propria presenza.Lo Spir<strong>it</strong>o fa da testimone anche dentro la Chiesa, in mezzo ai discepoli dubbiosi,rassicurando questo gruppo pur piccolo di credenti, estrema minoranza, econfortandoli: la parola in cui credono è la parola vera, che salva, anche se laparola del <strong>mondo</strong> appare vincente.Anche oggi c'è bisogno di questa testimonianza dello Spir<strong>it</strong>o all'interno dellaChiesa, per convincere i cristiani che la parola evangelica, oltre ad essere vera, èefficace. Per renderla efficace spesso ricorriamo ad altre cose (prestigio mondiale,denaro), perché la parola ci pare sment<strong>it</strong>a.Solo lo Spir<strong>it</strong>o che ci rende testimonianza ci permette di essere testimoni efficaci.L'efficacia non deriva dal fatto che la parola è necessariamente trionfante, ma dalnostro dimostrarci pronti a pagare per essa, talmente sicuri che questa parola è9


v<strong>it</strong>toriosa da non sentire <strong>il</strong> bisogno di sostenerla con "puntelli" che appartengono al<strong>mondo</strong>.Secondo Giovanni 16,23, lo Spir<strong>it</strong>o che si manifesta attraverso la comun<strong>it</strong>àcristiana sarà memoria: "dirà tutto ciò che avrà ud<strong>it</strong>o"; e guida per i discepoli: "viguiderà verso la ver<strong>it</strong>à tutta intera". Lo Spir<strong>it</strong>o, testimone di Cristo, "non parlerà dasé", ma verrà a dire le Parole di Cristo, ciò che <strong>ha</strong> sent<strong>it</strong>o.Secondo Giovanni lo Spir<strong>it</strong>o Santo non <strong>ha</strong> nulla di fantasioso, non inventa nulla.Oggi <strong>tanto</strong> più una cosa è strana, fuori dal comune, <strong>tanto</strong> più si dice derivi dalloSpir<strong>it</strong>o.Per Giovanni, invece, lo Spir<strong>it</strong>o è l'obbediente: dice le cose che Gesù Cristo<strong>ha</strong> detto. Il metro di misura per sapere se azioni, vicende, esperienze sono delloSpir<strong>it</strong>o è <strong>il</strong> confronto continuo con <strong>il</strong> vangelo.Gesù CristoAllora P<strong>il</strong>ato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re.Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel <strong>mondo</strong>: per renderetestimonianza alla ver<strong>it</strong>à.Chiunque è dalla ver<strong>it</strong>à ascolta la mia voce" (Gv 18,37).Gesù è venuto nel <strong>mondo</strong> per rendere testimonianza alla ver<strong>it</strong>à: questa è la ragionedella sua incarnazione, la ragione che <strong>ha</strong> guidato tutto <strong>il</strong> suo ministero, lo scopodella sua venuta.Siamo in un contesto giudiziario, pubblico; in un contesto dove la testimonianzaappare nel senso forte del martirio (con questa testimonianza <strong>il</strong> Cristo finirà sullacroce). La ver<strong>it</strong>à nel vangelo di Giovanni è <strong>il</strong> disegno di <strong>Dio</strong> apparso in Cristo,l'ident<strong>it</strong>à di <strong>Dio</strong> rivelata.Gesù <strong>ha</strong> mostrato chi è <strong>Dio</strong> per noi e chi è l'uomo per <strong>Dio</strong>; questa è la grandever<strong>it</strong>à: la visione di <strong>Dio</strong> e dell'uomo. Una visione che irr<strong>it</strong>a, perché capovolge tuttigli aspetti dell'esistenza, da quelli individuali a quelli sociali e pol<strong>it</strong>ici.Testimoniare una ver<strong>it</strong>à così mette a rischio. Ci sono religioni e dei modi di parlaredi <strong>Dio</strong> e dell'uomo che non comportano nessun rischio e che non mettono niente indiscussione: per questo la società li accetta e li favorisce.L'idea di <strong>Dio</strong> si modella secondo l'immagine comunemente accettata: <strong>il</strong> <strong>Dio</strong> chegiustamente divide quelli che contano e quelli che non contano, <strong>il</strong> <strong>Dio</strong> che nondesidera che tutti gli uomini abbiano la stessa dign<strong>it</strong>à perché, <strong>tanto</strong>, in paradiso ladarà a tutti. Un <strong>Dio</strong> così non disturba nessuno, ma se si testimonia che la pienadign<strong>it</strong>à dell'uomo vale per ciascuno su questa terra, perché ognuno è <strong>amato</strong> dalPadre allo stesso modo, allora si capovolgono tutti gli schemi e se ne crea unoalternativo.Il vangelo di Giovanni è religiosissimo, ma di una religios<strong>it</strong>à che va alla radicedella v<strong>it</strong>a di fede."Rendere testimonianza" vuol dire non avere altro interesse senon la proclamazione e l'attuazione della ver<strong>it</strong>à. La differenza appare in modoparticolarmente evidente tra Gesù e P<strong>il</strong>ato: P<strong>il</strong>ato non è <strong>il</strong> testimone della ver<strong>it</strong>à.P<strong>il</strong>ato vorrebbe agire giustamente e liberare Gesù, ma <strong>il</strong> suo valore supremo non èla giustizia quanto piuttosto essere amico di Cesare: questa è la sua ragione di10


stato. Nel momento in cui la ver<strong>it</strong>à si scontra con la ragione di stato è la ver<strong>it</strong>à cheperde.Per Gesù Cristo, non c'è nessuna ragione di stato al di sopra della proclamazionedella ver<strong>it</strong>à, non c'è nulla di più importante di questo, neppure la propria esistenza,neppure <strong>il</strong> trionfo del regno di <strong>Dio</strong>! La ver<strong>it</strong>à a cui dobbiamo rendere testimonianzanon è <strong>il</strong> trionfo del regno di <strong>Dio</strong> ma <strong>il</strong> suo significato. Chi rende testimonianza nonammazza gli uomini per far trionfare <strong>il</strong> regno di <strong>Dio</strong>, ma rischia di perdere persalvarne anche uno solo.Rischiare di perdere per salvare anche un solo uomo rendei c<strong>it</strong>tadini veramente alternativi e religiosi.L'evangelistaA conclusione del brano sulla crocifissione, Giovanni scrive: "Chi <strong>ha</strong> visto ne dàtestimonianza e la sua testimonianza è vera e sa di dire <strong>il</strong> vero, perché anche voicrediate" (Gv 19,35).Che insistenza! È un'insistenza che certamente abbraccia tutto <strong>il</strong> vangelo.Giovanni voleva testimoniare ciò che aveva visto e cap<strong>it</strong>o perché lo si potessesempre ripetere e ascoltare. Non è un caso che intervenga con questa frase a questopunto del racconto, dopo la crocifissione, e prima della risurrezione. Ha r<strong>it</strong>enutoimportante l'evento del crocifisso da cui esce sangue e acqua.L'episodio termina con una c<strong>it</strong>azione dalla Scr<strong>it</strong>tura:"Volgeranno lo sguardo acolui che <strong>ha</strong>nno traf<strong>it</strong>to" (Gv 19,37).Gli uomini non dovranno fare altro che volgere lo sguardo verso <strong>il</strong> traf<strong>it</strong>to.La testimonianza consiste nel mantenere viva questa memoria, questa figura,questa icona del Cristo da cui esce sangue e acqua.La croce, da cui nasce anche laChiesa, è salvifica, e rivela un aspetto del volto di <strong>Dio</strong>, un suo modo di presentarsi.III LA VIA DELL'INCONTROIl vangelo è messaggio rivolto a tutti e, per testimoniarlo, è necessario stare davantial <strong>mondo</strong>, agli altri. Il <strong>mondo</strong> a volte per Giovanni è l'uman<strong>it</strong>à che <strong>Dio</strong> <strong>ha</strong> <strong>amato</strong> ea cui <strong>ha</strong> mandato suo Figlio, altre volte invece è la malvag<strong>it</strong>à, la logica cattiva "nonsiete del <strong>mondo</strong>" (Gv 15, 18). Il discepolo, come Gesù Cristo, è davanti al <strong>mondo</strong>,anche quando si tratta del <strong>mondo</strong> malvagio, pronto ad accoglierlo, a servirlo, adannunciargli la parola che converte.Nel vangelo di Giovanni non esistono, come a volte è stato detto, spiragli di fuga,l'idea di r<strong>it</strong>irarsi, abbandonando <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> a sé stesso. L'idea che <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> siatalmente cattivo che non vale la pena di correggerlo era presente nella spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>àapocal<strong>it</strong>tica.Secondo questa spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à (diffusa al tempo del vangelo) l'unica soluzione èquella di abbandonare <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> perché non più riformab<strong>il</strong>e, di r<strong>it</strong>irarsi aspettandoche <strong>Dio</strong> ricostruisca un <strong>mondo</strong> nuovo sulle ceneri di quello vecchio.11


Questi pensieri affiorano ogni <strong>tanto</strong> nello spir<strong>it</strong>o umano, anche dal punto di vistareligioso, ma non è più possib<strong>il</strong>e ragionare così da quando la Parola incarnandosi èvenuta nel <strong>mondo</strong>.Il <strong>mondo</strong> può rifiutare la Parola, ma la Parola non rifiuta <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>. Il vangelo è insé universale perché è una parola che può raggiungere tutti gli uomini, anchequando viene respinta.Nell'esortazione apostolica post-sinodale "Pastores dabo vobis" oltre a dire che <strong>il</strong>seminario deve accogliere e rispettare le origini di chi entra, la sua spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à, lasua matur<strong>it</strong>à, si dice anche che <strong>il</strong> seminario deve educare i giovani a diventarepastori di tutti, non di un gruppo che vive una particolare spir<strong>it</strong>ual<strong>it</strong>à.Il sacerdote <strong>ha</strong> <strong>il</strong> comp<strong>it</strong>o di richiamare tutti alla radice del vangelo, che susc<strong>it</strong>a idiversi carismi senza identificarsi con nessuno. Non basta <strong>il</strong> confronto dei carism<strong>it</strong>ra di loro, ma è essenziale <strong>il</strong> confronto di ciascun carisma con lo stesso vangeloche li mette in movimento tutti. I diversi gruppi ecclesiali devono confrontarsi conlo stesso Maestro, non ognuno con <strong>il</strong> proprio.Il dialogo, la comunione "orizzontale", non sono sufficienti: la vera universal<strong>it</strong>à èmettersi in ascolto di una Parola che supera tutti.L'annuncio è universale se si rivolge a tutti: deve dire qualcosa ai vicini, ai lontanie anche al non-credente. Il cristiano, proprio perché crede che la Parola incarnata èentrata nel <strong>mondo</strong>, sa scorgere la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à tra gli uomini, nelle loro opere, nelleloro religioni, e ne gioisce.Se è vero che la Parola br<strong>il</strong>la davanti a tutti deveessercene traccia nel <strong>mondo</strong>! Il cristiano, invece di demolire tutto, scopre questetracce, le mette in evidenza e le fa crescere. È possib<strong>il</strong>e riuscire a essere dovunque,anche in un piccolo gruppo, la figura di un <strong>Dio</strong> che ama tutti.Per dire che di fronte a <strong>Dio</strong> non ci sono differenze chi ama deve partire dagliultimi, da quelli ai margini, dimostrando che contano come gli altri. Questo è <strong>il</strong>segno autentico dell'universal<strong>it</strong>à.Essere "cattolici" non significa solo girare <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> ma abbattere le barriere, esseredovunque in nome di Gesù Cristo.L'universal<strong>it</strong>à autentica trova la sua espressioneconcreta nel servizio: Gesù non fa distinzioni fra le persone e non fa leva sullepersone che contano di più, ma accoglie tutti a partire dagli ultimi e dai peccatori.Il comp<strong>it</strong>o del sacerdote è quello di custodire la memoria, impedendo che <strong>il</strong>vangelo venga accaparrato in una sola forma.Il prete è l'uomo dei sacramenti e della Parola, ma anche l'uomo che deveassolutamente impedire alla sua comun<strong>it</strong>à di particolarizzarsi, e devecontinuamente aprire le finestre per costringere la sua gente a vedere ciò che nonvuole vedere e a interessarsi di ciò di cui non sa e di cui non si interessa.La nostra pastorale si è procurata talmente tanti mezzi ed elabora così tanti progettiche i preti non <strong>ha</strong>nno più tempo per <strong>il</strong> rapporto personale con la gente. I parrocioggi <strong>ha</strong>nno tante cose da fare e non <strong>ha</strong>nno più <strong>il</strong> tempo di andare a trovare gliammalati, o di stare con calma con una persona che chiede di poter parlare. Questeopere non sono sost<strong>it</strong>uib<strong>il</strong>i con nulla: bisogna r<strong>it</strong>ornare all'essenziale, a questapastorale semplice che, oltretutto, non richiede mezzi.12


Tre dialoghi di Gesù che si trovano nel vangelo di Giovanni ci guidano in questaterza med<strong>it</strong>azione.Nicodemo"C'era tra i farisei un uomo chi<strong>amato</strong> Nicodemo, un capo dei giudei. Egli andò daGesù, di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da <strong>Dio</strong>;nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se <strong>Dio</strong> non è con lui". Gli rispose Gesù:"In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere <strong>il</strong> regno di<strong>Dio</strong>". Gli disse Nicodemo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Puòforse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?".Gli risposeGesù: "In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spir<strong>it</strong>o, non puòentrare nel regno di <strong>Dio</strong>. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è natodallo Spir<strong>it</strong>o è Spir<strong>it</strong>o. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto.Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va:così è di chiunque è nato dallo Spir<strong>it</strong>o". Replicò Nicodemo: "Come può accaderequesto?".Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? Inver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel cheabbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato dicose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?Eppure nessuno è mai sal<strong>it</strong>o al cielo, fuorché <strong>il</strong> Figlio dell'uomo che è disceso dalcielo. E come Mosè innalzò <strong>il</strong> serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato<strong>il</strong> Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la v<strong>it</strong>a eterna.<strong>Dio</strong> infatti <strong>ha</strong><strong>tanto</strong> <strong>amato</strong> <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> da dare <strong>il</strong> suo Figlio unigen<strong>it</strong>o, perché chiunque crede in luinon muoia, ma abbia la v<strong>it</strong>a eterna.<strong>Dio</strong> non <strong>ha</strong> mandato <strong>il</strong> Figlio nel <strong>mondo</strong> pergiudicare <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>, ma perché <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> si salvi per mezzo di lui. Chi crede in luinon è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non <strong>ha</strong>creduto nel nome dell'unigen<strong>it</strong>o Figlio di <strong>Dio</strong>. E <strong>il</strong> giudizio è questo: la luce èvenuta nel <strong>mondo</strong>, ma gli uomini <strong>ha</strong>nno prefer<strong>it</strong>o le tenebre alla luce, perché leloro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa <strong>il</strong> male, odia la luce e non vienealla luce perché non siano svelate le sue opere.Ma chi opera la ver<strong>it</strong>à viene allaluce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in <strong>Dio</strong>" (Gv 3,1-21).Nicodemo è un giudeo, un capo, uno di quelli che parla al plurale ("noisappiamo"); è rappresentativo di un gruppo, <strong>il</strong> portavoce di quei credenti dei qualipoco prima si dice che: "Vedendo i segni che Gesù faceva credevano in lui, maGesù non si fidava di loro" (Gv 2,23). Nicodemo infatti dice: "Nessuno può fare isegni che fai tu se <strong>Dio</strong> non è con lui"(Gv 3,2). Questo è un personaggio che, per lasua cultura religiosa e per la sua capac<strong>it</strong>à di leggere gli avvenimenti, <strong>ha</strong> tratto lesue conclusioni dai segni che <strong>ha</strong> visto, ma non si è lasciato convertire.Ha letto i segni di Gesù con <strong>il</strong> metro di una teologia che già possedeva. I segni nonbastano a convertire: possono indurre a credere in un <strong>Dio</strong> che si pensa diconoscere, non a cambiare la propria idea di <strong>Dio</strong>.13


Nicodemo credeva di aver cap<strong>it</strong>o, ma in realtà <strong>ha</strong> letto i segni con uno schema chegià possedeva senza lasciarsi rinnovare da essi. Il dialogo inizia con l'affermazionedi Nicodemo: "Sappiamo che tu sei un maestro venuto da <strong>Dio</strong>; nessuno infatti puòfare i segni che tu fai, se <strong>Dio</strong> non è con lui"(Gv 3,2).A chi crede di sapere interpretare i segni, Gesù controbatte che è necessario"rinascere". Quest'uomo che crede di non doversi convertire, che sa già chi è, deverigenerarsi.L'immagine della rigenerazione indica la radical<strong>it</strong>à del cambiamento: è necessarioricominciare da capo, partire da zero; e la gratu<strong>it</strong>à: di fronte alla nasc<strong>it</strong>a l'uomo èimpotente, viene generato da qualcuno, riceve la v<strong>it</strong>a. È questa la conversione:capire che <strong>il</strong> <strong>Dio</strong> di Gesù Cristo è diverso da come lo si immaginava. La rinasc<strong>it</strong>adallo Spir<strong>it</strong>o non avviene solo quando da peccatori si diventa giusti, ma quando sicomprende che <strong>Dio</strong> è venuto per i peccatori e non per i giusti.Nell'ultima parte del brano Gesù non parla più a Nicodemo, ma a chiunque:"ComeMosè innalzò <strong>il</strong> serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato <strong>il</strong> Figliodell'uomo" ( Gv 3,14).Sulla croce <strong>Dio</strong> rivela di sé <strong>il</strong> contrario di quanto si poteva pensare, qualcosa checerto Nicodemo non pensava: <strong>Dio</strong> ama così <strong>tanto</strong> da dare la v<strong>it</strong>a per l'uomo. È laconseguenza estrema, accettata fino in fondo, della fede in <strong>Dio</strong> amore: significache <strong>Dio</strong> è persona, che va in cerca dei perduti, che rimane sulla croce a dispetto d<strong>it</strong>utte le immagini di potenza che l'uomo <strong>ha</strong> costru<strong>it</strong>o.Il brano del colloquio con Nicodemo termina con la risposta di Gesù sul motivoper cui alcuni accettano e altri rifiutano la testimonianza: "Chiunque infatti fa <strong>il</strong>male, odia la luce e non viene alla luce perché non vengano svelate le sue opere.Ma chi opera la ver<strong>it</strong>à viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue operesono state fatte in <strong>Dio</strong>" (Gv 3,20-21).È vero che la conoscenza in qualche modo orienta la prassi, ma è anche vero <strong>il</strong>contrario: la prassi orienta la conoscenza.Se viviamo male non vediamo la ver<strong>it</strong>à perché siamo portati a giustificarci e atrovare sempre degli argomenti che ci danno ragione, e se fossimo teolog<strong>it</strong>roveremmo sempre degli argomenti teologici, cioè religiosi, per rifiutare <strong>Dio</strong>, perinventarne uno a nostra misura.Si può dire che l'ortoprassi condiziona l'ortodossia!Se una Chiesa è ricca in mezzo ai poveri non capisce le parole del vangelo cheparlano dei poveri, perché vive in una posizione sbagliata.La samar<strong>it</strong>ana"Quando <strong>il</strong> Signore venne a sapere che i farisei avevano sent<strong>it</strong>o dire: Gesù fa piùdiscepoli e battezza più di Giovanni - sebbene non fosse Gesù in persona chebattezzava, ma i suoi discepoli -, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso laGal<strong>il</strong>ea. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse per<strong>tanto</strong> ad una c<strong>it</strong>tàdella Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato aGiuseppe suo figlio: qui c'era <strong>il</strong> pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del14


viaggio, sedeva presso <strong>il</strong> pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò in<strong>tanto</strong> una donnadi Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: "Dammi da bere". I suoi discepoliinfatti erano andati in c<strong>it</strong>tà a far provvista di cibi. Ma la Samar<strong>it</strong>ana gli disse:"Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donnasamar<strong>it</strong>ana?". I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samar<strong>it</strong>ani.Gesù le rispose: "Se tu conoscessi <strong>il</strong> dono di <strong>Dio</strong> e chi è colui che ti dice: Dammida bere!, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Glidisse la donna: "Signore, tu non <strong>ha</strong>i un mezzo per attingere e <strong>il</strong> pozzo è profondo;da dove <strong>ha</strong>i dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padreGiacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e <strong>il</strong> suogregge?". Rispose Gesù: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; machi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io glidarò diventerà in lui sorgente di acqua che zamp<strong>il</strong>la per la v<strong>it</strong>a eterna". "Signore,gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continuia venire qui ad attingere acqua". Le disse: "Va' a chiamare tuo mar<strong>it</strong>o e poir<strong>it</strong>orna qui". Rispose la donna: "Non ho mar<strong>it</strong>o". Le disse Gesù: "Hai detto benenon ho mar<strong>it</strong>o; infatti <strong>ha</strong>i avuto cinque mar<strong>it</strong>i e quello che <strong>ha</strong>i ora non è tuomar<strong>it</strong>o; in questo <strong>ha</strong>i detto <strong>il</strong> vero". Gli replicò la donna: "Signore, vedo che tu seiun profeta. I nostri padri <strong>ha</strong>nno adorato <strong>Dio</strong> sopra questo monte e voi d<strong>it</strong>e che èGerusalemme <strong>il</strong> luogo in cui bisogna adorare". Gesù le dice: "Credimi, donna, ègiunto <strong>il</strong> momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete <strong>il</strong>Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo,perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto <strong>il</strong> momento, ed è questo, in cui iveri adoratori adoreranno <strong>il</strong> Padre in spir<strong>it</strong>o e ver<strong>it</strong>à; perché <strong>il</strong> Padre cerca taliadoratori. <strong>Dio</strong> è spir<strong>it</strong>o, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spir<strong>it</strong>o ever<strong>it</strong>à". Gli rispose la donna: "So che deve venire <strong>il</strong> Messia (cioè <strong>il</strong> Cristo):quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". Le disse Gesù: "Sono io, che tiparlo". In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse adiscorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: "Che desideri?" o: "perchéparli con lei?". La donna in<strong>tanto</strong> lasciò la brocca, andò in c<strong>it</strong>tà e disse alla gente:"Ven<strong>it</strong>e a vedere un uomo che mi <strong>ha</strong> detto tutto quello che ho fatto.Che sia forse <strong>il</strong>Messia?". Uscirono allora dalla c<strong>it</strong>tà e andavano da lui. In<strong>tanto</strong> i discepoli lopregavano: "Rabbì, mangia". Ma egli rispose: "Ho da mangiare un cibo che voinon conoscete". E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno forse gli <strong>ha</strong>portato da mangiare?". Gesù disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui chemi <strong>ha</strong> mandato e compiere la sua opera. Non d<strong>it</strong>e voi: Ci sono ancora quattro mesie poi viene la miet<strong>it</strong>ura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campiche già biondeggiano per la miet<strong>it</strong>ura. E chi miete riceve salario e raccoglie fruttoper la v<strong>it</strong>a eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti sirealizza <strong>il</strong> detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voinon avete lavorato; altri <strong>ha</strong>nno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro".Molti Samar<strong>it</strong>ani di quella c<strong>it</strong>tà credettero in lui per le parole della donna chedichiarava: "Mi <strong>ha</strong> detto tutto quello che ho fatto". E quando i Samar<strong>it</strong>anigiunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni.15


Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: "Non è più per latua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo ud<strong>it</strong>o e sappiamo chequesti è veramente <strong>il</strong> salvatore del <strong>mondo</strong>" (Gv 4,1-42).Del personaggio con cui Gesù si ferma a parlare si sa innanz<strong>it</strong>utto che è una donna,e per di più della Samaria, una regione emarginata rispetto alla Giudea da doveGesù proviene. Più avanti si scopre qualcosa che fa della donna una personaemarginata nel suo stesso paese: l'uomo con cui vive non è suo mar<strong>it</strong>o (Gv 4,18).Se c'era una donna da ev<strong>it</strong>are era proprio questa. Gesù avvia con lei un discorso.Il gesto di Gesù è insol<strong>it</strong>o, crea stupore. Questa donna si sente chiedere da bere daun giudeo: chi si sente inferiore ed emarginato trova un'accoglienza che non siimmaginava. Dalla richiesta di Gesù "dammi da bere", prende avvio tutto <strong>il</strong>discorso che conduce pian piano la samar<strong>it</strong>ana ad una "conversione", le cui tappesono tutte di abbandono sia teologico che morale.Per la samar<strong>it</strong>ana non è logico che un giudeo le chieda da bere: un giudeo non puòparlare con una donna e per di più samar<strong>it</strong>ana. Gesù parla: è questa la primaaccoglienza che susc<strong>it</strong>a meraviglia. Poi la samar<strong>it</strong>ana si sente dire che quell'uomo<strong>ha</strong> un'acqua che dura per sempre e quindi che è più grande di Giacobbe che avevaquesto pozzo; quando poi chiede se si deve adorare <strong>Dio</strong> a Gerusalemme o sulmonte di Giacobbe scopre che anche questo problema teologico è superato.La donna deve abbandonare le sue concezioni fino ad arrivare a capire ciò che ledice Gesù: "sono io che ti parlo".Ancora una volta <strong>il</strong> centro del dialogo è l'ident<strong>it</strong>à di Gesù, qui è espressachiaramente come ident<strong>it</strong>à aperta verso <strong>il</strong> Padre: la vera adorazione avviene tram<strong>it</strong>eGesù. Questo dialogo è bello per lo st<strong>il</strong>e, per la dinamica di superamento delleresistenze fra Gesù e la samar<strong>it</strong>ana, per <strong>il</strong> gesto di Gesù che accoglie la persona làdov'è.Il dialogo fra Gesù e la samar<strong>it</strong>ana è un incontro.Quando la donna dice di nonavere mar<strong>it</strong>o, Gesù non fa una predica sul matrimonio.Spesso i cristiani pensanoche per annunciare <strong>il</strong> vangelo bisogna dare agli altri uno scossone morale.Non si può cominciare partendo dall'insegnamento morale, non sta in piedi.Gesù<strong>ha</strong> avuto qualcosa da dire alla samar<strong>it</strong>ana, e <strong>ha</strong> avuto qualcosa da dire anche aidiscepoli che, non capendo perché parlasse di "un altro cibo", si chiedevano sequalcuno gli avesse portato da mangiare. Ai discepoli Gesù dice di avere comecibo la volontà del Padre, e li inv<strong>it</strong>a ad "alzare <strong>il</strong> capo e guardare le messi che giàbiondeggiano". Non dice di guardare "quanto marcio c'è nel <strong>mondo</strong>" ma fa vedereche c'è una messe pronta e che i tempi sono maturi.La fiducia in <strong>Dio</strong> e nel fatto che <strong>il</strong> suo Regno è presente ci fa essere uomini disperanza, realisti e non goffi, che vedono d'istinto i germi sparsi del Regno e lievidenziano.16


L'ufficiale regio"Gesù andò dunque di nuovo a Cana di Gal<strong>il</strong>ea, dove aveva cambiato l'acqua invino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui,ud<strong>it</strong>o che Gesù era venuto dalla Giudea in Gal<strong>il</strong>ea, si recò da lui e lo pregò discendere a guarire suo figlio poiché stava per morire.Gesù gli disse: "Se nonvedete segni e prodigi, voi non credete".Ma <strong>il</strong> funzionario del re insistette:"Signore, scendi prima che <strong>il</strong> mio bambino muoia". Gesù gli risponde: "Va', tuofiglio vive". Quell'uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise incammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: "Tuofiglio vive!". S'informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio.Gli dissero:"Ieri, un'ora dopo mezzogiorno la febbre lo <strong>ha</strong> lasciato".Il padre riconobbe cheproprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: "Tuo figlio vive e credette lui con tuttala sua famiglia".Questo fu <strong>il</strong> secondo miracolo che Gesù fece tornando dallaGiudea in Gal<strong>il</strong>ea (Gv 4,46-54).Nel colloquio con l'ufficiale regio c'è una specie di rimprovero: Gesù, purcompiendo i miracoli, sente <strong>il</strong> bisogno di dire qualcosa che aiuti ad andare oltre.L'uomo chiede che suo figlio sia guar<strong>it</strong>o... e Gesù andrà a guarirlo. Prima peròGesù dice: "Se non vedete segni e prodigi voi non credete!".<strong>Dio</strong> compie i miracoli, ma non <strong>ha</strong> deciso di salvare <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> attraverso di essi; sela fede <strong>ha</strong> troppo bisogno di miracoli è immatura! Non riusciremo mai a esseredavvero credenti se non arriviamo al punto di capire che <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong>, con ciòche <strong>ha</strong> detto e <strong>ha</strong> fatto, con la sua croce e risurrezione, non <strong>ha</strong> inteso anz<strong>it</strong>utto lasalvezza come un capovolgimento delle cose del <strong>mondo</strong>.Il Salvatore <strong>ha</strong> sofferto, è morto, condividendo così ciò che è presente nel <strong>mondo</strong>;in questa condivisione, che apre la possib<strong>il</strong><strong>it</strong>à della salvezza, c'è la radice dellasperanza.L'annuncio del vangelo <strong>ha</strong> al centro la condivisione e non può fare a meno di essa.Evangelizzare, per i cristiani, non è semplicemente un'azione. Il vangelo segnal'ident<strong>it</strong>à stessa di chi lo mette in pratica, fino a trasparire dai gesti, dalle parole,dalle valutazioni. L'essere missionario per <strong>il</strong> cristiano autentico è una dimensionestrutturale della propria personal<strong>it</strong>à e riguarda ogni momento della v<strong>it</strong>a.I vangeli, e in particolare <strong>il</strong> vangelo di Giovanni, indicano nella figura di Gesù lost<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> centro dell'annuncio della salvezza: <strong>il</strong> servizio. Servire, donarsi non è perGesù un modo di comportarsi che riguarda solo un momento della sua v<strong>it</strong>a, maappartiene alla sua personal<strong>it</strong>à, la identifica. La v<strong>it</strong>a di Gesù è trasparenza delPadre, che è dono di sé. Il dono di sé in Gesù si traduce in tutti gli atteggiamenti, leparole e le azioni della sua esistenza terrena e non solo. Gesù risorto, che appare aisuoi discepoli sulla riva del lago, <strong>ha</strong> acceso <strong>il</strong> fuoco, <strong>ha</strong> preparato i pesci, si èmesso a servire: è ancora <strong>il</strong> Cristo dell'ultima cena, è ancora <strong>il</strong> Cristo della v<strong>it</strong>aterrena.Il vangelo di Giovanni indica alla comun<strong>it</strong>à cristiana che la presenza del Cristorisorto è là dove avviene <strong>il</strong> servizio e non dove si dispiega la logica di potere e didominio.17


Gesù non è venuto a servire sulla terra per poi dominare nella sua nuova formaceleste. Il Cristo risorto è ancora in mezzo agli uomini con i segni del servizio eattraverso questi segni si lascia riconoscere. Anche nella v<strong>it</strong>a futura <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong>sarà colui che serve: "Beati quei servi che <strong>il</strong> padrone al suo r<strong>it</strong>orno troverà ancorasvegli; in ver<strong>it</strong>à vi dico, si cingerà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà aservirli" (Lc 12,37).A partire da queste riflessioni sulla personal<strong>it</strong>à di Gesù, è possib<strong>il</strong>e leggere anche <strong>il</strong>cap<strong>it</strong>olo 5 del vangelo di Giovanni, per rintracciare la figura autentica delmissionario."Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. C'è a Gerusalemme,presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinqueportici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paral<strong>it</strong>ici.Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e ag<strong>it</strong>ava l'acqua; <strong>il</strong>primo ad entrarvi dopo l'ag<strong>it</strong>azione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosseaffetto. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolodisteso, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: "Vuoi guarire?". Glirispose <strong>il</strong> malato: "Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscinaquando l'acqua si ag<strong>it</strong>a. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende primadi me".Gesù gli disse: "Alzati, prendi <strong>il</strong> tuo lettuccio e cammina". E sull'istantequell'uomo guarì e, preso <strong>il</strong> suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giornoperò era un sabato. Dissero dunque i Giudei all'uomo guar<strong>it</strong>o: "È sabato e non ti èlec<strong>it</strong>o prendere su <strong>il</strong> tuo lettuccio". Ma egli rispose loro: "Colui che mi <strong>ha</strong> guar<strong>it</strong>omi <strong>ha</strong> detto: Prendi <strong>il</strong> tuo lettuccio e cammina". Gli chiesero allora: "Chi è stato adirti: Prendi <strong>il</strong> tuo lettuccio e cammina?". Ma colui che era stato guar<strong>it</strong>o nonsapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: "Ecco che sei guar<strong>it</strong>o; non peccarepiù, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio". Quell'uomo se ne andò edisse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono apersegu<strong>it</strong>are Gesù, perché faceva tali cose di sabato. Ma Gesù rispose loro: "IlPadre mio opera sempre e anch'io opero". Proprio per questo i Giudei cercavanoancor più di ucciderlo: perché non sol<strong>tanto</strong> violava <strong>il</strong> sabato, ma chiamava <strong>Dio</strong>suo Padre, facendosi uguale a <strong>Dio</strong>. Gesù riprese a parlare e disse: "In ver<strong>it</strong>à, inver<strong>it</strong>à vi dico, <strong>il</strong> Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dalPadre; quello che egli fa, anche <strong>il</strong> Figlio lo fa. Il Padre infatti ama <strong>il</strong> Figlio, glimanifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, evoi ne resterete meravigliati. Come <strong>il</strong> Padre risusc<strong>it</strong>a i morti e dà la v<strong>it</strong>a, cosìanche <strong>il</strong> Figlio dà la v<strong>it</strong>a a chi vuole; <strong>il</strong> Padre infatti non giudica nessuno ma <strong>ha</strong>rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino <strong>il</strong> Figlio come onorano <strong>il</strong>Padre. Chi non onora <strong>il</strong> Figlio, non onora <strong>il</strong> Padre che lo <strong>ha</strong> mandato. In ver<strong>it</strong>à, inver<strong>it</strong>à vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi <strong>ha</strong> mandato, <strong>ha</strong> lav<strong>it</strong>a eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla v<strong>it</strong>a. Inver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à vi dico: è venuto <strong>il</strong> momento, ed è questo, in cui i morti udranno lavoce del Figlio di <strong>Dio</strong>, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno. Come infatti <strong>il</strong>Padre <strong>ha</strong> la v<strong>it</strong>a in se stesso, così <strong>ha</strong> concesso al Figlio di avere la v<strong>it</strong>a in se18


stesso; e gli <strong>ha</strong> dato <strong>il</strong> potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non vimeravigliate di questo, poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcriudranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero <strong>il</strong> bene per una risurrezione div<strong>it</strong>a e quanti fecero <strong>il</strong> male per una risurrezione di condanna. Io non posso farnulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto e <strong>il</strong> mio giudizio è giusto,perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi <strong>ha</strong> mandato. Sefossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbevera; ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza cheegli mi rende è verace. Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli <strong>ha</strong> resotestimonianza alla ver<strong>it</strong>à. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dicoqueste cose perché possiate salvarvi.Egli era una lampada che arde e risplende, evoi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce. Io però ho unatestimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che <strong>il</strong> Padre mi <strong>ha</strong> dato dacompiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che <strong>il</strong> Padremi <strong>ha</strong> mandato. E anche <strong>il</strong> Padre, che mi <strong>ha</strong> mandato, <strong>ha</strong> reso testimonianza di me.Ma voi non avete mai ud<strong>it</strong>o la sua voce, né avete visto <strong>il</strong> suo volto, e non avete lasua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli <strong>ha</strong> mandato. Voiscrutate le Scr<strong>it</strong>ture credendo di avere in esse la v<strong>it</strong>a eterna; ebbene, sono proprioesse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere lav<strong>it</strong>a. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in vo<strong>il</strong>'amore di <strong>Dio</strong>.Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se unaltro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi cheprendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da <strong>Dio</strong> solo?Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè,nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, crederesteanche a me; perché di me egli <strong>ha</strong> scr<strong>it</strong>to. Ma se non credete ai suoi scr<strong>it</strong>ti, comepotrete credere alle mie parole?" (Gv 5, 1-47).All'inizio del cap<strong>it</strong>olo Giovanni riporta la guarigione di un paral<strong>it</strong>ico alla piscina e<strong>il</strong> discorso-dibatt<strong>it</strong>o che segue. Sono presenti sia <strong>il</strong> gesto che la parola, come dueelementi inseparab<strong>il</strong>i. Il gesto <strong>ha</strong> bisogno di una spiegazione e, d'altra parte, laparola senza <strong>il</strong> gesto è vuota, manca di sostanza.Il gestoIn tutto <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>, in tutte le religioni, c'è sempre qualche piscina dove si radunanogli ammalati che sperano di guarire: è <strong>il</strong> luogo classico delle religios<strong>it</strong>à popolari.Gesù non rifiuta di agire all'interno di questo amb<strong>it</strong>o di credenze, ma con <strong>il</strong> suo attoprovoca in qualche modo una rottura. Gesù non può accettare un tipo diconcezione religiosa che mette sullo stesso piano la salvezza di <strong>Dio</strong> e la logicadell'agire umano.Chi non riesce a buttarsi per primo e non vince sugli altri non può, secondo questalogica, sperare nella salvezza. Gesù guarisce l'uomo rimasto ultimo, malato damolto tempo e incapace di buttarsi da solo.19


Se la cosiddetta "religios<strong>it</strong>à popolare", di cui anche oggi <strong>tanto</strong> si parla, riproducegli schemi dell'ingiustizia fra gli uomini non è più la proclamazione del vero <strong>Dio</strong>.Il vangelo sconvolge gli schemi di questo tipo di religios<strong>it</strong>à : Gesù salva <strong>il</strong> piùbisognoso e, particolare importante, lo salva senza acqua. Dunque Gesù compie ungesto già di per sé rivelatore, perché esce dallo schema r<strong>it</strong>uale e da un certo mododi intendere <strong>il</strong> rapporto con <strong>Dio</strong>. La vera nov<strong>it</strong>à della fede cristiana non consistenella proclamazione o nella convinzione personale dell'esistenza di <strong>Dio</strong>, ma nelmodo di intendere la sua relazione con gli uomini.Il dibatt<strong>it</strong>oC'è un secondo passaggio: Gesù <strong>ha</strong> compiuto <strong>il</strong> gesto che guarisce e che <strong>ha</strong>purificato un certo modo di pensare <strong>Dio</strong> violando <strong>il</strong> sabato.L'atto di Gesù susc<strong>it</strong>a un vespaio di polemiche: chi <strong>ha</strong> guar<strong>it</strong>o e sembrerebbe,proprio per questa ragione, inviato da <strong>Dio</strong>, <strong>ha</strong> dato un ordine che viola <strong>il</strong> sabato:"Alzati, prendi <strong>il</strong> tuo lettuccio e cammina" (Gv 5,8).La parola che <strong>ha</strong> guar<strong>it</strong>o sembra non venire più da <strong>Dio</strong> perché <strong>ha</strong> violato <strong>il</strong> precettointoccab<strong>il</strong>e del sabato. Da questo scandalo nasce <strong>il</strong> dibatt<strong>it</strong>o.È interessante notare che <strong>il</strong> vangelo presenta lo scandalo, la provocazione, in duemodi diversi e contrapposti. Se c'è uno scandalo che va condannato, quello cheviene compiuto per fare del male, al tempo stesso ci sono degli scandali chebisogna dare.Sono gli scandali che dicono la nov<strong>it</strong>à di Gesù Cristo e che mostrano una ver<strong>it</strong>ànon "allineata", non <strong>tanto</strong> riguardo all'aspetto morale, quanto nel modo di pensare<strong>Dio</strong>.La nov<strong>it</strong>à di Gesù Cristo non è "teologicamente allineata". Proprio per questo acombattere Gesù sono i credenti, gli osservanti: chi possiede già un'idea precisa di<strong>Dio</strong> si sente scandalizzato dall'immagine del Padre che Gesù propone. Gli scandalida dare sono presto detti: la scelta dei peccatori, dei poveri, e degli stranieri:"mormoravano perché i peccatori correvano da lui" (Lc 15,1). Gesù su questo <strong>ha</strong>giocato tutta la sua rispettab<strong>il</strong><strong>it</strong>à.Un altro scandalo di Gesù è l'incarnazione: a Nazareth si scandalizzano di luiquando si ricordano che è <strong>il</strong> figlio di Giuseppe. Il Messia doveva essere circondatodi splendore celeste e invece viene da una famiglia normale, un Messia conapparenze um<strong>il</strong>i! È lo scandalo dell'um<strong>il</strong>tà.La croce, un altro scandalo."Scendi e ti crederemo!", urla la gente a Gesù. Èimpossib<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong> sia sulla croce, se è Figlio di <strong>Dio</strong> all'ultimomomento deve pur dimostrare di aver ragione! Se Gesù fosse sceso dalla croceavrebbe ev<strong>it</strong>ato lo scandalo, ma avrebbe confermato la vecchia idea di <strong>Dio</strong>: <strong>Dio</strong>non è colui che si dona fino in fondo, quando è rifiutato assume un altroatteggiamento che non è più di amore ma di trionfo. Gesù è rimasto sulla croce.L'universal<strong>it</strong>à è un altro aspetto scandaloso del vangelo. L'universal<strong>it</strong>à delmessaggio di Gesù è scandalosa, irr<strong>it</strong>ante, come Luca raccontando l'episodio diGesù a Nazareth (Lc 4,14-30).20


"Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati dalle parole di grazia cheuscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è <strong>il</strong> figlio di Giuseppe?". Ma eglirispose: "Di certo voi mi c<strong>it</strong>erete <strong>il</strong> proverbio: Medico cura te stesso.Quantoabbiamo ud<strong>it</strong>o che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!".Poiaggiunse: "Nessun profeta è bene accetto in patria.Vi dico anche: c'erano moltevedove in Israele al tempo di Elia, quando <strong>il</strong> cielo fu chiuso per tre anni e sei mesie ci fu una grande carestia in tutto <strong>il</strong> paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia,se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele altempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, <strong>il</strong> Siro.All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, locacciarono fuori dalla c<strong>it</strong>tà e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale laloro c<strong>it</strong>tà era s<strong>it</strong>uata, per gettarlo giù dal precipizio.Ma egli, passando in mezzo aloro, se ne andò (Lc 4, 22-30).Nel brano di Luca, la gente non rifiuta Gesù perché figlio di Giuseppe (comeinvece in Marco e Matteo), ma perché <strong>ha</strong> fatto i miracoli a Cafarnao anziché aNazareth e proclama in questo modo un <strong>Dio</strong> che non fa differenze. Un <strong>Dio</strong> cosìsusc<strong>it</strong>a scandalo! È lo stesso scandalo della missione. È lo scandalo di unmissionario che lascia la sua diocesi bisognosa di preti e va altrove.È lo scandalo di chi va in Africa e trova un missionario che viene dal Bras<strong>il</strong>e: "Macome! Noi andiamo in Bras<strong>il</strong>e e lui va in Africa!". È lo scandalo dell'universal<strong>it</strong>à,di chi accoglie in casa <strong>il</strong> vicino e <strong>il</strong> lontano, di chi applica la libertà religiosa anchea chi non la rest<strong>it</strong>uisce.Abbiamo la possib<strong>il</strong><strong>it</strong>à di dare scandali. Quando <strong>il</strong> confronto con <strong>il</strong> vangelo ècontinuo, gli scandali che ne conseguono non devono essere tenuti nascosti.Quando la Parola converte, lo fa in un modo inatteso, imprevisto, magari anchenon voluto: rende "obiettori di coscienza", non cristiani allineati, omologati. Chiannuncia <strong>il</strong> vangelo si rende conto che <strong>il</strong> cristiano che si confronta con <strong>il</strong> vangelo ècr<strong>it</strong>ico.E allora c'è chi preferisce <strong>il</strong> catechismo normale, dove tutti vanno d'accordo,e dove tutto è già previsto, che fotografa un tipo di cristiano così come vogliamoche sia.Non bisogna aver paura degli scandali del vangelo.Gesù <strong>ha</strong> violato <strong>il</strong> sabato e <strong>ha</strong>dato scandalo. Il valore di questo gesto è spiegato in una strana frase con cui Gesùrisponde ai giudei che lo accusano: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero"(Gv 5,17).I giudei sapevano che <strong>Dio</strong> <strong>ha</strong> riposato <strong>il</strong> sabato, ma che <strong>ha</strong> nello stesso tempooperato la salvezza. <strong>Dio</strong> salva anche di sabato! E allora Gesù risponde a chi loaccusava di aver salvato un uomo di sabato di aver adempiuto in questo modo <strong>il</strong>sabato! Il comportamento di Gesù dà la precedenza all'uomo e non a un astrattoonore da rendere a <strong>Dio</strong>.La stessa idea si trova nei Sinottici: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomoper <strong>il</strong> sabato! Perciò <strong>il</strong> Figlio dell'uomo è anche signore del sabato" (Mc 2,27-28).Se si prova a sost<strong>it</strong>uire, in modo un po' azzardato, la parola "<strong>Dio</strong>" a "sabato", sisusc<strong>it</strong>a uno scandalo esprimendo nello stesso tempo un'idea profondamente vera.21


"Non l'uomo per <strong>Dio</strong>, ma <strong>Dio</strong> per l'uomo": la nov<strong>it</strong>à cristiana non dice che l'uomodeve saper morire per <strong>Dio</strong>, ma che <strong>Dio</strong> è morto per gli uomini. L'onore reso a <strong>Dio</strong>consiste nel salvare l'uomo.Il <strong>Dio</strong> rivelato nel Primo e nel Nuovo Testamento non mette nessuno in condizionedi scegliere fra Lui e l'uomo. Non c'è onore reso a <strong>Dio</strong> che possa fare a menodell'edificazione dell'uomo. Forse proprio per questo in 1Cor 14 Paolo dice chepreferisce la profezia al dono delle lingue. Secondo Paolo chi <strong>ha</strong> <strong>il</strong> dono dellelingue prega <strong>Dio</strong>, dicendo per ispirazione cose misteriose, che però nessunocomprende. Chi profetizza invece edifica gli uomini.Gesù come immagine del PadreIl <strong>Dio</strong> in cui crediamo, non è prodotto dalla nostra fantasia. Gesù stesso <strong>ha</strong>mostrato l'immagine del Padre. Di fronte all'accusa di "farsi come <strong>Dio</strong>" mossa daiGiudei, Gesù ribatte affermando di fare ciò che vede fare dal Padre.Due frasi esprimono in modo particolare la figliolanza divina di Gesù: "Come <strong>il</strong>Padre risusc<strong>it</strong>a i morti e dà la v<strong>it</strong>a così anche <strong>il</strong> Figlio dà la v<strong>it</strong>a a chi vuole" (Gv5, 21); "Come <strong>il</strong> Padre <strong>ha</strong> la v<strong>it</strong>a in se stesso, così <strong>ha</strong> concesso al Figlio di averela v<strong>it</strong>a in se stesso" (Gv 5,26).Con <strong>il</strong> parallelismo "come-così" Gesù afferma la sua f<strong>il</strong>iazione divina, non peròcome f<strong>il</strong>iazione indipendente: Gesù è Figlio di <strong>Dio</strong> uguale al Padre perché è <strong>il</strong>riflesso del Padre. Per questo Gesù afferma che chi onora Lui onora <strong>il</strong> Padre.Gesù è decisivo: dalla sua parola, dalla sua figura, dai gesti che compie trasparel'immagine di <strong>Dio</strong> e la salvezza per gli uomini.Dopo aver detto che onorare lui significa onorare <strong>il</strong> Padre e che ricevere lui èricevere <strong>il</strong> Padre, Gesù afferma che <strong>il</strong> Figlio da sé non può fare nulla ("In ver<strong>it</strong>à inver<strong>it</strong>à vi dico: <strong>il</strong> figlio da sé non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre"- Gv 5,19; "Io non posso fare nulla da me stesso; giudico secondo quello cheascolto e <strong>il</strong> mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà dicolui che mi <strong>ha</strong> mandato - Gv 5,30).L'uguaglianza di Gesù nei confronti del Padre è radicata nell'obbedienza, èuguaglianza ricevuta. Non si tratta di uguaglianza autonoma, ma di un riflesso e diun dono.Questo brano permette di individuare la struttura dell'obbedienza: Giovannipresenta un Gesù che non fa nulla da solo, nulla che non sia la volontà del Padre.Il figlio non dice una parola che non sia stata prima ascoltata dal Padre e tuttaviacosì facendo dice di essere libero.Gesù dice che la volontà del Padre è quella di dare la v<strong>it</strong>a per le pecore e nelcontempo dice di dare la v<strong>it</strong>a liberamente.Questi passi del vangelo di Giovanni esprimono una ver<strong>it</strong>à da capire e da vivere: lalibertà nella dipendenza, che si dispiega nello spazio della relazione con <strong>Dio</strong>.Il cristiano fa esperienza della libertà nel momento in cui, dicendo una parola nonsua, si fa obbediente alla ver<strong>it</strong>à. Solo questa parola di ver<strong>it</strong>à gli permette di essereveramente sé stesso e di liberare anche altri.22


Il cristiano autentico non dice parole che siano diverse da quelle del vangelo, e inquesto modo compie le stesse opere di Gesù Cristo, opere che lasciano trasparire <strong>il</strong>Padre. Per farlo bisogna però conoscere <strong>il</strong> Padre.Proprio per questo motivo Gesù rimprovera i giudei: "Ma voi non avete mai ud<strong>it</strong>ola sua voce, né avete visto <strong>il</strong> suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi,perché non credete a colui che egli <strong>ha</strong> mandato" (Gv 5,37-38). Gesù dice ai giudeiche <strong>il</strong> loro modo di parlare di <strong>Dio</strong> e di conoscerlo impedisce loro di credere in coluiche <strong>ha</strong> mandato.Gesù <strong>ha</strong> presentato un <strong>Dio</strong> diverso. Chi avrebbe voluto un messia che liberasse <strong>il</strong>popolo con potenza non riesce a riconoscere in Gesù <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong>.Nelle comun<strong>it</strong>à cristiane di ogni tempo la provocazione di Gesù permette unaverifica delle opere compiute in suo nome.Le opere di cui abbiamo riemp<strong>it</strong>o <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> mostrano <strong>il</strong> <strong>Dio</strong> di Gesù Cristo o sonoun monumento al <strong>Dio</strong> pagano che tutti gli uomini immaginano? Chiedersi qual è lavolontà di <strong>Dio</strong>, che cosa <strong>il</strong> vangelo suggerisce in ogni s<strong>it</strong>uazione concreta cipermette di avvicinarci all'immagine del Padre che traspare dal Figlio.Per chi vuole compiere le opere di <strong>Dio</strong>, i cr<strong>it</strong>eri di verifica non sono <strong>il</strong> prestigio o<strong>il</strong> fascino eserc<strong>it</strong>ato sulla gente, ma <strong>il</strong> vangelo. Secondo <strong>il</strong> vangelo le opere che <strong>il</strong>Padre vuole sono sempre opere per l'altro, per la salvezza dell'uomo: è la car<strong>it</strong>à!Gesù, secondo i vangeli, <strong>ha</strong> detto "chi vede me vede <strong>il</strong> Padre", ma anche "chiaccoglie un povero accoglie me".In 1 Cor 8, dove si parla della carne immolata agli idoli, <strong>il</strong> principio che emerge èstraordinario. Paolo tenta di far capire al cristiano che per agire non basta la propriacoscienza, ma che bisogna tener conto della coscienza dell'altro:"Badate però chequesta vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infattivede te, che <strong>ha</strong>i la scienza, stare a conv<strong>it</strong>to in un tempio di idoli, la coscienza diquest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli?"(1 Cor 8 9-10). "Per questo se un cibo scandalizza <strong>il</strong> mio fratello, non mangeròmai più carne, per non dare scandalo al mio fratello" (1 Cor 8,13).Paolo dice che bisogna dare <strong>il</strong> tempo all'altro di capire, fino a saper rinunciare aipropri dir<strong>it</strong>ti se l'altro non capisce, piuttosto che sconvolgere l'altro.Nella pastorale ci sono scandali da dare e scandali da non dare. Nelle scelte cheriguardano la comun<strong>it</strong>à bisogna tener conto se sono cap<strong>it</strong>e o meno, imparando astare con gli ultimi, e non solo camminando con i primi in testa alla f<strong>il</strong>a.Quando Gesù dice "mio cibo è fare la volontà di <strong>Dio</strong>" (Gv 4,34) esprime la total<strong>it</strong>àdella sua obbedienza al Padre. Il confronto con Paolo ancora una volta aiuta acapire.In 1Cor 9,24-25 Paolo paragona <strong>il</strong> missionario a un atleta. Nella gara un atleta chesta correndo non pensa a nient'altro se non alla meta, e per raggiungerla rinuncia amolte cose, anche lec<strong>it</strong>e. Allo stesso modo <strong>il</strong> missionario non deve fermarsi aun'analisi morale del suo comportamento, ma deve chiedersi se sta testimoniando <strong>il</strong>vangelo in modo credib<strong>il</strong>e.In Giovanni 5,31ss Gesù dice di avere dei testimoni ed elenca Giovanni Battista, leScr<strong>it</strong>ture e in ultima analisi <strong>il</strong> Padre: "Se fossi io a rendere testimonianza a me23


stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c'è un altro che mi rendetestimonianza, e so che la testimonianza che mi rende è verace" (Gv 5,31).Il Padre rende testimonianza attraverso la v<strong>it</strong>a che Gesù vive, le opere che riesce acompiere e le parole che dice. Questa è per <strong>il</strong> cristiano la verifica ultima: chiedersise le proprie opere testimoniano <strong>il</strong> volto del Padre.La meta finale <strong>ha</strong> in sé stessa <strong>il</strong> suo fascino, è una ver<strong>it</strong>à forte, che attraverso ch<strong>il</strong>'annuncia opera anche negli altri. Bisogna avere fiducia nella ver<strong>it</strong>à e dire le paroledel vangelo sapendo che <strong>ha</strong>nno in sé stesse una loro evidenza. Il vangelo nonpresenta un'immagine di <strong>Dio</strong> e un'immagine dell'uomo assurde, che solo una fedecieca può accettare, ma propone un modo umano di rapportarsi a <strong>Dio</strong> e agli altriche appaga l'intelligenza. Il vangelo non è un messaggio ovvio, ma una parola chericeve da <strong>Dio</strong> la sua forza. La ver<strong>it</strong>à è <strong>Dio</strong>, presente anche in chi ascolta l'annuncio:non è forse Lui che attira, che attrae?Chi annuncia deve attingere a questa forza, scoprirne la chiarezza per dirla con lastessa chiarezza e lo stesso amore. Gesù rimprovera quei credenti, maestri, e"parlatori di <strong>Dio</strong>" che non capiscono, perché cercano la propria gloria:"E comepotete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloriache viene da <strong>Dio</strong> solo?" (Gv 5,44).Si tratta di gente van<strong>it</strong>osa. In questo cap<strong>it</strong>olo del vangelo di Giovanni Gesù dice diessere <strong>il</strong> pane vivo disceso dal cielo: "Rispose loro Gesù: "In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à vidico: non Mosè vi <strong>ha</strong> dato <strong>il</strong> pane dal cielo, ma <strong>il</strong> Padre mio vi dà <strong>il</strong> pane dal cielo,quello vero; <strong>il</strong> pane di <strong>Dio</strong> è colui che discende dal cielo e dà la v<strong>it</strong>a al <strong>mondo</strong>" (Gv6, 32-33).Nel Prologo si dice che Gesù è la Parola, qui invece è <strong>il</strong> pane. Il sesto cap<strong>it</strong>olo delvangelo di Giovanni, particolarmente ricco di spunti, è stato spesso frainteso.Dietro la frase di Gesù sembra emergere una polemica: c'è un pane vero discesodal cielo che si distingue da quelli falsi, dalle contraffazioni. Spesso un certo tipodi cristianesimo asserragliato e chiuso sulle proprie posizioni <strong>ha</strong> pensato diindividuare in queste parole una conferma alla propria pretesa di possessoesclusivo della ver<strong>it</strong>à: al di fuori del cristianesimo, addir<strong>it</strong>tura di un certo modo diintendere <strong>il</strong> cristianesimo, non ci sarebbe ver<strong>it</strong>à alcuna.In questo caso viene ancora in nostro soccorso <strong>il</strong> Prologo: Giovanni dice chenessuno <strong>ha</strong> mai visto <strong>Dio</strong> e che l'unigen<strong>it</strong>o Figlio ce lo <strong>ha</strong> rivelato, ma dice ancheche la Legge ci è stata donata per mezzo di Mosè e che la Parola è luce vera che<strong>il</strong>lumina ogni uomo.Il vangelo afferma da una parte l'unic<strong>it</strong>à di Cristo e dall'altra l'universal<strong>it</strong>à del suomessaggio. Il cristiano, proprio in virtù dell'unic<strong>it</strong>à di Gesù, dovrebbe vivere inogni aspetto della propria esistenza e del proprio modo di pensare l'universal<strong>it</strong>à delvangelo.Un'annotazione di st<strong>il</strong>e sul vangelo di Giovanni: pur essendo un vangelocomplesso, dai significati profondi, sceglie un linguaggio semplicissimo, in ognicaso un linguaggio ecumenico, missionario.24


Il vangelo di Giovanni si colloca a ridosso di due culture (quella ebraica e quellagreca) e pred<strong>il</strong>ige alcuni termini per presentare Cristo che sono comprensib<strong>il</strong>i agliuni e agli altri, ai giudei e ai greci. Il linguaggio semplice, che raggiunge tutti,rivela l'attenzione missionaria del vangelo di Giovani: è un linguaggio che rifugge <strong>it</strong>ermini "tecnici" delle scuole teologiche del tempo in cui fu scr<strong>it</strong>to.Per esprimere <strong>il</strong> concetto di "rivelazione", per esempio, Giovanni usa conpred<strong>il</strong>ezione un verbo - "laleo", <strong>il</strong> cui significato è quello comune di"chiacchierare", "parlare", invece dei termini più specifici in uso allora per dire larivelazione. Questo linguaggio semplice permette al messaggio evangelico, oltreche di raggiungere tutti, di non venir confuso con teorie precedenti o precost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e.Anche nel nostro tempo, la Dei Verbum del Conc<strong>il</strong>io Vaticano II <strong>ha</strong> sottolineatol'importanza per l'annuncio evangelico di non cadere in schemi rigidi giàprecost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i.Ci sono altri esempi: <strong>il</strong> termine "sacerdote" nel Nuovo Testamento è usatopochissime volte, e solo in riferimento a Gesù Cristo, perché <strong>il</strong> termine rivestivagià un particolare significato sia per gli ebrei che per i greci; invece di "sacerdote"si usa <strong>il</strong> termine "presb<strong>it</strong>ero" (che significa vecchio, anziano) che non aveva unsignificato già fissato per nessuno. Anche la parola "vescovo" è un terminegenerico: significa osservatore, uno che guarda dall'alto.Questo sforzo del vangelo di Giovanni e di tutto <strong>il</strong> Nuovo Testamento èaffascinante. Giovanni ut<strong>il</strong>izza addir<strong>it</strong>tura <strong>il</strong> termine "logos", che aveva unarisonanza sia nel <strong>mondo</strong> ebraico che nel <strong>mondo</strong> greco, e lo riempie di nuovosignificato a partire dalla v<strong>it</strong>a concreta di Gesù, mettendo in crisi gli uni e gli altri.Quando i giudei ascoltavano l'espressione "in principio era la Parola" pensavanoalla parola di <strong>Dio</strong>, alla Sapienza, e proprio per questo l'affermazione "la Parola si èfatta carne" susc<strong>it</strong>ava in loro scandalo e perpless<strong>it</strong>à.Allo stesso modo i greci, per i quali "logos" significava linguaggio e ragione,rimanevano sconcertati di fronte all'annuncio che <strong>il</strong> logos potesse farsi carne.È la concretezza storica della persona di Gesù che fa da discriminante.Un altro esempio: <strong>il</strong> "Padre nostro", presentato sia da Matteo che da Luca come <strong>il</strong>"distintivo" del cristiano, è la preghiera evangelica che possono dire anche imusulmani e gli ebrei.Il Padre nostro, allora, è un segno distintivo o è universale? L'original<strong>it</strong>à delcristianesimo è data dalla sua universal<strong>it</strong>à, che però non si scopre <strong>tanto</strong> partendodai bisogni dell'uomo in generale, ma osservando la storia di Gesù Cristo. È unastoria che ci supera, che ci permette di trovare qualcosa che neppure pensavamoma di cui tuttavia eravamo in attesa.Giovanni usa i simboli universali della luce, del pane, dell'acqua, per esprimere laricerca v<strong>it</strong>ale di ogni uomo.25


La moltiplicazione dei pani e <strong>il</strong> dialogo fra Gesù e la follaDopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Gal<strong>il</strong>ea, cioè di Tiberiade, euna grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salìsulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.Era vicina la Pasqua, lafesta dei Giudei.Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva dalui e disse a F<strong>il</strong>ippo: "Dove possiamo comprare <strong>il</strong> pane perché costoro abbiano damangiare?".Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quelloche stava per fare.Gli rispose F<strong>il</strong>ippo: "Duecento denari di pane non sonosufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo".Gli disse allora unodei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C'è qui un ragazzo che <strong>ha</strong> cinquepani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?". Rispose Gesù:"Fateli sedere".C'era molta erba in quel luogo.Si sedettero dunque ed erano circacinquem<strong>il</strong>a uomini.Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì aquelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.E quandofurono saziati, disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vadaperduto".Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque panid'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.Allora la gente, visto <strong>il</strong> segno cheegli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero <strong>il</strong> profeta che deve venirenel <strong>mondo</strong>!".Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, sir<strong>it</strong>irò di nuovo sulla montagna tutto solo (Gv 6,1-15).Nell'episodio raccontato da Giovanni ci sono delle nov<strong>it</strong>à rispetto agli altri vangeli.1. In questo brano <strong>il</strong> protagonista è proprio Gesù: non sono i discepoli a far notarea Gesù che la gente che si è radunata per ascoltarlo <strong>ha</strong> fame.Nel vangelo diGiovanni l'iniziativa parte dal Maestro: "Gesù vide che una grande folla veniva dalui e disse a F<strong>il</strong>ippo...".È dunque Gesù che vede, si preoccupa, agisce: "AlloraGesù prese i pani e li distribuì". Giovanni mette in luce Gesù Cristo e lascia inombra tutti gli altri, anche i discepoli. Ricordo un intervento del card. Ratzinger alPrimo Sinodo per l'Europa in cui diceva che la Chiesa parla troppo di se stessa eche bisogna invece parlare di Gesù Cristo! Giovanni è cristologico: in Cristo vedela Chiesa, non <strong>il</strong> contrario, anche se la comun<strong>it</strong>à dei discepoli riveste un'importanzafondamentale nel suo vangelo.2. Il passo conclusivo dell'episodio è importante:"Allora la gente visto <strong>il</strong> segno cheegli aveva compiuto cominciò a dire: 'Questo è davvero <strong>il</strong> profeta che deve venirenel <strong>mondo</strong>!'.Ma Gesù sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re sir<strong>it</strong>irò di nuovo sulla montagna tutto solo". Il segno è equivocato. Come Nicodemoaveva visto i segni che Gesù compiva e credeva di avere in mano tutte le carte percapire, così la folla crede di avere in mano l'interpretazione del miracolo, e crede diaver cap<strong>it</strong>o Gesù. La gente non percepisce la nov<strong>it</strong>à del segno compiuto da Gesù:avendo visto la moltiplicazione dei pani crede che Gesù sia <strong>il</strong> Messia-Re, ma Gesùscappa, non si lascia catturare da questa categoria, da questa folla che vuole farlore. Gesù non si identifica con questa ricerca, e neppure con questa immagine del26


Messia. Non perché, come si è spesso ripetuto, la regal<strong>it</strong>à di Gesù sia di naturareligiosa e non di natura pol<strong>it</strong>ica. In gioco c'è molto di più: i gesti di Gesù rivelanoun nuovo tipo di religios<strong>it</strong>à. Alla domanda di P<strong>il</strong>ato "Tu sei re?", Gesù rispondeaffermativamente, precisando che la sua regal<strong>it</strong>à non viene da questo <strong>mondo</strong> (ektou kosmu toutou - Gv 18,36): la regal<strong>it</strong>à di Gesù <strong>ha</strong> un'altra origine, si esprimeattraverso una logica diversa che rivela un'ident<strong>it</strong>à nuova. Gesù non è scappatoperché volevano farlo re, ma perché non accettava un certo modo di intendere lasua regal<strong>it</strong>à. Verso la fine del dialogo con P<strong>il</strong>ato (Gv 19, 8-9) si legge: "All'udirequeste parole, P<strong>il</strong>ato ebbe ancora più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse aGesù: 'Di dove sei?'. Ma Gesù non gli diede risposta".Nel linguaggio giovanneo la domanda riguardo l'origine ("Di dove sei?") coincidecon la domanda attorno all'ident<strong>it</strong>à ("Chi sei?"). Il problema non è quello distab<strong>il</strong>ire se la regal<strong>it</strong>à di Gesù sia di questo <strong>mondo</strong> o di un altro, ma di comeintendere <strong>il</strong> volto di tale regal<strong>it</strong>à.Nel dialogo con P<strong>il</strong>ato Giovanni sottolinea due aspetti:1. La regal<strong>it</strong>à di Gesù non ricorre alla violenza per salvarsi <strong>il</strong> trono (cfr. Gv 18, 36 -"se <strong>il</strong> mio regno fosse di questo <strong>mondo</strong> i miei avrebbero combattuto perché nonfossi consegnato ai Giudei"). Se Gesù fosse re secondo la concezione mondanadella regal<strong>it</strong>à dovrebbe usare la sua potenza per salvarsi e per trionfare.2. La regal<strong>it</strong>à di Gesù rende testimonianza alla ver<strong>it</strong>à non mettendo nessuna"ragion di stato" al di sopra di essa (cfr. Gv 18, 37 - "Tu lo dici; io sono re. Perquesto io sono nato e per questo sono venuto nel <strong>mondo</strong>: per rendere testimonianzaalla ver<strong>it</strong>à. Chiunque è dalla ver<strong>it</strong>à ascolta la mia voce"). Gesù è un re talmentediverso dagli altri che la sua regal<strong>it</strong>à è stata ridicolizzata dai soldati e dalla folla.La regal<strong>it</strong>à di Gesù, proprio perché vera, fa ridere <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>, che concepisce ladign<strong>it</strong>à regale come potenza, e non riesce a concepirla come amore che si dona eche lascia liberi. Questa difficoltà è presente anche in tutta la storia della Chiesa; icristiani spesso <strong>ha</strong>nno prefer<strong>it</strong>o presentare un Cristo troppo sim<strong>il</strong>e ai re di questo<strong>mondo</strong>.Quando si annuncia <strong>il</strong> <strong>Dio</strong> di cui Gesù <strong>ha</strong> parlato a P<strong>il</strong>ato, scatta qualcosa cheallarma <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>: un <strong>Dio</strong> che ama l'uomo già sulla terra, e che vuole che a ognunovenga riconosciuta dign<strong>it</strong>à, diventa temib<strong>il</strong>e. Allo stesso modo, quando imissionari annunciano un vangelo che rompe gli schemi di sfruttamento e diingiustizia a livello sociale, vengono accusati di essere troppo cr<strong>it</strong>ici sia fuori chedentro la Chiesa.Nello stesso cap<strong>it</strong>olo, dopo <strong>il</strong> racconto del miracolo dei pani e di pesci, Giovanniriporta un lungo discorso con cui Gesù denuncia gli equivoci e fa obiezioni allafolla. Il primo equivoco riguarda <strong>il</strong> gesto del pane: la folla cerca un cibo diverso daquello che Gesù vuole dare.Gesù rispose: "In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à vi dico, voi mi cercate non perché avete visto deisegni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non <strong>il</strong>27


cibo che perisce, ma quello che dura per la v<strong>it</strong>a eterna, e che <strong>il</strong> Figlio dell'uomo vidarà. Perché su di lui <strong>il</strong> Padre, <strong>Dio</strong>, <strong>ha</strong> messo <strong>il</strong> suo sig<strong>il</strong>lo" (Gv 6, 26-29).La ricerca della folla non coincide con ciò che Gesù sta portando. Gesù offrequalcosa che la persona, partendo dai suoi bisogni, non <strong>ha</strong> ancora identificato.Gli uomini cercano una certa liberazione e Gesù ne offre un'altra, più grande delsemplice soddisfacimento dei bisogni. La nov<strong>it</strong>à del cristianesimo sorprende eporta a compimento. Il messaggio di Gesù è messianico non perché corrispondeesattamente all'aspettativa degli uomini: è quel "qualcos'altro" che non èdeterminato e previsto, ma che colma in modo gratu<strong>it</strong>o un'attesa profonda.Per aprirsi a Gesù Cristo la persona deve aprirsi alla nov<strong>it</strong>à. Chi si ostina nellaricerca del proprio progetto rimpicciolisce Gesù Cristo, lo fa diventare un re comegli altri. Chi invece è aperto alla relazione, scopre una nov<strong>it</strong>à molto più bella di ciòche credeva.Dalla figura di Gesù Cristo scaturisce un modo nuovo di vedere l'uomo. Non s<strong>it</strong>ratta di partire da una fede astratta o da una serie di principi religiosi senza tenerconto dei bisogni dell'uomo, ma di dare una risposta più profonda alla ver<strong>it</strong>à cheogni persona porta dentro di sé.Sono convinto che i cristiani debbano parlare della croce di Gesù Cristo anche apersone non credenti! Quando Gesù parla di un pane che dura per sempre la gentelo interroga di nuovo: Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo fare per compiere leopere di <strong>Dio</strong>?".Gesù rispose: "Questa è l'opera di <strong>Dio</strong>, credere in colui che Egli <strong>ha</strong>mandato" (6,28-29).La gente chiede quali opere (al plurale) deve fare: è la domanda di chi concepiscela risposta a <strong>Dio</strong>, la religios<strong>it</strong>à, in termini di pratiche, di opere, di tante cose da fare.La risposta di Gesù è invece la fede! Tutto <strong>il</strong> vangelo di Giovanni è concentratosulla fede e sulla car<strong>it</strong>à.Non viene fatta una casistica, si parla di comandamenti (al plurale), che poi peròvengono ridotti a uno.È una fede più impegnativa di quella fatta di tante pratiche,compiute le quali <strong>il</strong> tributo dovuto a <strong>Dio</strong> può dirsi concluso.Una fede che si lim<strong>it</strong>a alle pratiche coincide con una religios<strong>it</strong>à che gioca al ribassoe che delim<strong>it</strong>a la portata della relazione con <strong>Dio</strong> fino a falsificarne l'immagine.Eppure nell'uomo c'è sempre stata la tendenza a una religios<strong>it</strong>à di questo tipo.Chi anche oggi proponesse una salvezza che si basa sull'adempimento di unnumero quanto più possib<strong>il</strong>e preciso di regole, avrebbe successo.Ma <strong>il</strong> successo non è <strong>il</strong> cr<strong>it</strong>erio di ver<strong>it</strong>à del vangelo.Rispose loro Gesù: "In ver<strong>it</strong>à,in ver<strong>it</strong>à vi dico: non Mosè vi <strong>ha</strong> dato <strong>il</strong> pane dal cielo, ma <strong>il</strong> Padre mio vi dà <strong>il</strong>pane dal cielo, quello vero; <strong>il</strong> pane di <strong>Dio</strong> è colui che discende dal cielo e dà la v<strong>it</strong>aal <strong>mondo</strong>". Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre di questo pane".Gesù rispose: "Io sono <strong>il</strong> pane della v<strong>it</strong>a; chi viene a me non avrà più fame e chicrede in me non avrà più sete (...)" (Gv 6, 32-33).Gesù dice la propria ident<strong>it</strong>à: essere dono di <strong>Dio</strong>, colui che viene da <strong>Dio</strong> per glialtri. Questa è veramente la struttura dell'uomo nuovo mostrata da Gesù: essere undono gratu<strong>it</strong>o che viene da <strong>Dio</strong> e che diventa servizio per <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>. Il <strong>mondo</strong> è la28


categoria più universale possib<strong>il</strong>e. Del resto la stessa Chiesa è per la v<strong>it</strong>a del<strong>mondo</strong>.Il termine "v<strong>it</strong>a", e in particolare "v<strong>it</strong>a eterna" in Giovanni non è solo la v<strong>it</strong>a del<strong>mondo</strong> futuro, ma è la v<strong>it</strong>a già presente, in cui già ora c'è <strong>il</strong> germe di quella divina.Se è vero che la v<strong>it</strong>a di <strong>Dio</strong> è libertà e dign<strong>it</strong>à per l'uomo, che permette ad ognunodi sentirsi <strong>amato</strong> e di amare, questo deve già avvenire ora. La v<strong>it</strong>a divina è giàpresente e cambia le relazioni fra gli uomini che l'accolgono.Il discorso nella sinagoga di Cafarnao e l'eucaristiaLe obiezioni della gente al discorso di Gesù continuano: In<strong>tanto</strong> i Giudeimormoravano contro di lui perché aveva detto: "Io sono <strong>il</strong> pane disceso dal cielo".E dicevano: "Costui non è forse <strong>il</strong> figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo <strong>il</strong> padre ela madre. Come può dunque dire: "Sono disceso dal cielo?" (Gv 6, 41).Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la suacarne da mangiare?". Gesù disse: "In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à vi dico: se non mangiate lacarne del Figlio dell'uomo e non bevete <strong>il</strong> suo sangue, non avrete in voi la v<strong>it</strong>a(...)"(Gv 6,52-53).Il linguaggio di Gesù diventa ancora più arduo: Chi mangia la mia carne e beve <strong>il</strong>mio sangue <strong>ha</strong> la v<strong>it</strong>a eterna ed io lo risusc<strong>it</strong>erò nell'ultimo giorno. Perché la miacarne è vero cibo e <strong>il</strong> mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve <strong>il</strong>mio sangue dimora in me ed io in lui (Gv 6,54-56).Il testo allude certamente all'eucaristia: bisogna mangiare la sua carne e bere <strong>il</strong> suosangue per avere la v<strong>it</strong>a eterna, per risorgere all'ultimo giorno.Non bisogna però dimenticare che l'eucaristia è la traduzione in simbolo del pane edel vino della v<strong>it</strong>a e della persona di Gesù.Mangiare e bere <strong>il</strong> pane e <strong>il</strong> vino significa condividere l'intera esistenza di Gesù eagire secondo la sua stessa logica. Carne e sangue dicono la total<strong>it</strong>à dell'uomo edella persona di Gesù che diventa v<strong>it</strong>a per <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>.Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è <strong>il</strong> miocorpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me".Allo stesso modo dopoaver cenato, prese <strong>il</strong> calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel miosangue, che viene versato per voi" (Lc 22,19-20).Nei Sinottici si parla quindi di "corpo dato" e di "sangue sparso, versato": è <strong>il</strong>martirio. La v<strong>it</strong>a donata è la traccia divina, la Parola di <strong>Dio</strong> che l'uomo pronuncianel <strong>mondo</strong>. L'amore è la forza in cui confida chi dona la sua v<strong>it</strong>a senza riserve, finoa vedere <strong>il</strong> dono deriso, improduttivo e addir<strong>it</strong>tura sconf<strong>it</strong>to: è la croce.Celebrare l'eucaristia significa vivere e raccontare la morte e la resurrezione diGesù dicendo che l'amore non è stato sconf<strong>it</strong>to. La v<strong>it</strong>a di Gesù Cristo donata emartirizzata conduce a un progetto di v<strong>it</strong>a che <strong>ha</strong> in sé una sua forza di ver<strong>it</strong>à,perché l'uomo davvero desidera amare ed essere <strong>amato</strong>.Il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao sulla carne e <strong>il</strong> sangue è "duro"anche per i discepoli.29


Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. Molti dei suoidiscepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: "Questo linguaggio è duro, chi puòintenderlo?" (Gv 6, 59-60).Per chi vuole seguire Gesù <strong>il</strong> suo discorso è arduo, non <strong>tanto</strong> perché è diffic<strong>il</strong>e dacapire ma per <strong>il</strong> progetto di v<strong>it</strong>a che comporta l'immagine di <strong>Dio</strong> che emerge dalquel pane e quel vino. Il tipo di v<strong>it</strong>a da condurre per essere un seguace: questo è <strong>il</strong>discorso duro, <strong>il</strong> discorso che si muove secondo la logica del dono di sé.Gesù dice che proprio qui sta la v<strong>it</strong>a, proprio qui sta la salvezza del <strong>mondo</strong>.Agli uomini sembra che solo un <strong>Dio</strong> che trionfa possa essere la salvezza del<strong>mondo</strong>, proprio perché chi vuole "emergere" nel <strong>mondo</strong> passa per altre strade: <strong>il</strong>prevalere sugli altri, <strong>il</strong> potere, <strong>il</strong> dominio.Il discorso duro è la lavanda dei piedi che Pietro non <strong>ha</strong> cap<strong>it</strong>o: è imbarazzante un<strong>Dio</strong> che serve invece di mostrare la sua potenza e v<strong>it</strong>toria, ed è scomodo essere <strong>il</strong>suo rappresentante.Molte volte gli uomini <strong>ha</strong>nno trionfato in nome di <strong>Dio</strong>, "accontentandosi" diun'um<strong>il</strong>tà sol<strong>tanto</strong> interiore.Un <strong>Dio</strong> potente e v<strong>it</strong>torioso corrisponde all'immagine che ne <strong>ha</strong> <strong>il</strong> <strong>mondo</strong>, non un<strong>Dio</strong> che lava i piedi e finisce su una croce! Il comandamento "amatevi gli uni glialtri come io ho <strong>amato</strong> voi" (Gv 13,34) è <strong>il</strong> segno di valore universale checapiranno tutti.Non è <strong>tanto</strong> la v<strong>it</strong>a interiore del cristiano a dare testimonianza dell'amore di <strong>Dio</strong>,ma quell'amore aperto e gratu<strong>it</strong>o che si mette a servizio anche di chi mette a morte.Quel "come io ho <strong>amato</strong> voi" di Gesù allude senz'altro alla croce.L'eucaristia nella lettera di Paolo ai CorinziIl testo eucaristico di Paolo (1Cor 11,23-26), più "essenziale" rispetto a quellievangelici, offre spunti nuovi sul gesto dell'eucaristia.Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: <strong>il</strong>Signore Gesù, nella notte in cui veniva trad<strong>it</strong>o, prese del pane e, dopo aver resograzie, lo spezzò e disse: "Questo è <strong>il</strong> mio corpo, che è per voi; fate questo inmemoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche <strong>il</strong> calice,dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ognivolta che ne bevete, in memoria di me".Paolo mette al centro del gesto eucaristico Gesù Cristo. Gesù occupa tutto lospazio: offre <strong>il</strong> pane, la sua stessa v<strong>it</strong>a, ai discepoli, ma essi, non dicono una parola,è come se fossero in ombra; persino <strong>Dio</strong> sembra in ombra: è presente solonell'espressione di Gesù rivolta a Lui ("dopo aver reso grazie"), ma implic<strong>it</strong>amente.Nella celebrazione eucaristica <strong>il</strong> centro non è la comun<strong>it</strong>à, e nemmeno la Parola.La Bibbia è memoria dei gesti di <strong>Dio</strong>, ma <strong>il</strong> gesto più grande di <strong>Dio</strong> è Gesù.C'è una frase straordinaria nel brano di Paolo: "Ogni volta che fate questo,annunciate la morte del Signore finché venga" (cfr. 1Cor 11, 26). Paolo sa dellaresurrezione di Gesù (lo chiama Signore) ma del Risorto annuncia la croce, lamorte.30


Questo è <strong>il</strong> punto di forza.La resurrezione di Gesù non è semplicemente la "soluzione" alla morte. L'annunciodi Gesù risorto susc<strong>it</strong>a meraviglia per due ragioni. L'amore non è stato sconf<strong>it</strong>to,come la morte dell'uomo giusto aveva fatto supporre.Il martire susc<strong>it</strong>a ammirazione: quell'uomo <strong>ha</strong> un amore così forte che <strong>ha</strong>continuato ad amare anche se l'<strong>ha</strong>nno crocifisso; <strong>il</strong> suo amore era più forte dellamalvag<strong>it</strong>à degli altri, non si è lasciato intimorire, non si è lasciato scoraggiare! Laressurrezione del martire è segno che <strong>il</strong> male non <strong>ha</strong> prevalso.L'annuncio che quest'uomo era <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong> susc<strong>it</strong>a però una meraviglia ancorapiù grande.Ciò che scandalizza non è <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong> sia risorto ma che abbia<strong>amato</strong> restando su una croce fino a morire.Il volto nuovo di <strong>Dio</strong> è sulla croce.IV LA LAVANDA DEI PIEDIL'icona che fa da punto di riferimento per questa med<strong>it</strong>azione è la lavanda dei piedi(Gv 13). La narrazione di questo episodio si trova all'inizio della seconda parte delvangelo di Giovanni, ed è segu<strong>it</strong>a dai "discorsi di testamento", o "discorsidell'ultima cena", che raccolgono gli insegnamenti rivolti principalmente aidiscepoli (Gv 13-17).Tutti i vangeli ricordano che Gesù parlava sia alla folla che ai discepoli, ma spessonei Sinottici i due insegnamenti si mescolano. Giovanni compie una scelta diversa:fino al cap.12 Gesù tiene discorsi al pubblico, ma dal cap.13 al 17 <strong>il</strong> Maestro siconcentra sul piccolo gruppo dei discepoli; la direzione si fa più precisa.Il genere "testamento" è noto nella Bibbia: un maestro che sta per partire o permorire raduna i discepoli, dà loro gli ultimi consigli, li avverte dei pericoli cheincontreranno, riassume <strong>il</strong> centro del suo messaggio.Anche secondo la tradizione giovannea qui c'è l'essenza del messaggio di Gesù, gliavvertimenti che i discepoli non devono mai dimenticare, gli atteggiamenti chedevono assumere, i pericoli che incontreranno. Questi discorsi sono ecclesiali,comun<strong>it</strong>ari e ci aiutano a cogliere l'original<strong>it</strong>à del cristianesimo.La lavanda dei piedi"Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passareda questo <strong>mondo</strong> al Padre, dopo aver <strong>amato</strong> i suoi che erano nel <strong>mondo</strong> lì amòsino alla fine" (Gv 13,1).Questo versetto introduce non solo l'episodio della lavanda dei piedi, ma tutta laseconda parte del vangelo dove vengono riportati i discorsi di addio, la passione, laresurrezione. Ci sono alcuni aspetti da sottolineare: "Prima della festa di Pasqua".Giovanni ama raccontare la v<strong>it</strong>a di Gesù quasi in parallelo con la l<strong>it</strong>urgia giudaica,con le feste del calendario e con riferimenti al Tempio.31


L'idea che soggiace pare proprio essere questa: la vera l<strong>it</strong>urgia è Gesù, non piùquella delle feste; <strong>il</strong> "luogo l<strong>it</strong>urgico" è l'esistenza. Del resto già nel culto ebraico <strong>il</strong>luogo l<strong>it</strong>urgico centrale è la storia di <strong>Dio</strong> con <strong>il</strong> suo popolo. E nel NuovoTestamento viene rimarcato con forza che <strong>il</strong> luogo dell'incontro, della rivelazione,della salvezza è l'esistenza di Gesù.Il culto l<strong>it</strong>urgico, per essere vero, deve rinviare alla v<strong>it</strong>a, quella di Gesù e la nostra.Nel Nuovo Testamento <strong>il</strong> "culto dell'esistenza" è così importante che si nota dasempre un paradosso: <strong>il</strong> linguaggio l<strong>it</strong>urgico è usato per descrivere l'esistenza,mentre per la l<strong>it</strong>urgia r<strong>it</strong>uale viene usato un linguaggio che non è l<strong>it</strong>urgico.Non èuno scambio casuale. "... sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo<strong>mondo</strong> al Padre..." .Questo "sapere" r<strong>it</strong>orna più volte nel vangelo di Giovanni, specialmente nell'ultimacena e nel Getsemani.Credo che l'evangelista voglia sottolineare la consapevolezza di Gesù circa ciò chesta avvenendo, non <strong>tanto</strong> la sua capac<strong>it</strong>à profetica di sapere in anticipo <strong>il</strong> futuro.Non si tratta della previsione da parte di Gesù del momento della sua morte, ma laconsapevolezza del rischio che la v<strong>it</strong>a che <strong>ha</strong> scelto comporta: Gesù va liberamenteincontro a qualcosa che conosce.Qui Giovanni chiama la croce "l'ora di passare da questo <strong>mondo</strong> al Padre".La croce è vista come passaggio, un cammino dal <strong>mondo</strong> al Padre, una sal<strong>it</strong>a,un'ascensione. Questa idea di leggere la croce come innalzamento e come v<strong>it</strong>toria,è tipicamente giovannea. "... avendo <strong>amato</strong> i suoi li amò sino alla fine".Qui è riassunta tutta la v<strong>it</strong>a di Gesù: l'amore per i discepoli fino a quel momento eda lì in poi, per <strong>il</strong> tratto di strada che rimane fino alla croce. Giovanni <strong>ha</strong> riassuntotutta la v<strong>it</strong>a di Gesù nella categoria dell'amore.L'espressione "sino alla fine" indica una caratteristica di questo amore: la total<strong>it</strong>à."Sino alla fine" non vuol dire sol<strong>tanto</strong> fino all'ultimo respiro ma anche fino allaperfezione, al massimo di profond<strong>it</strong>à. Riferendosi al verbo "amare", spesso si èsol<strong>it</strong>i distinguere fra agapao (amore disinteressato) e f<strong>il</strong>eo (amore passionale,istintivo, sentimentale).In alcuni testi di Giovanni i due verbi vengono invece mescolati e usatiindifferentemente. Non esistono modi di amare diversi e così rigidamente distinti,sia nei confronti di <strong>Dio</strong> che degli uomini. L'amore umano non è solo gratu<strong>it</strong>à edono di sé, ma è anche affettuos<strong>it</strong>à e slancio.Il testo dice: "avendo <strong>amato</strong> i suoi". L'accento è posto sull'amore fra Gesù e i suoi,sulla comun<strong>it</strong>à. Il vangelo di Giovanni ripete con più frequenza <strong>il</strong> comandamentodi amare i fratelli rispetto al comandamento di amare <strong>Dio</strong>, quasi che <strong>il</strong> secondo siaimplic<strong>it</strong>o nel primo.32


Il gesto"Mentre cenavano, quando già <strong>il</strong> diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota,figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che <strong>il</strong> Padre gli aveva dato tutto nellemani e che era venuto da <strong>Dio</strong> e a <strong>Dio</strong> r<strong>it</strong>ornava, si alzò da tavola, depose le vestie, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla v<strong>it</strong>a. Poi versò dell'acqua nelcatino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio dicui si era cinto" (Gv 13,3-5).Ciò che colpisce sub<strong>it</strong>o di questo brano è come <strong>il</strong> narratore si soffermi a lungo sulgesto della lavanda dei piedi descrivendolo nei particolari. Il racconto indugia suogni gesto di Gesù, come se la scena avvenisse al rallentatore. Non c'è dubbio:questo è <strong>il</strong> centro del racconto, <strong>il</strong> cui protagonista è Gesù.Il gesto è chiaro in sé stesso, però va collocato nel contesto: non si tratta solo di ungesto di um<strong>il</strong>tà (Gesù, che era <strong>il</strong> Figlio di <strong>Dio</strong> si è abbassato a lavare i piedi ai suoidiscepoli).È troppo poco. Piuttosto che di um<strong>il</strong>tà, bisogna parlare di "rivelazione".Gesù compie questo gesto per rivelare la sua ident<strong>it</strong>à, e in particolare la naturadella sua signoria.Il Figlio <strong>ha</strong> compiuto questo gesto consapevole del fatto che <strong>il</strong> Padre aveva messotutto nelle sue mani, e che a <strong>Dio</strong> r<strong>it</strong>ornava; Gesù era consapevole di essere maestro,di essere Signore. Il servizio - qui espresso plasticamente, col gesto um<strong>il</strong>e di lavarei piedi - è <strong>il</strong> modo umano, quindi visib<strong>il</strong>e e comprensib<strong>il</strong>e, di rivelare la signoria di<strong>Dio</strong>, manifestandola come amore e non come dominio.Il fatto che si tratti di un'azione visib<strong>il</strong>e indica che l'amore non rimane un motointeriore dell'anima, ma si traduce in gesti concreti.I nostri segni l<strong>it</strong>urgici dovrebbero essere parlanti e avere un valore veramentesimbolico.Ho partecipato a una celebrazione eucaristica presieduta da un vescovomissionario in Bras<strong>il</strong>e <strong>il</strong> quale aveva come pastorale un bastone di legno! Ilparticolare <strong>ha</strong> colp<strong>it</strong>o me e tutti i presenti perché <strong>il</strong> bastone di legno richiamadiverse immagini: <strong>il</strong> pastore, <strong>il</strong> viandante, <strong>il</strong> missionario che si muove su terreniimpervi. I pastorali dei vescovi fatti di argento e d'oro non richiamano niente disim<strong>il</strong>e.Il simbolo non parla più! Il bastone, qualsiasi bastone - se ci pensiamo - è unprodigio: ci vuole un albero per fare un bastone, ci vuole un seme per far nascerel'albero, ci vuole un fiore...Invece dall'argento e dall'oro non si è mai visto nascereniente.Il gesto di Gesù segue immediatamente l'affermazione circa la sua signoria("sapendo che <strong>il</strong> Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da <strong>Dio</strong> e a<strong>Dio</strong> r<strong>it</strong>ornava..." - Gv 13,3) per mostrare di che signoria si tratta.Se noi nel <strong>mondo</strong> vogliamo essere i segni della signoria di <strong>Dio</strong> dobbiamo ripeterela lavanda dei piedi. In realtà, per esprimere la signoria di <strong>Dio</strong>, rischiamo diriprodurre quella dei signori del <strong>mondo</strong>, perdendo la nov<strong>it</strong>à rivelata nel vangelo.33


La frase "sapendo che <strong>il</strong> diavolo aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota d<strong>it</strong>radirlo" (Gv 13,2) dice qualcosa di più: <strong>il</strong> simbolo del servizio, dell'amore, deldono di sé, e della croce si esprime in un contesto di rifiuto e di tradimento.Il dono di sé è avvenuto nella consapevolezza di essere abbandonato.L'incomprensione di PietroVenne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo".Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non t<strong>il</strong>averò, non avrai parte con me".Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi,ma anche le mani e <strong>il</strong> capo!" (Gv 13, 6-10).Pietro non riesce a capire come mai Gesù faccia <strong>il</strong> gesto di lavare i piedi: non èdegno del Signore! Se Gesù è Signore deve fare altri gesti!Un episodio analogo di non comprensione lo troviamo dopo la professione di fededi Pietro a Cesarea di F<strong>il</strong>ippo: Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i v<strong>il</strong>laggiintorno a Cesarea di F<strong>il</strong>ippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: "Chidice la gente che io sia? ". Ed essi gli risposero: "Giovanni <strong>il</strong> Battista, altri poiElia e altri uno dei profeti". Ma egli replicò: "E voi chi d<strong>it</strong>e che io sia?". Pietro glirispose: "Tu sei <strong>il</strong> Cristo". E impose loro severamente di non parlare di lui anessuno. E cominciò a insegnar loro che <strong>il</strong> Figlio dell'uomo doveva molto soffrire,ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venireucciso e, dopo tre giorni, risusc<strong>it</strong>are. Gesù faceva questo discorso apertamente.Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi eguardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana!Perché tu non pensi secondo <strong>Dio</strong>, ma secondo gli uomini" (Mc 8,27-33).Pietro dapprima chiama Gesù "Messia", ma quando Gesù gli spiega che <strong>il</strong> Figliodell'uomo è incamminato verso la croce, Pietro insorge: la croce non conviene alFiglio di <strong>Dio</strong>. Si tratta di un gesto di incomprensione: non è fac<strong>il</strong>e accettare questovolto di <strong>Dio</strong>.Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disseloro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e d<strong>it</strong>e bene,perché lo sono. Se dunque io, <strong>il</strong> Signore e <strong>il</strong> Maestro, ho lavato i vostri piedi,anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perchécome ho fatto io, facciate anche voi. In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à vi dico: un servo non è piùgrande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo <strong>ha</strong> mandato.Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica" (Gv 13,12-17).Gesù dice di aver dato l'esempio e termina con una beat<strong>it</strong>udine: "sapendo questecose, sarete beati se le metterete in pratica". Se vogliamo essere nel <strong>mondo</strong> <strong>il</strong> segnodi <strong>Dio</strong> sappiamo cosa fare: un segno efficace, un segno che attira l'occhio, che saancora colpire, ma che magari susc<strong>it</strong>erà contrasto e scandalo. Non è detto che la34


parola di <strong>Dio</strong> debba necessariamente convertire, può anche provocare rifiuto;conversione o rifiuto dipendono dal cuore dell'uomo e dalla sua libertà."Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri".L'espressione "gli uni gli altri" è la chiave che ci permette di andare avanti neldiscorso; in Gv 13,34-35 infatti si legge: "Vi do un comandamento nuovo: che viamiate gli uni gli altri; come io vi ho <strong>amato</strong>, così amatevi anche voi gli uni gli altri.Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per glialtri".In questi due versetti troviamo tre volte l'espressione "gli uni gli altri" non piùcollegata all'immagine della lavanda dei piedi, e nemmeno al servizio, maall'amore. Questo "gli uni gli altri" dice chiaramente la v<strong>it</strong>a comun<strong>it</strong>aria e lareciproc<strong>it</strong>à. L'amore reciproco ("gli uni gli altri") <strong>ha</strong> delle caratteristiche specifiche:la sua radice e modello è l'amore di Cristo. È una reciproc<strong>it</strong>à originata dal "come ioho <strong>amato</strong> voi", che prima di tutto dice la gratu<strong>it</strong>à.Come Cristo è morto non sulla misura di una reciproc<strong>it</strong>à, ma sulla misura di unagratu<strong>it</strong>à, così la comunione fra i fratelli nasce dalla gratu<strong>it</strong>à con la quale si amano.La gratu<strong>it</strong>à è una categoria più ampia rispetto alla reciproc<strong>it</strong>à. L'amore gratu<strong>it</strong>o stain piedi anche se l'altro non corrisponde.La gratu<strong>it</strong>à è l'anima dell'amore, anche inuna coppia.In questo modo ("come" io ho <strong>amato</strong> voi) l'amore si apreall'universal<strong>it</strong>à.In questo brano di Giovanni si parla di un comandamento "nuovo", anche seimpresso fin dalla creazione nel cuore dell'uomo; l'amore reciproco <strong>ha</strong> la sua radicenell'amore trin<strong>it</strong>ario.La rivelazione di questo modo di amare è nuova esorprendente, anche se svela all'uomo le radici del suo essere.Secondo Giovanni la nov<strong>it</strong>à è sempre e solo la car<strong>it</strong>à. L'uomo non cerca altro nellasua v<strong>it</strong>a, se non essere accolto e accogliere.Simon Pietro gli dice: "Signore dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado perora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi". Pietro disse: "Signore, perché nonposso seguirti ora? Darò la mia v<strong>it</strong>a per te!".Rispose Gesù: "Darai la tua v<strong>it</strong>a perme? In ver<strong>it</strong>à, in ver<strong>it</strong>à ti dico: non canterà <strong>il</strong> gallo, prima che tu non m'abbiarinnegato tre volte" (Gv 13, 36-38).Alla fine del cap<strong>it</strong>olo entra in gioco ancora Pietro, e questa volta <strong>il</strong> suo errore pareessere duplice .Pietro pretende di dare la v<strong>it</strong>a per Cristo prima che lui la dia a noi;in realtà l'amore per gli altri è un frutto della sequela di Cristo.Il secondo errore è annidato nell'idea che soggiace alle parole: "darò la mia v<strong>it</strong>a perte". Pietro già nella lavanda dei piedi si scandalizza nel vedere un Signore cheserve gli uomini: tocca agli uomini servire <strong>Dio</strong>, non a <strong>Dio</strong> servire gli uomini! Darela v<strong>it</strong>a "per <strong>Dio</strong>" fa parte di tutti gli ideali, anche quelli laici (cfr. morire per lapatria), ma che dice l'original<strong>it</strong>à cristiana è <strong>il</strong> morire "per gli altri", "come" Cristo.Il "come" è essenziale: riproduce <strong>il</strong> gesto della croce. "Da questo tutti sapranno chesiete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).35


L'amore reciproco è <strong>il</strong> segno distintivo dei discepoli.L'ident<strong>it</strong>à stessa dei discepolidiventa trasparente agli altri per <strong>il</strong> modo con cui si amano.È l'ident<strong>it</strong>à <strong>il</strong> punto centrale di questa affermazione: Gesù, nel discorso riportatonel vangelo di Giovanni, non dice che tutti si convertiranno vedendo questo amore,ma che da questo riconosceranno i suoi discepoli.Il modo di amare insegnato da Gesù, nella comun<strong>it</strong>à dei discepoli giunge acompimento nella reciproc<strong>it</strong>à, e diventa un segno distintivo di fronte al <strong>mondo</strong>.L'amore fra i discepoli, pur vissuto all'interno di una comun<strong>it</strong>à, diventa "limpido" epubblico.Ci sono dei segni che "parlano": l'amore gratu<strong>it</strong>o si vede, si tocca, si nota, non <strong>ha</strong>bisogno di essere continuamente commentato. In questi versetti del vangelo diGiovanni emerge con grande chiarezza un'altra nota dell'amore.Il comandamento "amatevi a vicenda" è la risposta a "come io ho <strong>amato</strong> voi".L'insegnamento che qui appare è di una grande semplic<strong>it</strong>à e tuttavia è qualcosa distraordinario: la risposta all'amore di <strong>Dio</strong> non è immediatamente amare lui, maestendere l'amore ai fratelli.L'amore è espansivo per natura, non è anz<strong>it</strong>utto un r<strong>it</strong>ornare su sé stessi. Questa èuna caratteristica che anche la gente semplice capisce sub<strong>it</strong>o.Nel linguaggiocomune si dice "che bella famiglia!" quando i gen<strong>it</strong>ori amano i loro figli e i figli siamano tra di loro.Quando i fratelli l<strong>it</strong>igano fra di loro, la discordia coinvolge tutta la famiglia. Ilsegno che si è ricevuto l'amore di <strong>Dio</strong> è che <strong>il</strong> suo amore si espande.Come i tralci e la v<strong>it</strong>eNel cap. 15,1-17 Giovanni riprende lo stesso tema: la chiave dell'allegoria dellav<strong>it</strong>e e dei tralci è infatti <strong>il</strong> comandamento dell'amore reciproco.L'immagine della v<strong>it</strong>e rimanda continuamente a un unico concetto: bisognarimanere in Cristo, come <strong>il</strong> tralcio deve restare attaccato alla v<strong>it</strong>e, pena la totalester<strong>il</strong><strong>it</strong>à, <strong>il</strong> non portare frutto.Cosa significa rimanere in Cristo? Qual è <strong>il</strong> segno che indica che io rimango inCristo e Cristo rimane in me? È una domanda che Giovanni si pone spesso,soprattutto nella sua prima lettera, ogni volta che cerca un segno che attest<strong>il</strong>'amore, al di là della propria verifica personale.Bisogna leggere integralmente Gv 15,1-17, per trovare la risposta a questadomanda. Basta raccogliere le frasi che contengono <strong>il</strong> verbo rimanere, ripetutocontinuamente nel testo.Io sono la vera v<strong>it</strong>e e <strong>il</strong> Padre mio è <strong>il</strong> vignaiolo. Ogni tralcio che in me non portafrutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi.Come <strong>il</strong> tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella v<strong>it</strong>e, così anchevoi se non rimanete in me. Io sono la v<strong>it</strong>e, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui,fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in meviene gettato via come <strong>il</strong> tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel36


fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedetequel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato <strong>il</strong> Padre mio: che portiatemolto frutto e diventiate miei discepoli. Come <strong>il</strong> Padre <strong>ha</strong> <strong>amato</strong> me, così anch'ioho <strong>amato</strong> voi.Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti,rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio erimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e lavostra gioia sia piena. Questo è <strong>il</strong> mio comandamento: che vi amiate gli uni glialtri, come io vi ho amati. Nessuno <strong>ha</strong> un amore più grande di questo: dare la v<strong>it</strong>aper i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.Non vichiamo più servi, perché <strong>il</strong> servo non sa quello che fa <strong>il</strong> suo padrone; ma vi hochiamati amici, perché tutto ciò che ho ud<strong>it</strong>o dal Padre l'ho fatto conoscere avoi.Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i perché andiate eportiate frutto e <strong>il</strong> vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete alPadre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.Il testo stab<strong>il</strong>isce un collegamento fra le diverse frasi pronunciate da Gesù:"rimanete in me...", "le mie parole rimangono in voi...", "rimanete nel mioamore se osserverete i miei comandamenti...", "questo è <strong>il</strong> mio comandamentoche vi amiate gli uni gli altri".A questo punto <strong>il</strong> segno del rimanere in Cristo appare chiaramente: amarsi gli unigli altri. È un segno verificab<strong>il</strong>e, concreto, visib<strong>il</strong>e, l'unico modo qui sulla terra perrimanere nell'amore di <strong>Dio</strong>.V LE BEATITUDINI IN MATTEOVedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinaronoi suoi discepoli.Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:"Beati i poveri in spir<strong>it</strong>o, perché di essi è <strong>il</strong> regno dei cieli.Beati gli affl<strong>it</strong>ti, perché saranno consolati.Beati i m<strong>it</strong>i, perché ered<strong>it</strong>eranno la terra.Beati quelli che <strong>ha</strong>nno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.Beati i puri di cuore, perché vedranno <strong>Dio</strong>.Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di <strong>Dio</strong>.Beati i persegu<strong>it</strong>ati per causa della giustizia, perché di essi è <strong>il</strong> regno dei cieli.Beati voi quando vi insulteranno, vi persegu<strong>it</strong>eranno e, mentendo, diranno ognisorta di male contro di voi per causa mia.Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.Così infatti <strong>ha</strong>nno persegu<strong>it</strong>ato i profeti prima di voi (Mt 5,1-12).Con questa med<strong>it</strong>azione "usciamo" dal vangelo di Giovanni prendendo come testodi riferimento per la riflessione, in vista di una rinasc<strong>it</strong>a spir<strong>it</strong>uale, <strong>il</strong> testo delleBeat<strong>it</strong>udini di Matteo. Anche le Beat<strong>it</strong>udini si possono leggere da prospettivedifferenti, bisogna quindi fare qualche scelta.37


Risulta fecondo leggere <strong>il</strong> brano delle Beat<strong>it</strong>udini secondo una prospettivasugger<strong>it</strong>a dallo stesso vangelo di Matteo: la "perfezione" (cfr. Mt 5,48 - "Siateperfetti come è perfetto <strong>il</strong> Padre vostro che è nei cieli"). Invece di usare la parola"perfezione", ut<strong>il</strong>izziamo la categoria del "primato di <strong>Dio</strong>".Le Beat<strong>it</strong>udini ci insegnano come vivere concretamente <strong>il</strong> primato di <strong>Dio</strong> e comericonoscerlo in chi ci sta accanto.Innanz<strong>it</strong>utto una premessa: le Beat<strong>it</strong>udini sono la fotografia di una persona. Nelbrano di Matteo non vengono delineate sette diverse forme di sant<strong>it</strong>à, ma unapersona sola con questi tratti. Indubbiamente la persona che le Beat<strong>it</strong>udini cercanodi descrivere è Gesù Cristo.Non è possib<strong>il</strong>e capire le Beat<strong>it</strong>udini se non mettendoal centro di esse la figura di Gesù, non <strong>tanto</strong> per le cose che <strong>ha</strong> detto, ma per come<strong>ha</strong> vissuto: l'uomo delle Beat<strong>it</strong>udini è Lui. Il brano "traduce" in Beat<strong>it</strong>udini i trattidella sua esistenza, del suo volto, della sua figura.Ci troviamo di fronte a una figura cristologica - che poi diventa anche la figura deldiscepolo - un<strong>it</strong>aria e compatta. Il brano non è scr<strong>it</strong>to perché ognuno possascegliere la sua Beat<strong>it</strong>udine, ma per presentare un'unica figura di riferimento.Le Beat<strong>it</strong>udini quindi vanno lette insieme.Il vangelo, e in particolare questo brano, non intende la perfezione come <strong>il</strong>raggiungimento di una forma ideale e compiuta in sé stessa. La concezione dellaperfezione biblica è diversa da quella greca, secondo la quale l'uomo perfetto èl'uomo in cui ogni parte è in armonia con l'altra.La ricerca della perfezione coincide in questo caso con <strong>il</strong> costruire sé stessicercando l'armonia delle parti. È una perfezione cercata dentro l'uomo,nell'equ<strong>il</strong>ibrio delle sue tensioni fino a un'armonia ideale.Per la Bibbia la perfezione, la sant<strong>it</strong>à, non si misura a partire dall'uomo, ma apartire da qualcuno che è fuori dall'uomo ("come <strong>il</strong> Padre vostro", dice <strong>il</strong> vangelodi Matteo). La perfezione delle Beat<strong>it</strong>udini è in relazione al Padre, è data dalprimato di <strong>Dio</strong>.La perfezione evangelica non consiste nel raggiungimentodell'armonia interiore, ma nell'essere totalmente protesi al di fuori di sé.La sant<strong>it</strong>à è una perfezione "sb<strong>il</strong>anciata": <strong>il</strong> santo è eccessivo, vive proiettato al difuori, verso <strong>Dio</strong>, tutto verso <strong>Dio</strong>.Non si tratta di una car<strong>it</strong>à equ<strong>il</strong>ibrata e armonica ma di una car<strong>it</strong>à spinta finoall'estremo. Non è questione di equ<strong>il</strong>ibrio fra le parti; le note della perfezionecristiana sono piuttosto la total<strong>it</strong>à, la defin<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à, l'appartenenza a un unicopadrone. Le beat<strong>it</strong>udini chiamano a vivere in base al riconoscimento del primato di<strong>Dio</strong>, per essere segni viventi di questo primato.L'abbandono in <strong>Dio</strong>Il primo modo di riconoscere <strong>il</strong> primato di <strong>Dio</strong> è detto nella prima e nella terzaBeat<strong>it</strong>udine: "Beati i poveri di spir<strong>it</strong>o perché di essi è <strong>il</strong> Regno dei cieli" e "Beati inon violenti perché ered<strong>it</strong>eranno la terra".38


La Beat<strong>it</strong>udine dei poveri nello spir<strong>it</strong>o (quanto allo spir<strong>it</strong>o, di spir<strong>it</strong>o) fa emergerela figura del "povero del Signore", di cui la Bibbia parla spesso. Il povero delSignore si appoggia a <strong>Dio</strong>, non <strong>ha</strong> altro appoggio, altra ragione di sicurezza se nonLui.Ciò accade più frequentemente a chi è povero anche dal punto di vistamateriale, a chi non <strong>ha</strong> potere per difendere sé stesso.Il ricco può anche essere difeso da un buon avvocato, ma un povero da chi vienedifeso?Le persone che non contano, che vivono questa s<strong>it</strong>uazione di povertà e didebolezza sono considerate direttamente da questa Beat<strong>it</strong>udine, ma l'accento vieneposto sulla fiducia in <strong>Dio</strong>, sulla dipendenza da Lui. Il povero è l'uomo che si mettenelle mani di <strong>Dio</strong> come unico difensore, che non può e non vuole ricorrere allaviolenza per farsi valere. La radice di questa povertà è la dipendenza da <strong>Dio</strong>, latotale dipendenza, che dovrebbe apparire nei vari aspetti della v<strong>it</strong>a.Anche dal punto di vista materiale si afferma <strong>il</strong> primato di <strong>Dio</strong> se nell'organizzarela v<strong>it</strong>a e nelle scelte si lascia spazio alla Sua Provvidenza. Anche la vecchiaia o lamalattia vengono vissute diversamente da chi lascia spazio alla Provvidenza di<strong>Dio</strong>. Nella v<strong>it</strong>a di chi si <strong>il</strong>lude di prevedere tutto non c'è nessuno spazio per <strong>il</strong>primato di <strong>Dio</strong>.Spesso anche le congregazioni religiose vivono con le spalle coperte da sicurezzemateriali piuttosto che dipendere dalla Provvidenza di <strong>Dio</strong>. Questo è <strong>il</strong> rischio diun <strong>mondo</strong> ricco, arrogante, orgoglioso.Gesù <strong>ha</strong> detto che <strong>il</strong> resto sarà dato a chi cerca innanz<strong>it</strong>utto <strong>il</strong> regno di <strong>Dio</strong> e la suagiustizia.Il primato della dipendenza non si manifesta solo nel fare spazio allaProvvidenza (dipendere da <strong>Dio</strong> nel vivere, nel pane di ogni giorno...), manell'obbedienza alla volontà di <strong>Dio</strong>, nel riconoscimento di <strong>Dio</strong> come l'unicoSignore."Nessuno può servire a due padroni" si legge in un altro punto del vangelo diMatteo (Mt 6,25): l'appartenenza a <strong>Dio</strong> diventa obbedienza, fiducia nellaProvvidenza, lasciarsi guidare da Lui.Il povero del Signore è colui che <strong>Dio</strong> ama.La nota che fa grande <strong>il</strong> povero del Signore è che <strong>Dio</strong> guarda questo povero, anchese gli altri non lo tengono in alcun conto.<strong>Dio</strong> tiene proprio conto di te, <strong>ha</strong> gli occhisu di te: <strong>Dio</strong> guarda i suoi poveri.È questa la gioia del povero del Signore: sapereche è un pred<strong>il</strong>etto da <strong>Dio</strong>, <strong>amato</strong> così com'è.Il primato del desiderio"Beati i puri di cuore perché vedranno <strong>Dio</strong>". C'è una seconda forma di primato,oltre a quello che si esprime nella forma della dipendenza, dell'obbedienza,dell'affidarsi a <strong>Dio</strong>: è <strong>il</strong> primato del desiderio e della ricerca.Il puro di cuore è colui che <strong>ha</strong> occhi per guardare al di là delle apparenze, l'uomonon diviso in sé stesso ma totalmente aperto a <strong>Dio</strong>. Non a caso a questa beat<strong>it</strong>udineè promessa la visione: "vedranno <strong>Dio</strong>".Il desiderio di <strong>Dio</strong> unifica <strong>il</strong> cuore di chi lo cerca e lo conduce all'incontro con Lui.39


Si legge nella prima lettera di Giovanni: "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di<strong>Dio</strong>, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando eglisi sarà manifestato, noi saremo sim<strong>il</strong>i a Lui, perché lo vedremo così come egliè"(1Gv 3,2).Sant'Agostino, commentando questo versetto, si chiede se ciò possa avvenire inqualche modo già qui sulla terra e conclude dicendo che l'unica cosa seria chepossiamo fare è ingrandire i desideri.Chi ingrandisce i desideri è sim<strong>il</strong>e a un uomo a cui viene detto che un giorno la suabisaccia verrà riemp<strong>it</strong>a fino all'orlo di tutto ciò che desidera.Quale atto sensato puòfare l'uomo in attesa di quel giorno se non continuamente allargare la bisacciaperché diventi sempre più grande? I desideri vanno coltivati, orientati e scelti.Senza desiderio non è possib<strong>il</strong>e crescere nell'amore di <strong>Dio</strong>.Il primato dell'amoreIl primato della dipendenza e della ricerca di <strong>Dio</strong> non si risolvono nel luogo diun'astratta interior<strong>it</strong>à, ma conducono immediatamente alle altre beat<strong>it</strong>udini: <strong>il</strong>primato della giustizia, della misericordia, della pace."Beati i misericordiosi".La misericordia è un atteggiamento verso <strong>il</strong> prossimo, non verso <strong>Dio</strong>. Gesù Cristo<strong>ha</strong> affermato <strong>il</strong> primato del Padre morendo per gli uomini, non per <strong>Dio</strong>! Allo stessomodo i misericordiosi affermano <strong>il</strong> primato dell'amore rendendolo visib<strong>il</strong>e fra gliuomini.Questa beat<strong>it</strong>udine riprende una qual<strong>it</strong>à ben precisa, anzi, secondo la Bibbia,specifica di <strong>Dio</strong>: la misericordia. Nello stesso tempo la beat<strong>it</strong>udine rinvia aquell'eccesso di amore del prossimo che è <strong>il</strong> perdono.Sia Luca che Matteo sottolineano in modo particolare <strong>il</strong> perdono al nemico. Anchelì c'è un primato dell'amore, in senso orizzontale: l'altro mi fa del male ma iocontinuo ad amarlo.La preghiera per i nemici è la fonte di questo sovrappiù di amore nei loroconfronti.Chi prega diventa responsab<strong>il</strong>e dei suoi nemici, come <strong>Dio</strong> è responsab<strong>il</strong>e delpeccatore. In questa linea orizzontale si colloca anche l'operatore di pace, che saràchi<strong>amato</strong> figlio di <strong>Dio</strong>. Chi intende e opera la pace allo stesso modo di Gesù Cristoè disposto a perdere la sua v<strong>it</strong>a per costruirla."Beati quelli che <strong>ha</strong>nno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati".In Matteo, come in tutta la Bibbia, per "giustizia" si intende la volontà di <strong>Dio</strong>; però<strong>il</strong> termine scelto nel testo delle Beat<strong>it</strong>udini, <strong>il</strong> sostantivo greco dikaiosune, rimanda40


in modo più diretto alla giustizia tra gli uomini. Nella Bibbia la giustizia fra gliuomini deriva dal primato riconosciuto a <strong>Dio</strong> sulla terra.C'è giustizia tra gli uomini perché <strong>Dio</strong>, che è al primo posto, <strong>ha</strong> creato <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> pertutti e ama ciascuno. Questo significa mettere le cose a posto."Fame e sete" dice una total<strong>it</strong>à; non c'è infatti nulla di più "invadente" della fame edella sete: chi <strong>ha</strong> fame e sete non capisce altro.E allora questa "fame e sete digiustizia" è <strong>il</strong> desiderio che sovrasta ogni desiderio, che ti prende dal mattino allasera.È la total<strong>it</strong>à che fa la differenza, e che cost<strong>it</strong>uisce la serietà della scelta.Le Beat<strong>it</strong>udini dei discepoli di CristoBeati i persegu<strong>it</strong>ati per causa della giustizia, perché di essi è <strong>il</strong> regno dei cieli.Beati voi quando vi insulteranno, vi persegu<strong>it</strong>eranno e, mentendo, diranno ognisorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande èla vostra ricompensa nei cieli. Così infatti <strong>ha</strong>nno persegu<strong>it</strong>ato i profeti prima di voi.La Beat<strong>it</strong>udine che riguarda i persegu<strong>it</strong>ati a causa della giustizia e quellasuccessiva che riguarda i discepoli tendono a coincidere: "per la giustizia" e "percausa mia" alla fine si equivalgono.È persegu<strong>it</strong>ato a causa di Cristo non <strong>tanto</strong> chi parla di lui, ma chi opera come lui eparla come lui <strong>ha</strong> parlato: è <strong>il</strong> "come" che conta, non basta parlare "di" Cristo.Chi parla di <strong>Dio</strong> come ne <strong>ha</strong> parlato Gesù scombina la logica del <strong>mondo</strong>: gliegoismi di questo <strong>mondo</strong> si coalizzano contro di lui e ricorrono, come diceGiovanni, alla menzogna.I persecutori dicono che la ver<strong>it</strong>à non è ver<strong>it</strong>à, ma bugia, menzogna, stupidaggine.E se la ver<strong>it</strong>à detta da chi segue <strong>Dio</strong> è talmente forte, è talmente chiara, talmenteostinata da non poter essere messa a tacere dalla menzogna, rimane solo laviolenza.Per far tacere la ver<strong>it</strong>à, <strong>il</strong> "<strong>mondo</strong>" ricorre alla violenza, come disse Caifa:"meglio uno che muoia anziché tutti!". Il primato non spetta quindi alla dimensioneorizzontale delle relazioni, ma alla relazione con <strong>Dio</strong>.Nello stesso tempo, però, la vertical<strong>it</strong>à si manifesta nell'orizzontal<strong>it</strong>à: questo è <strong>il</strong>nucleo della nostra fede.Per affermare <strong>il</strong> primato del Padre e rivelare <strong>il</strong> suo volto, Gesù è morto per gliuomini. Chi muore per <strong>Dio</strong> disprezzando gli uomini non rivela nulla del volto delPadre.Chi invece è fedele alla ver<strong>it</strong>à fino a dare la v<strong>it</strong>a per i fratelli dice chi è <strong>Dio</strong>.Ilmartire non è colui che decide di morire per <strong>Dio</strong>, ma chi <strong>ha</strong> fatto delle scelteprecise e rischiose per amare gli altri, a scap<strong>it</strong>o della sua stessa v<strong>it</strong>a.Qualche versetto dopo <strong>il</strong> brano delle beat<strong>it</strong>udini, viene ribad<strong>it</strong>o <strong>il</strong> primato di <strong>Dio</strong>:"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre operebuone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5, 16).Le opere del cristiano, e più in generale della Chiesa, sono efficaci nella misura incui vengono compiute a lode di <strong>Dio</strong> e non di sé stessi.Come Gesù è trasparenza del Padre, così <strong>il</strong> cristiano deve indicare Lui.41


Le beat<strong>it</strong>udini affermano in modo ulteriore <strong>il</strong> primato di <strong>Dio</strong>: le s<strong>it</strong>uazioni presentinegative (di povertà, di esclusione, di persecuzione) possono essere lette alla lucedel compimento.Questa v<strong>it</strong>a non è tutta la v<strong>it</strong>a, così come la s<strong>it</strong>uazione che si sta vivendo non è <strong>il</strong>tutto di sé. È possib<strong>il</strong>e un atteggiamento più sereno, meno ingordo, che guarda al<strong>mondo</strong> anche con la capac<strong>it</strong>à della rinuncia.Chi invece r<strong>it</strong>iene che <strong>il</strong> <strong>mondo</strong> sia <strong>il</strong> suo tutto, non <strong>ha</strong> altra possib<strong>il</strong><strong>it</strong>à di realizzaresé stesso se non quella di arraffare <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e.Chi vive così è alla continua ricerca di nuove esperienze, nessuna delle quali placa<strong>il</strong> desiderio. È un atteggiamento che impedisce di godere veramente di qualsiasicosa, un'inquietudine affannata e continuamente delusa.La seren<strong>it</strong>à, la gratu<strong>it</strong>à, la capac<strong>it</strong>à di concentrarsi, la capac<strong>it</strong>à di dare spazioall'altro sono i molteplici aspetti del vivere aperti all'Altro per eccellenza.L'uman<strong>it</strong>àoggi <strong>ha</strong> bisogno di qualcuno che annunci che non c'è solo questo tempo e questo<strong>mondo</strong>.In forma religiosa o in forma non-religiosa gli uomini non possono vivere senza un"ulteriore" a cui guardare. Senza questo "altrove" anche <strong>il</strong> cristianesimo rischia diripiegarsi in modo ster<strong>il</strong>e su sé stesso.42

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