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ANNO XV - N. 1 - Gennaio 2011 - Società Friulana di Archeologia

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Non solo trulliGravina <strong>di</strong> PalagianelloChi è già stato in Cappadocia sa <strong>di</strong>cosa trattiamo quando parliamo<strong>di</strong> habitat rupestre, chi non c’èstato può andarci con calma e programmarequalche giorno <strong>di</strong> vacanza dalleparti <strong>di</strong> Massafra a due passi da Taranto.Non è lontana, è più o meno all’altezza<strong>di</strong> Salerno e ci si arriva in giornata daU<strong>di</strong>ne con l’autostrada Adriatica che,dopo Ancona e Pescara, è velocissima,rilassante e poco trafficata.Vi piace la collina coltivata a ulivi? AMassafra c’è. Vi piace la pianura coltivataad agrumi e a grappoloni perfetti <strong>di</strong>uva da tavola? A Massafra c’è. Vi piaccionoil mare e la spiaggia? A Massafrac’è. V’interessa una località in cui cisono stati prima <strong>di</strong> voi - ed hanno lasciatoinalterate tracce del loro passaggio- i Greci, i Romani, i Longobar<strong>di</strong>, iNormanni, gli Svevi, gli Angioini e - dallontano Oriente - i Basiliani che abitarononelle caratteristiche grotte localitrasformandole poi in case e chiese (c’èpassato anche Pasolini che ci ha giratoparte del Vangelo secondo Matteo; nonc’entra ma mi piace ricordarlo)? Massafra,appunto.Già, parliamo proprio delle chiese rupestridella Puglia, quanti le conoscono?Eppure ne sono state censite almeno600 (seicento) scavate nella locale etenera roccia calcarenitica (che poi ècome <strong>di</strong>re, ma è improprio, roccia tufacea).Andare a visitarle - e a cercarle perle campagne - è un modo assolutamentepiacevole per conoscere alcuni degli angolipiù belli della Regione. Scopriretelo stimolo <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> raggiungerele chiesette passeggiando e, talvolta,arrampicandovi per i sentieri tracciatinel tufo fra scalette e nicchie, fra piante<strong>di</strong> capperi, <strong>di</strong> Abbiamo timo, <strong>di</strong> invaso salvia, la nostra <strong>di</strong> menta areaselvatica con i falchetti che si libranonell’aria sopra <strong>di</strong> voi in un silenzio senzatempo.Si tratta <strong>di</strong> cripterupestri, piccolimonasteri e asceteridatabili nella loromassima <strong>di</strong>ffusionefra il IX e il XII secolocioè durante ilperiodo d’influenzabizantina quandouna generale instabilitàpolitica e una<strong>di</strong>ffusa minacciad’invasioni portarono alla fuga dalle cittàverso il retroterra, là dove le naturalicavità della roccia offrivano un riparo,per l’epoca, comodo, adattabile alle<strong>di</strong>verse esigenze <strong>di</strong> uomini ed animali,stabile come temperatura e facilmente<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bile.La conformazione geologica della zona,infatti, aveva già allora determinato <strong>di</strong>ffusifenomeni carsici e abbondanza <strong>di</strong>spaccature simili a canyon: le lame e legravine.Le gravine sono solchi <strong>di</strong> erosione strettae profonda, con pareti assai ripide econ sezione trasversale a “V”, le lamesono invece incisioni poco profondecon decorso in parte regolare e sezionetrasversale a “U” molto aperta e quin<strong>di</strong>anche più adatte a essere sfruttate per leesigenze dell’agricoltura.Il roccioso habitat quin<strong>di</strong>, già <strong>di</strong> per séricco <strong>di</strong> cavità naturali, venne adeguatoal normale svolgimento delle attivitàquoti<strong>di</strong>ane delle comunità che si sonosusseguite nel tempo, sia per quanto attieneal lavoro che alla pratica religiosa.Ed infatti le chiesette rupestri, con illoro meraviglioso corredo <strong>di</strong> affreschiin stile bizantino, vengono ad essere ilfrutto <strong>di</strong> una religiosità che tramite lachiarezza del messaggio visivo, che siriteneva trasmessa <strong>di</strong>rettamente da Dio,esercitava la propria catechesi .Si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> un patrimonio che èpreziosa e fragile memoria - ci riferiamoall’esigenza <strong>di</strong> una manutenzione continua,costosa e talvolta <strong>di</strong> dubbi risultati- <strong>di</strong> quel tempo e <strong>di</strong> quella civiltà eche per la loro natura <strong>di</strong> testimonianzearcheologiche sono in<strong>di</strong>ssolubilmentelegate al paesaggio e possono essere conosciutesolo attraverso un’immersionetotale nell’habitat naturale e antropicoche le ha prodotte.Due per tutte: il villaggio rupestre del-3Cripta della Candelora a Massafra (part.)la gravina <strong>di</strong> “Madonna della Scala” aMassafra appunto e, a pochi chilometri,il borgo me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> Palagianelloaffacciato sul ciglio, immerso in unosplen<strong>di</strong>do bosco <strong>di</strong> pino d’Aleppo, <strong>di</strong> unaprofon<strong>di</strong>ssima gravina con il villaggiorupestre che si stende lungo la gravinastessa con numerose cripte a cominciaredalla chiesa rupestre della Madonnadelle Grazie continuando poi con sanGerolamo e con l’impossibile sant’Andrea(ormai inaccessibile in cima ad uncocuzzolo a strapiombo sul nulla datoche la cava vicina ha tagliato attorno adessa il tufo sulla quale è costruita).Ma <strong>di</strong> tutto questo potrete meglio parlarne,se vi ho incuriosito, con l’amico esocio Franco dell’Aquila che delle gravinene ha fatto un motivo <strong>di</strong> vita (chiedetegli<strong>di</strong> parlarvi della gravina Petruscioin quel <strong>di</strong> Mottola) e - se andatea Palagianello - passate a trovare il <strong>di</strong>rettoredel locale Museo del Territorio,prof. Domenico Caragnano: volontarioappassionato, persona squisita e che daesperto <strong>di</strong> arte me<strong>di</strong>oevale mi ha affascinatoquando - illustrando la pitturamurale <strong>di</strong> una cripta visitata insieme eche per me era bizantina punto e basta- è riuscito a documentare da alcuni particolariche si trattava <strong>di</strong> un pittore serboche aveva vissuto in territorio albanesee quin<strong>di</strong> espressione <strong>di</strong> una comunità<strong>di</strong> quei posti che erano arrivati fino inPuglia.Se poi dopo una giornata in technicolorpassata per gravine volete andare a cenafuori non chiedete il menu completo, macominciate dagli antipasti (e lì vi fermereteperché dopo il ventiduesimo antipastoinvocherete pietà!!!!)Pino Fazio


La battaglia delle termopiliTRA STORIA E GEOGRAFIAAll’inizio dell’estate del 480a.C., l’esercito persiano (perErodoto, Storie: VII,60 - forte<strong>di</strong> 1.700.000 fanti e 80.000 cavalieri,evidentemente troppi; ipotizzandoche egli abbia “confuso” le unità <strong>di</strong>mille con quelle <strong>di</strong> <strong>di</strong>ecimila si ha lapiù realistica cifra rispettivamente<strong>di</strong> 170.000 e 8.000) guidato da Sersestesso passò l’Ellesponto (Dardanelli)ed attraversò la Tracia, la Macedoniae la Tessaglia per portare la guerra nelcuore della Grecia; alla fine <strong>di</strong> lugliola maggioranza delle poleis elleniche,unite per la prima volta in unasimmachia (alleanza armata), decise<strong>di</strong> inviare alcune migliaia <strong>di</strong> opliti adaffrontare l’invasore al passo delleTermopili.La via maestra che conduceva allaGrecia centrale, dopo aver attraversatola pianura percorsa dal fiumeSperchios, volgeva ad est passandosulle estreme pen<strong>di</strong>ci dei monti Itie Kallidromon, lambite dalle acquedel golfo Maliakos. Il passaggio quisi restringeva in tre punti <strong>di</strong>stanti traloro qualche chilometro: la strettoiao “porta” centrale (tra il pen<strong>di</strong>o ed ilmare vi era uno spazio transitabile <strong>di</strong>una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> metri, fig.1) prendevapropriamente il nome <strong>di</strong> Termopiliper la vicinanza <strong>di</strong> alcune sorgenticalde (Θερμοπυλαι = porte calde).I Greci presero posizione in questopunto del passo, dove vi era anche datempo un vallo (fig.2) <strong>di</strong> sbarramentocostruito dai Focesi e che fu riparatoper l’occasione. Secondo Erodoto(VII, 202-203) il piccolo contingentesi proponeva <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il passofino all’arrivo del grosso delle forzealleate: a tal fine il re spartano Leonidaaveva a <strong>di</strong>sposizione circa 4000Peloponnesiaci (compresi i suoi 300Spartiati), 1000 Focesi, 700 Tespiesi,400 Tebani e circa un migliaio <strong>di</strong>Locresi Opunzi.Per due giorni i Persiani cercaronoinutilmente <strong>di</strong> travolgere i <strong>di</strong>fensorigreci, che erano avvantaggiati dall’armamentopesante mentre la ristrettezzadella linea <strong>di</strong> battaglia impe<strong>di</strong>vail contemporaneo <strong>di</strong>spiegamento <strong>di</strong>tutto il potenziale numerico nemico,ma la sera del secondo giorno truppescelte persiane - gli “Immortali”- alcomando <strong>di</strong> Idarne iniziarono unamanovra <strong>di</strong> aggiramento.Il terzo giorno essendoormai imminente uninsostenibile attacco sudue fronti, la maggiorparte dei Greci fu congedatada Leonida stesso,parte si <strong>di</strong>sperse: rimaseroper combattere sinoalla fine solo gli Spartiatied i Tespiesi .L’aggiramento dellapostazione greca avvenneattraverso un sentiero,chiamato Anopea, chepercorreva la dorsale delmonte Kallidromon. IFig.1) La “porta” centralevista dalla collina <strong>di</strong> Kolonos;autostrada e monumento aLeonida.Fig.2) Il vallo della “porta”centrale: in modellino e da unfotogramma del film “L’eroe <strong>di</strong>Sparta” (<strong>di</strong>etro agli opliti, sullosfondo).4Fig.3) Veduta verso Ovest dalla collina <strong>di</strong> Kolonos,in fondo Terme moderne presso le sorgenti calde.Focesi che erano stati schierati a presi<strong>di</strong>o<strong>di</strong> quel luogo non furono in grado<strong>di</strong> contrastare la manovra persianae Idarne piombò con i suoi alle spalledegli ultimi <strong>di</strong>fensori. Già primache l’aggiramento fosse completatoLeonida era morto e la battaglia nelpomeriggio del terzo giorno volgevaa favore <strong>di</strong> Serse, e non poteva esserealtrimenti essendo rimaste a <strong>di</strong>fendereil passo poche centinaia <strong>di</strong> uoministremati; i superstiti circondati siritirarono nella collina <strong>di</strong> Kolonos(fig.3) che sorgeva non lontano dalvallo e lì furono annientati da un fittolancio <strong>di</strong> frecce.Leonida comunque riuscì a portarea termine la sua missione in modoesemplare: congedando la maggiorparte del contingente evitò una strage<strong>di</strong> maggior portata e l’esercito <strong>di</strong>Serse fu tenuto impegnato quel tantoche bastò affinché l’ultima nave grecapuntando a sud doppiasse la puntaoccidentale dell’Eubea, dopo la battaglianavale (quasi contemporanea aquella delle Termopili e <strong>di</strong> esito incerto)<strong>di</strong> capo Artemisio. Probabilmentel’aggiramento attraverso l’impervioKallidromon era considerato solo unaremota possibilità se tre secoli dopo,nello stesso luogo, le truppe romanefecero con successo la stessa manovracontro Antioco III <strong>di</strong> Siria (Livio,Ab U.c. libri: XX<strong>XV</strong>I,15-19).La morte <strong>di</strong> Leonida e <strong>di</strong> tutti gliSpartiati (Erodoto VII,231: Aristodemo,l’unico spartiata che ritornòsconfitto ma vivo a Sparta, ebbe“biasimo ed infamia”) fu conforme alloro co<strong>di</strong>ce etico, i Tespiesi rimaserovolontariamente; i rimanenti furonoben lieti <strong>di</strong> poter abbandonare le Termopilie correre a <strong>di</strong>fendere le loropoleis.Oggi scendendo nel centro dellaFthiotida per gli ampi tornantidell’arteria che collega Itea (sul gol-


Fig.4) Rielaborazione dafoto satellitare: la “porta”centrale oggi. Nel riquadrocarta geografica dellaregione.Fig.5) Il quadro <strong>di</strong> Davide rievocazione storicadavanti al monumento aLeonida.reo-dolomitici sono stati corrugatidall’orogenesi alpina, conferendo alterritorio l’aspra morfologia che locaratterizza attualmente; le sorgenticalde, tanto rinomate nella zona, sonolegate alla risalita <strong>di</strong> acque termalilungo piani <strong>di</strong> faglia.La figura 4 (risultante da una rielaborazione<strong>di</strong> foto satellitare) illustral’aspetto attuale della strettoiacentrale del passo delle Termopili.Dall’ampia piana alluvionale, guardandoverso sud, si vede l’autostradache, in <strong>di</strong>rezione est, porta ad Atenee che in questo tratto coincide praticamentecon la linea <strong>di</strong> costa antica;l’autostrada passa tra il monumentoa Leonida (n. 1) e la collina dell’ultimaresistenza greca (n. 2); subito aovest vi erano il vallo che sbarrava la“porta” centrale (n. 3) e più oltre lesorgenti calde (doppio cerchietto).Il campo greco si trovava a est delvallo, mentre l’esercito persiano provenivada ovest.Il sentiero Anopea si inerpicava lungole pen<strong>di</strong>ci del Kallidromon nei pressidella valle del fiume Asopus (circa4,5 Km a ovest dal vallo) e, dopoaverne percorso la dorsale, scendevapresso il villaggio <strong>di</strong> Alpeni e la “porta”orientale, circa 3 Km a est dalvallo (nel riquadro, carta geograficadella Fthiotida centrale con il passodelle Termopili in basso a sinistra e,in alto a destra, capo Artemisio).La battaglia <strong>di</strong> Salamina decise lesorti della guerra: Serse sconfitto permare ritornò in Persia, lasciando ilgrosso dell’esercito in Grecia aglior<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Mardonio. L’anno dopo aPlatea si ebbe lo scontro finale trai Persiani ed i Greci, comandati dalreggente spartano Pausania. A Plateagli alleati misero in campo tutte le5fo <strong>di</strong> Corinto) conl’autostrada E75 checosteggia il golfoMaliakos, si intravedeprima il mareparzialmente copertosulla destra daiboscosi rilievi del Kallidromon, poiil paesaggio si apre quando si giungenella piana e ci si innesta nell’autostradasopraddetta; percorrendola in<strong>di</strong>rezione est verso Atene, dopo pocosi attraversa la zona del passo delleTermopili, coltivata a ulivi e cotonee segnata a sinistra dal grande monumentoa Leonida, eretto nel 1955 avalle del centro dei combattimentipresso la strettoia centrale.La viabilità attuale non passa piùcome nel 480 sulle pen<strong>di</strong>ci del Kallidromon,ma nella piana alluvionaletra il monte ed il mare: infatti neisecoli successivi i fiumi Sperchios,Asopus ed i torrenti montani con ise<strong>di</strong>menti trasportati hanno progressivamenteformato una piana làdove era acqua o comunque terrenoinpraticabile. L’idrografia della zonanon è più quella descritta da Erodoto(VII, 198-200), ma quella risultanteda interventi <strong>di</strong> bonifica condotti afine 1800 - inizio 1900: i fiumi ricordatiattualmente sfociano nel golfoattraverso canali artificiali; tuttavia ladescrizione, tenuto conto anche dellamorfologia, permette <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduarela probabile linea <strong>di</strong> costa al tempodella battaglia che per tutto il golfoapprossimativamente non si <strong>di</strong>scosterebbemolto dall’attuale piano autostradale.Questa parte della Grecia continentaleè costituita prevalentemente darocce calcareo-dolomitiche del Triassicosuperiore, del Giurassico e delCretacico superiore che formano imonti Othrys, Kallidromon e Knimis.Le piane alluvionali, tra cui quellaa<strong>di</strong>acente al golfo Maliakos, sonocostituite da depositi pleistocenici<strong>di</strong> molasse e da sabbie alluvionalioloceniche recenti. I depositi calcaforzepossibili e questa volta la vittoriafu completa.Nella lotta ellenica per la libertà (conconseguenze per la storia dell’Occidentetutto - anche se in seguito laGrecia sarà dagli Europei spesso considerata,e trattata, come “l’Orientedell’Occidente”) Salamina e Plateafurono le due battaglie decisive, manell’immaginario collettivo la seppursconfitta delle Termopili rimasel’episo<strong>di</strong>o simbolo <strong>di</strong> questa guerra enon solo.E così l’idealizzazione (fig.5)dell’episo<strong>di</strong>o ha contribuito, neiracconti e nelle immagini relative,a <strong>di</strong>minuire drasticamente il numerodei <strong>di</strong>fensori delle Termopili, adaccentuare l’aspetto <strong>di</strong> tenebroso edorrido passo ed anche a rappresentarei <strong>di</strong>fensori “eroicamente” quasi prividella panoplia.Come esempi tra i molti facilmenteverificabili <strong>di</strong> questa tendenza si puòricordare, oltre alla cronologia deidue monumenti moderni, il famosoquadro neoclassico del David, ilrecente film “300”, epico ma fantasioso,ed il meno avvincente filmdel 1961 “L’eroe <strong>di</strong> Sparta”, ma cherappresenta realisticamente i luoghi;tendenze rilevabili pure all’epoca incui si svolsero i fatti, dal momentoche l’iscrizione posta allora a ricordodello scontro così recita:“Straniero, annunzia agli Spartaniche qui giacciamo,obbedendo alle loro leggi” e, più“democraticamente”,“Qui un giorno contro trecentomiria<strong>di</strong> (una miriade = 10.000)combatterono quattromila Peloponnesiaci”.Clau<strong>di</strong>o Maddaleni


ANTONIO TARAMELLI, archeologo friulanoIl 13 novembre2010 il CircoloSar<strong>di</strong> “Montanaru”<strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne, presiedutoda Domenico Mannoni,ha commemorato,presso la sede sociale,la figura dell’ArcheologoAntonio Taramellia 70 anni dalla morte.Il salone del Circoloera gremito <strong>di</strong> sar<strong>di</strong> efriulani fra cui il prof.Luigi Reitani, Assessorealla Cultura delComune <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne el’Assessore regionaleFranco Jacop.Apre i lavori dellaserata il dott. Stefano Magnani docente dell’Università <strong>di</strong>U<strong>di</strong>ne che delinea la figura del padre <strong>di</strong> Antonio Taramelli,una figura importante anche per le scelte future del figlio,il geologo Torquato Taramelli che nacque a Bergamo nel1845 ed iniziò gli stu<strong>di</strong> universitari a Pavia. Dopo la laureain Scienze naturali conseguita a Milano, <strong>di</strong>venne assistente<strong>di</strong> Antonio Stoppani al Politecnico <strong>di</strong> Milano. Quide<strong>di</strong>cò i suoi stu<strong>di</strong> al territorio del Friuli, esplorandone ilterritorio durante le pause estive. Nel 1866 venne invitatoda Quintino Sella ad intraprendere la stesura del rilievogeologico del Friuli. Le ricognizioni, dal 1867 al 1874,consentirono al Taramelli <strong>di</strong> portare a termine la redazionedella Carta geologica del Friuli. Durante queste ricognizioniebbe modo <strong>di</strong> imbattersi in alcuni reperti archeologiciche rappresentò accuratamente con <strong>di</strong>segni e schizzi neisuoi taccuini. Alcuni <strong>di</strong> questi taccuini sono stati recentementeritrovati ed in via <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Questa serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnisono la testimonianza degli interessi <strong>di</strong> Torquato Taramellinel campo dell’archeologia e delle antichità in genere,interessi che ha senza dubbio trasmesso al figlio. Insegnòa U<strong>di</strong>ne nel Regio Istituto Tecnico, l’o<strong>di</strong>erno Zanon. Nel1874, pubblicò un saggio sugli strumenti litici rinvenutiin Friuli che costituisce il primo approccio scientifico allapreistoria <strong>di</strong> questa regione; nello stesso anno <strong>di</strong>venneanche fondatore e presidente della Società Alpina <strong>Friulana</strong>,sezione locale del Club Alpino Italiano. Divenne poiprofessore presso l’Università <strong>di</strong> Genova, e, nel 1875 passòall’Università <strong>di</strong> Pavia dove assunse la cattedra <strong>di</strong> Geologiae Paleontologia. Fu rettore dell’Università <strong>di</strong> Paviatra il 1888 ed il 1891. Data la sua importanza, il LiceoScientifico Taramelli, situato nel centro storico della città,prende il suo nome. Fondò l’Istituto Geologico Italiano,fu membro fondatore della Società Sismologica Italiana,e, dal 1887, al Ministero dell’Agricoltura, prese parte alconsiglio <strong>di</strong>rettivo dell’Ufficio centrale <strong>di</strong> Meteorologiae Geo<strong>di</strong>namica. Tra i suoi lavori più importanti la CartaGeologica d’Italia ed i suoi stu<strong>di</strong> in sismologia. A partire6dalla fine dell’800 finoalla morte, <strong>di</strong>ede uncontributo rilevante aprogetti <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> opere<strong>di</strong> ingegneria civilee <strong>di</strong> sviluppo dell’agricoltura.Al termine della relazioneprende la parolail dott. Gian AndreaCescutti, Presidentedella Società <strong>Friulana</strong><strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong> cheringrazia gli amicisar<strong>di</strong> per l’opportunitàoffertagli <strong>di</strong> parlaredell’archeologo Taramelli,personaggioimportantissimo nelcampo dell’archeologia italiana ma quasi sconosciutonella regione che gli ha dato i natali. Il dott. Cescutti proponeagli esponenti della politica locale <strong>di</strong> farsi promotori<strong>di</strong> iniziative che tendano a mettere in luce il personaggioanche in Friuli de<strong>di</strong>candogli una targa sulla facciata dellacasa natale.Subito dopo il dott. Maurizio Buora docente dell’Università<strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne, ha ulteriormente <strong>di</strong>ssertato sulla figura delgeologo Taramelli molto conosciuto in ambito accademicoper le sue indagini geologiche e per l’amicizia con il geologofriulano Michele Gortani.L’archeologo sardo dott. Nicola Dessì ha rievocato lafigura del Taramelli delineandone la vita e le opere. Il 14novembre <strong>di</strong> 142 anni fa nacque nella città <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne, unafigura destinata a cambiare in maniera incisiva la ricercaarcheologica della Sardegna. Questo personaggio rispondeal nome <strong>di</strong> Antonio Taramelli e giunse nella nostra isolanel 1903, dopo <strong>di</strong>versi anni <strong>di</strong> scavo presso importanticampagne archeologiche svoltesi nelle Cicla<strong>di</strong> e a Creta.Fu infatti lo stesso <strong>di</strong>rettore del Museo Archeologico <strong>di</strong>Cagliari, Giovanni Patroni, a chiedere <strong>di</strong> essere sostituitonella carica da Antonio Taramelli, che oltre ad esserestato allievo, nella Scuola <strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong> <strong>di</strong> Roma, <strong>di</strong>stu<strong>di</strong>osi del calibro <strong>di</strong> Luigi Pigorini e Federico Halberr,fu dal 1895 e quin<strong>di</strong> alla giovane età <strong>di</strong> 27 anni, nominatoispettore nell’Ufficio dei Monumenti del Piemonte e dellaLiguria.Al suo arrivo in Sardegna il Taramelli trovò una terraimmersa in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> profonda arretratezza nelsettore della ricerca archeologica dovuta alla quasi totaleinesperienza del regno Sabaudo nella gestione e nella tuteladei beni archeologici e culturali in genere.I fon<strong>di</strong> destinati a questo settore erano ridotti all’osso senon inesistenti ed a tutto questo si aggiunga la costantepresenza nei siti archeologici degli scavatori clandestinii quali, spesso assoldati da lord inglesi e francesi o daglistessi appartenenti alla casa Savoia che utilizzarono lenostre emergenze archeologiche come luoghi ove poterU<strong>di</strong>ne, convegno su antonio Taramelli. Da sin. il pres. Domenico Mannoni, il prof. StefanoMagnani, il dr Gian Andrea Cescutti, il dr Maurizio Buora, il dr. Nicola Dessì


Iniziava con unsospiro l’avventuradellavita eterna…Trascorso il tempodei giochi, trascorsoil tempo degliamori, trascorso iltempo dei sacrifici,trascorso il tempodelle libagioni edella gloria, giungeva,anche nellaRomanità, la fine<strong>di</strong> tutto.Solamente l’esaltazione della vita,godereccia e trasgressiva, poteva esorcizzare,attraverso la glorificazionedella morte, la prosecuzione della<strong>di</strong>mensione terrena alla <strong>di</strong>mensioneonirica, ben lungi dal razionale materialismolatino, che esaltava “la potenzavitale” in ogni sua sfaccettatura.Onorare il defunto nel suo nuovo status,anche con doni consolatori qualimonili, utensili e cibo, significavapacificare la sua anima, che avrebbeaccettato serenamente la sua nuovaentità, superando l’inesorabile senso<strong>di</strong> annientamento.Il “trapasso” tra le mura della domus,lontano dai cru<strong>di</strong> campi <strong>di</strong> battaglia,consentiva una ritualità civile atta acelebrare onorevolmente il congiunto,il quale scontava, sconta e sconteràl’appartenenza ai ceti più abbienti,con cerimonie fastose e lussureggiantienfatizzate da sacrifici animali e giochigla<strong>di</strong>atori, o ai ceti più marginali,<strong>di</strong> schiavi, men<strong>di</strong>canti, galeotti e bambini,destinati alle fosse comuni conriti notturni, miseran<strong>di</strong> e sbrigativi.Toccava al pater familias cogliere,con un bacio, l’ultimo alito del morentee chiudere il suo sguardo sul mondoterreno dove, affidato ai libitinarii,per l’ultima volta veniva lavato, profumatocon unguenti, vestito con latoga da parata, e rassicurato <strong>di</strong> entrarenell’Ade grazie all’inserimento nellaDIES morsa cura <strong>di</strong> Anna DegenhardtRITI DI PASSAGGIO nell’antica Roma - MORTE… Così, quando non esisteremo, quando sarà avvenuta la separazione<strong>di</strong> quei corpi e anima da cui siamo, in stretta unione composti,chiaramente proprio nulla a noi, che allora non esisteremo più,potrà del tutto accadere, e toccare i sensi…(Titus Lucretius Carus - I sec. a.C..)sua bocca dell’”obolus Charontis”.Le spoglie, poste sul lectus funebris,venivano esposte nell’atrio <strong>di</strong> casa,ornata per l’occasione con rami <strong>di</strong>cipresso e <strong>di</strong> tasso, in attesa delle visiteparentali e amicali, sino al giornodella sepoltura, che giungeva con ilcorteo dei parenti evocanti, con relativemaschere funerarie, gli Avi dellaGens.Le nenie lamentose delle Preficheaccompagnavano suonatori, mimi edanzatori che capeggiavano il solennecorteo funebre, <strong>di</strong>rettamente proporzionaleall’aristocrazia del “Prescelto”,<strong>di</strong>retto al Foro, dove un figlio, oil più stretto consanguineo, pronunciavala laudatio funebris, massimaesaltazione delle sue imprese terrene;che saranno puntualmente commemoratenei riti <strong>di</strong> febbraio e <strong>di</strong>maggio.Trasportato dagli Avi “evocati”, iltrapassato giungeva al luogo della“trasmutazione” da essere umanoa cumulo <strong>di</strong> cenere, su una pirafuneraria in una fossa cimiteriale.- L’incinerazione fu praticatadai Romani dal IV sec. a.C. al Isec. d.C.; la “primitiva” inumazionefu ripristinata dall’ImperatoreAdriano, amante e rispettoso deicorpi quali contenitori dell’anima,e si consolidò nel III sec. - Lasepoltura avveniva nei loculus dei“colombari”, lungo le vie consola-ri, lontano dai centriabitati ma sottoil costante sguardodei vivi, che nonpotevano scordarei Campi Elisi.A nove giorni dallasepoltura lafamiglia pre<strong>di</strong>sponevala coenanoven<strong>di</strong>alis inonore del defunto,le cui ceneri venivano“benedette”con vino o latte, ed in segno <strong>di</strong> purificazionedella casa dalla contaminazionefunesta, riprendendo lo scorreredella vita.Rappresentati da monumentali sepolcriabbelliti da nobile statuaria o da stelefunerarie ornate da ritratti calcarei ede<strong>di</strong>che poetiche o da semplici cumuli<strong>di</strong> terra, gli “Spirati” rivelavano aivivi la loro vissuta con<strong>di</strong>zione sociale.Deposti, con i simboli della loro esistenza,in pregiati sarcofagi marmoreiimpreziositi da sublimi altorilievio in urne cinerarie decorate da pregevolibassorilievi o in preziose urne inalabastro o iridescente vetro o sempliciurnette in terracotta, rivelavano <strong>di</strong>essere, oramai, tutti uguali; così iniziaval’avventura della vita eterna…svolgere le loro cacce al tesoro.In Sardegna all’epoca era presente un solo museo archeologico,sito a Cagliari nel Palazzo Vivanet, i cui locali,all’arrivo del Taramelli, si presentavano ormai inadeguatial contenimento <strong>di</strong> nuove collezioni e materiali provenientida scavi.I pochi stu<strong>di</strong>osi che avevano operato in Sardegna fino adallora in ambito archeologico, risentivano fortemente <strong>di</strong>un’impostazione archeologica assai becera, con<strong>di</strong>zionatafortemente dalla cieca fede nei confronti delle fonti <strong>di</strong>epoca classica, dalla Bibbia e da scavi il cui fine principaleera quello <strong>di</strong> liberare dalla terra i monumenti e portarealla luce solo i materiali integri da esporre nelle vetrinedei musei in pieno spirito antiquario.Il nostro archeologo apporta una ventata <strong>di</strong> profondorinnovamento nei meto<strong>di</strong> finora adottati dall’archeologiasarda e italiana.Anzitutto dotò la città <strong>di</strong> Cagliari nel 1904 <strong>di</strong> un nuovoe più confacente e<strong>di</strong>ficio destinato ad ospitare le sale delnuovo Regio Museo Archeologico, nel quartiere <strong>di</strong> Castelloove rimase fino al 1993. Grazie a lui inoltre venne inauguratopochi anni dopo il Museo Archeologico <strong>di</strong> Sassari.Diede inoltre inizio a gran<strong>di</strong>ose campagne <strong>di</strong> scavo destinatea portare alla luce i monumenti più significativi dellapreistoria e della protostoria sarda come le domus de janase i nuraghi. Grazie alle sue ricerche nella necropoli <strong>di</strong>continua a pag. 87


ANTONIO TARAMELLI, archeologo friulano legato alla Sardegnasegue da pag. 7Anghelu Ruju ad Alghero e <strong>di</strong> Sant’Andrea Priu a Bonorva,nei nuraghi Losa <strong>di</strong> Abbasanta, Lugherras <strong>di</strong> Paulilatino,Santu Antine <strong>di</strong> Torralba, Seruci <strong>di</strong> Gonnesa, nei pozzisacri <strong>di</strong> Santa Vittoria a Serri e Sant’Anastasia <strong>di</strong> Sardarae tanti altri ancora, ai quali seguirono oltre 230 pubblicazionie l’organizzazione per sua volontà del primo grandeconvegno <strong>di</strong> paletnologia in Sardegna nel 1926, <strong>di</strong>mostròal mondo scientifico internazionale l’importanza dellapreistoria e della protostoria sarda nel Me<strong>di</strong>terraneo e <strong>di</strong>attirare l’attenzione e l’interesse <strong>di</strong> molti stu<strong>di</strong>osi alla storiadella nostra terra.Con i suoi moderni meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> scavo che vedevano per laprima volta l’utilizzo del metodo stratigrafico anche incampo archeologico e non solo geologico, che permetteva<strong>di</strong> datare con maggiore precisione i monumenti grazie aimateriali che la terra conteneva, restituì all’archeologiagrande <strong>di</strong>gnità ed autonomia rispetto alle fonti storiche asuo avviso non sempre atten<strong>di</strong>bili e utili ai fini della ricerca.Egli operò in pieno periodo fascista che per nostra gravesfortuna nel 1938 con l’adesione dell’Italia alle LeggiRazziali allontanò dall’Università <strong>di</strong> Cagliari il grandearcheologo Doro Levi e tanti altri vali<strong>di</strong>ssimi stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong>origini ebraiche.Il suo rapporto col regime fascista fu non sempre chiaro.Non contrastò mai in maniera evidente il potere centrale,anzi sembrò strizzare l’occhio a quel nuovo movimentoche prese in mano le re<strong>di</strong>ni dell’Italia, tuttavia senza farea tempo a conoscerne il tragico epilogo legato all’ingressonel conflitto mon<strong>di</strong>ale.Tuttavia il Taramelli non sottomise mai la sua ricerca allelogiche <strong>di</strong> un impero nascente che finanziava quasi esclusivamentescavi archeologici nelle gran<strong>di</strong> città <strong>di</strong> epocaromana in Italia e nelle nuove colonie così da <strong>di</strong>mostrarela presenza della stirpe italica fin da tempi remoti.Egli anzi concentrò le proprie ricerche e portò in auge ifasti <strong>di</strong> una civiltà, quella nuragica, che non solo non rientravatra gli interessi del fascismo ma <strong>di</strong>venne anzi l’emblemadel riscatto sar<strong>di</strong>sta <strong>di</strong> stampo antifascista.Il grande archeologo visse ed operò in Sardegna per oltre30 anni e con essa ed i suoi abitanti instaurò un profondolegame ed una reciproca stima che lo portò nel 1924 arifiutare il ruolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore del prestigiosissimo MuseoLuigi Pigorini <strong>di</strong> Roma per restare nella sua nuova amatapatria sarda. Anche dopo il suo rientro a Roma nel 1935per raggiunti limiti d’età, non <strong>di</strong>menticò mai la terra che loospitò e che lui rese grande nel panorama scientifico, noninterrompendo mai la sua passione nei confronti dell’affascinantemondo nuragico fino alla sua morte sopraggiuntal’8 maggio del 1939.Oggi all’ingresso del Museo Archeologico Nazionale <strong>di</strong>Cagliari viene ricordata questa importante figura con unbusto in marmo accanto al quale troviamo quello <strong>di</strong> AlbertoFerrero Della Marmora e <strong>di</strong> Giovanni Spano. I tre vengonoinfatti riconosciuti dal mondo accademico isolanocome i padri fondatori dell’archeologia sarda”.Maria Concetta Marceddu- Sezione isontina -Poster de<strong>di</strong>cato a degli stu<strong>di</strong>osiche si sono occupati <strong>di</strong> San Canzian d’IsonzoIl 9 ottobre all’Abbazia <strong>di</strong> Rosazzo (Ud) si è svolto un convegnointernazionale dal titolo Storie <strong>di</strong> archeologia e archeologinelle regioni dell’Alpe Adria tra la metà dell’Ottocentoe quella del Novecento organizzato dai dott. Paolo Casari eStefano Magnani del Dipartimento <strong>di</strong> Storia e Tutela dei BeniCulturali dell’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne.Lo scopo dell’incontro era quello <strong>di</strong> presentare delle ricerche suarcheologi poco noti e su documenti ine<strong>di</strong>ti; è stata anche l’occasioneper giovani stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> esporre dei poster riguardanti per lopiù ricercatori locali. Tra questi spiccano tre figure <strong>di</strong> sacerdotiche, ognuno a proprio modo, svolsero un ruolo importante nellastoria <strong>di</strong> San Canzian d’Isonzo: si tratta <strong>di</strong> Monsignor GiovanniBattista Falzari (fig.), don Pietro Zorzin e padre Timotheos chevissero tra la fine dell’Ottocento e gli anni Settanta del Novecentoe che sono stati oggetto, a vario titolo, della tesi <strong>di</strong> Specializzazionein <strong>Archeologia</strong> della scrivente.Il primo, marianese <strong>di</strong> nascita, dal 1937al 1939 fu Ispettore Onorario dei Monumenti,degli Scavi ed Oggetti <strong>di</strong> Antichitàe d’Arte per l’ex mandamento <strong>di</strong>Monfalcone; in seguito, fu nominatoIspettore Onorario per i Monumentidall’Intendenza delle Belle Arti <strong>di</strong> Triestee il 9 luglio 1951 venne proclamatoIspettore Onorario dei Monumenti edegli Oggetti d’antichità per la provincia <strong>di</strong> Gorizia.Nel corso della sua vita si occupò <strong>di</strong>molteplici argomenti relativi alla storiadella regione e, ad un certo punto,redasse anche un dattiloscritto, rimastoincompleto, su San Canzian d’Isonzodal titolo Le Aquae Gradate. Si tratta<strong>di</strong> cinquantadue pagine, <strong>di</strong>vise percapitoli, <strong>di</strong> cui le prime quin<strong>di</strong>ci sonode<strong>di</strong>cate all’archeologia; sono, per lopiù, un elenco cronologico dei repertie delle strutture che, a partire dalla finedel Settecento, vennero in<strong>di</strong>viduati nelterritorio sancanzianese. Questo testoStele <strong>di</strong> Lucio Canzio Veromurata nella chiesa parrocchiale.si basa sulla consultazione <strong>di</strong> fonti antiche e soprattutto sullenotizie che don Pietro Zorzin, parroco <strong>di</strong> San Canzian d’Isonzodal 1897 al 1923, fornì a Monsignor Falzari in alcune lettereinviate dall’11 marzo al 24 agosto 1937.Di padre Timotheos si è già parlato in occasione <strong>di</strong> un articolo,apparso su un bollettino precedente, de<strong>di</strong>cato alla ripresa degliscavi nella chiesetta <strong>di</strong> San Proto. Si tratta <strong>di</strong> un personaggiointeressante <strong>di</strong> cui alcuni in paese si ricordano ancora e che, nelmaggio 1950, visitò l’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto insieme a don Falzari per,poi, iniziare dei saggi che portarono alla luce alcuni mosaiciancora visibili.Come si può vedere da queste brevi note, i tre religiosi hannodato notevole impulso alla scoperta della storia <strong>di</strong> San Canziand’Isonzo e attraverso il convegno sono stati presentati al pubblicoanche se non sono stati degli archeologi professionisti, madelle persone sensibili verso le antichità e la storia.Sicuramente, in futuro, si sentirà parlare ancora <strong>di</strong> loro perché,attraverso le loro parole, si può ricostruire le vicende passate <strong>di</strong>una realtà ancora da scoprire.A margine <strong>di</strong> questa breve relazione, si vogliono aggiungerealcune parole <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne, a titolo personale ed a nome <strong>di</strong> tuttoil <strong>di</strong>rettivo della Società <strong>Friulana</strong> <strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong>, per don MauroBelletti che in questi anni, è stato un punto <strong>di</strong> riferimento per lavalorizzazione <strong>di</strong> San Canzian d’Isonzo e che, con il suo entusiasmoe la sua passione, ha favorito le ricerche dei vari stu<strong>di</strong>osiche sono giunti alla sua porta.Alessandra Gargiulo8


Fino a 300anni fala nostrazona costieraera lagunare. Vierano aree <strong>di</strong> paludeche si susseguivanofino alTimavo. Vi era,inoltre, la presenza<strong>di</strong> gran<strong>di</strong>canali navigabiliche penetravanonel territorio.La bisiacaria eralo spartiacque trale aree lagunarie quelle alte che scendevanofino alla Dalmazia.I “navicularii” erano solitinavigare lungo la costa frastagliatadella Dalmazia edell’Istria mentre i “nautae”navigavano attraverso il sistema<strong>di</strong> canali lagunari. Questinavigatori, proprio nel nostroterritorio, dovevano cambiareimbarcazioni per passare dauna tipologia <strong>di</strong> navigazioneall’altra. In questa zona vi eral’incontro tra i prodotti dellaterra (pietra e vinum pucinum)ed i prodotti del mare (branzinodel Timavo).Grado ed Aquileia eranostrettamente connesse grazieall’organizzazione sistematicae simbiotica dei loro porti.Nella laguna <strong>di</strong> Grado sonostati in<strong>di</strong>viduati molti attracchisia per gran<strong>di</strong> navi, chesolcavano il Me<strong>di</strong>terraneo, siaper piccole imbarcazioni.Vi erano nel porto vari punti <strong>di</strong>trasbordo e <strong>di</strong> trasferimento daun’imbarcazione all’altra deiprodotti che avevano un’altradestinazione geografica.Nel porto erano presenti siacantieri che magazzini per lostoccaggio dei prodotti.Sono state eseguite delle indaginisubacquee a partire daglianni ‘80 che hanno portatoanche alla scoperta della JuliaFelix.Nell’entroterra vi erano impiantiproduttivi, residenzeed aree sepolcrali. Coloro iquali operavano in tali settoriproduttivi, non vivevano adAquileia, ma a Grado dove vierano anche le ville dei proprietaridei magazzini.Vi erano tre grossi canali navigabiliche conducevano adAquileia e tre <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioniminori. Questo garantiva unIn viaggio da Aquileia al TimavoDa una conferenza tenuta il 17 novembre 2010 dalla dott.ssa Desirée Dreos.accesso facilitato al mercato<strong>di</strong> Aquileia contribuendo,così, allo sviluppo economicodel territorio circostante.L’hinterland <strong>di</strong> Aquileia erafittamente caratterizzato damolteplici attività produttiveed era collegato alla capitaledal sistema dei canali in partenavigabili. I canali arrivavanoanche ad Aquas Gradatas(San Canzian d’Isonzo).Qui, molto probabilmente, eracollocata una fabbrica per lalavorazione della porpora. Testimonianza<strong>di</strong> questa presenzaè, ancora oggi, l’epigrafefuneraria del purpurario muratanella parrocchiale.Tale prodotto era destinato adun mercato d’elite e quin<strong>di</strong>possiamo affermare che SanCanzian a quel tempo era inseritain un contesto produttivo<strong>di</strong> livello internazionale.Anche Staranzano era solcatadai canali fino a Riva delCop (riva=imbarco e cop =laterizio) il cui toponimo,ancora esistente, identificala presenza <strong>di</strong> magazzini perlo stoccaggio dei laterizi cheprovenivano dalle fabbricheaquileiesi. Nei pressi dellaMarcelliana, in località Panzano,vi era un’altra fabbrica<strong>di</strong> laterizi.Anche la toponomastica èimportante al fine <strong>di</strong> capire lecaratteristiche che un determinatoluogo poteva avere nelpassato. Il toponimo <strong>di</strong> “Bistrignia”,ad esempio, derivada “Pistrinum” ovvero “luogodove si macina il grano”, legato,probabilmente, alla presenza<strong>di</strong> un mulino.Il toponimo “Panzano”, invece,trae origine da “Insula Paciana”dove venivano prodottii laterizi che venivano poi9commercializzati attraverso lavia Gemina.“Marcelliana”, invece, è untoponimo che vede origine nelnome <strong>di</strong> una particolare imbarcazione;infatti, secondo lacredenza popolare, la Madonnadella Palude era apparsa suuna barca.In queste aree vi era sia la presenza<strong>di</strong> acqua dolce che salata.È probabile che le personevivessero in casoni <strong>di</strong> mattonie legno e le coperture fosserorealizzate in canne palustriche avevano una funzione impermeabilizzante.L’area del Lacus Timavi tra Isecolo a.C e II sec. d.C. si trovaad avere un ruolo economicodeterminante in questocontesto. Qui, infatti, vi fu unforte fenomeno <strong>di</strong> inurbamento.Le ville che erano presentinell’area erano tutte villae rusticae.La villa era un microcosmo:produceva sia per sé che peril mercato ed aveva, pertanto,una parte destinata alla produzioneed una alla abitazione.Erano delle ville davvero imponenti:vi erano terme, fontanecon giochi d’acqua, piccoliteatri, un gran numero <strong>di</strong>camere, giar<strong>di</strong>ni, etc. Una <strong>di</strong>queste ville è quella del Randaccioche, in seguito a rinvenimentifortuiti, è stata indagatadal 1977 al 1994. È une<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> notevole metratura<strong>di</strong>sposto su terrazze. La solaparte residenziale è compostada 40 vani sud<strong>di</strong>visi su tre livelliper un totale <strong>di</strong> 1300mq.La villa era una mansio e questogiustifica la numerosità deilocali <strong>di</strong> cui era composta.Poco <strong>di</strong>stante si trovano i restidella casa del Locavaz. Sonostati indagati tre vani, ma moltialtri giaccionoancora nel sottosuoloin attesa <strong>di</strong>essere stu<strong>di</strong>ati.L’e<strong>di</strong>ficio era aduso abitativo evi era anche lapresenza <strong>di</strong> unafornace per laproduzione <strong>di</strong>ceramica.La villa <strong>di</strong> viaColombo è stataoggetto <strong>di</strong> scavinegli anni ’90.Essa è caratterizzatada una parsdominica e da una pars massaricia.Sono stati trovati resti<strong>di</strong> un bacino nel quale venivaconvogliata sia acqua dolceche acqua salata per la produzione<strong>di</strong> murex.Nella stessa area si trova lavilla <strong>di</strong> via delle Mandrie.Essa presenta una pianta ad“U” con un corpo centrale terrazzato.All’interno dell’e<strong>di</strong>ficiovi era la presenza <strong>di</strong> unapiccola area termale. Durantegli scavi sono stati rinvenutipesi da telaio. Si crede pertantoche la villa si fosse specializzatanella produzionedella lana che poi veniva tessutain situ.Poco <strong>di</strong>stante la villa dellaPunta. Lì le indagini archeologichehanno portato alla luceuna trentina <strong>di</strong> vani. Nell’alaovest è stata rinvenuta unapressa <strong>di</strong> olive. Vi era anchequi un’area termale e lì vicinoè stata ritrovata la barcache oggi ve<strong>di</strong>amo ad Aquileiapoiché gli abitanti del luogocommercializzavano i loroprodotti via mare.Il nostro percorso si concludenell’area delle Insulae Clarae.Lì troviamo i segni delleterme <strong>di</strong> Monfalcone Questeerano talmente importanti daessere presenti persino sullatabula Peuntingeriana dovevengono rappresentate <strong>di</strong><strong>di</strong>mensioni pari ad Aquileiaa sottolineare la loro importanza.Gli scavi non sono stati esaustivi,ma da queste indagini siè potuto capire che lo stabilimentoera davvero imponente:vi si trovavano una piscina,giar<strong>di</strong>ni, una palestra, etc.Sintesi a cura <strong>di</strong>Roberta Battiston


Oro, incenso e mirraAntichi simboli <strong>di</strong> culto, prestigio e poterea cura <strong>di</strong> Gianni CuttiniMe<strong>di</strong>o Oriente, lungo la via dell incensoSocietà <strong>Friulana</strong><strong>di</strong> archeologiaSede legale: c/o Civici Musei <strong>di</strong> U<strong>di</strong>neSede Operativa: Torre <strong>di</strong> Porta Villalta,via Micesio, 2 - 33100 U<strong>di</strong>neTel/fax 0432 26560URL: http://www.archeofriuli.itE-mail:Direzione: <strong>di</strong>rezione@archeofriuli.it;Segreteria: sfaud@archeofriuli.it;Comunicazione: archeofriuli@yahoo.itLa sede operativa è aperta nei seguenti giornie con i seguenti orari:Martedì, Giovedì e Venerdì - h.17.00 - 19.00Abbiamo già parlato, in un precedentearticolo, dell’importanzarivestita nell’antichità dalle gran<strong>di</strong>vie carovaniere lungo le quali transitavagran parte dei commerci <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> pregio<strong>di</strong>retti dal Lontano e dal Vicino Orienteverso ovest, in special modo verso Roma.Abbiamo citato, in particolare, i traffici<strong>di</strong> essenze e sostanze odorose originarie<strong>di</strong> alcune aree della penisola arabica.Non a caso il racconto biblico cita l’oro,l’incenso e la mirra come doni recati daiMagi al nuovo Re il cui arrivo era stato loropreannunciato dalla stella. Non c’erano,all’epoca, sostanze più preziose edambite da poter offrire a chi rivestisse ilmanto della regalità. Sulla prima sembrasuperfluo soffermarsi, dato il suo valoreintrinseco rimasto inalterato, anzi rafforzatosiin epoca moderna anche in relazionealle scoperte scientifiche ed agliimpieghi industriali aggiuntisi a quellitra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> mezzo <strong>di</strong> scambio, simbolo<strong>di</strong> opulenza e garanzia <strong>di</strong> solvibilità <strong>di</strong>chi era debitore, nonchè impareggiabilebene rifugio in momenti <strong>di</strong> instabilità politicaed economica. Anche della mirra,una resina gommosa ed aromatica estrattada piante arbustive che crescono in alcunezone desertiche della penisola arabicae del Corno d’Africa, con numeroseproprietà positive, sappiamo che venneapprezzata da tempo immemorabile. Perquanto riguarda l’incenso, cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>dover <strong>di</strong>re ancora due parole. Di granlunga più <strong>di</strong>ffuso della precedente anchenell’antichità, esso trova tuttora largo impiegocon finalità rituali da parte <strong>di</strong> <strong>di</strong>verseconfessioni religiose, in particolareda quelle cristiane.Al giorno d’oggi la produzione dell’incensoavviene per lo più industrialmente,sotto forma <strong>di</strong> bastoncini con varieprofumazioni, provenienti soprattutto daIn<strong>di</strong>a e Cina, normalmente reperibili neinormali supermercati. Non è cessata deltutto, però, la preparazione tra<strong>di</strong>zionale,<strong>di</strong> tipo artigianale, anche perchè si tratta<strong>di</strong> merce ancora appetita in certi particolarimercati.Nei suq arabi, infatti, l’incenso vienerichiesto soprattutto per le sue asseriteproprietà terapeutiche, in particolarecome espettorante, antinfiammatorio eantidepressivo. La sostanza in questioneviene ricavata da numerose piante, la piùimportante delle quali è la Boswellia sacra.Il fusto viene inciso perio<strong>di</strong>camenteed il lattice che se ne ricava, rapprendendosi,forma dei granuli. Da questa primaraccolta, però, si ottiene un incenso <strong>di</strong>bassa qualità, destinato ad una clientela<strong>di</strong> poche pretese, come ad esempio quelladei numerosi turisti occidentali cheoggi si recano ad Abu Dhabi o a Dubaiin quanto mete fortemente reclamizzatenelle agenzie. Bisogna attendere almenoaltre quattro settimane dopo la prima incisionedell’arbusto per avere un incenso<strong>di</strong> prima scelta, quello normalmente utilizzatoa fini liturgici o me<strong>di</strong>camentosi.La materia prima viene successivamenteselezionata e nuovamente trattata informa manuale con grande perizia dagliesperti del settore, che poi provvedonoa confezionarlo e a spe<strong>di</strong>rlo al mercato.Il cliente, infine, se intende utilizzarel’incenso per ricavarne effluvi odorosinell’ambiente, deve porre i granuli in unapposito braciere, innescandone solitamentela combustione con della comunecarbonella.10Sezione Carnica (Tolmezzo)presso Casa Gortani, via Del Din, 633028 Tolmezzo (Ud)Tel/fax 043347934E-mail: mgvannacci@libero.itsfacarnica@archeofriuli.itSegreteria: lunedì ore 18,00-19,00Sezione Me<strong>di</strong>o Friuli (Codroipo)presso Civico Museo Archeologico,Piazzetta don Vito Zoratti n. 533033 Codroipo (Ud)Tel. 0432820174E-mail: museoarch@qnet.it - afaber@libero.itSegreteria: domenica ore 9,30 - 12.30Sezione Isontina(San Canzian d’Isonzo)presso Pro Loco <strong>di</strong> San Canzian d’IsonzoCentro Civico, via Trieste, 1234075 San Canzian d’Isonzo (Go)E-mail: sfaisontina@archeofriuli.itedorosin@hotmail.comSezione Destra Tagliamento(San Vito al Tagliamento)presso Biblioteca Civica <strong>di</strong> San Vitoal Tagliamento, via Pomponio Amalteo, 4133078 San Vito al Tagliamento (Pn)Tel. 043480405, fax 0434877589Segreteria: dal lunedì al venerdì ore 15-19;martedì ore 10-12.E-mail:biblio@com-san-vito-al-tagliamento.regione.fvg.itsfadestratagliamento@archeofriuli.it


Il primo trattato <strong>di</strong> pace al Palazzo <strong>di</strong> VetroNel 1274 a. C., dopo la battaglia combattutadagli egiziani contro gli ittitiper la conquista della città <strong>di</strong> Qadesh(attualmente in Siria), il faraone RamesseII rientrò in Egitto come untrionfatore. Non l’aveva vinta, ma lafece raccontare come un suo grandesuccesso militare.Dovranno trascorrere altri se<strong>di</strong>ci anni<strong>di</strong> complesse vicende e intrighi,che coinvolsero sia la corte ittita chel’Egitto, per arrivare ad un trattato <strong>di</strong>pace.Ramesse dovette rinunciare a dominarel’Amurru (parte sud orientaledella Siria), ma agli egiziani fu concesso<strong>di</strong> circolare liberamente lungole vie commerciali.Il trattato <strong>di</strong> pace è il primo che lastoria ricor<strong>di</strong>: è redatto in babilonese,lingua <strong>di</strong>plomatica dell’epoca. A giu<strong>di</strong>caredalle espressioni usate pare siastato opera dei giuristi ittiti, <strong>di</strong> granlunga più esperti in “<strong>di</strong>ritto internazionale”degli egiziani, che, peraltro,collaborarono alla stesura con treloro esperti. Il trattato, inciso su unagrande tavola d’argento istoriata conimmagini <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità e riportante ilsigillo del re Hattulisi, venne portatoin Egitto ove Ramesse, che già possedevauna copia in lingua egiziana, viapportò alcune mo<strong>di</strong>fiche. La versionedefinitiva, sempre scritta in babilonese,fu incisa su tavolette <strong>di</strong> argillae portata al sovrano ittita che la fecedeporre ai pie<strong>di</strong> del <strong>di</strong>o Teshub.Il faraone fece depositare la tavolaittita ai pie<strong>di</strong> del <strong>di</strong>o Horakhty a Eliopolie or<strong>di</strong>nò anche che il testo deltrattato fosse inciso sulle pareti delRamesseo e del tempio <strong>di</strong> Karnak aTebe dove venne decifrato, per la primavolta da Champollion, che scoprìcosì l’esistenza degli ittiti, popolo finoallora sconosciuto.Qui <strong>di</strong> seguito si riporta, in estremasintesi, la versione egiziana dei 19paragrafi che costituiscono il trattato.Essa, non identica nella lettera,concorda con il contenuto <strong>di</strong> quellaittita.Quote sociali <strong>2011</strong>TESTO DEL TRATTATO.1 - Preambolo: definisce le parti contraenticon l’augurio che il trattato faccianascere pace e fratellanza tra i due popoli.2 - Revisione delle antiche relazioni: ricordale precedenti inimicizie ma confermala vali<strong>di</strong>tà del trattato come patto <strong>di</strong>amicizia eterna.3 - Spiegazione del nuovo trattato e confermala pace fra i due popoli anche perconto dei futuri <strong>di</strong>scendenti.4 - Patto <strong>di</strong> non aggressione: contiene lapromessa <strong>di</strong> non invasione reciproca.5 - Rinnovo formale dell’antico trattato:fa rinvio a un precedente trattato <strong>di</strong> paceche verrà rispettato con il presente patto.6 - Mutua <strong>di</strong>fesa: contiene la promessa <strong>di</strong>aiuto reciproco in caso <strong>di</strong> guerra.7 - Attacco congiunto contro i ribelli:promessa <strong>di</strong> aiuto a Ramesse in caso <strong>di</strong>rivolte interne.8 - Accordo reciproco come da §6.9 - Accordo reciproco come da §7.10 - La successione al trono ittita (deltesto egiziano rimangono frammenti nonleggibili): il testo ittita <strong>di</strong>spone la legittimasuccessione al figlio <strong>di</strong> Hattusili ela promessa <strong>di</strong> aiuto da parte <strong>di</strong> Ramessenel caso <strong>di</strong> congiure contro l’erede altrono.11 - Estra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> importanti fuggitivi:prevede la consegna <strong>di</strong> esuli egiziani daparte del sovrano ittita.12 - Estra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fuggitivi poco importanti:idem come nel paragrafo precedente13 - Accordo reciproco come da 11: perquanto si riferisce agli esuli ittiti.14 - Accordo reciproco come da 12.15 - Gli dei <strong>di</strong> Hatti e dell’Egitto vengonoinvocati a testimoni del trattato.16 - Male<strong>di</strong>zione o bene<strong>di</strong>zione per chiviola o rispetta il trattato.17 - Amnistia per i fuggitivi: gli esulirestituiti a Ramesse non devono essereuccisi, né puniti in altro modo, <strong>di</strong> nessundelitto devono essere incolpati.18 - Clausola reciproca come da §17 perquanto riguarda Hattusili.19 - Descrizione della piastra d’argentocontenente il trattato.Sono avviate le iscrizioni per l’anno sociale <strong>2011</strong>;le quote sono rimaste invariate:- socio or<strong>di</strong>nario: Euro 25,- socio familiare: Euro 10,- socio studente (fino al compimento del 25° anno <strong>di</strong> età): Euro 16.Le iscrizioni si possono effettuare:• in Segreteria (martedì, giovedì e venerdì - ore 17-19),• me<strong>di</strong>ante versamento su c/c/postale n. 15176332 intestato alla Società <strong>Friulana</strong><strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong>,• me<strong>di</strong>ante bonifico bancario su c/c presso Banca Prossima(IBAN n. IT33J0335901600100000004876)Regalate ad un amico, ad un parente, ad un giovane l’iscrizione alla Società<strong>Friulana</strong> <strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong> – onlusSigillo <strong>di</strong> Hattusili e della regina Puduchipa.Le scritte sono in geroglificiittitti al centro ed in caratteri cuneiforminella scrittura circolare. Il sole ele ali “mio sole” sono il segno per lamaestà; l’arco sopra il triangolo a sinistrasignifica “grande”, il triangolo“sovrano” e le tre linee che attraversanouna specie <strong>di</strong> pugnale sono il nome<strong>di</strong> Hattusili. I quattro segni a fiancosono le sillabe del nome Puduchipal’arco e il sottostante profilo significano“grande regina”. Nella scrittacircolare, cuneiforme, si legge: “Sigillo<strong>di</strong> Hattusili, gran re”.Nonostante lo stile datato <strong>di</strong> questotrattato la sua, per così <strong>di</strong>re modernità,ha attirato l’attenzione dei giuristiche non hanno mancato <strong>di</strong> mettere inrisalto questo aspetto.Il giu<strong>di</strong>ce Loubière, ad esempio, inuna sua pubblicazione del 1993 sul“Journal du Tribunale de GrandeIstante de Paris” conclude in questitermini:“... il trattato è così un atto soggettoal <strong>di</strong>ritto internazionale... che si affermaveramente come tale quandomette la guerra ‘fuori legge’. Questoprincipio fondamentale ci ricorda laCarta dell’ONU, che vieta <strong>di</strong> ricorrerealla forza come modo <strong>di</strong> regolarele <strong>di</strong>fferenze fra gli stati: la guerra,ormai concepita come illecita, cede ilposto ai proce<strong>di</strong>menti pacifici <strong>di</strong> negoziazione.”Non a caso, una copia del trattato sutavolette <strong>di</strong> argilla, scritto in cuneiforme,é esposta al Palazzo <strong>di</strong> Vetrodelle Nazioni Unite a New York qualeprimo esempio <strong>di</strong> accordo <strong>di</strong> pace fradue popoli.Come si vede, il percorso degli accor<strong>di</strong>pacifici, partito 3.200 anni fa egiunto alle <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> principiodelle Nazioni Unite, si <strong>di</strong>pana senzafine tra le vicende umane.Purtroppo, ancora oggi quella lezioneche ci viene da tanto lontano nonsembra universalmente recepita. Nihilsub sole novum, i rapporti tra le nazionivengono troppo spesso regolati daicannoni piuttosto che da trattati incisisu tavole d’argento.Cesare Feruglio Dal Dan11


A Roma facevaparte della terapiaanche la <strong>di</strong>etetica(ed anchein questo sonostati dei precursori).Talvolta erano consigliati alcuni cibispeciali: brodo <strong>di</strong> aragosta (nei malatifebbricitanti), anche se in questo casoè evidente che anche i pazienti dovevanoessere speciali; fegato <strong>di</strong> volpe (crudoo arrostito in caso <strong>di</strong> malattie respiratorie);zampone <strong>di</strong> porco (ai convalescenti<strong>di</strong> pleurite, ma noi che mangiamolo stinco con voluttà senza essereammalati? Che spreco!); carne <strong>di</strong> gru(nelle <strong>di</strong>arree); cozze ed ostriche (nellecostipazioni); bevande a base <strong>di</strong> orzo(nei <strong>di</strong>sturbi intestinali); oppure semplicementeun buon vino o una buonaacqua, considerati comunque vali<strong>di</strong>farmaci.I Romani usavano come elementi terapeuticianche i veleni (serpenti, ragni,scorpioni, ecc.), pur conoscendone ipericoli, anche se ne sapevano pocodegli antidoti o delle cure relative a morsi o punture.Sapevano provocare il vomito o usavano laserpiziodecotto nel vino nell’avvelenamento da cicuta o un germoglio<strong>di</strong> pero nell’olio dove friggevano i funghi…velenosi,oppure del rafano con<strong>di</strong>to con sale ed aceto perneutralizzarli. Nessuno ci ha mai detto se questi rime<strong>di</strong>funzionassero.In dermatologia ci sono giunte un sacco <strong>di</strong> ricette, tra lequali ricor<strong>di</strong>amo: zolfo e pece nella scabbia; foglie <strong>di</strong>giglio o <strong>di</strong> bietola cotte nell’olio per le scottature; fichiacerbi contro le verruche; lenticchie lesse ed impastatecon miele negli esantemi, nelle scottature, nei geloni, sullepustole; foglie <strong>di</strong> fico nella vitiligina; resina ed allumeSPIGOLATURE antichea cura <strong>di</strong> Gian Andrea Cescutti<strong>Archeologia</strong> dei me<strong>di</strong>camenti(terza parte)RomaAurelius Cornelius Celsusin pomata conmiele nell’acnegiovanile; galbanoe nitro trituratinell’acetoper le lentiggini.(Viene da pensare:ma mica saranno stati tanto pazzi dautilizzare questi rime<strong>di</strong> se non funzionavano,no? Allora forse funzionavanoproprio. Chi vuol provare?).Diversi empiastri venivano usati incampo traumatologico nella cura delleferite. Celso ne riporta 28 formule.Così si usava ad esempio:• L’empiastrus smarag<strong>di</strong>nus, a base <strong>di</strong>resina <strong>di</strong> pino, cera, verderame, fuliggined’incenso, olio, aceto;• L’acopo eucrista, a base <strong>di</strong> grassod’oca, midollo <strong>di</strong> vitello, cera, miele,resina, olio <strong>di</strong> ricino;• Il tetra farmaco, a base <strong>di</strong> cera, pece,resina e sebo <strong>di</strong> toro (farmaco topico<strong>di</strong> origine greca, <strong>di</strong>venuto famoso neltempo).Si può riconoscere, almeno in questepreparazioni, la vali<strong>di</strong>tà antisettica delverderame e dell’aceto.Altre formule contenevano vari tipi <strong>di</strong> sterco che eranoforse in grado <strong>di</strong> sviluppare ammoniaca e quin<strong>di</strong> potevanoessere utili.Per cicratizzare venivano poi usati: estratti <strong>di</strong> semi <strong>di</strong>lino, mirra, incenso, albume d’uovo, gomma, miele cotto,lumache terrestri macinate, argilla, specie quella rossa<strong>di</strong> Lemno, prescritta molto anche da Galeno e cheveniva esportata a scopo officinale col sigillo <strong>di</strong> Artemide,da cui il nome anche <strong>di</strong> terra sigillata. Fu rinomatafino al Me<strong>di</strong>oevo in tutta Europa e fino al secolo scorsoin Oriente. Queste preparazioni erano genericamentedefinite Vulnerarie. E si capisce perché.PER COMUNICARE MEGLIOLe nostre mail <strong>di</strong> riferimento:Segreteria: sfaud@archeofriuli.itComunicazione: archeofriuli@yahoo.itDirezione: <strong>di</strong>rezione@archeofriuli.itSezione Carnica: sfacarnica@archeofriuli.itSezione Me<strong>di</strong>o Friuli: afaber@libero.itSezione Isontina: sfaisontina@archeofriuli.itSezione Destra Tagliamento: sfadestratagliamento@archeofriuli.itVisita il nostro sito perio<strong>di</strong>camente www.archeofriuli.it e troveraitutte le informazioni utili sull’Associazione, le notizie piùrecenti, le novità, le comunicazioni, i precedenti numeri del“Bollettino”, alcune pubblicazioni on line ed altro ancora.Utilizza la mail per snellire i lavori della Segreteria, per contenerei costi postali e per velocizzare l’invio delle comunicazioni.Per superare problematiche gestionali ed i costi postali, è statodeciso l’invio, via posta elettronica, <strong>di</strong> tutte le comunicazioni,compreso il “Bollettino” a tutti i soci che hanno una casella <strong>di</strong>posta elettronica.Se hai un in<strong>di</strong>rizzo e-mail (e non ce lo hai ancora comunicato)trasmettilo con un messaggio e noi lo inseriremo nella nostra“mailing list”.RedazioneIl bollettino è organo della Società <strong>Friulana</strong> <strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong> - onlusLa Redazione non è responsabile per il contenuto dei contributipubblicati.Direttore responsabile:Giovanni Battista CuttiniComitato <strong>di</strong> redazione:Giorgio Cerasoli, Gian Andrea Cescutti, Anna Degenhardt,Feliciano Della MoraDisegni <strong>di</strong>: Anna Degenhardt;Fotografie dell’archivio della Società <strong>Friulana</strong> <strong>di</strong> <strong>Archeologia</strong>- onlusA questo numero hanno collaborato: Roberta Battiston,Guilermo Bortolozzi Brondani, Cesare Feruglio Dal Dan,Pino Fazio, Alessandra Gargiulo, Clau<strong>di</strong>o Maddaleni,Maria Concetta Marceddu.La Redazione è lieta <strong>di</strong> accogliere sempre nuovi contributi.Tipografia Pellegrini - Il CerchioU<strong>di</strong>ne - via Trento, 81 - Tel. 0432 502612 - tippellegrini@libero.it12

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