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lancia uno sguardo strano. «Lascia perdere. Vado a dare un’occhiata a mio padre e poi magari<br />
possiamo andare a prendere qualcosa da mangiare. La mia ricompensa per averti coinvolto in<br />
questo casino».<br />
«È davvero una ricompensa?», scherza sfoggiando un sorriso sarcastico. «Andare a<br />
cena con te?».<br />
Gli faccio una smorfia ed entro in cucina, lasciando sbattere la zanzariera dietro di<br />
me. Nell’aria fluttuano granelli di polvere e io mi sventolo la mano davanti alla faccia. «Dio, c’è<br />
puzza di animale morto qui dentro».<br />
«È perché nessuno ha mai pulito prima che io me ne andassi». Sulla soglia compare<br />
mio padre, con indosso una maglietta verde stropicciata e dei jeans macchiati di grasso. La pelle<br />
ha ripreso un po’ di colore dall’ultima volta che l’ho visto e sembra un po’ più giovane, ma ha<br />
gli occhi iniettati di sangue come al solito. Non è più ubriaco, solo in post-sbronza, ma può<br />
risultare ugualmente esplosivo.<br />
«Credevo proprio di aver pulito». Lancio un’occhiata al bancone marrone, ancora<br />
pieno di bottiglie di vodka e tequila, e al tavolo pieno di pile di bollette scadute. «Papà, perché<br />
hai lasciato il centro di riabilitazione?».<br />
Si lascia cadere su una sedia di fronte al tavolo della cucina, con le spalle curve e la<br />
testa tra le mani. «Hanno provato a farmi parlare di tua madre».<br />
La mia sensazione di disagio aumenta. «So che deve essere stato difficile per te, ma<br />
scappare non risolverà i problemi. Non farà che peggiorarli. Fidati, lo so».<br />
«Fidarmi». Alza la testa e si sfrega la mandibola coperta di una barba trasandata.<br />
«Come mi sono fidato a lasciarti controllare tua madre quella notte». Sta ripetendo le stesse<br />
parole che mi ha detto quando abbiamo provato a farlo andare in riabilitazione.<br />
È come se mi avessero dato un pugno in pancia, premo le mani sullo stomaco,<br />
imponendo ai miei polmoni di continuare a respirare. «Mi dispiace».<br />
Spalanca gli occhi e si alza in piedi di scatto, rovesciando a terra la sedia. «Ella, non<br />
volevo. A volte dico delle cose… e non so perché».<br />
«È tutto okay». Come mi ha insegnato la terapista, cerco di superare il dolore che<br />
provo attraverso la respirazione, mentre indietreggio verso la porta. «Vado a prendere qualcosa<br />
per cena. Vuoi niente?».<br />
pensavo».<br />
Scuote la testa e i suoi occhi si riempiono di lacrime. «Ella, davvero, non lo<br />
«Lo so». Mi lancio fuori dalla porta e inspiro un bel po’ di aria fresca.<br />
Ethan mi lancia un’occhiata e si alza in piedi. «Stavo pensando che potremmo<br />
andare al drive-in. Con il mio camioncino, perché non salirei su quella macchina da clown<br />
neanche per tutto l’oro del mondo».<br />
In questo momento potrei abbracciarlo, ma non lo faccio. «Per me va bene».