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MA QUALE TROIKA RIDATECI KEYNES

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18 LUGLIO 2015 | NUMERO 27 | SETTI<strong>MA</strong>NALE € 2,50 | 92 PAGINE<br />

5 STELLE<br />

Sarti: «L’antimafia<br />

dell’apparenza»<br />

GRECIA<br />

Viaggio tra i danni<br />

dell’austerity<br />

LIBRI<br />

Majakovskij,<br />

suicidio di Stato<br />

«Folle e oltraggioso ridurre la spesa»<br />

<strong>MA</strong> <strong>QUALE</strong> <strong>TROIKA</strong><br />

<strong>RIDATECI</strong> <strong>KEYNES</strong><br />

50027<br />

9 771594 123000<br />

C’è chi da tempo indica<br />

un altro modello di economia.<br />

Che punta su piena occupazione<br />

e stabilità dei prezzi.<br />

Senza l’ossessione del debito<br />

di Giacomo Bracci,<br />

Guido Iodice, Stefano Santachiara


UN MONDO<br />

CHE CRESCE<br />

IN MODO SOSTENIBILE È<br />

POSSIBILE.


EXPO MILANO 2015. NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA. NOI CI SIAMO.<br />

In Intesa Sanpaolo miriamo a utilizzare in modo attento tutte le risorse, promuovendo comportamenti improntati a evitare sprechi e inutili ostentazioni,<br />

privilegiando le scelte rivolte alla sostenibilità. Siamo sempre pronti a cooperare con altri soggetti pubblici e privati, per realizzare progetti comuni<br />

a sostegno della crescita economica e sociale dei Paesi e delle comunità in cui operiamo. Con la nostra passione, la nostra cultura e i nostri prodotti contribuiremo<br />

al successo di Expo Milano 2015. Perché questa è un’opportunità reale per fare qualcosa di importante per il futuro del nostro pianeta. E noi ci siamo.<br />

www.intesasanpaolo.com


di FABIO <strong>MA</strong>GNASCIUTTI<br />

IN FONDO A SINISTRA<br />

18 luglio 2015<br />

5


a sinistra senza inganni<br />

SOM<strong>MA</strong>RIO<br />

NUMERO 27<br />

STORIA DI COPERTINA<br />

<strong>MA</strong> <strong>QUALE</strong> <strong>TROIKA</strong>, <strong>RIDATECI</strong> <strong>KEYNES</strong><br />

24 Keynesiani di tutto<br />

il mondo, unitevi<br />

di Giacomo Bracci<br />

28 James Galbraith,<br />

l’intervista esclusiva<br />

di Stefano Santachiara<br />

30 Usa 1933, ritorno a Roosvelt<br />

di Guido Iodice<br />

POLITICA<br />

32 Giulia Sarti:<br />

«Vi spiego a cosa servono i 5 stelle»<br />

di Ilaria Giupponi<br />

MOBILITAZIONE<br />

36 Lotta di classe alla Buona scuola<br />

di Donatella Coccoli<br />

INCHIESTA<br />

38 Quanto costa un bambino?<br />

di Giulio Cavalli<br />

EUROSCETTICI<br />

44 Indipendentismo,<br />

nostalgico presente<br />

di Stefano Catone<br />

46 Veneto-Austria,<br />

una faccia una razza<br />

di Giorgia Furlan<br />

GRECIA<br />

50 Dentro il ghetto di Atene<br />

di Michela AG Iaccarino<br />

52 Il memorandum spacca Syriza<br />

di Francesco De Palo<br />

54 La sanità umiliata dall’austerity<br />

di Nicola Zolin e Jacopo Ottaviani<br />

56 L’Europa dei tedeschi, un privé<br />

di Nadia Urbinati<br />

IL PERSONAGGIO<br />

58 L’imbarazzante Martin Schulz<br />

di Stefano Santachiara<br />

DIPLO<strong>MA</strong>ZIA<br />

60 L’Italia di Renzi grande assente<br />

di Umberto De Giovannangeli<br />

PORTOGALLO<br />

64 Troika, film già visto a Lisbona<br />

di Tiziana Barillà<br />

FILOSOFIA<br />

68 La donna e l’identità della sinistra<br />

di Gianfranco De Simone<br />

LETTERATURA<br />

72 Majakovskij, il poeta “suicidato”<br />

di Simona Maggiorelli<br />

SCIENZA<br />

76 La nuova Città della Scienza<br />

di Pietro Greco<br />

MUSICA<br />

80 Il favoloso mondo di Dimartino<br />

di Tiziana Barillà<br />

05 IN FONDO A SINISTRA<br />

di Fabio Magnasciutti<br />

07 EDITORIALE<br />

di Adriano Prosperi<br />

08 LETTERE<br />

09 BREVI<br />

10 IO SONO UN BASTARDO<br />

di Bebo Storti<br />

10 IL BUON VIGNAIOLO<br />

di Fulvio Fontana<br />

11 #INUTILMENTEFIGA<br />

di Elda Alvigini e Natascia Di Vito<br />

11 EPICA FILATELICA<br />

di Saro “Poppy” Lanucaro e Pronostico<br />

12 PICCOLE RIVOLUZIONI<br />

di Paolo Cacciari<br />

13 #ITALIAVIVA<br />

14 FOTONOTIZIE<br />

20 ECONOMIA E FINANZA<br />

di Ernesto Longobardi<br />

21 IL COMMENTO<br />

di Maria Pia Pizzolante<br />

22 IL COMMENTO<br />

di Stefano Bartolini<br />

24 IL MONOLOGO<br />

di Mimmo Calopresti<br />

50 SCUOLA<br />

di Giuseppe Benedetti<br />

51 CALCIO <strong>MA</strong>NCINO<br />

di Emanuele Santi<br />

82 LIBRI<br />

di Filippo La Porta<br />

82 TEATRO<br />

di Massimo Marino<br />

83 ARTE<br />

di Simona Maggiorelli<br />

84 BUONVIVERE<br />

di Francesco Maria Borrelli<br />

84 TENDENZE<br />

di Sara Fanelli<br />

85 OPERA<br />

di Elisabetta Tomassini<br />

85 MY LEFT<br />

di Alessandra Grimaldi<br />

88 TRASFOR<strong>MA</strong>ZIONE<br />

di Massimo Fagioli<br />

90 UN’ALTRA STORIA<br />

di Monica Catalano<br />

6 18 luglio 2015


EDITORIALE<br />

È QUALCOSA DI PIÙ DI UN CALCOLO.<br />

È UNA VERA FEROCIA PUNITIVA<br />

di Adriano Prosperi<br />

L’<br />

Europa è morta: quella della libertà e dei<br />

diritti, della solidarietà e del rispetto per le<br />

persone. Nel calendario di un anno che resterà<br />

nella storia la sua agonia è durata dal 4<br />

al 14 luglio. Sono i giorni che ricordano nel mondo<br />

le date storiche di due grandi vittorie dei diritti<br />

e della libertà: la dichiarazione d’indipendenza<br />

degli Stati americani dal dominio inglese (1776) e<br />

la presa della Bastiglia (1789). Tra queste due date<br />

del calendario 2015, è stata uccisa a Bruxelles la libertà<br />

dei popoli europei. Di “crocefissione” ha parlato<br />

un funzionario Ue citato dal Financial Times,<br />

altri hanno parlato di “waterboarding morale”. In<br />

Tsipras è stato offeso il diritto di ogni essere umano<br />

al rispetto della sua dignità. E l’offesa continua:<br />

basta leggere le sette pagine del comunicato finale<br />

per capire che siamo solo all’inizio di un percorso di<br />

umiliazioni di un’intera nazione sottoposta a prove<br />

durissime. L’obiettivo politico è evidente: spezzare<br />

la fiducia fin qui fortissima del popolo greco nel governo<br />

di una sinistra che si è dimostrata rispettosa<br />

delle regole democratiche. La fiducia, appunto: l’ipocrisia<br />

del documento finale ne parla per dire che<br />

solo alla fine, quando tutte le sostanze e i beni della<br />

Grecia saranno nelle mani di un sovrano straniero,<br />

la fiducia resterà sospesa.<br />

Ma c’è qualcosa di più di un calcolo politico condiviso<br />

da tutti i regimi di un’Europa sempre conservatrice,<br />

reazionaria o francamente fascista. C’è una<br />

vera ferocia punitiva contro chi ha osato chiamare<br />

alle urne il popolo e ne ha riscosso un mandato<br />

pieno. La democrazia è diventata una vana parola,<br />

buona per sciacquarsi la bocca da parte di chi intanto<br />

è impegnato ad alzare muri su muri - contro<br />

i migranti, gli zingari, i serbi e quant’altro. Chi ha<br />

stilato il comunicato finale in realtà ha scandito di<br />

date in rapida successione un’escalation di orrori<br />

condannando quel Paese a inabissarsi nel gorgo dei<br />

debiti. Oggi il popolo greco viene descritto nell’ultimo<br />

numero del settimanale Der Spiegel come un<br />

popolo “strano”: un’altra razza, levantina, profittatrice,<br />

infida. Quasi come gli ebrei. Intanto la fotografia<br />

del pensionato greco svenuto davanti alla<br />

cassa di un bancomat dopo una lunga fila, entrerà<br />

negli incubi di tutti noi. Risveglierà forse nella mente<br />

di qualcuno un’altra terribile immagine, quella<br />

del bambino che marcia con le braccia alzate sotto<br />

la minaccia dell’arma di un soldato tedesco. Noi<br />

non crediamo affatto che il popolo tedesco sia inguaribilmente<br />

nazista, al contrario. Ma bisogna<br />

arrendersi all’evidenza: sui popoli smemorati e in<br />

preda ad analfabetismo di ritorno che abitano la<br />

nostra Europa le iniezioni di liberismo e di egoismo<br />

nazionale a cui la finanza internazionale e i governi<br />

li stanno abituando, hanno l’effetto di alzare barriere<br />

mentali insuperabili, egoismi nazionalistici<br />

dominati dal virus dell’odio. Nel caso delle culture<br />

nazionali dell’Europa a dominanza germanica questo<br />

è il frutto di un esagerato senso della propria<br />

virtuosa differenza da parte dei popoli che vivono<br />

nella “colpa” del “debito” (Schulde).<br />

Ma da dove viene questo feroce rinascente nazionalismo,<br />

immemore dei lutti che ha seminato nel<br />

mondo intero? Qualcuno ha ricordato nell’anno<br />

centenario della guerra mondiale la volontà di potenza<br />

che portò la Germania del 1914 ad alzare così<br />

tanto la domanda di riparazioni dopo l’assassinio<br />

dell’arciduca Rodolfo da spingere la Serbia a dichiarare<br />

guerra. Oggi è impossibile elencare quali e<br />

quante conseguenze avrà la brutale esecuzione di<br />

un popolo e del suo governo messa in atto nottetempo<br />

a Bruxelles sotto gli occhi del mondo intero,<br />

tra le resistenze e gli avvertimenti di economisti e<br />

uomini politici del resto del mondo. C’è chi - come<br />

Obama - ha tentato di esorcizzarla e di ricondurre<br />

alla ragione la Troika, il ministro Schäuble e la<br />

sua alleata-rivale Merkel. Ma il duo tedesco, immemore<br />

della lezione di Helmut Kohl, è pronto a<br />

spezzare l’Europa per la terza volta in cento anni.<br />

Ora la nuova Europa dovrà rinascere dalle ceneri<br />

di quella uccisa dalla prepotenza di un odioso<br />

dottor Stranamore germanico e da una mediocre<br />

quanto vezzeggiata Merkel, l’Hausfrau dell’Est<br />

che, sempre a detta di Kohl, di Europa non sapeva<br />

nulla. Ma non possiamo tacere le responsabilità<br />

di quei cosiddetti statisti che si sono accodati tutti<br />

all’egemonia tedesca. E non prenderemo certo<br />

sul serio le blande dichiarazioni di facciata di un<br />

Hollande contento di vedersi fotografato a fianco<br />

della Merkel. Quanto a noi italiani, nessuna considerazione<br />

riscuote l’inesistente “terza via” esibita<br />

a cose fatte dal nostro Renzi.<br />

18 luglio 2015<br />

7


DIRETTORE EDITORIALE<br />

Matteo Fago<br />

DIRETTORE RESPONSABILE<br />

Ilaria Bonaccorsi<br />

direttore@left.it<br />

REDAZIONE<br />

Tiziana Barillà<br />

tiziana.barilla@left.it<br />

Donatella Coccoli<br />

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Giorgia Furlan<br />

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Raffaele Lupoli<br />

raffaele.lupoli@left.it<br />

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Luca Sappino<br />

luca.sappino@left.it<br />

GRAFICA<br />

Progetto grafico<br />

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Francesco Leonini<br />

Art director<br />

Alessio Melandri<br />

alessio.melandri@editorialenovanta.it<br />

Marco Michelini<br />

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Registrazione al Tribunale di Roma<br />

n. 357/1988 del 13/6/1988<br />

Iscrizione al Roc n. 25400 del 12/03/2015<br />

QUESTA TESTATA NON FRUISCE<br />

DI CONTRIBUTI STATALI<br />

Copertina: elaborazione grafica<br />

di Antonio Pronostico<br />

Lettere<br />

Laboratorio Bologna sugli appalti<br />

da estendere a tutto il Paese<br />

Cara redazione, probabilmente è dalle realtà<br />

locali che arrivano risposte concrete ai<br />

mali che affliggono il Paese. L’altro giorno<br />

è toccato al Comune di Bologna a farsi<br />

avanguardia di tutto un mondo che ormai<br />

riconosce negli appalti pubblici, nella loro<br />

formulazione, nella loro gestione, uno<br />

dei mali assoluti che bloccano il Paese. A<br />

tracciare una strada possibile è arrivato un<br />

documento, frutto faticoso dell’intesa tra<br />

sindacati, associazioni di categoria e Comune.<br />

A mettere tutti intorno ad un tavolo<br />

è stata una situazione non più sostenibile.<br />

La consapevolezza che ormai non era più<br />

sostenibile e tollerabile l’accettazione di<br />

un sistema di appalti che evidenziava una<br />

vera radicazione della criminalità organizzata<br />

in Emilia Romagna. Un malaffare che<br />

galleggia grazie al finanziamento dei lavori<br />

e delle opere pubbliche. Un vero e proprio<br />

cancro ad appannaggio delle tante mafie<br />

ma anche delle “miserie”, delle “furbizie”<br />

di imprenditori, di funzionari pubblici, di<br />

controllori “distratti”. Un cancro, quello<br />

delle gare di appalto al massimo ribasso<br />

che porta come conseguenza favoritismi<br />

illeciti, falsi risparmi, lavori fatti aggirando<br />

le più semplici norme di sicurezza.<br />

Bologna, dunque, nel tentativo di riscattarsi<br />

prova dire addio alle gare di appalto<br />

al massimo ribasso. Prova ad imporre<br />

maggiori verifiche sul curriculum delle<br />

aziende. Cerca garanzie sul riassorbimento<br />

di manodopera e per la tutela dei lavoratori.<br />

Una strada che potrebbe benissimo<br />

essere seguita da altre realtà locali ma che<br />

potrebbe essere un vero laboratorio sperimentale<br />

per tutto il Paese.<br />

Luca Soldi<br />

lettere@left.it<br />

La politica del Pd e l’attuale<br />

devastazione culturale<br />

Questo Pd è una ferita lacerante. Ingannevole<br />

agli occhi dei più distratti, dietro una<br />

definizione (centrosinistra) scolpita nella<br />

mente di molti sta attaccando tutte quelle<br />

cose che io difenderei a costo della mia<br />

stessa vita. Parlo di quello che so, tralasciando<br />

questioni fondamentali quali una<br />

politica economica che non tutela chi è<br />

realmente in difficoltà. Parlo quindi di un<br />

governo che ignora migliaia e migliaia di<br />

persone che giorno dopo giorno continuano<br />

a svegliarsi e riconoscersi allo specchio<br />

come cittadini di serie B, senza diritti,<br />

senza la possibilità di provare la gioia di<br />

crescere un figlio, di riconoscersi come<br />

pari davanti ai suoi concittadini. Parlo di<br />

un governo che lancia pietre in faccia agli<br />

adulti di domani distruggendo passo a<br />

passo quella scuola che dovrebbe spiegare<br />

loro tutto. Parlo anche di università che<br />

vogliono definitivamente distruggere incasellandole<br />

in una classifica discutibile e<br />

stabilendo che gli studenti più bravi sono<br />

quelli che escono dalla Bocconi. Contano<br />

i bilanci, non i libri. Queste per me sono<br />

ferite a morte. Non posso più sentire «è<br />

nel Pd ma è una brava persona». Se è una<br />

brava persona se ne va, adesso. Perché è<br />

sacrosanta l’idea di democrazia interna e<br />

di discussione, ma è necessaria una minima<br />

condivisione di un orizzonte di senso.<br />

Lottiamo quotidianamente per un mondo<br />

migliore, e non possiamo “indignarci ma<br />

non troppo” davanti a questa devastazione<br />

culturale. Perché la politica è amore per<br />

gli altri e non per se stessi. Voi restate ma lì<br />

dentro si muore, e mentre voi restate, noi<br />

moriamo dentro.<br />

Aurelio Labella<br />

CHIUSO IN TIPOGRAFIA IL 14 LUGLIO 2015<br />

8 18 luglio 2015


BREVI<br />

la data<br />

19<br />

LUGLIO<br />

1954<br />

Quando a Memphis Sam<br />

Phillips lo vide entrare con<br />

la chitarra al Sun Recording<br />

studio, non immaginava<br />

che, da quel momento, si<br />

sarebbe riscritta la storia<br />

della musica. Il dinoccolato<br />

19enne, camionista, originario<br />

di Tupelo (Mississipi),<br />

voleva registrare una canzone<br />

da regalare a sua madre.<br />

Appena iniziò a cantare<br />

That’s All Right, un’annebbiato<br />

blues di Arthur Big<br />

Boy Crudup, il produttore si<br />

rese conto che quel ragazzo<br />

«bianco che suonava come<br />

un nero» avrebbe fatto tantissima<br />

strada. L’uscita del<br />

primo singolo di Elvis Presley<br />

That’s All Right, Mama,<br />

con Blue Moon Kentucky sul<br />

lato B, fece sibilare un’intera<br />

generazione di ragazze e ragazzi.<br />

Vendette 20.000 copie,<br />

non tantissime, ma spianò la<br />

strada al Re verso il trono del<br />

rock ’n’ roll. Alla rivista Rolling<br />

Stone dichiarò: «Se potessi<br />

sentire tutto ciò che ha<br />

sentito il vecchio Arthur, diventerei<br />

un musicista come<br />

nessuno prima di me». Il singolo<br />

è anche la prima canzone<br />

mai suonata in pubblico<br />

da Elvis.<br />

UP<br />

Podemos incita Tsipras<br />

«Aspettaci, con la vittoria di<br />

Podemos saremo più forti».<br />

Parola di Pablo Iglesias.<br />

Sulla prima pagina del quotidiano<br />

greco Avgi è apparso<br />

l’appello del portavoce di<br />

Podemos ad Alexis Tsipras.<br />

Un incitamento a non mollare,<br />

a resistere, in attesa<br />

che arrivi l’ora - a novembre<br />

- che un altro governo in<br />

Europa assuma le posizioni<br />

anti-austerità, quello spagnolo.<br />

Nei giorni più difficili<br />

del premier greco, da Madrid<br />

si leva una voce forte e incoraggiante,<br />

mentre dall’Italia<br />

continua a udirsi un assordante<br />

silenzio.<br />

DOWN<br />

Il capolavoro di Gennaro<br />

«Ma che film hai visto?», recita<br />

uno dei commenti più soft<br />

al tweet con il quale il neorenziano<br />

Gennaro Migliore<br />

ha salutato l’esito dell’Eurogruppo.<br />

«L’accordo con la<br />

#Grecia è un capolavoro politico.<br />

Avanti tutta con l’Europa<br />

politica!» ha cinguettato il<br />

deputato ex Sel. Un “capolavoro”<br />

sì, ma di violenza politica,<br />

al punto che un funzionario<br />

presente al summit ha<br />

ammesso: «Hanno crocifisso<br />

Tsipras». Chiede una follower:<br />

«È sicuro di aver compreso<br />

l’accordo? Il socialismo europeo<br />

è davvero morto». E un<br />

altro: «Genna’, manco Capezzone<br />

avrebbe osato tanto!».<br />

IL NUMERO<br />

1,1<br />

Sono i milioni di link che<br />

281mila cittadini europei<br />

hanno chiesto di cancellare<br />

dalle pagine di ricerca di Google.<br />

Una possibilità prevista<br />

della Corte di giustizia europea,<br />

che da oltre un anno ha<br />

riconosciuto il Diritto all’oblio<br />

per i dati indicizzati nei<br />

motori di ricerca e quindi<br />

anche dalle serp (le pagine<br />

dei risultati) di bigG. Di questi<br />

link oltre 602mila sono<br />

stati effettivamente cancellati.<br />

Il report di Google parla<br />

anche dei singoli Paesi: dalla<br />

Francia sono giunte 197.000<br />

richieste, accolte nel 52% dei<br />

casi, dal Regno Unito, 35.390<br />

di cui il 63% andato a buon<br />

fine. Gli italiani sembrano<br />

meno interessati alla loro<br />

reputazione digitale: 19.126<br />

le richieste, rifiutate nel 70%<br />

dei casi. Gran parte dei moduli<br />

per il claim messi online<br />

da Google punta a post<br />

condivisi sui social network,<br />

Facebook e Youtube in testa.<br />

Tante le domande respinte<br />

per chi ha commesso crimini<br />

come omicidi, violenze sessuali,<br />

e atti terroristici e che<br />

ora è alla ricerca della redenzione<br />

online. Quindi, diritto<br />

all’oblio sì, ma non per tutti.<br />

LA<br />

PAROLA<br />

GIUSTA<br />

Utopia<br />

Thomas More, nel 1516, coniò<br />

questa parola giocando<br />

sull’ambivalenza della sua<br />

etimologia: ou-topo (luogo<br />

che non esiste) ed eu-topos<br />

(luogo felice). Due significati<br />

che nella creazione di<br />

una sinistra moderna devono<br />

riuscire necessariamente<br />

a convivere. Questa parola<br />

infatti ci pone davanti<br />

a una sfida bellissima: immaginare<br />

la costruzione di<br />

uno spazio nel quale la felicità<br />

dell’uomo sia realizzata.<br />

Per anni, l’erronea interpretazione<br />

di questa parola<br />

(illusione, irrealizzabilità)<br />

è stata la metafora migliore<br />

di una sinistra che ha<br />

rinunciato alla realizzazione<br />

della propria eu-topia.<br />

Se puntiamo l’attenzione<br />

sull’accezione positiva di<br />

questo termine, l’utopia si<br />

carica dell’idea di rendere<br />

materiale uno spazio in cui<br />

ogni mattone della realtà<br />

sia posto esclusivamente<br />

per garantire il benessere di<br />

tutti gli uomini e le donne.<br />

Come scriveva il saggista<br />

uruguaiano Eduardo Galeano,<br />

l’utopia serve a muovere<br />

l’uomo, a farlo camminare.<br />

Ed è proprio questa<br />

la sfida: non rinunciare, in<br />

nome dell’irraggiungibilità<br />

di un mondo perfetto, a<br />

crearne, passo dopo passo,<br />

uno migliore.<br />

Filippo Treiani<br />

18 luglio 2015<br />

9


IO SONO BASTARDO<br />

di BEBO STORTI<br />

LA BUONA SOLA<br />

Appendilo lì, a destra! Che prenda luce! Ecco,<br />

che i ragazzi lo vedano bene, che è un insegnamento<br />

importante, crea un precedente.<br />

Bello eh? Profilattici! Un messaggio ai giovani<br />

che entreranno in palestra. Profilattici Louis Vittuon!<br />

Ma siamo sicuri che lo capiscono, questi c’hanno<br />

certi voti in francese, l’inglese poi non ne parliamo.<br />

Vabbé a forza di vederlo capiranno. L’importante è<br />

il concetto! Proteggiti la minchia, va bene, ma con<br />

classe.<br />

Per i corridoi allora mettiamo i manifesti rolex?<br />

Quelli che c’ha mandato lo sponsor?<br />

Banali! Orologi e tu cosa mi metti sui muri? Orologi!<br />

Ma dai, questa è una scuola di classe, pagano certe<br />

rette! Poi il ministero manda qualcuno a controllare,<br />

coi soldi che ci sganciano, e vedono questa banalità.<br />

Mettiamo quelli di quell’artista, quello mandato dal<br />

ministro direttamente<br />

Ma sono tremendi! Diseducativi!<br />

Tu mettili su e non discutere, lo so, questo è un artista<br />

che manco li cani...ma viene direttamente da<br />

lassù<br />

Sì, capisco.<br />

E poi ricordati, io sono il preside! Te lo vuoi tenere<br />

il posto?<br />

Chiedo scusa.<br />

Attacca attacca. È educativo, due figli di operai che<br />

corrono disperati inseguiti da extracomunitari coi<br />

bastoni “LORO NON AVEVANO UN ROTTEX! HAN-<br />

NO PERSO IL BUS!”<br />

Quelli in mensa? Quelli dell’azienda di carne e pollame?<br />

Sì, carucci. Mucche paesaggi montani ruscelli bimbi<br />

biondi che si muovono nei prati portati sulle spalle<br />

da giovani contadine sorridenti ma è la scritta!<br />

“Non sprecare le tue energie, quando può farlo un<br />

servo!!”<br />

Non sarà troppo?<br />

Ai ragazzi piace, dicono che digeriscono meglio.<br />

Ah beh allora...<br />

IL BUON VIGNAIOLO<br />

di FULVIO FONTANA<br />

10 18 luglio 2015


#INUTILMENTESOCIAL<br />

#SATIRAINRETE<br />

@PrugnaLab - 5 riforme in 3<br />

giorni. Se si fa prestare le slide da<br />

Renzi, #Tsipras è già a buon punto<br />

@LaChiaraLongo - A questo<br />

punto è lapalissiano che la Merkel<br />

abbia frainteso il concetto di Magna<br />

Grecia<br />

#INUTILMENTEFIGA<br />

di ELDA e NAT<br />

Vediamo se sta su facebook… che poi c’ha<br />

un nickname assurdo “Torero Platonista”<br />

ma che vorrà dìre boh??... No! Non ci posso<br />

credere!! Ma questa è una maledizione! È<br />

più puntuale della Tasi, pure a lui ha chiesto<br />

l’amicizia??! Ma sei una poveraccia! Ma<br />

lo vuoi conoscere uno tuo solo tuo?! Sei una<br />

molestatrice virtuale, una stalker di sponda,<br />

sei... sei una cybermerda! Ma chi sei? Il<br />

nano delle cartoline del “Fantastico mondo<br />

di Amelie”? Stai dappertutto!! Voi non<br />

ce l’avete la persecutrice/stalker/ accollo<br />

su tutti i vostri social? Dai, quella che se tu<br />

vai a vedere le foto dei tuoi uomini-intendo<br />

ex, attuali e soprattutto futuri , LEI c’è? C’è<br />

sempre!!<br />

Almeno una foto della gita delle medie, della<br />

festa di Capodanno, quella stessa dove<br />

tu hai pomiciato con lui tutta la sera... ma<br />

quando se la sono fatta ‘sta foto insieme??<br />

Un’incubo! Peggio di Forrest Gump! C’ha<br />

pure una foto al G8, sta proprio dietro Obama!!<br />

Che pure a Michelle gli so girate un po’.<br />

Sta almeno in una foto di tutti gli uomini<br />

che piacciono alle mie amiche. Ma non ci<br />

dovevano essere sei gradi di separazione??<br />

Il Torero Platonista non va su Facebook da<br />

almeno una settimana... Vediamo se sta su<br />

skype... Ecccolo!! Allora sei ancora a casa!<br />

Nooo! Ma che fai ti scolleghi, No, no, non<br />

ci casco in questo trip dell’ora esco e tra un<br />

po’ mi riconnetto, così se ti scolleghi appena<br />

rientro, vuol dire che è proprio me che<br />

vuoi evitare, no, queste pippe no dai!! E se<br />

s’è messo invisibile la merda?<br />

ESTATE SPETTINATA<br />

TRA I PINI DELLA CAPITALE<br />

EPICA FILATELICA<br />

testi di SARO “POPPY” LANUCARA<br />

illustrazioni di PRONOSTICO<br />

Francobollo, speciale per un movimento artistico e<br />

culturale: la “Spettinatura” sviluppatasi nelle Capitale,<br />

con epicentro nel Parco dei Pini spettinati a<br />

Tor fiscale, periferia sud della città. Libera traduzione<br />

del termine inglese unkempt, che si riferisce alla vita<br />

disordinata e anticonformista degli artisti indipendenti<br />

che a essa partecipano, gli Spettinati sono animati da<br />

uno spirito di goliardia nei confronti della produzione<br />

culturale tradizionale e il buonsenso burocraticizzato.<br />

Si scagliano contro il Romanticismo ideologico, che giudicano<br />

languido ed esteriore, e pure contro il “movidaismo”<br />

della cultura romana. Guardano in modo diverso<br />

la realtà, cercando di individuare il nesso sottile che lega<br />

quella fisica a quella artistica. Di qui il fascino che il tema<br />

della goliardia esercita sulla loro produzione, spesso riflettendosi<br />

allegramente<br />

sulla loro vita che è per lo<br />

più spericolata. Così, tra<br />

gli Spettinati, si diffonde<br />

un sentimento nuovo di<br />

produzione e sarcasmo<br />

radicale nei confronti<br />

dell’impresa sociale utilitaristica<br />

e delle convinzioni<br />

correnti che hanno<br />

la conseguenza di creare<br />

il mito della professionalità<br />

impreditoriale assoluta<br />

ma irregolare (il cosiddetto<br />

Ciounamichettismo). Il<br />

loro impulso originario è<br />

di goliardia ed estemporaneità,<br />

come è proprio<br />

dell’artista, che si aggrappa<br />

a quei valori pre-democratici<br />

quali la Bellezza,<br />

l’Arte, la Natura, l’autenticità<br />

del sentimento, che<br />

la burocrazia e l’arrivismo vanno distruggendo. Tra gli<br />

Spettinati si forma una sorta di coscienza mutualistica<br />

che sottolinea lo stridente contrasto tra l’“ideale” che si<br />

vorrebbe raggiungere e il “vero”, la realtà vissuta in modo<br />

oggettivo e alla moda. Si sviluppa così questo movimento<br />

che richiama innanzitutto i modelli tipicamente lungimiranti<br />

e progressisti di Renato Nicolini. Gli Spettinati,<br />

con il loro culto del “sincero”, introducono nella Capitale<br />

il gusto del semplicemente bello che denomineremo<br />

Qualititavismo indipendente. A loro dedichiamo questa<br />

epica filatelica.<br />

18 luglio 2015<br />

11


© deepblue4you<br />

ARCISTORIE<br />

CHIARA, FRESCA, DOLCE<br />

ACQUA DI RUBINETTO<br />

Un’operazione semplice, limpida e “Chiara”. Questo<br />

è il nome della campagna che a Firenze è stata<br />

promossa da circa due anni per utilizzare l’acqua<br />

del rubinetto. «I risultati sono sotto gli occhi di tutti e<br />

le adesioni sono in continua crescita», spiega Jacopo<br />

Forconi, presidente del Comitato Arci di Firenze che<br />

insieme a Publiacqua e a Water Right Foundation ha<br />

promosso l’iniziativa che vede coinvolti 35 circoli Arci.<br />

Si tratta di strutture che somministrano cibi, pizzerie e<br />

ristoranti dentro le Case del popolo. In ogni circolo sono<br />

state fatte le analisi per verificare le eventuali impurità,<br />

perché, come dice Forconi, l’acquedotto garantisce la<br />

qualità idrica fino al contatore, dopo di che la responsabilità<br />

è del proprietario, in questo caso del circolo.<br />

Tutti hanno passato naturalmente<br />

l’esame ed è arrivato<br />

un premio molto gradito:<br />

bottiglie di vetro dal design<br />

originale che i circoli hanno<br />

utilizzato per distribuire<br />

l’acqua ai clienti. Sui tavoli<br />

l’acqua “Chiara”. «Abbiamo<br />

ottenuto un risparmio<br />

evitando i costi delle acque<br />

minerali, abbiamo salvaguardato<br />

l’ambiente con<br />

La campagna<br />

per l’uso dell’acqua<br />

di rubinetto nei<br />

ristoranti e pizzerie<br />

dei circoli Arci<br />

di Firenze ottiene<br />

sempre più adesioni.<br />

Più risparmi sui<br />

costi e più tutela<br />

dell’ambiente<br />

una minor produzione di rifiuti in plastica e allo stesso<br />

tempo abbiamo portato avanti un progetto importante<br />

dal punto di vista politico-culturale che stimola ad un<br />

uso più consapevole dell’acqua pubblica», conclude il<br />

presidente Arci di Firenze.<br />

PICCOLE RIVOLUZIONI<br />

di PAOLO CACCIARI<br />

IL TORNADO NELLA MIA TERRA<br />

E QUELLO CHE POSSIAMO FARE NOI<br />

Ripongo badile, carriola e motosega e torno alla scrivania<br />

dopo qualche giorno di duro lavoro. Abito tra<br />

Dolo e Mira e la mia casa è stata lambita dal tornado.<br />

Me la sono cavata con qualche tegola volata via, un<br />

albero del giardino sradicato, la piccola serra in frantumi<br />

e poco altro.<br />

Già le case dei miei vicini hanno i tetti e i muri perforati<br />

dai detriti che volavano come proiettili. Ancora qualche<br />

passo e dentro la striscia larga cinquanta metri e lunga<br />

7 chilometri lungo cui è passato il vortice del tornado ci<br />

sono solo cumuli di macerie.<br />

Case rase al suolo, automobili sbattute lontano, un<br />

traliccio dell’alta tensione accartocciato al suolo, tutto<br />

quello che avete visto in televisione. Ad aiutare e confortare<br />

i vicini (un morto, decine di feriti e 400 famiglie<br />

rimaste senza abitazione, più varie attività produttive<br />

bloccate) squadre di ammirevoli ragazzi di scuole, polisportive,<br />

centri sociali, scout.<br />

C’è chi ha passato le notti all’aperto per non staccarsi<br />

dalle sue cose. C’è chi già il giorno dopo aveva montato<br />

Giornali e televisioni<br />

non lo dicono,<br />

ma bombe d’acqua,<br />

uragani, erosione,<br />

innalzamento del<br />

livello dei mari e<br />

molto altro ancora<br />

sono gli effetti del<br />

surriscaldamento<br />

climatico globale<br />

le impalcature per iniziare i<br />

restauri. Ma c’è anche chi ha<br />

perso tutto e non sa da che<br />

parte ricominciare. Le pubbliche<br />

autorità distribuiscono<br />

moduli e raccolgono fotografie<br />

dello “stato di fatto”.<br />

Manderanno i periti e saranno<br />

calcolati i danni. A Vicenza,<br />

per l’alluvione di quattro<br />

anni fa, aspettano ancora i<br />

risarcimenti. Intanto va in<br />

scena l’ennesima replica dello squallido balletto tra il<br />

leghista Zaia e il governo di Roma su chi deve pagare.<br />

Giornali e televisioni non lo dicono, ma bombe d’acqua,<br />

uragani, tornadi, erosioni delle coste, innalzamento del<br />

livello medio dei mari, salinizzazione dei delta dei fiumi<br />

e molto altro ancora sono gli effetti del surriscaldamento<br />

climatico globale.<br />

Li si possono affrontare in due modi: cambiando in radice<br />

le politiche energetiche già a Parigi alla ventunesima<br />

Conferenza delle parti dell’Onu (Cop21)che dovrà<br />

riscrivere il protocollo di Kyoto (vedi l’appello: “Costruiamo<br />

assieme il cammino verso Parigi 2015. Cambiamo<br />

il sistema, non il clima!” versoparigi2015@gmail.com) o<br />

affidandosi alle regole del mercato.<br />

Sono certo che a qualche ministro per l’Economia verrà<br />

in mente di rispolverare la furbata di rendere obbligatoria<br />

l’assicurazione privata contro i danni agli immobili<br />

provocati dagli “eventi naturali”. Come per gli incidenti<br />

automobilistici. In fondo, si può far soldi anche con<br />

l’ambiente.<br />

12 18 luglio 2015


#ITALIAVIVA<br />

Segnalateci vertenze, iniziative<br />

e buone notizie a redazione@left.it<br />

Roma<br />

NO AL COMMISSARIO, SÌ AL FARE COMUNE<br />

Napoli<br />

VOLONTARI CERCASI PER L’ORTO URBANO<br />

All’associazione Maestri di Strada di Napoli è stato<br />

affidato un terreno agricolo di circa 5mila metri quadrati,<br />

con un edificio di circa 240. Il progetto prevede la creazione<br />

di un centro socio-educativo polivalente dove<br />

si pratichi l’agricoltura biologica, la permacultura e la<br />

trasformazione dei prodotti agricoli. È necessario, prima<br />

di attivare il progetto, procedere con un’operazione<br />

di bonifica e messa in sicurezza dell’intera area, e per<br />

questo c’è bisogno di un motivato gruppo di volontari.<br />

L’obiettivo, spiega il presidente dell’associazione Cesare<br />

Moreno, è permettere ai ragazzi di iniziare le attività<br />

dell’orto urbano con il nuovo anno scolastico. Per info e<br />

adesioni: www.maestridistrada.it<br />

Un gruppo di attivisti e lavoratori della cultura e<br />

dello spettacolo sono entrati a Palazzo delle Esposizioni,<br />

lo scorso 9 luglio, inscenando l’arrivo di un fantomatico<br />

Commissario. «Roma è in mano alle mafie e le decisioni<br />

sul futuro della città saranno prese sulla base di<br />

equilibrismi di partiti, poteri politici e polizia» denunciano<br />

i performer in una nota. Contro una gestione fatta<br />

di «bandi a pioggia, svendita del patrimonio, privatizzazione<br />

dei servizi», i manifestanti chiedono invece di valorizzare<br />

gli esperimenti capitolini «di gestione condivisa<br />

e democratica di spazi e risorse. Un fare comune che<br />

costituisce l’unico antidoto alla malavita organizzata».<br />

Lampedusa<br />

ASKAVUSA E LA BANDIERA UE “UNCINATA”<br />

Sansepolcro<br />

SI PARLA DI PUBBLICO E DEMOCRAZIA<br />

Il 21 e il 22 luglio a Sansepolcro (Arezzo) parte la prima<br />

conferenza internazionale del progetto di cooperazione<br />

Be SpectACTive!, a cura di Kilowatt Festival e Comune<br />

di Sansepolcro. Pubblico e democrazia, aspetti sociologici<br />

ed economici della partecipazione del pubblico, co-creazione,<br />

co-programmazione, alcuni dei temi caldi della<br />

conferenza, fatta da un’alternanza di momenti teorici e<br />

tavole rotonde. In contemporanea si svolge anche il Kilowatt<br />

festival, dedicato alle compagnie emergenti: teatro,<br />

danza, arti performative, musica, letteratura, arti visive.<br />

Gran parte della programmazione è affidata ai “visionari”,<br />

spettatori non addetti ai lavori che selezionano le compagnie<br />

partecipanti.<br />

Gli attivisti del collettivo Askavusa hanno piazzato<br />

una bandiera dell’Unione europea con al centro una<br />

svastica al Porto Vecchio di Lampedusa, dove erano in<br />

corso le riprese di una miniserie televisiva dedicata ai<br />

naufragi di migranti. Gli attivisti lampedusani chiedono<br />

la riapertura dell’inchiesta per il presunto mancato soccorso<br />

in occasione della strage del 3 ottobre 2013, a seguito<br />

della quale hanno perso la vita 366 persone. Dopo<br />

l’intervento delle forze dell’ordine, la polizia locale ha<br />

notificato una denuncia per vilipendio alla bandiera ad<br />

alcuni attivisti.<br />

18 luglio 2015<br />

13


FOTO NOTIZIA<br />

PAMPLONA<br />

IN “FIESTA”<br />

Da secoli, a Pamplona, durante<br />

la festa di San Firminio (tra<br />

il 7 e il 14 di luglio), migliaia<br />

di persone assistono col fiato<br />

sospeso a questo evento che<br />

ha dell’affascinante e spaventoso<br />

assieme. È l’Encierro: la<br />

famosa corsa dei tori che vengono<br />

lasciati liberi di correre<br />

tra la folla; o meglio, è la folla<br />

che corre assieme a loro per le<br />

strade della città, rischiando<br />

la vita stessa. Sono pochi minuti<br />

di suspense e adrenalina,<br />

il terrore che si intreccia con<br />

la passione per la tradizione.<br />

Ernest Hemingway (che nel<br />

1926 gli dedicò il suo primo<br />

romanzo Fiesta) l’adorava, gli<br />

animalisti dei giorni nostri<br />

meno. L’Encierro è carica di significati<br />

che per noi è difficile<br />

cogliere, così come le corride<br />

nella cui arena la corsa finisce.<br />

Ciò nonostante, ogni anno,<br />

persone in festa arrivano a<br />

Pamplona da tutto il mondo<br />

proprio per prendere parte a<br />

questa folle corsa.<br />

Foto di Andres Kudacki, AP Photo


FOTO NOTIZIA<br />

MITA<strong>MA</strong><br />

LA FESTA<br />

DELLE LANTERNE<br />

Luce fatta dalla luce. Oltre<br />

30mila lanterne, donate dai<br />

cittadini, prendono fuoco illuminando<br />

le strade e il santuario<br />

giapponese di Yasukuni-jinja.<br />

È questo l’evento che<br />

- è il caso di dirlo - “accende”<br />

il festival annuale di Mitama<br />

(più o meno tra il 13 e il 17 luglio),<br />

a Tokyo. I visitatori passeggiano<br />

nelle serate estive,<br />

con lo scopo di portare conforto<br />

alle anime dei familiari<br />

defunti.<br />

Foto di Shizuo Kambayashi, AP Photo


COMMENTI<br />

ECONOMIA E FINANZA<br />

di Ernesto Longobardi<br />

La Germania fa della moneta comune<br />

la propria moneta. E spacca l’Europa<br />

Su Repubblica, Paul Krugman, premio<br />

Nobel per l’Economia, ha parlato<br />

dell’annientamento assoluto<br />

della sovranità nazionale greca. Se<br />

guardiamo alla versione originale dell’articolo,<br />

sul New York Times, il termine usato è<br />

destruction. Altri hanno detto di sadismo,<br />

di tortura. Aspetti di ricerca sulla realtà<br />

mentale umana che altri potranno approfondire.<br />

Certo il risultato dell’Euro summit del 12<br />

luglio ha rappresentato per Tsipras, per<br />

Syriza, per quella parte della sinistra europea<br />

che si riconosceva nella loro battaglia,<br />

una sconfitta di proporzioni gigantesche.<br />

Le condizioni imposte sono di una violenza<br />

senza precedenti: la Grecia diventa un<br />

protettorato, dovrà chiedere il beneplacito<br />

preventivo delle istituzioni europee ad<br />

ogni legge di loro interesse; un bel pezzo<br />

del patrimonio del Paese dovrà andare, di<br />

fatto, ai creditori (porti, altre infrastrutture,<br />

società di servizi pubblici, ecc., qualcuno<br />

ha parlato anche del Partenone!); entro<br />

pochi giorni il Parlamento greco dovrà approvare<br />

la riforma dell’Iva, un nuovo codice<br />

civile (!), la riforma del sistema bancario,<br />

dell’Istituto di statistica, delle pensioni,<br />

delle procedure di bilancio e via dicendo.<br />

Tutto questo non come contropartita per<br />

i cosiddetti “aiuti”, ma come precondizione<br />

per sedersi a un tavolo e cominciare a<br />

parlarne! I termini sono talmente lesivi<br />

della dignità del Paese e del suo governo<br />

che sembrano pensati apposta per essere<br />

rifiutati e aprire così il processo di uscita<br />

della Grecia dall’euro. A questo punto, forse,<br />

è da sperarlo, quel che ne dica quanto<br />

resta della socialdemocrazia europea, che<br />

ha avuto il coraggio di presentare l’esito<br />

dell’Euro summit come un successo, perché<br />

consente comunque alla Grecia di rimanere<br />

dell’euro.<br />

Bisognerà cercare di capire come sono andate<br />

le cose. Perché Tsipras dopo la mossa<br />

del referendum, dopo averlo stravinto e<br />

avere ottenuto così l’investitura democratica<br />

per un rilancio delle trattative, si è invece<br />

subito precipitato a Bruxelles per dichiarare<br />

la disponibilità ad accettare quelle<br />

stesse condizioni (se non peggiori) e le ha<br />

portate poi all’approvazione del Parlamento<br />

da parte di una maggioranza allargata<br />

al centrodestra? Perché ha poi accettato il<br />

waterboarding cui è stato sottoposto e che<br />

ha portato alla piena capitolazione?<br />

Ancora una volta Yanis Varoufakis mostra<br />

coraggio e lucidità. Nell’intervista al New<br />

Statesman, ripresa dai giornali di tutto il<br />

mondo, ha detto che, dopo il referendum,<br />

le mosse del governo avrebbero dovuto essere<br />

di tutt’altra natura. Si trattava di alzare<br />

la posta e, nel caso di risposte negative,<br />

attuare il piano B: emissione degli Iou, un<br />

nuovo mezzo di pagamento a circolazione<br />

interna denominato in euro; taglio del debito<br />

greco verso la Bce; riacquisizione del<br />

controllo sulla Banca centrale greca. Si doveva,<br />

in altri termini, secondo Varoufakis,<br />

giocare fino in fondo la minaccia dell’uscita<br />

dall’euro e il governo, con il referendum,<br />

aveva ottenuto un pieno mandato per farlo.<br />

Il problema tedesco permea di sé l’intera<br />

storia della costruzione europea. Agli<br />

albori, il vero obiettivo del processo che si<br />

mise in moto nel 1951, con la costituzione<br />

della Ceca, era quello di tenere il più possibile<br />

la nuova Germania legata agli altri<br />

Paesi europei, per evitare cause di nuovi<br />

conflitti. Ancora, con lo stesso spirito, si<br />

chiese alla Germania, come contropartita<br />

alla riunificazione, di rinunciare al marco<br />

e condividere la moneta con gli altri Paesi.<br />

Ma ora la Germania sta facendo, della moneta<br />

comune, la propria moneta e questo<br />

non può che spaccare l’Europa.<br />

I termini<br />

dell’Euro<br />

summit sono<br />

talmente lesivi<br />

della dignità<br />

della Grecia<br />

e del suo<br />

governo<br />

che sembrano<br />

fatti apposta<br />

per essere<br />

rifiutati<br />

e produrre<br />

il Grexit<br />

18<br />

18 luglio 2015


IL COMMENTO<br />

di Maria Pia Pizzolante<br />

Oggi è il momento del coraggio.<br />

La sinistra riparta da ciò che non è scontato<br />

Italia e Grecia, Renzi e Tsipras, sinistra<br />

e Syriza, oligarchia e democrazia,<br />

controriforme e contrasto alla povertà<br />

dilagante: così vicini e così lontani,<br />

ecco come siamo. In un continente che<br />

sta svelando tutte le sue contraddizioni,<br />

in una politica che risulta sempre più una<br />

ragioneria di Stato, in cui i conti non tornano<br />

mai perché lasciano fuori la vita vera,<br />

le persone, i loro diritti umani inalienabili.<br />

Mentre scrivo, è già andato in scena abbastanza<br />

anche se non tutto. L’accordo fatto<br />

dall’Eurogruppo è una serie di «richieste<br />

folli, una follia vendicativa, tradito il progetto<br />

europeo. Un colpo terribile, forse fatale.<br />

Ma non è colpa dei Greci»: così Paul<br />

Krugman, premio Nobel dell’Economia. E<br />

l’europeismo convinto di molti di noi vacilla,<br />

trema, muore.<br />

Da domani forse dovremo scegliere anche<br />

noi. Non siamo Renzi, non governiamo il<br />

Paese eseguendo pedissequamente gli ordini<br />

di Bruxelles, ma abbiamo il compito<br />

inaggirabile di indicare una rotta per il<br />

futuro, presto o tardi che sia. La posta in<br />

gioco è talmente alta che non bastano più<br />

i tweet o i proclami di qualche leader della<br />

sinistra che fu. Serve provare a costruire<br />

una comunità di persone e un soggetto<br />

politico in grado di affrontare le sfide del<br />

presente e di candidarsi a fare quello che<br />

Tsipras sta provando a fare in Europa e che<br />

Renzi non farà mai. Per questo ben vengano<br />

le assemblee e la moltiplicazione degli<br />

appuntamenti di riflessione e di messa in<br />

comune di pensieri e azioni, ben venga<br />

questa stagione in cui servono parole nette<br />

e coraggio, ma anche riflessione e studio.<br />

Non ci si improvvisa attori di una alternativa<br />

che è tutta da disegnare e raccontare.<br />

Abbiamo vent’anni alle spalle in cui chi<br />

avrebbe dovuto rappresentarla ha abdicato<br />

all’opposizione fine a se stessa o al com-<br />

promesso al ribasso al punto di scomparire.<br />

Per questo sono soddisfatta dello sforzo<br />

che Sel, insieme ai fuoriusciti del Pd e alle<br />

tante esperienze più prettamente sociali o<br />

di movimento sta provando a mettere in<br />

campo. Uno sforzo che parla finalmente<br />

anche di rimessa in discussione di leader,<br />

ceti politici, parole d’ordine, alleanze senza<br />

frontiere, come recitava il titolo dell’assemblea<br />

nazionale che si è svolta sabato a<br />

Roma.<br />

Ma oggi le priorità sono altre. E sono, a<br />

partire dallo spazio europeo, priorità che<br />

attengono allo stare insieme, alla democrazia,<br />

al ruolo dei governi e degli Stati nazionali,<br />

all’immagine di una socialdemocrazia<br />

succube al punto di non manifestare<br />

alcuna differenza rispetto ai suoi avversari,<br />

di non rappresentare più quel popolo per<br />

cui era nata e che si ritrova senza ancore<br />

a navigare a vista nel mare magnum della<br />

cattiva informazione e del bombardamento<br />

di dichiarazioni a senso unico per cui o<br />

si accetta questa Europa succube della finanza<br />

e dei profitti o si subisce la damnatio<br />

memoriae.<br />

Oggi è il momento del coraggio, è il momento<br />

di cedere sovranità e certezze, è il<br />

momento di coinvolgere più persone possibile<br />

e di farlo a partire da nuove idee e<br />

nuove pratiche, senza dare nulla per scontato.<br />

Non è scontato considerare l’uguaglianza<br />

una chimera e abdicare all’idea che<br />

intanto difendiamo qualcuno, poi per gli<br />

altri, o meglio per le altre, si vedrà. Non è<br />

scontato che chi non riesce a liberarsi dai<br />

ricatti possa scegliere liberamente e non è<br />

scontato giudicare chi non lo fa. Una sinistra<br />

che riparte da ciò che non è scontato,<br />

questo vorrei. E questo proveremo a fare<br />

con impegno e determinazione, utilizzando<br />

diversi strumenti. Provando innanzitutto<br />

a stare insieme in tanti e diversi.<br />

L’europeismo<br />

convinto di molti<br />

di noi vacilla,<br />

trema, muore.<br />

E non bastano<br />

più i proclami<br />

di qualche<br />

leader che fu.<br />

Serve costruire<br />

una comunità<br />

di persone e un<br />

soggetto politico<br />

in grado di<br />

affrontare le sfide<br />

del presente<br />

18 luglio 2015<br />

19


COMMENTI<br />

Chi ha perso tra la Germania<br />

e la Grecia? L’Italia<br />

In realtà il rapporto bilaterale tra il riottoso<br />

debitore greco e il severo prestatore tedesco<br />

è una illusione ottica. Come questo giornale<br />

ha già scritto e come è sempre più noto alla<br />

opinione pubblica, è la Germania che chiede<br />

soldi al resto degli europei. Insieme alla Francia.<br />

Il salvataggio della Grecia è stata in realtà<br />

il salvataggio delle banche tedesche e francesi.<br />

Esse sono state salvate con soldi pubblici,<br />

tedeschi, francesi e di tutti gli altri europei.<br />

Infatti quando è esplosa la crisi le banche<br />

tedesche e francesi possedevano una quota<br />

consistente del debito pubblico greco. Quello<br />

che viene chiamato “salvataggio della Grecia”<br />

è in pratica un’operazione in cui le banche<br />

tedesche e francesi si sono liberate del debito<br />

pubblico greco vendendolo alla Troika. I soldi<br />

che sono realmente arrivati ai greci sono<br />

solo una frazione del costo del salvataggio.<br />

I tre Paesi che hanno dato il contributo più<br />

grosso in questa operazione sono: Germania<br />

(60 miliardi), Francia (46 miliardi) e Italia (40).<br />

La nostra è una cifra sproporzionata rispetto<br />

alla esposizione delle banche italiane verso<br />

il debito pubblico greco (10 miliardi a fronte<br />

dei 60 delle banche francesi e dei 30 delle<br />

banche tedesche). Perché abbiamo messo<br />

questi soldi? Per paura che una default greca<br />

riattizzasse la speculazione contro il debito<br />

pubblico italiano. Insomma la priorità italia-<br />

L’<br />

accordo raggiunto all’Eurosummit<br />

con il governo greco è stato largamente<br />

interpretato come una sconfitta<br />

di Tsipras, che avrebbe accettato<br />

condizioni persino più pesanti di quelle<br />

a cui i greci hanno detto no nel referendum.<br />

Nel momento in cui scrivo non sappiamo<br />

ancora se il parlamento greco approverà le<br />

riforme draconiane accettate dal governo<br />

Tsipras. Assumiamo che ciò avvenga: al di là<br />

della questione di chi ha vinto e chi ha perso<br />

verosimilmente questo accordo non avrà risolto<br />

niente. Le condizioni imposte alla Grecia<br />

non permetteranno al Paese di risollevarsi<br />

e un debitore agonizzante è un debitore che<br />

non paga e tende a ribellarsi. Entro un po’ di<br />

tempo, il problema si ripresenterà. Le condizioni<br />

imposte da Schäuble tendevano probabilmente<br />

a provocare la Grexit. Sorprendentemente<br />

non l’hanno per ora ottenuta ma è<br />

solo questione di tempo. Il fantasma della<br />

Grexit continua ad aggirarsi per l’Europa.<br />

L’unica cosa che avrebbe teso a stabilizzare la<br />

situazione nel lungo periodo era un taglio del<br />

debito greco che lo riportasse a livelli sostenibili.<br />

Ma i tedeschi si sono opposti strenuamente.<br />

Tra un po’ quindi ci ritroveremo alla<br />

casella di partenza: o sborsare altri soldi per<br />

la Grecia o affrontare la Grexit.<br />

Perché i tedeschi non hanno voluto un taglio<br />

del debito? Per ragioni comprensibili<br />

dal loro punto di vista. In parte per motivi di<br />

principio (i debiti si pagano) e in parte assai<br />

più consistente per motivi di incentivi: un<br />

haircut del debito greco avrebbe scatenato<br />

analoghe richieste di haircut da parte di altri<br />

Paesi “salvati” dalla Troika, come Portogallo<br />

e Irlanda.<br />

Questi comprensibili motivi valgono anche<br />

per l’Italia? No, il nostro Paese è in una posizione<br />

diversa e ha interessi diversi. Che non<br />

ha fatto valere. Vediamo perché.<br />

La vulgata data in pasto all’opinione pubblica<br />

europea ha trasformato questa crisi in un<br />

duello greco-tedesco. Conseguentemente il<br />

dibattito è stato monopolizzato dalla questione<br />

dei diritti e doveri di creditori e debitori.<br />

Fino a che punto la Grecia - che chiede soldi<br />

alla Germania - ha il diritto di anteporre le<br />

esigenze umanitarie al rispetto degli impegni<br />

presi? Fino a che punto le scelte democratiche<br />

hanno il diritto di ridiscuterli? Fino a che<br />

punto l’impegno finanziario tedesco dovrebbe<br />

tenere conto della solidarietà tra europei?<br />

20<br />

18 luglio 2015


ECONOMIA<br />

di Stefano Bartolini *<br />

na era salvare la Grecia e non le banche tedesche<br />

e francesi che sarebbero state travolte<br />

dalla default greca. Fin qui c’era una oggettiva<br />

convergenza di interessi tra italiani da un lato,<br />

tedeschi e francesi dall’altro, a gettare denaro<br />

in questa operazione. Ma l’accordo attuale<br />

segna la fine di questa convergenza di interessi.<br />

Perché tra un po’ ci troveremo di fronte<br />

al solito problema: o sborsare altri soldi o la<br />

Grexit. I tedeschi visibilmente prediligono la<br />

seconda opzione. Che per noi vorrebbe dire<br />

che avremmo perduto i nostri soldi, il debito<br />

pubblico italiano si espanderebbe significativamente<br />

e il rischio di contagio anche. Un disastro.<br />

L’alternativa è pagare ancora, sempre<br />

che tedeschi e francesi siano disposti a farlo.<br />

Per questo l’accordo attuale non è nei nostri<br />

interessi. L’unica cosa che ci conveniva<br />

era un taglio del debito greco che riportasse<br />

la situazione greca in una condizione sostenibile.<br />

Naturalmente avremmo poi dovuto<br />

affrontare le prevedibili richieste di taglio del<br />

debito da parte di Portogallo e Irlanda. E questo<br />

è certamente un problema. Ma in questo<br />

siamo in una situazione molto diversa da<br />

Francia e Germania. Noi non abbiamo solo<br />

il problema di non creare incentivi perversi<br />

ai Paesi debitori, abbiamo anche il problema<br />

di non creare incentivi perversi alle banche<br />

tedeschi e francesi. Mi spiego: è vero, i greci<br />

sono stati scorretti, hanno truccato i conti<br />

pubblici. Ma non avevano ingannato tutti. Le<br />

banche del resto dei Paesi europei non avevano<br />

accumulato un’esposizione così forte<br />

nei confronti del debito pubblico greco come<br />

quelle tedesche e francesi. Le banche italiane<br />

ad esempio erano state molto più prudenti.<br />

La verità è che noi italiani - come molti altri<br />

europei- stiamo pagando l’imprudenza del<br />

sistema bancario tedesco e francese.<br />

Come pensate che si senta un banchiere tedesco<br />

e francese dopo questa storia? Bene, molto<br />

bene. Si sente rassicurato di poter imbottire<br />

i suoi bilanci di titoli rischiosi sapendo che se<br />

tutto va bene i profitti saranno suoi e se le cose<br />

vanno storte a pagare saranno i contribuenti<br />

europei, esito assicurato dalla incredibile forza<br />

negoziale di Germania e Francia nell’Eurozona.<br />

Detto nel gergo degli economisti, noi<br />

non abbiamo solo un problema con l’azzardo<br />

morale dei Paesi più deboli, ce l’abbiamo anche<br />

con le banche dei Paesi più forti.<br />

Per questi motivi dovevamo alzare la voce,<br />

per questo dovevamo minacciare di rovesciare<br />

il tavolo. Stiamo mettendo una valanga di<br />

soldi per poi trovarci probabilmente ad avere<br />

ottenuto solo il salvataggio delle banche<br />

tedesche e francesi. Che non era di sicuro la<br />

nostra priorità.<br />

Da questa storia l’immagine volitiva di Renzi<br />

esce decisamente appannata. Il decisionismo<br />

del rottamatore sembra riservato ai sindacati<br />

e all’opposizione interna al suo partito ma in<br />

Europa egli appare obbediente e sussiegoso<br />

fino all’autolesionismo nazionale. Anche Padoan<br />

ci fa una pessima figura. Tutto questo<br />

almeno ci rende più affidabili agli occhi dei<br />

partners europei? No, ci rende più inaffidabili:<br />

perché questo è l’ennesimo episodio di un’irresponsabilità<br />

del nostro Paese nei confronti<br />

delle sue finanze pubbliche. L’Italia appare<br />

ancora una volta dilapidare senza costrutto i<br />

soldi dei suoi contribuenti e questo non giova<br />

affatto alla nostra reputazione in Europa.<br />

In questo complicato incastro di interessi<br />

convergenti e divergenti dei Paesi europei,<br />

l’unico Paese che è in una posizione analoga<br />

alla nostra è la Spagna, altro sostanzioso contributore<br />

al salvataggio delle banche tedesco<br />

e francesi. Quanto detto vale quindi anche<br />

per il governo spagnolo.<br />

*professore di Economia politica,<br />

Università degli Studi di Siena<br />

La verità è<br />

che noi italiani<br />

stiamo pagando<br />

l’imprudenza<br />

del sistema<br />

bancario<br />

tedesco<br />

e francese.<br />

Come pensate<br />

si senta<br />

un banchiere<br />

tedesco<br />

o francese dopo<br />

questa storia?<br />

Molto bene<br />

18 luglio 2015<br />

21


IL MONOLOGO<br />

di Mimmo Calopresti<br />

Devo continuare<br />

ad ascoltare mia figlia<br />

per capirci qualcosa<br />

N<br />

on bacerò mai un rospo papà, mi fa schifo. Va bene, ma<br />

così non saprai mai se diventerà un principe. Non mi interessa,<br />

l’importante è che io sia una principessa, se non<br />

incontro un principe va bene lo stesso. Un grosso rospo,<br />

nero e dall’aspetto piuttosto repellente è attorniato da<br />

un gruppo di bambini, mia figlia è a una rispettosa distanza dall’animale<br />

che si è installato in mezzo al cortile al centro di Pescia Fiorentina. Si<br />

è naturalmente posizionata al punto giusto, è la più vicina perché deve<br />

essere la più coraggiosa del piccolo gruppo, glielo impone il ruolo, lei ha<br />

finito la prima elementare gli altri sono ancora da materna. Ad ogni piccolo<br />

movimento di quello che anch’io ormai guardo senza motivo come<br />

un mostro, c’è un balzo indietro collettivo, qualche urlo che si disperde<br />

subito nell’ambiente. Sono completamente suggestionato dall’atteggiamento<br />

di quel piccolo gruppo di bambini. Un po’ alla volta, per piccoli<br />

passi, con argomentazioni minime sono arrivati ad un pensiero comune:<br />

il rospo è una bestia repellente e pericolosa.<br />

Mia figlia dopo un promettente inizio, forse è un principe che una magia<br />

ha trasformato in un rospo, si allinea al pensiero comune: è brutto e un<br />

po’ schifoso. In mezzo a quel pratone rialzato si respira un’aria di dignitosa<br />

antichità non c’è niente che abbia valore storico oppure moderno,<br />

non c’è nessun rifacimento stilistico che ha beneficiato di un benessere<br />

economico magari temporaneo. No, ci sono alcune case di fattura modesta<br />

così come sono le case rurali, essenziali e senza fronzoli, il massimo<br />

della stilizzazione sono le scale a vista che portano da terra al piano<br />

superiore. Ed e tutto. A rendere ancora più semplice la decorosa semplicita<br />

del luogo è il vecchio scivolo in mezzo alla piazza, e quattro tronchi<br />

22 18 luglio 2015


segati ad arte per la gioia dei bambini che ci possono zompettare sopra<br />

producendo salti che ai loro occhi sembrano miracolosi. Si sentono nelle<br />

loro giravolte dei grandi ginnasti, vicini a prestazioni olimpiche. È un<br />

bel gioco, qualche volta mi piacerebbe mettermi in coda ed aspettare il<br />

mio turno, ma mi vergogno. Aspetterò il momento che nessuno mi può<br />

vedere per farlo. Devo crescere, penso tra me e me, diventare grande e<br />

anche io, come mia figlia, essere il più coraggioso del gruppo. Alcuni saltelli<br />

più robusti del rospo tesi a rompere l’accerchiamento dei bambini,<br />

provocano fughe e altre stridule grida. Papà che dobbiamo fare, niente<br />

stare fermi, va bene ma lui scappa, e allora? Mica lo dovete fare prigioniero,<br />

no questo no, ma è pericoloso, non credo, ma io non volevo dirti<br />

che dovremmo ucciderlo, non lo voglio baciare ma neanche uccidere.<br />

Mentre partecipo a questo dibattito, seguo con crescente soddisfazione<br />

sul mio telefonino i risultati del referendum che si fa in Grecia. Il No<br />

all’accordo con l’Europa ormai vince senza problemi, ne ero sicuro ma<br />

nei giorni precedenti molti avevano insinuato che avrebbero vinto i sì,<br />

ma soprattutto che sarebbe stato meglio che vincessero i sì. Ero un po’<br />

ossessionato dalle manifestazioni in cui sui cartelli sfilavano i Nai (sì)<br />

Oxi (No), ogni tanto mi chiedevo se i greci non si sarebbero confusi. No<br />

non si sono confusi, e hanno vinto. Meno male le ragioni dei potenti<br />

non sempre vincono. Mentre mi chiedo che cosa succederà ora, come si<br />

può vincere questa guerra senza quartiere, mi ronza nella testa uno slogan<br />

del passato: “Colpirne uno per educarne cento”, questo mi sembra il<br />

sunto di tutte le dichiarazione dei leader europei. Terrorismo puro. Chi<br />

non terrorizza si ammala di terrore diceva De André. Papà, Alice mi ha<br />

dato un calcio e io l’ho detto alla maestra che l’ha messa in riflessione.<br />

Amore ma qualche volta bisogna rispondere, dalle un calcio anche tu.<br />

No papà se faccio così punisce anche me la maestra. Logica stringente,<br />

piuttosto esatta e realista. È difficile predire il futuro, fare la cosa giusta.<br />

Penso che devo continuare ad ascoltare mia figlia per capire qualcosa.<br />

Amore ma perché la maestra non la punisce Alice e la mette solo in riflessione,<br />

cosa vuol dire? Che deve pensare a quel che ha fatto e questo<br />

già importante. La democrazia difficile a farsi, mi viene da dire. Speriamo<br />

che la Grecia vinca questa battaglia contro i mostri della finanza, ne<br />

avremmo bisogno tutti noi. Papà, ma perché vogliono tutti quei soldi dai<br />

greci se non ce l’hanno? Non lo so amore, non riesco a capirlo neanche<br />

io. Gli basterebbe anche la metà. Non lo so amore se gli basterebbe la<br />

metà, ma sarebbe un bel passo avanti per i greci e tutti noi.<br />

18 luglio 2015<br />

23


STORIA DI COPERTINA<br />

<strong>KEYNES</strong>IANI DI TUTTO<br />

IL MONDO, UNITEVI<br />

Post-keynesiani, neo-keynesiani, Modern money theory. C’è chi da tempo<br />

indica un altro modello di economia. Che punta su piena occupazione<br />

e stabilità dei prezzi. Senza preoccuparsi del rapporto tra deficit e Pil<br />

di Giacomo Bracci<br />

«Com’è possibile che nessuno si sia accorto<br />

che stava arrivandoci addosso questa crisi spaventosa?»,<br />

dichiarava, già nel 2008, la Regina<br />

Elisabetta in occasione di un incontro con economisti<br />

della London School of Economics. È<br />

noto da tempo, infatti, che l’analisi dell’anatomia<br />

delle crisi finanziarie è stata assente nelle<br />

teorie economiche mainstream. Lo dice anche<br />

l’ex capo economista del Fondo monetario<br />

internazionale Olivier Blanchard: «La crisi ha<br />

chiarito che questa visione era sbagliata, e che<br />

c’è bisogno di riconsiderarla seriamente». Secondo<br />

Blanchard abbiamo utilizzato modelli<br />

economici che semplificano in maniera eccessiva<br />

il funzionamento del sistema finanziario.<br />

Il risultato? L’euro come si presenta oggi, tanto<br />

per cominciare, con una Banca centrale europea<br />

deputata al controllo dell’inflazione e dei<br />

tassi di interesse, resa “credibile” agli occhi dei<br />

mercati finanziari grazie al divieto di finanziare<br />

i disavanzi pubblici degli Stati membri dell’Eurozona:<br />

l’idea era che sarebbe stata sufficiente,<br />

mostrarsi rigidi, per difendersi dall’arrivo delle<br />

crisi finanziarie.<br />

L’edificio teorico delle teorie mainstream<br />

(quelle, sempre per capirci, che sostengono<br />

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi quando<br />

discettano dell’austerità espansiva, convinti<br />

che il rispetto della disciplina di bilancio da<br />

parte degli Stati avrebbe incentivato il consumo<br />

degli agenti privati) poggia sull’idea che<br />

gli Stati debbano dimostrare ai mercati di essere<br />

dei “buoni padri di famiglia”. Solo così gli<br />

investitori saranno disponibili a sottoscrivere<br />

i titoli degli Stati virtuosi. Per tentare poi di<br />

stimolare consumi e investimenti (siccome il<br />

modello non funziona poi benissimo) alle misure<br />

di contenimento del bilancio pubblico, si<br />

affiancano le famose riforme strutturali e l’utilizzo<br />

di politiche monetarie espansive come<br />

il quantitative easing. Tuttavia, queste misure<br />

non sembrano dare i risultati sperati e il dibattito<br />

accademico e politico appare colmo<br />

di analogie con l’altra grande crisi finanziaria<br />

globale, quella del 1929.<br />

In quel caso, fu John Maynard Keynes a fornire<br />

un cambiamento di paradigma rispetto alle<br />

ricette fornite dai “classici” e fondate sull’idea<br />

che in caso di eventi traumatici la flessibilità<br />

dei prezzi e dei salari avrebbe consentito di<br />

tornare a uno stato di equilibrio, qualora non<br />

vi fossero impedimenti all’operare del libero<br />

mercato. Questo argomento era considerato<br />

da Keynes come una fallacia di composizione:<br />

la riduzione dei salari rappresenta un vantaggio<br />

per l’imprenditore che li deve erogare ma al<br />

contempo riduce il reddito del lavoratore che<br />

li deve ricevere. Di conseguenza, il tentativo<br />

simultaneo di imprese, lavoratori e Stato di ridurre<br />

la propria spesa porta l’intera economia<br />

a deprimere il proprio reddito. La soluzione,<br />

per Keynes, risiedeva nella possibilità che lo<br />

24 18 luglio 2015


POST <strong>KEYNES</strong>IANI<br />

NEO <strong>KEYNES</strong>IANI<br />

Interpreti radicali del pensiero di Keynes,<br />

sottolineano la necessità di un intervento<br />

pubblico nell’economia per stabilizzarla<br />

JOHN <strong>MA</strong>YNARD<br />

<strong>KEYNES</strong><br />

Ala sinistra dell’economia mainstream,<br />

ritengono l’intervento pubblico necessario<br />

nei periodi di recessione<br />

PIERO SRAFFA<br />

Nato a Torino, a Ordine Nuovo<br />

è con Gramsci, poi Keynes<br />

lo chiama a collaborare a<br />

Cambridge. Muore nel 1983<br />

HY<strong>MA</strong>N MINSKY<br />

Morto nel 1996, statunitense,<br />

ha studiato i<br />

mercati finanziari e le<br />

bolle speculative<br />

PAUL SAMUELSON<br />

Nobel nel 1970, muore nel 2009. Con Hicks porta keynes<br />

nella sintesi neoclassica. Disse: «La storia ha dimostrato che i<br />

capitalisti vanno carichi di ottimismo anche al loro funerale»<br />

PIERANGELO GAREGNANI<br />

MIlanese, allievo di Sraffa,<br />

muore nel 2011.<br />

Studia soprattutto la<br />

distribuzione del reddito<br />

LUIGI PASINETTI<br />

Come Caregnani e Sraffa,<br />

lavora tra l’Italia<br />

e Cambridge. Suo il libro<br />

Keynes e i keynesiani<br />

di Cambridge<br />

JOSEPH<br />

STIGLITZ<br />

Premio Nobel nel<br />

2001. Saggista ciritico<br />

sulla globalizzazione,<br />

ha sostenuto<br />

il movimento Occupy.<br />

PAUL<br />

KRUG<strong>MA</strong>N<br />

Nobel nel 2008, lo<br />

leggete su New York<br />

Times. Per scelta ha<br />

lasciato Princeton<br />

per l’Università di<br />

New York, pubblica<br />

LAWRENCE H.<br />

SUMMERS<br />

È stato Rettore a Harvard,<br />

e Segretario al<br />

Tesoro degli Usa.<br />

JAMES K.<br />

GALBRAITH<br />

Esponente della<br />

Mmt, consigliere di<br />

Obama. Per lui gli<br />

Usa sono dominati<br />

da una «classe<br />

predatoria»<br />

WARREN<br />

MOSLER<br />

Da imprenditore<br />

produce supercar,<br />

da economista è il<br />

massimo teorico<br />

della Mmt<br />

STEPHANIE<br />

KELTON<br />

Capo economista<br />

nella commissione<br />

Bilancio del Senato<br />

Usa, scrive spesso<br />

con Randall Wray<br />

EMILIANO BRANCACCIO<br />

Insegna all’Università<br />

del Sannio. Per il Sole24Ore<br />

è «di impostazione marxista,<br />

ma aperto a innovazioni<br />

ispirate dai contributi di<br />

Keynes e Sraffa»<br />

FRANCESCO<br />

SARACENO<br />

«Questa è una recessione<br />

da primo anno di<br />

economia: keynesiana.<br />

Manca lo stimolo alla domanda<br />

privata», spiega<br />

agli studenti di Luiss<br />

e SciecesPo<br />

GREG<br />

<strong>MA</strong>NKIW<br />

Economista<br />

di Harvard, è<br />

nell’orbita dei<br />

Repubblicani.<br />

Keynesiano si, ma<br />

preocuppato dal<br />

debito eccessivo<br />

18 luglio 2015<br />

25


STORIA DI COPERTINA<br />

Stato potesse fornire all’economia la domanda<br />

che manca quando l’incertezza sul futuro<br />

porta gli imprenditori a deprimere i propri<br />

animal spirits e le famiglie a risparmiare. Gli<br />

eredi odierni di Keynes hanno avuto maggiore<br />

fortuna dei colleghi mainstream nelle loro previsioni.<br />

E ci saremmo risparmiati lunghissimi<br />

vertici notturni, se li avessimo ascoltati di più.<br />

Ma non è mai troppo tardi.<br />

Molte sono le derivazioni del pensiero di<br />

Keynes, inizialmente portato avanti dal famoso<br />

gruppo dei keynesiani di Cambridge, che<br />

includeva nomi come Maurice Dobb, Nicholas<br />

Kaldor, l’italiano Piero Sraffa e l’eccentrica<br />

Joan Robinson, la quale dichiarava che lo scopo<br />

di studiare economia «non è acquisire un<br />

insieme di risposte preconfezionate alle questioni<br />

economiche, bensì imparare come evitare<br />

di farsi ingannare dagli economisti».<br />

È di particolare attualità lo studio dell’effetto<br />

che i mercati finanziari producono sull’economia<br />

reale, condotto dall’economista americano<br />

- sempre post-keynesiano - Hyman Minsky,<br />

divenuto celebre per la sua “ipotesi di instabilità<br />

finanziaria”. Lo è a tal punto che nel 1998<br />

Paul McCulley, del noto fondo di investimenti<br />

Pimco, ha coniato l’espressione Minsky moment<br />

per descrivere l’effetto di una crisi finanziaria.<br />

Secondo Minsky, l’instabilità genera cicli<br />

di espansione e recessione che non sono patologie<br />

inattese dell’economia, come vorrebbero<br />

alcune interpretazioni mainstream, bensì caratteristiche<br />

strutturali del funzionamento dei<br />

Emettere moneta, nella Mmt, è come assegnare punti<br />

ad ogni goal. L’arbitro non può rimanere “a corto di”<br />

punti; i governi non possono restare a corto di moneta<br />

mercati. L’unica possibilità per neutralizzarne<br />

gli effetti è, secondo Minsky, la presenza di una<br />

banca centrale e di un settore pubblico che agiscano<br />

da prestatore e datore di lavoro di ultima<br />

istanza. Alla faccia dell’ossessione per il debito<br />

pubblico, insomma, non è quello il problema,<br />

anzi: un altro post-keynesiano britannico,<br />

Wynne Godley, attraverso una semplice identità<br />

contabile, mostrava come il saldo del settore<br />

privato di un Paese, ovvero la differenza fra<br />

quanto lavoratori e imprese nazionali spendono<br />

e quanto investono, può essere positivo solo<br />

se al contempo esiste un disavanzo dello Stato,<br />

un surplus commerciale nei confronti dell’estero,<br />

o entrambi. Perciò, se esiste un vincolo alla<br />

crescita del disavanzo, l’unica possibilità per<br />

evitare che cittadini e imprese di un Paese si indebitino<br />

nel loro complesso è realizzare surplus<br />

commerciali (ovvero esportare più di quanto si<br />

importa).<br />

Si spinge oltre un altro gruppo di economisti,<br />

quello della Modern money theory (Mmt), che<br />

secondo Federico Rampini, corrispondente<br />

Usa di la Repubblica, «è ben più radicale del<br />

pensiero “keynesiano di sinistra” al quale siamo<br />

abituati». «Il “nuovo Keynes”», spiegava Rampini<br />

nel 2012, «oggi non è un profeta isolato.<br />

Galbraith Jr. è solo il più celebre dei cognomi,<br />

ma la Mmt è una vera scuola di pensiero, ricca<br />

di cervelli e di think tank. Così come la destra<br />

reaganiana ebbe il suo pensatoio nell’Università<br />

di Chicago (dove regnava negli anni Settanta<br />

il Nobel dell’Economia Milton Friedman), oggi<br />

l’equivalente “a sinistra” sono la University of<br />

Missouri a Kansas City, il Bard College nello<br />

Stato di New York, il Roosevelt Institute di Washington».<br />

La teoria afferma che la moneta è<br />

uno strumento utilizzato dai governi per attirare<br />

risorse reali come beni, servizi e forza<br />

lavoro da utilizzare poi nelle proprie politiche<br />

pubbliche. Secondo l’economista Warren<br />

Mosler (recentemente intervistato da Left), la<br />

moneta è un monopolio pubblico che viene<br />

utilizzato da lavoratori e imprese di un Paese<br />

poiché essa è l’unico mezzo accettato dai governi<br />

in pagamento delle tasse. Emettere moneta<br />

quindi, nella Modern money theory può<br />

essere paragonato ad assegnare punti ogni<br />

volta che una squadra di calcio segna un goal:<br />

così come l’arbitro non può restare “a corto di<br />

punti”, i governi non possono restare a corto<br />

di moneta. La differenza tra la moneta spesa<br />

e quella incassata tramite la tassazione, cioè il<br />

deficit, corrisponde ai risparmi accumulati da<br />

lavoratori ed imprese. Secondo Stephanie Kelton,<br />

attualmente all’interno della Commissione<br />

Bilanci del Senato Usa, ciò significa che non<br />

sono le tasse a fornire il finanziamento iniziale<br />

della spesa pubblica: esse anzi “distruggono”<br />

la ricchezza finanziaria precedentemente<br />

immessa dai governi sotto forma di spesa<br />

pubblica. Perciò, secondo uno dei maggiori<br />

26 18 luglio 2015


CINQUE LIBRI PER DIVENTARE<br />

<strong>KEYNES</strong>IANI. ALMENO UN PO’<br />

precursori della Mmt, l’economista Abba Lerner,<br />

i governi dovrebbero avere come obiettivi<br />

principali la piena occupazione e la stabilità<br />

dei prezzi, e non certo quello di preoccuparsi<br />

del rapporto tra deficit e Pil.<br />

Ecco però l’obiezione storicamente più diffusa<br />

all’utilizzo di politiche fiscali in disavanzo: l’inflazione,<br />

la stessa che è sottostante al divieto di<br />

finanziamento monetario dei deficit pubblici<br />

da parte della Bce. Anche qui gli eredi di Keynes,<br />

soprattutto gli italiani come Piero Sraffa, Paolo<br />

Sylos Labini, Luigi Pasinetti, e Pierangelo Garegnani,<br />

hanno mostrato che la realtà è più complessa<br />

di quanto appaia. Attraverso i loro studi è<br />

possibile comprendere come l’andamento dei<br />

prezzi non rifletta necessariamente la quantità<br />

di moneta presente nell’economia. Ne è prova il<br />

fatto che a fronte delle massicce immissioni di<br />

moneta, il tasso di inflazione nell’Eurozona sia<br />

pari allo 0,2 per cento e non abbia mai superato<br />

il 4 per cento negli Stati Uniti dal 2009 al 2015,<br />

quando essi - riuscendo loro sì a rianimare l’economia<br />

- hanno realizzato ampi deficit pubblici<br />

oltre che operazioni di politica monetaria<br />

come il quantitative easing.<br />

Ma se è così facile, tutto così semplice, perché<br />

queste teorie non vengono prese in considerazione?<br />

Ecco che entriamo nel campo della<br />

politica (ben consapevoli che la “tecnica”<br />

non esiste, come l’esperienza del governo di<br />

Mario Monti insegna). In un famoso articolo<br />

del 1943, l’economista Michal Kalecki (uno<br />

dei primi interpreti della sintesi fra il pensiero<br />

marxiano e quello keynesiano) spiegava<br />

come un’economia in stato di piena occupazione<br />

potrebbe ridurre il grado di controllo sul<br />

lavoratore e la distribuzione dei diritti sociali,<br />

sebbene determini una crescita generale dei<br />

consumi e degli investimenti. E persino gli<br />

economisti Carl Shapiro e Joseph Stiglitz - assai<br />

meno “eretici” di Kalecki - affermavano, nel<br />

1984, come l’esistenza della disoccupazione<br />

permettesse alle imprese di “disciplinare” i lavoratori,<br />

inducendo coloro che sono all’interno<br />

della forza lavoro ad accettare le condizioni<br />

vigenti al fine di non essere “puniti” attraverso<br />

il licenziamento.<br />

Sarà per questo che il “keynesismo” in tutte le<br />

sue sfaccettature è stato vituperato dalle classi<br />

dirigenti meno inclini al progressismo?<br />

<strong>MA</strong>RX & <strong>KEYNES</strong>. UN RO<strong>MA</strong>NZO<br />

ECONOMICO - PIERANGELO DACRE<strong>MA</strong><br />

Marx e Keynes vengono richiamati<br />

in vita e fatti incontrare. È un<br />

romanzo, ma anche un manifesto.<br />

Dal loro sodalizio si svilupperà un<br />

pensiero capace di cambiare il<br />

mondo.<br />

COMBATTERE LA POVERTÀ. LAVORO<br />

NON ASSISTENZA - HY<strong>MA</strong>N MINSKY<br />

Una raccolta di scritti che delineano<br />

e argomentano la tesi secondo<br />

cui la povertà vada combattuta<br />

creando direttamente lavoro e non<br />

con politiche di assistenza, meri<br />

sussidi o riduzione di imposte.<br />

LA MONETA - ANDREA TERZI<br />

L’economista spiega in maniera<br />

accessibile il funzionamento del<br />

sistema monetario, del processo<br />

di creazione della moneta e delle<br />

ipotesi più attendibili in merito<br />

alla sua origine.<br />

<strong>KEYNES</strong> E I <strong>KEYNES</strong>IANI DI<br />

CAMBRIDGE - LUIGI PASINETTI<br />

La tesi di questo saggio è che la<br />

“rivoluzione” alla quale Keynes, e<br />

i “keynesiani”, in senso lato, hanno<br />

nel loro insieme mirato è rimasta<br />

incompiuta, e che sia ancora possibile<br />

conseguirla.<br />

L’AUSTERITÀ È DI DESTRA - EMILIANO<br />

BRANCACCIO E <strong>MA</strong>RCO PASSARELLA<br />

Il mantra del taglio della spesa<br />

pubblica è sempre più difficile da<br />

sostenere, ma è sempre lì, in cima<br />

ai desideri della troika. Perché<br />

l’austerità non è una scelta obbligata,<br />

ma politica. Conservatrice.<br />

18 luglio 2015<br />

27


STORIA DI COPERTINA<br />

LA SINISTRA EUROPEA<br />

ABBANDONERÀ LA TERZA VIA?<br />

Lo Stato non è un «buon padre di famiglia» né un’azienda. Lo Stato deve spendere,<br />

perché aumentare le tutele fa girare l’economia. Parla James Galbraith,<br />

il più gufo degli economisti, consigliere di Obama e intimo di Varoufakis<br />

di Stefano Santachiara<br />

James Galbraith è il “gufo del deficit”<br />

per antonomasia. Come il padre John<br />

Kenneth, gran consigliere di Roosevelt<br />

e di J.F. Kennedy, è fonte inesauribile<br />

di proposte di stampo keynesiano. Da<br />

Yanis Varoufakis all’amministrazione<br />

Obama, le scelte cruciali passano per<br />

l’illustre docente di Public Policy dell’università<br />

del Texas. Ma è uomo da dietro<br />

le quinte, Galbraith, e bada alla sostanza,<br />

quella che spaventa il mainstream<br />

e affascina il mondo della sinistra.<br />

Nell’intervista concessa in esclusiva a<br />

Left non usa mezzi termini per descrivere<br />

i disastri della Troika<br />

che rifiuta di «riconoscere<br />

i fallimenti precedenti»<br />

e cerca di «distruggere<br />

il governo greco eletto».<br />

A suo avviso anche un<br />

accordo migliorativo sul<br />

debito non basta, per la crescita economica<br />

e sociale è necessario costruire<br />

un’Unione che non sia solo monetaria.<br />

C’è tutta la sua teoria economica, nel<br />

ragionamento. Per Galbraith, infatti,<br />

occorre rovesciare il dogma neoliberale<br />

che considera lo Stato come una<br />

famiglia o un’azienda, perché il deficit<br />

di bilancio consente di realizzare «investimenti<br />

pubblici di capitale sia a breve<br />

che a lungo termine». E ancora: «Incrementare<br />

le tutele è una maniera semplice,<br />

diretta, progressiva ed efficiente per<br />

prevenire la povertà e sostenere il potere<br />

d’acquisto di questa popolazione così<br />

vulnerabile». Manca solo, dunque, di<br />

convincere i socialdemocratici. Misura<br />

le parole ma considera possibile, per la<br />

sinistra, l’emancipazione dalla Terza via:<br />

«Sta già accadendo, in Spagna e in Irlanda».<br />

Ma non gioite troppo presto: «Non<br />

accadrà in Italia», aggiunge, «a meno<br />

che il Pd non trovi coraggio e si faccia<br />

portatore di una visione differente»<br />

Il governo Tsipras stretto all’angolo<br />

I mezzi di comunicazione riflettono gli<br />

interessi dei loro proprietari che hanno<br />

davvero poco in comune con quelli dei<br />

loro spettatori. Ecco perché le teorie<br />

post keynesiane non trovano spazio<br />

dalla Troika. Chi sono i maggiori responsabili<br />

di questa situazione?<br />

La responsabilità principale è di coloro<br />

che hanno progettato un sistema economico<br />

così disfunzionale, di quelli che<br />

hanno voluto il disastroso salvataggio<br />

bancario del 2010 e della leadership<br />

europea attuale - inclusa la presidente<br />

del Fondo Monetario, Christine Lagarde<br />

- che hanno rifiutato di riconoscere<br />

i fallimenti precedenti.<br />

Le vostre teorie post keynesiane<br />

spiegavano gli effetti recessivi<br />

dell’austerity. Perché sono state così<br />

combattute, mai prese in considerazione?<br />

Nella maggior parte dei casi, i mezzi<br />

di comunicazione mainstream riflettono<br />

gli interessi finanziari dei loro<br />

proprietari, che hanno davvero poco<br />

in comune con quelli dei loro spettatori<br />

o lettori, ecco perché.<br />

Quali? Perché il capitalismo finanziario<br />

teme tanto le vostre proposte?<br />

Pensavo, ad esempio, al signor Murdoch.<br />

Il fatto che abbia una preferenza<br />

per governi che facilitano il suo<br />

business e che si opponga a governi<br />

che invece sostengono gli interessi di<br />

una più ampia fascia della popolazione<br />

è una sorpresa? Spero di no.<br />

L’amministrazione Obama, dopo la<br />

crisi del 2008, ha aumentato il disavanzo<br />

pubblico fino al 10 per cento<br />

del Pil per rispondere ai bisogni sociali.<br />

Lei l’ha influenzata?<br />

Non ho avuto alcuna influenza<br />

sull’amministrazione Obama, al di là<br />

di alcune forme di supporto tecnico a<br />

una forte manovra per la ripresa nel<br />

2009 (il piano da 787 miliardi investiti<br />

in sanità, welfare, infrastrutture e riduzione<br />

delle tasse sul lavoro, nda).<br />

28 18 luglio 2015


© Claudio Peri/Ansa/Epa<br />

Le parole chiave<br />

Deficit<br />

L’incubo dell’Eurozona che nei<br />

patti di stabilità ha fissato vincoli<br />

inflessibili: il rapporto tra disavanzo<br />

di bilancio e Prodotto interno<br />

lordo non può superare il<br />

3%, quello tra debito pubblico e<br />

Pil il 60%.<br />

Investimenti<br />

Il piano dell’amministrazione<br />

Obama del 2009, a cui ha collaborato<br />

James Galbraith, ha sviluppato<br />

una spesa pubblica di<br />

787 miliardi di dollari innalzando<br />

il deficit oltre il 10% rispetto<br />

al Pil.<br />

Tutele<br />

I settori di intervento sono stati le<br />

infrastrutture, l’efficienza energica,<br />

la sanità, l’istruzione, i sussidi<br />

per la disoccupazione, la detassazione<br />

per imprese e lavoratori.<br />

Nell’ottica keynesiana, l’aumento<br />

di tutele sociali, oltre a constastare<br />

le disuguaglianze, innesca<br />

un aumento di consumi e di produzioni<br />

che innescano un circolo<br />

virtuoso sui livelli occupazionali<br />

e sulle entrate erariali.<br />

Quali sarebbero le conseguenze per<br />

Grecia ed Eurozona, in caso di Grexit?<br />

Il problema di fare default dentro<br />

l’Eurozona è che la Bce controlla le<br />

banche, e può chiuderle, come sta già<br />

facendo. Presumibilmente, lo scopo è<br />

quello di distruggere il governo eletto,<br />

sostituendolo con un nuovo governo<br />

che obbedirà agli ordini e non opporrà<br />

resistenza. È un approccio molto miope<br />

che finirà per distruggere la credibilità<br />

e la legittimità della Bce, se non<br />

lo ha già fatto.<br />

Una politica di tassazione progressiva<br />

e di investimenti pubblici,<br />

senza scomodare il socialismo,<br />

ha funzionato bene negli Usa, da<br />

Roosevelt alla fine degli anni Sessanta<br />

Nel 1993 quando lasciò lo Sme, l’Italia<br />

per ridare ossigeno all’export, privatizzò<br />

e svalutò il lavoro. È possibile<br />

un’uscita dall’euro attuando policy di<br />

sinistra contro le disuguaglianze?<br />

Come la non-dichiarazione di Zhou<br />

En-Lai (importante dirigente del Partito<br />

comunista cinese, fu capo di governo<br />

della Repubblica popolare cinese<br />

dal 1949 al 1976) sugli effetti della<br />

Rivoluzione francese: «È troppo presto<br />

per dirlo».<br />

Nella trattativa pesa anche l’ipotesi<br />

che la Grecia finisca nell’orbita della<br />

Russia. Quale ruolo giocano gli Usa?<br />

I russi sono troppo furbi per dare sponda<br />

a questa sorta di provocazioni infantili,<br />

e i greci sono troppo intelligenti per<br />

pensare altrimenti.<br />

Solo ora i media parlano di tradimento<br />

del progetto originario di Unione<br />

politica europea. Per una moneta<br />

come l’euro è necessario un sistema<br />

di trasferimenti fiscali tra Stati per riequilibrare<br />

le bilance dei pagamenti?<br />

I trasferimenti fiscali sarebbero più utili<br />

se destinati agli individui piuttosto che<br />

agli Stati. Ad esempio: un fondo comune<br />

per i sussidi di disoccupazione,<br />

un’unione dei fondi di previdenza, ed<br />

altre forme di sostegno al reddito e di<br />

protezione sociale.<br />

Complementarietà fra socialismo e<br />

keynesismo. Quali risultati potrebbe<br />

dare l’abbinamento di politiche redistributive,<br />

facendo leva su una forte<br />

tassazione progressiva, e piani strategici<br />

di investimenti pubblici?<br />

Il keynesismo non ha bisogno del socialismo,<br />

e il socialismo non ha bisogno<br />

del keynesismo. Detto ciò, una politica<br />

di tassazione progressiva e di investimenti<br />

pubblici, che non<br />

è stata né socialista né<br />

keynesiana, ma ha combinato<br />

alcuni elementi di<br />

entrambe le politiche con<br />

un sistema di imprese<br />

capitalistiche e garanzia<br />

dei diritti dei lavoratori, ha funzionato<br />

molto bene negli Stati Uniti a partire dal<br />

New Deal di Franklin Delano Roosevelt<br />

fino alla fine degli anni Sessanta. E in<br />

Europa durante i “gloriosi Trenta”.<br />

La sinistra europea abbandonerà la<br />

terza via neoliberale?<br />

Sta già accadendo, in Spagna e in Irlanda.<br />

Non accadrà in Italia a meno che il<br />

partito dominante, il Pd, non trovi coraggio<br />

e si faccia portatore di una visione<br />

differente.<br />

18 luglio 2015<br />

29


STORIA DI COPERTINA<br />

USA 1933,<br />

RITORNO A ROOSEVELT<br />

Costruire strade, dighe, bonificare i boschi. Dare<br />

potere ai sindacati e alzare i salari. Ecco come è<br />

andata quando gli Usa hanno dato retta a Keynes<br />

di Guido Iodice<br />

La prima applicazione delle teorie<br />

keynesiane fu senz’altro il New Deal,<br />

nel 1933, del presidente degli Stati<br />

Uniti Franklin Delano Roosevelt,<br />

in risposta alla crisi economico-finanziaria<br />

iniziata nel 1929. Si discute<br />

molto sull’influenza reale (pare<br />

modesta) che Keynes ebbe direttamente<br />

su Roosevelt. Ma quelle idee,<br />

che poi Keynes mise in ordine nella<br />

sua Teoria generale del<br />

1936, circolavano già da<br />

tempo, e senza dubbio<br />

influenzarono gli economisti<br />

del circolo rooseveltiano.<br />

Per capire la<br />

disperazione di quegli<br />

anni occorre richiamare qualche numero.<br />

Tra il 1929 e il 1933 il Prodotto<br />

interno lordo americano era crollato<br />

da 104 miliardi di dollari a 74 miliardi.<br />

Oltre 13 milioni di persone erano<br />

rimaste senza lavoro. La disoccupazione<br />

aveva raggiunto mediamente<br />

il 25 per cento della forza lavoro, ma<br />

in alcune città i dati erano ancor più<br />

drammatici: Chicago segnava il 40<br />

per cento, Detroit il 50. Centri più piccoli<br />

come Toledo nell’Ohio e Lowell<br />

nel Massachussets avevano toccato<br />

rispettivamente le incredibili percentuali<br />

dell’80 e del 90 per cento. Le<br />

file alle mense per i poveri divennero<br />

l’emblema di quell’epoca.<br />

Poi arrivò Roosevelt. Il New Deal fu<br />

orchestrato da un gruppo di economisti<br />

presi sia dall’accademia che<br />

dall’industria, soprannominati brain<br />

trust. Il programma fu messo in atto<br />

immediatamente, con tappe scadenzate<br />

nei primi cento giorni. Il primo<br />

passo fu mettere ordine nelle banche<br />

Roosevelt, appoggiato dai sindacati<br />

e odiato dalla borghesia conservatrice<br />

che lo definiva “comunista”, istituì il<br />

salario minimo e le pensioni pubbliche.<br />

Superò persino le aspettative di Keynes<br />

e stabilire una garanzia governativa<br />

per i depositi. Sempre sul fronte<br />

bancario, l’approvazione del noto<br />

Glass-Steagal act permise di separare<br />

le attività speculative dalla raccolta<br />

di risparmio. Sul fronte del lavoro<br />

si può parlare davvero di una guerra<br />

alla disoccupazione. Il governo istituì<br />

vari enti per creare lavori pubblici,<br />

uno dei quali, il Civilian conservation<br />

corps, era inteso come un grande<br />

esercito - che arrivò a più di mezzo<br />

milione di lavoratori - per la conservazione<br />

della natura e la valorizzazione<br />

delle terre di proprietà del gover-<br />

no. L’America in pochi anni cambiò<br />

volto. Furono costruite strade, punti,<br />

dighe, linee elettriche ancora oggi in<br />

uso e furono messe in sicurezza le<br />

foreste per prevenire inondazioni. La<br />

disoccupazione si abbassò di dieci<br />

punti fino al 1937 e non solo grazie<br />

all’aumento dei posti di lavoro creati<br />

dal governo, ma anche all’effetto<br />

moltiplicativo che riportò al lavoro<br />

milioni di americani nelle industrie<br />

private. Ma il riformismo rooseveltiano<br />

superò quello immaginato dallo<br />

stesso Keynes. Roosevelt, appoggiato<br />

dai sindacati ed odiato dalla borghesia<br />

conservatrice che lo definiva senza<br />

mezzi termini «comunista», istituì<br />

il salario minimo e le pensioni pubbliche,<br />

e inoltre stabilì che i datori<br />

di lavoro non potessero finanziare i<br />

sindacati, così da eliminare dalle fab-<br />

30 18 luglio 2015


detti “30 gloriosi”: quasi trenta anni<br />

di boom economico che accrebbero<br />

a ritmi vertiginosi la ricchezza in Occidente.<br />

Molti furono gli ingredienti<br />

di questo miracolo. Già dagli anni<br />

Trenta la legge bancaria americana fu<br />

imitata da altri Paesi. Sul lato monetario<br />

e finanziario, gli accordi di Bretton<br />

Woods misero ordine nel mercato<br />

delle valute e dei capitali, riuscendo a<br />

combinare il cambio fisso con la stabilità<br />

finanziaria (una lezione che gli<br />

architetti dell’eurozona non hanno<br />

voluto applicare). In effetti il trentennio<br />

keynesiano è stato il più lungo<br />

periodo privo di crisi finanziarie<br />

nella storia del capitalismo. Un largo<br />

welfare state e la forte progressività<br />

dell’imposizione fiscale offrivano<br />

potenti “riequilibratori automatici”<br />

per ammorbidire il ciclo economico.<br />

I salari reali (cioè il potere d’acquisto<br />

dei lavoratori) crescevano allo stesso<br />

ritmo della produttività, regalando<br />

al sistema economico l’equilibrio tra<br />

domanda e potenziale produttivo basato<br />

sui redditi e non sul debito privato,<br />

come è invece accaduto negli anni<br />

Novanta e 2000.<br />

briche i cosiddetti “sindacati gialli”.<br />

In questo modo i salari cominciarono<br />

ad aumentare, combattendo la deflazione<br />

che aveva caratterizzato i primi<br />

anni della crisi.<br />

Nel suo secondo mandato, Roosevelt<br />

tirò il freno e l’economia tornò<br />

in crisi. Siamo nel 1938. Ma ormai la<br />

guerra era lì ad un passo. Nel 1939 i<br />

preparativi per armare il Paese contro<br />

Hitler portarono nuovamente il Pil<br />

a crescere. Keynes, dalla Gran Bretagna,<br />

in un messaggio diffuso dalla<br />

Bbc sosteneva che «il bene può venire<br />

dal male. Se riusciremo a sconfiggere<br />

la disoccupazione per lo spreco degli<br />

armamenti, riusciremo a farlo anche<br />

per gli scopi produttivi della pace».<br />

E davvero così fu. Dopo la seconda<br />

guerra mondiale iniziarono i cosid-<br />

Il trentennio keynesiano è stato il più<br />

lungo periodo privo di crisi finanziarie<br />

nella storia del capitalismo. Un largo<br />

welfare e la forte progressività fiscale<br />

ammorbidiscono il ciclo economico<br />

Il sogno si infranse negli anni Settanta,<br />

dopo che il presidente americano Nixon<br />

lasciò che Bretton Woods saltasse<br />

in aria. Poco dopo la crisi petrolifera<br />

innescò la spirale prezzi-salari che<br />

portò all’inflazione a due cifre, difficile<br />

da controllare con sindacati forti.<br />

Furono le politiche monetarie restrittive,<br />

ispirate dal neo-monetarismo di<br />

Milto Friedman, a fermare l’inflazione,<br />

al prezzo di nuove crisi e instabilità<br />

nei decenni successivi. Negli anni<br />

Novanta si incominciano<br />

a smantellare anche<br />

gli istituti rooseveltiani:<br />

il settore bancario viene<br />

liberalizzato e così i<br />

movimenti di capitali. E<br />

a farlo è la sinistra dell’«Ulivo<br />

mondiale» (ricordate? Prodi,<br />

Clinton, Blair...), che negli Usa è rappresentata<br />

da Clinton e in Europa da<br />

molti degli architetti dell’euro. Le bolle<br />

finanziarie e il debito privato diventano<br />

il traino della instabile crescita<br />

che condurrà, nel 2008, alla più acuta<br />

crisi dopo quella del 1929. A portarci<br />

qui è stato proprio l’aver dimenticato<br />

la doppia lezione di Keynes, cioè che il<br />

capitalismo è un sistema potente ma<br />

instabile, e che esso non è in grado,<br />

da solo, di assicurare la piena occupazione<br />

e l’equa distribuzione della ricchezza<br />

e dei redditi.<br />

18 luglio 2015<br />

31


Vi spiego a cosa<br />

servono i 5 stelle<br />

Dall’antimafia che «è solo apparenza», a Roma che deve tornare alle elezioni<br />

«per liberarsi di Carminati», fino a Tsipras «che non va lasciato solo».<br />

Parla la deputata Giulia Sarti, voce critica del Movimento<br />

di Ilaria Giupponi<br />

«S<br />

ono 15 kg di dinamite», così la<br />

presentava Grillo dal palco, e<br />

mai descrizione del comico fu<br />

più azzeccata. Piccola, solare,<br />

spiccatamente riminese nei<br />

modi e nell’accento, ma con una grinta esplosiva.<br />

Non le parlate di ingiustizia, a Giulia Sarti,<br />

combattiva deputata del Movimento 5 stelle: 29<br />

anni, una laurea in Legge, è membro delle commissioni<br />

Giustizia e Antimafia, e naturalmente<br />

del movimento Agende Rosse. Left l’ha intervistata<br />

alla vigilia di un appuntamento importante.<br />

Il 19 luglio saranno 23 anni dall’uccisione del<br />

magistrato Paolo Borsellino. Qual è l’antimafia<br />

delle istituzioni vista dai 5 Stelle?<br />

Intende quella attuale o quella che dovrebbe<br />

essere e che non esiste? In questi due anni ho<br />

visto solo le eterne contraddizioni. Sono in una<br />

Commissione in cui alcuni membri potrebbero<br />

evitare di esserci, proprio per ciò che rappresentano.<br />

Prenda la collega del Pd, onorevole<br />

Enza Bruno Bossio (vedi box, nda): proprio<br />

lei si è permessa di depositare una proposta di<br />

legge per ribaltare tutto l’impianto che era stato<br />

messo in piedi dopo le stragi del 1992. Oggi i<br />

detenuti all’ergastolo e al 41bis se vogliono ottenere<br />

benefici penitenziari devono collaborare<br />

con la giustizia. La proposta del Pd prevede<br />

di darne anche a chi non lo fa. In questo modo<br />

il boss mafioso di turno può beneficiare di<br />

trattamenti di favore anche senza collaborare.<br />

È l’annullamento di quello che erano riusciti<br />

ad attuare, pur dopo la loro morte, Falcone e<br />

Borsellino, ovvero dare la possibilità allo Stato<br />

di conoscere tutti i gangli della criminalità<br />

grazie ai pentiti: con questa legge verrebbe<br />

a distruggersi. Questo è il Pd oggi. Un partito<br />

dell’antimafia dell’apparenza, piuttosto che<br />

dell’antimafia vera. È un’antimafia delle contraddizioni,<br />

quella che vedo oggi.<br />

Dall’avvio del processo sulla presunta trattativa<br />

Stato-mafia (2013) ci siamo dotati degli<br />

strumenti adatti? Di Matteo è più sicuro di<br />

quanto non lo fossero Falcone e Borsellino?<br />

Di Matteo è al sicuro dal punto di vista della<br />

protezione fisica, forse. Non da quello istituzionale.<br />

La nuova tecnica mafiosa non è più distruggere<br />

una persona mettendola in pericolo<br />

di vita: oggi, il modo per far fuori un magistrato<br />

passa dall’isolamento, dalla non considerazione.<br />

Ed è molto più pesante se un magistrato<br />

che per vent’anni ha combattuto contro la<br />

criminalità organizzata e contro i nodi perico-<br />

32 18 luglio 2015


losissimi tra mafia, politica e istituzioni, non<br />

può continuare a svolgere il suo ruolo perché<br />

viene rifiutata dal Csm la sua candidatura alla<br />

Procura nazionale antimafia. Se viene nominato<br />

quando si tratta di dargli la cittadinanza<br />

onoraria ma poi, quando si tratta di ascoltarlo<br />

per dotare la magistratura di strumenti efficaci<br />

per combattere la collusione Stato-mafia,<br />

i suoi consigli non sono bene accetti. Si è visto<br />

con l’approvazione della legge sul voto di<br />

scambio, non sta servendo a niente visto come<br />

è concepita e scritta male. E lo vediamo anche<br />

noi con i “pannicelli” caldi come la legge Anticorruzione<br />

approvata da poco. Tutte le volte<br />

in cui i magistrati come Di Matteo provano ad<br />

avanzare proposte, restano inascoltati. Come<br />

se non bastasse, il suo incarico alla Dda è terminato.<br />

Questa è una stortura immensa del nostro<br />

ordinamento: lo spreco di un patrimonio<br />

immenso come Di Matteo. Ora c’è un ricorso,<br />

vedremo come andrà a finire, ma secondo me<br />

c’è da riflettere sull’isolamento che si è creato<br />

intorno alla sua figura.<br />

A proposito di mafia, dopo quella Capitale,<br />

cosa dovrebbe fare Marino?<br />

Il M5s l’ha detto molte volte: Marino si sarebbe<br />

dovuto dimettere il giorno successivo alle ordinanze<br />

di custodia cautelare. Anzi, in realtà ben<br />

prima. Marino - non certo per contiguità con il<br />

sistema Buzzi-Carminati, ma per incapacità -<br />

non riesce ad assicurare una pulizia di tutta la<br />

corruzione che ha dilagato. Non è sostituendo<br />

qualche dirigente o commissariando qualche<br />

municipio che si può risolvere la situazione<br />

romana. Buzzi e Carminati continuavano ad<br />

avere rapporti indisturbati anche in quest’anno<br />

Di Matteo è sicuro dal punto di vista fisico<br />

forse, non da quello istituzionale. Il modo per<br />

far fuori un magistrato oggi è l’isolamento<br />

e mezzo. Chissà, magari stanno continuando a<br />

esistere tutt’ora contratti, appalti, rapporti in<br />

essere che noi ancora non conosciamo. Di fronte<br />

a una situazione come questa come minimo<br />

si dovrebbe andare a elezioni. Si mette un punto,<br />

si azzera tutto quello che c’è, e si riparte con<br />

elezioni finalmente dalla parte dei cittadini.<br />

Chi vedrebbe al governo di Roma?<br />

Noi vorremmo un’amministrazione che fosse<br />

un punto di svolta rispetto a quello che è stato<br />

fatto fino a oggi. Roma ha bisogno di essere<br />

18 luglio 2015<br />

33


ipensata con altri criteri rispetto a quelli con<br />

cui è stata amministrata finora, né quelli di<br />

Alemanno, né quelli della giunta Marino. Con<br />

la parola d’ordine trasparenza. Con i criteri<br />

del Movimento 5 stelle. Poi la scelta di chi dovrà<br />

essere il nostro candidato ci riserviamo di<br />

attendere il momento in cui queste elezioni ci<br />

saranno. Però noi siamo pronti.<br />

Qualcuno aveva lanciato l’ipotesi Di Battista…<br />

Sì, ed è già tornata al mittente. Noi abbiamo<br />

questa regola di coerenza: chi ha un incarico lo<br />

porta a termine. Non ci si dimette da un incarico<br />

da parlamentare per fare il candidato sindaco,<br />

pur in una città come Roma. Di Battista<br />

continuerà a fare il parlamentare.<br />

Anche se lo chiede la rete?<br />

Anche se lo chiede la rete, perché questa è una<br />

regola che ci siamo dati e la portiamo avanti.<br />

Cosa ne pensa della proposta di Emiliano di<br />

concedere l’assessorato all’Ambiente al M5s?<br />

Non è un assessorato nella Regione Puglia che<br />

ci cambia: la stessa cosa l’avremmo potuta fare<br />

quando Marino ci offriva qualche assessorato<br />

a Roma. Dove saremmo oggi? Noi vogliamo<br />

entrare all’interno di un’amministrazione - regionale,<br />

comunale o nazionale - con il mandato<br />

dei cittadini e non con proposte lanciate<br />

da una giunta diversa. Se la giunta di Emiliano<br />

sarà in grado di portare in consiglio proposte<br />

del M5s, il nostro appoggio l’avrà. Ma prestarci<br />

noi come Movimento, a dare forza a una giunta<br />

Pd, questo assolutamente non è nelle nostre<br />

corde. Oltretutto, avere degli assessori porta<br />

anche a dover stare in qualche modo ai patti di<br />

una giunta. Nel momento in cui bisogna approvare<br />

qualcosa che al Movimento non sta bene,<br />

cosa si fa? Si fa cadere il Consiglio regionale?<br />

Noi non ci alleiamo e ne abbiamo ben donde<br />

IL CASO<br />

L’esponente calabrese nonché membro influente del Pd,<br />

Enza Bruno Bossio, si è trovata al centro di uno scandalo per<br />

il presunto finanziamento ricevuto da due società nel mirino<br />

della Dia di Catanzaro. Mentre il marito, Nicola Adamo, ex<br />

vicepresidente della Regione, ha ricevuto il divieto di dimora<br />

in Calabria, dopo l’inchiesta sulle spese pazze. Il caso è<br />

stato denunciato dal Corriere di Calabria e il M5s ha richiesto<br />

al Presidente Rosy Bindi, l’espulsione della Bossio dalla<br />

commissione Antimafia.<br />

mi sembra. Se poi è talmente tanto vicino alle<br />

nostre proposte, poteva evitare di candidarsi e<br />

noi avremo preso volentieri i voti al suo posto.<br />

Ogni tanto ci riprovano, insomma?<br />

Sì, e la risposta è sempre la stessa. Almeno in<br />

questo, vedo tanta coerenza…(ride)<br />

Sempre più membri del Pd ne stanno uscendo<br />

a causa di politiche e atteggiamenti che<br />

con la sinistra hanno poco a che fare…<br />

C’entrano molto poco, basti pensare alla scuola.<br />

Lamentano la mancanza di democrazia interna<br />

e non hanno votato la fiducia a provvedimenti<br />

fondamentali del governo perché<br />

lontanissimi da ciò di cui hanno bisogno le<br />

persone. Sembrerebbero quasi “grillini”. Ritiene<br />

credibile un’interlocuzione a sinistra<br />

con i “depiddizzati”?<br />

No. Non la ritengo utile, perché li vedo ancora<br />

“diversi” da ciò che siamo noi. Apprezzo il fatto<br />

che abbiano tenuto fede a quello che hanno<br />

detto per moltissimo tempo, cioè di non riconoscersi<br />

più in un partito che non ha più nulla<br />

di sinistra, e che forse non l’ha mai avuto. Al di<br />

là di questo, non vedo possibile una convergenza.<br />

Ma ben venga che sempre più persone<br />

si rendano conto, all’interno del Pd, che è un<br />

partito che non rappresenta più quello in cui<br />

credevano. Vedo tanta ipocrisia nel Pd: deputati<br />

e senatori che difendono l’indifendibile<br />

ormai. Chi vuole riconoscersi in un partito di<br />

sinistra, in Italia… non ne trovo più nessuno in<br />

grado di soddisfare questa esigenza. Dunque<br />

se vogliono percorrere una strada diversa, in<br />

bocca al lupo. Noi siamo un’altra cosa.<br />

Lei si ritiene di sinistra?<br />

Non so: me l’hanno fatta molte volte questa<br />

domanda. Politicamente sono nata dentro il<br />

Movimento, parlare di sinistra e destra oggi<br />

sarebbe bello, ma è una cosa che vedo molto<br />

inattuale. Siamo in un momento di crisi in<br />

cui basterebbe ristabilire i valori base di una<br />

comunità per riuscire ad avere un Paese civile<br />

normale. È proprio questo che manca: siamo<br />

in carenza di valori base. Dal non rubare al rispetto<br />

del prossimo, al non dire bugie. Siamo in<br />

una situazione in cui la nostra presenza serve<br />

più che altro a ristabilire i valori base. Poi ovvio<br />

che sui temi, il mio essere più legata a valori<br />

di sinistra anche a causa del territorio da cui<br />

provengo si fa sentire. Ma di questi fa parte la<br />

34 18 luglio 2015


Emiliano ci vuole in giunta? Non è nelle<br />

nostre corde dare forza al Pd. Noi vogliamo<br />

amministrare ma con una giunta tutta nostra<br />

voglia di confrontarmi con chi la pensa in maniera<br />

diversa da me proprio per poi trovare un<br />

punto di sintesi. Non mi piacciono gli estremismi,<br />

né da una parte né dall’altra. Mi piace<br />

capire che errori sono stati fatti e trovare soluzioni<br />

nella via di mezzo.<br />

Però ci sono “valori di base” abbastanza indiscutibili,<br />

come l’accoglienza. Una delle anime<br />

del M5s spinge dall’altra parte. Lei si oppose<br />

all’alleanza con Farage...<br />

Certo. Però devo riconoscere che quell’accordo<br />

ha dato ai nostri 17 parlamentari europei la<br />

possibilità di avere voce all’interno del Parlamento.<br />

Mi sarebbe piaciuto che si fossero fatte<br />

delle scelte diverse, ed era per me essenziale<br />

criticare e aprire un dibattito. È vero però anche<br />

che non ho visto quella scelta condizionare<br />

i nostri parlamentari europei. Che hanno tenuto<br />

ben distinti i nostri valori da quelli dell’Ukip.<br />

La mia paura era proprio quella di veder snaturare<br />

i valori base, e questo non è successo.<br />

Sempre sulla scia delle contraddizioni, l’ambiente<br />

è una delle vostre 5 stelle. Sabato scorso<br />

una bella e partecipata manifestazione ha<br />

riempito le strade della Parma di Pizzarotti.<br />

Eravate tutti in piazza tranne Grillo e direttorio.<br />

Come mai?<br />

Mah… non c’è bisogno che un Grillo o un cosiddetto<br />

“direttorio” partecipino alle manifestazioni<br />

che vengono fatte continuamente sui<br />

territori. A Parma però, certo, bisognava dare<br />

un segnale di vicinanza. Io mi sono sentita di<br />

darlo molto volentieri perché è la prima città<br />

con così tanti abitanti che riceve un premio e<br />

che arriva al 70 per cento della raccolta differenziata.<br />

È un esempio virtuoso in Italia e dovrebbe<br />

essere tenuta con un occhio di riguardo.<br />

A maggior ragione per le difficoltà con cui<br />

è partita, con 850mila euro di debiti lasciati in<br />

eredità dalla giunta di centrodestra. Oggi Parma<br />

non è tenuta in considerazione come si<br />

dovrebbe. E allora sta nei singoli valorizzare<br />

questo esempio. Spero che i miei colleghi capiscano<br />

che nei momenti di bisogno si devono<br />

mettere da parte certi contrasti. Io sono di questo<br />

avviso, poi insomma: quello che fanno gli<br />

altri non sono io a doverlo commentare.<br />

L’impressione, però, è che in questi due anni<br />

si siano formati due tipi di parlamentare 5s:<br />

quello “da scena” e quello “da piazza”, intesa<br />

come territorio. È d’accordo?<br />

Ognuno di noi può avere impegni e quant’altro,<br />

però mi piacerebbe un po’ più di partecipazione<br />

in situazioni come queste. Da parte di Grillo<br />

o del direttorio ma non solo: anche da Bologna,<br />

tranne le parlamentari, non è venuto nessuno.<br />

Sulla Grecia: si stanno riappropriando della<br />

democrazia? Possiamo dire che rappresenti<br />

un po’ la “Città ideale” del M5s?<br />

La Grecia si sta facendo valere. È l’esempio che<br />

noi come Paese dovremmo seguire per il tipo di<br />

atteggiamento e di comportamenti che Tsipras<br />

sta dimostrando di avere con questa Europa.<br />

Tutta la nostra lotta nei confronti dell’Ue e<br />

della moneta unica non è perché non sarebbe<br />

bello avere un’Europa che sia davvero una comunità,<br />

ma perché purtroppo questa Unione<br />

europea ci sta portando alla rovina con aiuti<br />

che sono andati più alle banche che non ai<br />

cittadini, e che sta cercando di imporre misure<br />

scellerate. Io mi complimento con quello che<br />

sta facendo la Grecia oggi perché tenere testa,<br />

da soli, alle imposizioni di grandi Stati come<br />

la Germania, non è facile. Ed è per questo che<br />

siamo andati ad Atene: perché la Grecia ha bisogno<br />

di vicinanza.<br />

Il M5s ha consegnato al presidente Grasso,<br />

200mila firme per chiedere un referendum<br />

per l’uscita dall’euro. Tsipras sta facendo di<br />

tutto per evitarla, perché noi dovremmo farlo?<br />

Tsipras sta facendo di tutto per dare la possibilità<br />

ai greci di contare. Di non piegarsi. Noi non<br />

siamo in una situazione in cui ci vengono imposte<br />

manovre pesanti come alla Grecia. Quello<br />

che vogliamo è un referendum consultivo, per<br />

capire come la pensano gli italiani oggi sull’euro<br />

e su questa Europa. Sarebbe fondamentale e<br />

bellissimo poterlo fare. Ci sono presupposti e<br />

idee diverse fra noi e quelle di Tsipras, ma il metodo<br />

è quello in cui ci riconosciamo: portare in<br />

Europa la voce dei cittadini. Non piegare la testa<br />

alla supremazia dei forti. Doveva essere un’Europa<br />

diversa, quella pensata tanti anni fa.<br />

18 luglio 2015<br />

35


Lotta di classe<br />

alla Buona scuola<br />

Una domenica coi comitati di tutta Italia che discutono<br />

la strategia per settembre. E sul referendum dicono<br />

a Civati: «Non si raccolgono le firme a scuole chiuse»<br />

di Donatella Coccoli<br />

Roma. Il capannello di persone,<br />

in una via Flaminia<br />

semideserta sotto il sole<br />

cocente di luglio, non passa<br />

inosservato. Fumano,<br />

discutono animatamente, si salutano<br />

come vecchi amici che si rivedono<br />

dopo un po’ di tempo. C’è il professore<br />

che viene da Pontassieve, Toscana,<br />

«ormai feudo renziano dove nelle<br />

scuole non si può parlare di stereotipi<br />

di genere», quello di Palermo «abilitato<br />

Gae e pronto alla deportazione coatta<br />

al Nord» anche se, aggiunge un vicino,<br />

«chissà se i presidi del Nord chiameranno<br />

insegnanti del Sud». «Con i<br />

bastoni combattiamo contro gli F35»,<br />

afferma serio un terzo professore, «ma<br />

il miglior bastone è il referendum».<br />

Eccola qui, la resistenza dal basso alla<br />

legge Buona scuola appena approvata.<br />

Docenti di tutta Italia, equamente<br />

divisi tra donne e uomini, stazionano<br />

davanti alla Sala bianca, minuscola<br />

sede di Rifondazione comunista dove<br />

si svolge l’assemblea nazionale dei comitati.<br />

Fuori, un po’ di relax, dentro, si<br />

affinano le armi per la mobilitazione<br />

di settembre. Perché è certo, non sono<br />

per niente rassegnati gli insegnanti<br />

accorsi dal Veneto alla Sicilia, dopo la<br />

chiamata del Comitato della Lip, la legge<br />

di iniziativa popolare. Ci sono rappresentanti<br />

di Flc, Gilda, Unicobas, ma<br />

soprattutto di movimenti spontanei:<br />

Gessetti Rotti, Illumin’Italia, No Invalsi,<br />

Comitato Proscuola pubblica Bari, Autoconvocati<br />

Campania e Roma.<br />

La piccola stanza non riesce a contenere<br />

gli oltre novanta partecipanti, e,<br />

nonostante i ventilatori, quasi non si<br />

respira. Ma quello che va in scena è<br />

un esempio di democrazia partecipativa.<br />

Il contrario di ciò che è avvenuto<br />

in Parlamento dove il ddl governativo<br />

è passato a colpi di fiducia. In questo<br />

caso, invece, un documento frutto della<br />

discussione della mattina - quando<br />

si sono visti anche i parlamentari Stefano<br />

Fassina, Alessia Petraglia, Maria<br />

Mussini, Loredana De Petris, Fabrizio<br />

Bocchino, Arturo Scotto - viene letto<br />

Notte bianca il 23 settembre,<br />

sciopero generale a ottobre<br />

e la battaglia sul Comitato<br />

di valutazione. Il referendum<br />

abrogativo? «Lo facciamo noi»<br />

e sottoposto al giudizio dell’assemblea.<br />

Ogni frase analizzata con rigore,<br />

mentre con la mano alzata si propone<br />

l’emendamento che poi viene votato.<br />

Al tavolo, Marina Boscaino, Carlo Salmaso<br />

e Bruno Moretto, gli alfieri della<br />

Lip, prendono nota. I prof correggono<br />

le parole, si contendono i minuti. Scoppiano<br />

gli applausi quando via Skype<br />

una collega propone «la disubbidienza<br />

civile dentro le scuole, il rifiuto di tutto<br />

ciò che contrasta la Costituzione».<br />

Alla fine la strategia decisa contro una<br />

legge definita «totalmente inaccettabile»<br />

è questa: «guardare con favore»<br />

all’assemblea nazionale delle Rsu in<br />

programma l’11 settembre, organizza-<br />

36 18 luglio 2015


© Ciro Fusco/Ansa<br />

re la notte bianca della scuola pubblica<br />

il 23 settembre per coinvolgere genitori<br />

e studenti, promuovere uno sciopero<br />

generale a ottobre.<br />

Ma dentro le scuole in questo anno di<br />

passaggio (la chiamata diretta dei presidi<br />

avverrà nel 2016) cosa accadrà? Si<br />

apre il dibattito: c’è chi propone di rifiutare<br />

tout court di eleggere il famigerato<br />

Comitato di valutazione per il merito,<br />

chi invece, come Riccardo Laterza<br />

della Rete della Conoscenza e Anna Fedeli,<br />

Flc Cgil, sono per “occupare” il Comitato<br />

stesso. Si concorda poi di «aprire<br />

una discussione nelle scuole sulla<br />

possibilità di rifiutarsi nei Collegi e nei<br />

Consigli di istituto di eleggere il comitato<br />

di valutazione». Così come sulla<br />

possibilità di «produrre un documento<br />

di rifiuto preventivo del Bonus-premio<br />

di merito». Sul referendum c’è omogeneità<br />

di pensiero. L’assemblea boccia<br />

la proposta di Giuseppe Civati di raccogliere<br />

le firme entro il 30 settembre,<br />

presentata da Christian Raimo, per<br />

E il presidente Mattarella<br />

firma la legge<br />

Il presidente della Repubblica Sergio<br />

Mattarella martedì 14 luglio ha<br />

firmato la riforma della scuola. In<br />

precedenza in molti si erano rivolti<br />

al capo dello Stato. Nella foto docenti<br />

e studenti di Napoli mostrano<br />

una parte delle 20mila lettere di<br />

richiesta di referendum abrogativo<br />

indirizzata il 2 luglio a Mattarella.<br />

La stessa richiesta di referendum<br />

popolare aveva una petizione di<br />

Change.org che ha raggiunto<br />

66mila firme. Una testimonianza<br />

che comunque potrà servire nel<br />

caso di effettivo referendum.<br />

Possibile. Bruno Moretto - che ha alle<br />

spalle l’esperienza del referendum di<br />

Bologna sui finanziamenti alle private<br />

- è chiaro: «I quesiti devono avere coerenza,<br />

e poi è impraticabile raccogliere<br />

le firme entro il 30 settembre, le scuole<br />

sono chiuse, va costituito un comitato<br />

nazionale e occorre avere la sicurezza<br />

che ai banchetti ci siano gli autentificatori,<br />

perché verranno a controllare, non<br />

ci daranno pace». Ma l’idea del referendum<br />

non viene scartata affatto. Anzi,<br />

«l’abrogazione referendaria è una delle<br />

strade da praticare», si legge nel documento<br />

che rimanda la decisione finale<br />

al secondo incontro nazionale, a Bologna<br />

il 6 settembre. Il referendum deve<br />

nascere dal mondo della scuola e deve<br />

essere trasversale, magari abbracciando<br />

anche altre campagne come quelle<br />

contro il Jobs act, dicono in molti.<br />

«Noi ci saremo e sosterremo nel merito<br />

tutta la mobilitazione, ma la proposta<br />

referendaria deve nascere dal mondo<br />

della scuola», afferma Alessia Petraglia<br />

senatrice Sel. «Informazione, controproposte<br />

e trasversalità con le altre<br />

battaglie: questi devono essere i nostri<br />

obiettivi», sottolinea Maria Mussini, ex<br />

M5s e adesso nel gruppo misto al Senato,<br />

prima firmataria della Lip e insegnante.<br />

«Da qui al 2016 cercherannno<br />

di smorzare tutto, invece noi dobbiamo<br />

documentare puntualmente quello<br />

che accadrà nelle scuole», afferma<br />

la senatrice che si serve dell’immagine<br />

dei «partigiani che si ritirano in montagna<br />

per liberare borgo per borgo e poi<br />

quando sono forti, scendono in pianura».<br />

Aprirsi all’esterno, coinvolgere<br />

intellettuali, artisti e naturalmente genitori<br />

e studenti: quando Giulio, genitore<br />

della Lip, propone la nascita di un<br />

gruppo comunicazione, è un coro di sì.<br />

«Ora c’è il rischio che tanti professori si<br />

rinchiudano nella propria classe come<br />

fosse un’isola, ma invece non bisogna<br />

perdere il significato di scuola come<br />

bene comune», afferma Giuseppe Bagni,<br />

presidente del Cidi. «Bisogna informare<br />

le persone sulle disuguaglianze<br />

che si creeranno. I genitori, come cittadini,<br />

devono pretendere che tutte le<br />

scuole siano buone, non solo quella del<br />

proprio figlio», conclude Bagni. Perché<br />

il virus che la Buona scuola diffonde attraverso<br />

la competizione per il merito e<br />

la chiamata diretta è l’introduzione di<br />

una logica “individuale”, la distruzione<br />

della scuola pubblica.<br />

18 luglio 2015<br />

37


© Divyakant Solanki/Ansa/Epa<br />

38 18 luglio 2015


Quanto costa<br />

un bambino?<br />

Bassissimi i prezzi, così come la possibilità di difendersi<br />

dei bambini. Il turismo sessuale che mira all’infanzia<br />

è ormai un fenomeno di massa. E gli italiani scalano<br />

la vetta della vergogna<br />

di Giulio Cavalli<br />

18 luglio 2015<br />

39


Quanto costa un bambino? Ci sono<br />

domande che viaggiano in giro per<br />

il mondo, soprattutto in estate,<br />

che non diresti mai che possano<br />

esistere, che sono roba da scrittori<br />

o da veloci servizi giornalistici incendiari,<br />

che scivolano nei tanti faldoni archiviati di<br />

qualche cancelleria. Eppure la domanda si<br />

ripete, soprattutto d’estate, sulle spiagge che<br />

si giocano il campionato del mondo della<br />

povertà: “quanto costi bel bambino?”. In italiano,<br />

meglio: perché se avessimo l’orecchio<br />

appoggiato di nascosto su quella spiaggia<br />

forse l’ascolteremo così. In italiano.<br />

C’è un articolo del Telegraph, l’autorevole<br />

quotidiano inglese, che qualche tempo fa<br />

titolava così: «Italy tops international sex<br />

tourism list», gli «italiani» scriveva la corrispondente<br />

da Roma Josephine McKenna,<br />

«hanno il più alto numero di turisti sessuali<br />

Cinque dollari è il cachet per la prestazione<br />

sessuale vacanziera con un bimbo in Brasile,<br />

Filippine, Russia e Vietnam. Qualcun altro<br />

viene pagato con giocattoli o cibo<br />

del mondo». Ma non solo: gli italiani primeggiano<br />

nel torbido mercato del turismo<br />

sessuale minorile, lì dove un bambino ha un<br />

costo, appunto. E spesso il prezzo è basso,<br />

bassissimo: cinque dollari è il cachet per<br />

la prestazione sessuale vacanziera con un<br />

bambino in Brasile, Filippine, Russia e Vietnam.<br />

A qualcuno va peggio: viene pagato<br />

con cibo e giocattoli. Centocinquanta dollari<br />

invece per comprarsela tutta, all inclusive,<br />

una bambina cambogiana; si riesce a rivendere<br />

fino a ottantamila dollari. Cinquantamila<br />

euro per comprarsi uno snuff-movie:<br />

video amatoriale di un minore abusato che<br />

si conclude con soffocamento. Il 20 per cento<br />

dei viaggi internazionali, uno su cinque,<br />

hanno fini sessuali. Il 3 per cento, chiari<br />

obbiettivi pedofili. Ottantamila i turisti sessuali<br />

italiani che cercano minori in giro per<br />

il mondo.<br />

L’Ecpat (End child prostitution pornography<br />

and trafficking), la onlus che ha come scopo<br />

la protezione dei minori vittime di abusi<br />

sessuali, dichiara che «se prima gli italiani<br />

erano in quarta o quinta posizione» di questa<br />

orrenda classifica «oggi di certo è la nazionalità<br />

più diffusa in alcuni luoghi come il Kenya».<br />

Secondo le statistiche (che sono sempre<br />

dette a bassa voce per non disturbare troppo<br />

il clima vacanziero) il turista sessuale su<br />

minori è spesso sposato (ma non mancano i<br />

single), preferibilmente maschio, non necessariamente<br />

ricco e con un’età compresa tra<br />

i venti e i quarant’anni. «Il crescere del turismo<br />

di massa e dei voli a basso costo ha reso<br />

tutto più facile: le mete esotiche sono più<br />

vicine e su internet diventa facile cercare e<br />

trovare informazioni». Il presidente di Ecpat,<br />

Mario Scarpati, ne traccia un profilo chiaro:<br />

«Sono giovani che a casa loro non farebbero<br />

mai queste cose e a cui tutti affiderebbero i<br />

propri bambini, ecco perché sono pericolosi»,<br />

spiega Scarpati. «Noi li chiamiamo travelling<br />

sex offender cioè persone che hanno<br />

atteggiamenti di abuso nella sessualità solo<br />

quando viaggiano. Per esempio chi lavora nel<br />

business e che quindi è abituato a spostarsi<br />

per lavoro».<br />

Il turista sessuale che si compra bambini in<br />

giro per il mondo non è un pedofilo con la valigia<br />

ma spesso un rispettato lavoratore che<br />

qui, in Italia, non si sente abbastanza “libero”<br />

per sfamare questa sua insana “voglia” e<br />

quindi preferisce andare lontano, dove lontano<br />

è spesso sinonimo di distante dalle proprie<br />

responsabilità. Spesso capita che l’esperienza<br />

sessuale con un minore sia “imparata”<br />

durante un viaggio di lavoro o una vacanza<br />

da persone che non hanno mai avuto prima<br />

questa “tendenza”: insomma un tour di italianissimi<br />

distinti signori che “prova” un bambino<br />

come si prova un drink e poi torna a casa<br />

con un appetito tutto nuovo. «Il turismo sessuale<br />

su minori», dice a Left Maria Rosa Dominici,<br />

psicologa e giudice onorario presso il<br />

Tribunale dei minori di Bologna «è il cercare<br />

di allontanare dalla coscienza presente, civile<br />

e critica una mostruosità. Ma turismo ses-<br />

40 18 luglio 2015


suale spesso significa anche semplicemente<br />

attraversare la strada della propria città, dove<br />

c’è un appartamento compiacente in cui<br />

si prostituiscono minori». Sembra davvero<br />

che non si sia abituata al dolore, Maria Rosa,<br />

mentre mi parla. «Nel 2000, a Ginevra, tutte<br />

le ong hanno deciso di inserire nei cataloghi<br />

dei tour operator la precisazione che il turismo<br />

sessuale sia punito come reato anche<br />

se compiuto all’estero ma poiché non siamo<br />

più in una società dell’uomo sociale ma piuttosto<br />

dell’uomo economico nel momento in<br />

cui un mercato rende si sviluppa, prolifera».<br />

In Italia la legge 66/1996 e la 269/1998 definiscono<br />

il reato di “abuso di minore”, modificando<br />

il codice Rocco, che relegava il reato<br />

contro i minori tra i reati contro la moralità<br />

pubblica e il buon costume, trasformandolo<br />

in reato contro la persona. Nel 2000 c’è stata<br />

una decisa accelerazione nel perseguimento<br />

dei crimini sui bambini: oggi almeno<br />

38 nazioni hanno leggi extraterritoriali che<br />

permettono ai loro cittadini di essere perseguiti<br />

appositamente per reati connessi ad<br />

abusi sessuali su minori e compiuti mentre<br />

si trovavano all’estero, mentre altri 31 Paesi<br />

hanno leggi più generali che potrebbero essere<br />

utilizzate per perseguire i propri cittadini<br />

per reati commessi contro minorenni<br />

durante viaggi di turismo sessuale. Nel 2003<br />

negli Usa viene istituito il Protect act che<br />

stabilisce crimine federale adottare, da parte<br />

di un cittadino statunitense o straniero<br />

residente permanente, un comportamento<br />

sessuale illecito all’estero con una persona<br />

di età inferiore ai 18 anni: la condotta illecita<br />

comprende qualsiasi atto sessuale commerciale<br />

compiuto con un minore di 18 anni.<br />

Ma l’eterogeneità legislativa internazionale<br />

non facilita il coordinamento delle inchieste:<br />

mentre nella zona dei Caraibi il fenomeno<br />

viene profondamente sottovalutato (a Cuba,<br />

nella Repubblica Dominicana, in Giamaica,<br />

in Trinidad e Tobago e alle Barbados), in Indonesia,<br />

Filippine e Thailandia leggi recenti<br />

cercano di arginare il fenomeno con un reale<br />

impegno governativo. Le organizzazione non<br />

governative, da parte loro, insieme all’industria<br />

turistica hanno preso la questione di<br />

petto: l’Organizzazione mondiale del turismo<br />

ha istituito un gruppo di lavoro apposito<br />

e le associazioni degli operatori turistici hanno<br />

scritto un codice globale di condotta che<br />

conta quasi 1500 sottoscrizioni dalle agenzie<br />

di 40 diverse nazioni nel mondo. «Noi in Italia<br />

dal punto di vista legislativo e del diritto<br />

siamo una della nazioni meglio strutturate»,<br />

dice Maria Rosa Dominici, «però le leggi bisogna<br />

usarle e osarle».<br />

Gianluca Prisco è stato il Pubblico ministero<br />

che nel 2005 è riuscito a fare condannare il<br />

primo italiano per il reato di turismo sessuale<br />

all’estero: il carnefice (che all’epoca aveva<br />

55 anni) è uno stimato veronese che organizzava<br />

i propri viaggi in Thailandia per avere<br />

rapporti con minori dai 7 e i 14 anni facendo<br />

anche da “guida” per altri turisti. All’ispettore,<br />

che ha lavorato a lungo sotto copertura<br />

Scarpati, presidente Ecpat: «Sono i<br />

“travelling sex offender”: persone che<br />

hanno atteggiamenti di abuso solo quando<br />

viaggiano. Ecco perché sono pericolosi»<br />

per riuscire a vincerne la diffidenza, l’uomo<br />

avrebbe confidato il proprio debole per le<br />

bambine dai 5 ai 7 anni, spiegando come fosse<br />

conveniente fare questi incontri in Cambogia.<br />

«Certo in Italia esistono le leggi», mi<br />

spiega Prisco «ma quando un italiano commette<br />

questi reati all’estero la raccolta delle<br />

prove deve avvenire in quei Paesi e non è così<br />

facile. Dobbiamo raccogliere quanto più materiale<br />

probatorio in Italia poiché all’estero<br />

non sempre troviamo collaborazione. E poi ci<br />

vuole il coraggio di parlarne, bisogna affrontare<br />

la sofferenza del bambino».<br />

Ma non è solo questione di leggi: il turismo<br />

sessuale su minori è l’ennesimo turpe figlio<br />

della situazione di povertà. Prostituirsi in<br />

Sud America e nel Sudest asiatico spesso è<br />

l’unica forma di sopravvivenza per i bambini<br />

di strada e inevitabilmente la miseria (e<br />

18 luglio 2015<br />

41


l’incultura che ne determina) rende i minori<br />

vulnerabili al mercato gestito dai trafficanti.<br />

L’Undoc (l’Ufficio delle Nazioni Unite contro<br />

la droga e il crimine) dichiara che il 79 per<br />

cento del traffico di umani ha come fine la<br />

prostituzione e ha come vittime più di un milione<br />

di bambini. Cifre impressionanti di un<br />

fenomeno in rapida ascesa (con conseguente<br />

crescita del giro d’affari) che pure non riesce<br />

a diventare un allarme condiviso.<br />

La settimana di “libertà sessuale” per l’italiano<br />

che cerca minori all’estero è l’attestazione<br />

della proprio superiorità, della propria<br />

potenza. «L’impotente», spiega sempre la<br />

Dominici, «proprio perché vive tutto l’anno<br />

Il 79% del traffico di umani ha come fine<br />

la prostituzione e ha come vittime più di un<br />

milione di bambini. Cifre impressionanti<br />

di un fenomeno in rapida ascesa<br />

in una realtà socioculturale, psicologica e antropologica<br />

della frustrazione deve distrarre<br />

il cannibale appena può. E per me questa<br />

non è altro che una diversa forma di cannibalismo».<br />

Insomma questa settimana diventa<br />

spesso il “viagra cerebrale”, le chiedo: «Certo.<br />

Poi diventa un pensiero monomaniacale».<br />

Nella testa provo a immaginarmi questo esercito<br />

di bambini “timbrati” dalla compulsione<br />

famelica occidentale. Ma è difficile, quasi impossibile<br />

trovare testimonianze. «Non ci arrivano<br />

a venti o trent’anni per testimoniare»,<br />

mi dice Maria Rosa scuotendo la testa, «non ci<br />

arrivano. Io per anni ho fatto il supervisore di<br />

ragazzi che avevano deciso di collaborare con<br />

la giustizia per uscire dalla tratta: non possono<br />

uscire da questo giro, vengono ammazzati prima.<br />

Io sono convinta che esistano anche bambini<br />

italiani rapiti per entrare in questo giro<br />

d’affari. Ma solo se li ritrovassimo potremmo<br />

saperlo. Solo così. Il bambino è merce».<br />

In Italia sulla difesa dei bambini si distingue<br />

da anni anche l’associazione Mater, guidata<br />

da Fortunato di Noto che si occupa anche<br />

di pedopornografia su internet. «I reati sui<br />

bambini sono tutti collegati: ci sono i bambini<br />

trafficati, i bambini venduti, i bambini<br />

fantasma che non risultano in nessun registro,<br />

i bambini del lavoro minorile, i bambini<br />

soldato o quelle vittime di traffico di<br />

organi. La strage degli innocenti continua,<br />

un olocausto silenzioso che sembra turbare<br />

pochissimo. Oltre 50 milioni di bambini<br />

non vengono nemmeno registrati alla nascita<br />

e questo rende tutto molto più facile<br />

per le organizzazioni criminali. Undici milioni<br />

di bambini muoiono di fame prima<br />

di raggiungere i cinque anni e 4 milioni di<br />

bambine vengono vendute per matrimoni<br />

e prostituzione. E anche per il mercato del<br />

turismo sessuale su minori», dice Di Noto.<br />

«Ormai bisogna capire che si tratta di un<br />

mercato globalizzato. Un mercato in continua<br />

trasformazione perché gli interessi economici<br />

sono altissimi. Lo sfruttamento dei<br />

minori nasce dalla miseria e dall’ingiustizia<br />

sociale: famiglie frantumate per la fame e<br />

per la povertà considerano i bambini come<br />

possibilità di reddito. Come associazione ci<br />

siamo occupati di un sito che si chiamava<br />

Pedoland, la terra dei pedofili e in home<br />

page diceva «vendiamo soltanto materiale<br />

esclusivo». C’erano 100 immagini pornografiche<br />

e circa 250 ore di video pornografici<br />

con minori. Dobbiamo investire risorse<br />

e uomini a livello transnazionale per avere<br />

uno sguardo generale sulle strade percorse<br />

dai soldi per arrivare alle cupole. E attenzione:<br />

non esiste nazione che non abbia sostenitori<br />

della liceità della pedofilia. Una vera e<br />

propria rete di lobby».<br />

Eppure basta fare una prova semplice semplice:<br />

entrate in un’agenzia turistica (o fate<br />

un giro su internet) e scoprirete che i “consigli”<br />

per un efficace tour sessuale vengono<br />

dispensati senza troppi giri di parole. Anche i<br />

luoghi ormai sono risaputi: si passa dal Kenya<br />

dei centri commerciali di Diani Beach o<br />

nei dintorni dei resort di Kalifi e all’estuario<br />

del Fiume Goshi dove 10-15mila bambine<br />

vendono occasionalmente il proprio corpo<br />

42 18 luglio 2015


© Jean-Michel Clajot/Zumapress<br />

e dove (questo forse i clienti non lo sanno)<br />

una persona su sei è malata di Aids; oppure<br />

il Brasile, soprattutto a nord est, tra Recife e<br />

Natal fino a Fortaleza in cui si contano mezzo<br />

milione di minori dediti alla prostituzione<br />

e una clientela principalmente italiana,<br />

portoghese e tedesca; c’è la Thailandia dove<br />

a Bangkok il quartiere a luci rosse di notte<br />

diventa centro d’attrazione e dove le ragazzine<br />

di 13 anni vengono offerte nei ristoranti<br />

e negli hotel come “servizio aggiuntivo”; c’è il<br />

Vietnam, nella regione di Saigon (ora Ho Chi<br />

Min City) dove il 10 per cento di prostituzione<br />

è minorile e dove la vendita del proprio<br />

corpo è culturalmente accettata come mezzo<br />

di sostentamento; c’è la baia di Cartagena in<br />

Colombia dove il 16 luglio del 2010 viene arrestato<br />

un trevigiano di 72 anni, Paolo Pravisani,<br />

preso dalla polizia colombiana ubriaco<br />

nella propria stanza con a fianco un bambino<br />

agonizzante; c’è Santo Domingo dove i<br />

clienti italiani si piazzano al terzo posto dopo<br />

americani e canadesi, poi c’è Cuba dove è facile<br />

trovare signori di mezza età in spiaggia<br />

accompagnati da qualche ragazzina e dove le<br />

donne si comprano volentieri qualche jinetero,<br />

i “cavalcatori”.<br />

Il menu mondiale della prostituzione minorile<br />

è un menu a forma di mappamondo. Un<br />

conato occidentale che imbratta in giro alcuni<br />

pezzi di mondo. Quella che ancora oggi<br />

consideriamo “una deviazione” è già diventata<br />

da tempo un fenomeno di massa, qualcosa<br />

da raccontare poi al ritorno ai propri amici al<br />

bar, un safari tollerato con carne umana, uno<br />

sfizio che è legittimo concedersi. Mi viene da<br />

pensare che un mondo che stupra sistematicamente<br />

il proprio futuro forse è un mondo<br />

che è già morto, dovrebbe essere la conseguenza<br />

naturale. Di questi tempi siamo maestri<br />

nell’inventarci occasioni di sospensione<br />

dell’etica e le vacanze ne sono l’esempio più<br />

illuminante.<br />

18 luglio 2015<br />

43


© Andrea Merola/Ansa<br />

Indipendentismo<br />

nostalgico presente<br />

Mentre Salvini concede la cittadinanza padana a tutta l’Italia, nel Lombardo-Veneto<br />

soffiano di nuovo venti indipendentisti. Dai “tanko” blindati alle rievocazioni<br />

della Serenissima Repubblica di Venezia ecco cosa si muove a Nord<br />

di Stefano Catone<br />

44 18 luglio 2015


Diciotto anni fa, la notte tra l’8 e il 9<br />

maggio del 1997, i Serenissimi, un<br />

gruppo di indipendentisti veneti<br />

partiti dal padovano a bordo di un<br />

autocarro camuffato da mezzo blindato,<br />

davano l’assalto al campanile di San Marco e<br />

vi issavano la famigerata bandiera con il leone alato,<br />

simbolo della Repubblica di Venezia. Un’azione<br />

quasi militare, quasi rivoluzionaria, sicuramente<br />

indipendentista. Era l’esplosione di un sentimento<br />

sotterraneo, presente da tempo in diversi ambienti<br />

del Nord Italia, e che dai primi anni 80 aveva trovato<br />

rappresentanza istituzionale grazie alla Liga<br />

Veneta. Nel 1989 - il muro di Berlino era caduto da<br />

circa un mese - la strada della Liga<br />

si incrociava con quella della Lega<br />

Lombarda: il 4 dicembre nasceva la<br />

Lega Nord. «Mentre noi dicevamo<br />

che le ideologie erano finite, se ne<br />

sono costruita una!», commentò,<br />

molti anni dopo, Pierluigi Bersani.<br />

Durante la seconda Repubblica, grazie<br />

all’alleanza con il centrodestra, la<br />

Lega ha svolto il ruolo di sindacato<br />

territoriale, di lotta e di governo, fino<br />

ad arrivare alla conquista delle regioni<br />

settentrionali. Sullo sfondo, il<br />

vessillo dell’autonomismo continuava a sventolare.<br />

Nel 2013 Maroni conquistava la Lombardia al grido<br />

di «Prima il Nord», con una proposta programmatica<br />

che prevedeva la costituzione di una Macroregione<br />

settentrionale (una versione sbiadita della<br />

mitologica Padania) e il blocco del 75% del gettito fiscale<br />

alla fonte, al Nord appunto. E a fine 2014 Luca<br />

Zaia si esprimeva a favore di una consultazione popolare<br />

sull’indipendenza del Veneto. Sull’altro fronte<br />

invece, Matteo Salvini reinventava la retorica e il<br />

messaggio leghista: via indipendentismo e autonomismo,<br />

il target elettorale si amplia a tutta la penisola<br />

(napoletani inclusi). Ora il pericolo sono i rom.<br />

Eppure, nonostante questa evoluzione il fiume<br />

carsico dell’autonomismo non si è fermato. Non<br />

ribolle più nei garage in campagna, «dove Brenta,<br />

Adige e Po creano un immenso spazio franco che<br />

non è acqua né terra né Veneto né Emilia. E forse<br />

nemmeno Italia» (Rumiz 2012), o dove nacque e<br />

ora riposa il tanko, ma su web e social network,<br />

luoghi virtuali in cui si manifesta un sentimento<br />

ancora vivo.<br />

Morosin:<br />

«La nostra azione è<br />

chiara. L’obiettivo<br />

è l’indipendenza,<br />

per via<br />

democratica,<br />

attraverso<br />

consultazione<br />

referendaria»<br />

«In Lombardia l’indipendentismo è in termini elettorali<br />

all’anno zero», attacca Alessandro Storti, che<br />

nel 1998, come deputato dell’allora Parlamento<br />

del Nord, fu relatore di un progetto di Costituzione<br />

confederale. Alle ultime amministrative, le formazioni<br />

indipendentiste hanno raccolto poco meno<br />

di 1000 voti, presentandosi solamente in tre comuni<br />

lombardi. «Sono gruppi “vecchio stile”» prosegue<br />

Storti, «che insistono con una propaganda tradizionale,<br />

minoritaria e abbarbicata alla questione<br />

dell’identità, mentre è ora di affrontare temi di<br />

interesse quotidiano declinandoli in termini di autogoverno,<br />

con una visione laica e progressiva. Ad<br />

esempio, “Avanti”, il movimento di cui faccio parte,<br />

era presente al gay pride di Milano».<br />

Milano 2016, Monza 2017 e Lombardia<br />

2018 sono le tappe del cammino<br />

immaginato da Storti, all’interno<br />

di cartelli elettorali in corsa per la<br />

vittoria. Nel frattempo sentenzia:<br />

«l’indipendentismo fine a se stesso<br />

è finito». Spostandoci a Est troviamo<br />

Indipendenza Noi Veneto e Indipendenza<br />

Veneta, formazioni protagoniste<br />

delle ultime elezioni regionali.<br />

Denominazioni simili, scopi identici,<br />

strategie completamente diverse.<br />

La prima, infatti, ha scelto l’alleanza con Luca Zaia,<br />

contribuendo con 50.000 voti (2,7%) alla vittoria<br />

dell’uomo forte della Lega. La seconda, invece,<br />

ha preferito la corsa solitaria, raccogliendo 46.000<br />

voti (2,5%) come lista, mentre il proprio candidato<br />

governatore, Alessandro Morosin, ha ampliato il risultato<br />

fino a toccare quota 55.760 voti. Un fronte<br />

spaccato a metà ma che può contare su un bacino<br />

potenziale di oltre 100.000 voti su 2,3 milioni<br />

totali espressi, e su un trend positivo (nel 2013, in<br />

Veneto, i voti indipendentisti furono 60.000, su 3<br />

milioni di voti espressi). Ilaria Brunelli di Indipendenza<br />

Noi Veneto e lo stesso Morosin non hanno<br />

dubbi: l’indipendentismo è ancora vivo. Le ragioni<br />

sono storiche e muovono dalle esperienze di autogoverno<br />

delle Venezie. Anche il giudizio che danno<br />

delle categorie “destra e sinistra” è identico («sono<br />

superate, prive di contenuto»), come quello sulla<br />

pressione fiscale «giugulatoria». La differenza sta<br />

nella strategia: «è ora», spiega Brunelli, «di deporre<br />

ogni personalismo e di guardare unicamente<br />

all’obiettivo: attualmente non siamo in grado di<br />

18 luglio 2015<br />

45


In apertura: una manifestazione di oltre 2.000<br />

indipendentisti veneti in Piazza San Marco per festeggiare<br />

il patrono della città e la liberazione dei Serenissimi.<br />

A fianco: Joerg Haider a Venezia. L’ex-Governatore della<br />

Carinza è morto nel 2008 in un incidente stradale.<br />

presentare un nostro candidato governatore, ma<br />

se fossimo stati uniti a sostegno di Zaia avremmo<br />

ottenuto una presenza in maggioranza più determinante<br />

di Forza Italia». Un’ipotesi seccamente rifiutata<br />

da Morosin, che definisce quella di Zaia una<br />

«coalizione paraitaliana». «Indipendenza Veneta è<br />

l’unica lista indipendentista coerente e credibile:<br />

pochi giorni prima della scadenza del termine per<br />

la presentazione delle liste per le regionali, nella<br />

coalizione di Zaia è comparsa Indipendenza Noi<br />

Veneto, sul cui logo elettorale appariva prevalentemente<br />

Indipendenza Veneto il che ha di fatto<br />

indotto gli elettori in errore portandoli a votare<br />

qualcosa che con l’indipendenza non aveva nulla<br />

a che fare se è vero, come è vero, che Zaia nel<br />

suo programma elettorale aveva scritto “io scelgo<br />

l’autonomia”. La nostra azione» conclude Morosin<br />

«è un’azione molto chiara: ha come obiettivo<br />

solo l’indipendenza, per via democratica, pacifica,<br />

istituzionale, attraverso una consultazione referendaria<br />

prevista da una legge veneta». Brunelli<br />

pone invece nuovamente l’accento sulla necessità<br />

di «organizzare le forze di tutte le correnti indipendentiste<br />

in maniera unitaria. Serve grande<br />

umiltà nell’analisi e serve avere una visione». L’autonomia<br />

citata nel programma di Zaia rimanda<br />

anche a un’altra lista con il leone alato schierata<br />

alle regionali con Alessandra Moretti del Pd: Progetto<br />

Veneto Autonomo. L’arcipelago indipendentista<br />

veneto, infatti, si allarga anche a sinistra. C’è<br />

Sanca Veneta per esempio. «L’indipendentismo in<br />

Europa nasce a sinistra con la carta di Brest (sottoscritta<br />

nel 1974 da diversi movimenti indipendentisi<br />

europei)», spiega Giovanni Masarà, 23 anni,<br />

studente. «Gli stati europei sono un ostacolo al<br />

processo di integrazione. Solamente smembrandoli<br />

si potrà costruire un’Europa democratica, e<br />

non solo diplomatica. Vogliamo essere cittadini<br />

europei, non vogliamo essere tagliati fuori a causa<br />

dei confini che ci impone il sistema italiano». Una<br />

prospettiva lontana dalle piccole patrie, che accarezza<br />

l’internazionalismo. Ai tempi di Salvini dunque,<br />

tutt’altro che quieta, la voglia di indipendenza<br />

si agita ancora nel Lombardo-Veneto, in maniera<br />

scomposta e senza strategie unitarie. Se tornerà a<br />

occupare il dibattito politico nazionale - il federalismo<br />

non è altro che un ricordo di tempi passati<br />

- dipenderà dalla capacità delle nuove formazioni<br />

di interpretare, in un’epoca diversa, un sentimento<br />

che qui sembra rimanere una costante.<br />

Veneto Austria:<br />

una faccia, una razza<br />

di Giorgia Furlan<br />

L’Austria indice una consultazione popolare per<br />

uscire dall’euro. Ma manca l’approvazione<br />

del Parlamento. Tanto fumo e poca sostanza<br />

L’<br />

indipendentismo è storia di terre di confine,<br />

identità nazionali mal assimilate e grandi potenze<br />

ridotte a piccoli staterelli dopo la Grande<br />

Guerra. Quando l’economia era in ripresa e la crisi<br />

ancora un’ombra lontana, l’Europa unita sembrava<br />

in grado di garantire una pax populi e commerciale<br />

che, alla fine, conveniva a tutti. Oggi, le imprese chiudono,<br />

Bruxelles ingabbia, e per chi, fino a poco fa,<br />

poteva contare su un tasso di disoccupazione al 4%<br />

la nostalgia di un passato dorato in cui ognuno faceva<br />

per sé diventa un’opzione concreta. L’exit strategy<br />

più semplice e di pancia, per preservare il proprio angolino<br />

di ricchezza, e svincolarsi dalla morsa dell’Ue<br />

sembra essere quella del referendum, l’appello alla<br />

volontà popolare. È accaduto così che la piccola Austria,<br />

poco meno di 8 milioni e mezzo di abitanti,<br />

cavalcando l’onda dell’oxi greco, che di ragioni dalla<br />

sua ne ha ben altre, decida di indire una consultazione<br />

popolare, Eu-Austritts-Volksbegehrens, per<br />

uscire dalla moneta unica. Le firme raccolte sono<br />

state più di 260mila, con grande successo soprattutto<br />

nella Bassa Austria (5,18% dei voti), nel Land<br />

di Carinzia e a Klagenfurt suo capoluogo (4,85% a<br />

favore). Nonostante l’entusiasmo degli organizzatori<br />

l’iniziativa non ha al momento un valore effettivo,<br />

visto che le firme raccolte devono essere sottoposte<br />

al vaglio del Parlamento. Quello che è interessante<br />

è ciò che si muove dietro all’ennesimo “plebiscito”<br />

fine a se stesso. La petizione è stata proposta dalla<br />

Initiative Heimat&Umwelt, associazione occupata<br />

sin dal lontano 1994 con l’Indipendenza del popolo<br />

austriaco, e ha già un precedente che risale al 2000<br />

quando Inge Rauscher, pasionaria destrorsa della<br />

46 18 luglio 2015


© Andrea Merola/Ansa<br />

Ihu, ne aveva presentata una molto simile, celebrata<br />

anche allora da comunicati stampa che esaltavano il<br />

successo dell’iniziativa, ma che, come si può ben capire,<br />

non ha avuto effetto sulla permanenza dell’Austria<br />

nell’Unione. Molto rumore per nulla insomma.<br />

Proprio come in Italia quando, qualche settimana<br />

fa, la consultazione anti-euro proposta Oltralpe ha<br />

suscitato l’attenzione di Grillo che dal blog scriveva:<br />

«La concentrazione è tutta per la Grecia di Tsipras.<br />

Proprio per questo quasi nessuno è a conoscenza<br />

della decisione da parte della popolazione austriaca<br />

di abbandonare l’euro e l’Europa». Solito oscurantismo<br />

mediatico insomma, o forse é un dato di fatto<br />

che a intestarsi la battaglia contro le lobby Ue sono<br />

sempre di più le forze populiste che, complice una<br />

crisi che chiede sempre più di rimettere in discussioni<br />

posizioni di rendita e privilegi, trova un bacino<br />

di risonanza nelle borderland dove il sentimento autonomista<br />

e indipendista era solo sopito. Proprio la<br />

storia della Carinzia, patria del recente Eu-Austritts-<br />

Volksbegehrens, si lega infatti a doppio filo con quella<br />

di movimenti veneti carichi allo stesso tempo di sentimenti<br />

austronostalgici e volontà secessioniste. Tra il<br />

1999 e il 2008 infatti il Nord-Est italiano vedeva una<br />

via di fuga al “giogo di Roma Ladrona” proprio in Joerg<br />

Haider, all’epoca Governatore del Land austriaco,<br />

morto in un incidente d’auto nel 2008. Haider, guarda<br />

caso tra i promotori del referendum anti-Europa del<br />

2000, aveva intensificato i rapporti con i movimenti<br />

venetisti. A Jesolo l’allora leader dell’Fpoe, liberali<br />

populisti di destra, venne insignito della cittadinanza<br />

onoraria e nella vicina Conegliano incontrò i Liberi<br />

imprenditori federalisti europei, dove, accolto come<br />

se fosse l’imperatore asburgico Franz Joseph, promise<br />

sostanziosi incentivi per dislocare le aziende venete<br />

nella vicina Austria. Una promessa che, come lo è<br />

oggi il dietrofront sulla moneta unica, riuscì a colpire<br />

a fondo l’immaginario di benessere del Nord Est. Al<br />

centro di tutto: soldi e lavoro che, qui più che mai,<br />

sono anche questione di identità. Un’identità che si<br />

alimentava dell’opposizione a una Roma Capitale<br />

“corrotta e fannullona” e oggi trova ossigeno, al di qua<br />

e al di là delle Alpi, nell’idea che la caduta del mito<br />

dell’opulenza derivi dalla voracità delle lobby europee,<br />

dal mostro sovranazionale che schiaccia la testa<br />

della gente. Il dramma è che quest’Europa che sempre<br />

più a destra, alimenta al suo interno quei nazionalismi<br />

che tramano perché il sogno dell’Unione si<br />

infranga. Che pensano che preservare il proprio piccolo<br />

angolo di paradiso sia preferibile alla solidarietà.<br />

Che siano meglio i muri delle porte aperte. Che è questo<br />

che vuole il popolo buono e legato alla sua terra.<br />

Ma come scriveva Karl Kraus, austriaco più saggio di<br />

altri: «L’unione di sangue e terra provoca il tetano».<br />

18 luglio 2015<br />

47


LA SCUOLA<br />

di GIUSEPPE BENEDETTI<br />

Il tradimento del Pd nei confronti<br />

di una parte consistente<br />

del suo elettorato, quello<br />

calpestato dal ddl scuola, si<br />

è consumato proprio in coincidenza<br />

con il ritorno dell’Unità<br />

in edicola. Lo storytelling della<br />

soluzione finale dell’istruzione<br />

pubblica è cominciato il primo<br />

luglio. Con un intervento dell’ex<br />

ministro Luigi Berlinguer (“Una<br />

scuola da cambiare”) il giornale<br />

si è assunto il compito di ristabilire<br />

la verità sui contenuti della<br />

“buona scuola”, facendosi portavoce<br />

della necessità del cambiamento,<br />

nonostante il rischio di<br />

«degenerazione autoritaria nella<br />

gestione scolastica». In un altro<br />

pezzo, sotto il titolo “Quattro<br />

miliardi per mettere al sicuro i<br />

nostri figli”, veniva scaricata una<br />

mitragliata di numeri sui cantieri<br />

aperti e sui milioni impegnati da<br />

Regioni e Comuni per l’edilizia<br />

scolastica, con le rassicurazioni<br />

sui controlli delle cabine di regia.<br />

A completare il quadro due<br />

storie edificanti: la precaria che,<br />

dopo nove anni, può finalmente<br />

dire di aver avuto ragione a<br />

scegliere di metter su famiglia<br />

anziché migrare al nord e la rapida<br />

ricostruzione di una scuola<br />

di Fano grazie al «“Fondo restauro”<br />

voluto da Matteo Renzi».<br />

La narrazione sulla “scuola da<br />

cambiare” è impostata proprio<br />

sul valore della velocità. All’avvicinarsi<br />

del voto finale, il 6 luglio,<br />

una nota redazionale celebra<br />

la velocità della compagine governativa<br />

e della maggioranza<br />

(“rush finale” e “esame sprint”).<br />

Finalmente, dopo una settimana<br />

dalla sua apparizione in edicola,<br />

si accenna, nella stessa nota,<br />

al dissenso degli insegnanti, ma<br />

solo come un effimero tentativo<br />

di frenare la corsa dell’esecutivo<br />

e prima di ricordare, con il sottosegretario<br />

Faraone, che la priorità<br />

del governo è l’attenzione ai<br />

giovani. Neanche un accenno al<br />

dissenso interno al Pd. C’è spazio<br />

solo per le approvazioni, non<br />

LA BUONA SCUOLA<br />

DEL GIORNALE DI PARTITO<br />

L’Unità appena tornata in edicola sponsorizza<br />

l’operato del Pd. Senza raccontare il dissenso<br />

interno né tantomeno le proteste dei docenti<br />

importa se prive di solide argomentazioni.<br />

Ad esempio, per il<br />

deputato Franco Monaco il ddl<br />

non è buono in sé ma è sempre<br />

meglio delle critiche demodé dei<br />

detrattori. La manifestazione di<br />

protesta del 7 luglio, con migliaia<br />

di partecipanti e un corteo verso<br />

il Quirinale, è svilita nell’immagine<br />

di «un centinaio di manifestanti».<br />

Nello stesso articolo (che<br />

inizia con l’ottimistica proposizione<br />

«Avanti tutta con le riforme»)<br />

al presidente del Consiglio<br />

è affidato l’elogio della velocità<br />

sulle riforme, «il business del<br />

Paese». Ma quel giorno la preoccupazione<br />

maggiore dell’Unità è<br />

rassicurare l’elettorato cattolico<br />

contro il rischio di scivoloni sulla<br />

buccia di banana della lotta all’omofobia.<br />

Dopo l’approvazione<br />

definitiva del ddl, un intervento<br />

del ministro Giannini (10/7) illustra<br />

i vantaggi universali della<br />

Storie edificanti di precari, elogio<br />

della velocità del governo e interventi<br />

celebrativi. E si arriva addirittura<br />

ad attenuare i poteri del preside<br />

legge e denuncia il “centralismo<br />

burocratico” dei docenti. Nel<br />

pezzo di cronaca l’unica opposizione<br />

al ddl assume la maschera<br />

di La Russa, che, da intenditore,<br />

come si definisce, si rifiuta di assegnare<br />

la patente di fascista al<br />

Pd. Infine, nell’articolo che elenca<br />

le novità della legge, sono attenuati<br />

i poteri del preside («ma<br />

la sua scelta sarà verificata dai<br />

docenti»), che dovrebbe pertanto<br />

essere controllato dagli insegnanti<br />

a lui subordinati, mentre<br />

l’accenno ai docenti che per protesta<br />

lanciano libri contro l’obelisco<br />

di Montecitorio sembra<br />

una brutta parodia di un’azione<br />

dell’Isis.<br />

La prima pagina<br />

de L’Unità<br />

del 10 luglio 2015<br />

48 18 luglio 2015


di E<strong>MA</strong>NUELE SANTI<br />

CALCIO <strong>MA</strong>NCINO<br />

LA CECOSLOVACCHIA<br />

E IL SUO CAMPIONE<br />

Storia di Josef Màsopust, l’emblema stesso<br />

del calcio ceco. Nel 1962 fu il primo atleta<br />

dell’Est a vincere il Pallone d’oro<br />

Nel ’38, benché arricchita<br />

di elementi austriaci,<br />

la Nazionale del Reich<br />

saluta al primo turno<br />

i mondiali francesi eliminata<br />

dalla modesta Svizzera, territorialmente<br />

immune rispetto alla<br />

meno modesta Cecoslovacchia<br />

che nella precedente edizione<br />

del ’34 aveva sgambettato la<br />

squadra del Fuhrer ormai ad un<br />

passo dalla finale contro l’Italia<br />

del Duce. E così, sempre nel ’38,<br />

Hitler impone all’Europa l’annessione<br />

della zona dei Sudeti<br />

e tra le prime città ceche a passare<br />

in mano tedesca c’è Most<br />

dove a febbraio del ’31 era nato<br />

Josef Màsopust. Il Paese viene<br />

diviso tra la Slovacchia retta da<br />

Monsignor Josef Tìso, cattolico<br />

fedele al nazismo e il Protettorato<br />

di Boemia e Moravia, ma la<br />

guerra non ferma il campionato<br />

che anzi rimane l’unica cosa in<br />

comune tra Bratislava e Praga,<br />

Ai Mondiali in Cile portò la sua<br />

squadra in finale contro il Brasile.<br />

A fine carriera torna dall’estero nella<br />

sua terra come allenatore dilettante<br />

con Josef Bìcan, leggenda dello<br />

Slavia e di tutta la mitteleuropa,<br />

capocannoniere per 6 stagioni<br />

di fila. Eppure il piccolo Màsopust,<br />

quarto di sei figli, non sogna<br />

di fare l’attaccante. Dotato<br />

di una precoce intelligenza tattica,<br />

gioca a pallone soprattutto<br />

per evitare di guardarsi intorno.<br />

È ancora un ragazzino quando i<br />

nazisti per rappresaglia fucilano<br />

Josef Màsopust<br />

nato nel 1931<br />

a Most e<br />

scomparso pochi<br />

giorni fa<br />

tutti gli uomini di Lidice, villaggio<br />

a 70km da casa sua, e deportano<br />

nei campi di sterminio le<br />

donne e i minori di 16 anni. La<br />

gente della sua terra è costretta a<br />

testa bassa nelle miniere di carbone<br />

per nutrire l’industria bellica<br />

tedesca e la Resistenza agisce<br />

nell’ombra. Màsopust ha 14 anni<br />

quando gli alleati bombardano<br />

Praga e Pilsen e quando le truppe<br />

sovietiche, insieme ai soldati<br />

cecoslovacchi, liberano il Paese<br />

forzando il passo del Dukla sui<br />

Carpazi. E proprio Dukla sarà<br />

il nome della neonata squadra<br />

dell’esercito, destinata nel dopoguerra<br />

a dominare il campionato.<br />

Lo Stato Maggiore decide che<br />

il Dukla può assoldare chiunque<br />

abbia prestato servizio militare<br />

senza nulla osta della società di<br />

appartenenza. Nel ’52, Màsopust<br />

ha 21 anni e due piedi da<br />

fare invidia all’ungherese Bòzsik.<br />

L’esercito lo arruola. Cresciuto<br />

nel Banik Most, si era svezzato<br />

nella vicina Teplice ed aveva debuttato<br />

in serie A incontrando<br />

Josef Bìcan in persona, ormai<br />

trentasettenne centravanti del<br />

Viktovice. Con la maglia giallorossa<br />

del Dukla, Màsopust gioca<br />

17 stagioni, vince 8 campionati<br />

e 3 coppe di Cecoslovacchia. Indossa<br />

il numero 6 della Nazionale<br />

fino al ’62 quando ottiene<br />

il secondo posto al mondiale cileno<br />

dietro l’imbattibile Brasile.<br />

Per questo a dicembre, mentre<br />

addobba l’albero di natale, sente<br />

squillare il telefono, un lusso<br />

per le case di Praga. La redazione<br />

di France Football gli comunica<br />

la vittoria del Pallone d’Oro, il<br />

primo per un atleta dell’Est. Nel<br />

’67, conduce il Dukla fino alla<br />

semifinale di coppa Campioni<br />

persa contro il Celtic Glasgow. A<br />

Praga intanto le cose cambiano.<br />

Nel gennaio ’68, Dùbcek è eletto<br />

segretario del Partito comunista<br />

e Màsopust ne approfitta. Ha 37<br />

anni, termina la stagione con l’esercito<br />

e poi è finalmente libero<br />

di trasferirsi a Molenbeek, periferia<br />

di Bruxelles, serie cadetta<br />

del professionismo belga. È la<br />

stessa estate in cui per le strade<br />

di Praga sfilano i carri armati sovietici.<br />

Màsopust riporta la sua<br />

nuova squadra in serie A e poi,<br />

nel ’70, torna in Cecoslovacchia<br />

a fare l’allenatore dilettante. Perché<br />

il ragazzo d’oro di Most ama<br />

il suo Paese.<br />

18 luglio 2015<br />

49


DENTRO IL GHETTO<br />

DI ATENE<br />

Lungo strada Euripide c’è chi ha perso tutto, davanti<br />

al bancomat su strada Sofocle c’è chi teme di perdere<br />

tutto. L’Europa? «Un’unione basata sul capitalismo»<br />

testo e foto di Michela AG Iaccarino - da Atene<br />

«L’<br />

abbiamo fondata noi».<br />

In onore della fanciulla<br />

che salpò verso Creta<br />

in groppa a Zeus - trasformatosi<br />

in toro per<br />

amore - le terre a nord del Mediterraneo<br />

furono battezzate Europa. Millenni fa,<br />

altra civiltà. Ma per oggi niente mitologia:<br />

sono tempi brutali, giorni crudeli,<br />

beffardi. «Abbiamo dato il nome a un<br />

mostro che oggi sta per distruggerci o<br />

cacciarci. O ingoiarci». Un mostro che<br />

si chiama come quella fanciulla, Europa.<br />

Lungo la strade Euripide quelli che<br />

chiamano gli zombie cercano un tozzo<br />

di pane, una moneta, una bottiglia d’acqua,<br />

una siringa per iniettarsi la droga<br />

degli ultimi, acido di batterie usate - la<br />

chiamano sisa. Non periferia, Atene<br />

centro, ghetto piazza Omonia. Lungo<br />

la strada di Sofocle uomini si sciolgono<br />

in fila davanti alla sede dell’Alfabank<br />

pattugliata dalla polizia. Gli uomini<br />

puntano il bancomat, dicono: «Ci serve<br />

ossigeno». C’è chi aveva pochi soldi in<br />

casa e li ha finiti. Gli uomini di strada<br />

Sofocle hanno paura di diventare come<br />

quelli di strada Euripide. Anime perdute<br />

che ora balbettano, vacillano, ma che<br />

50 18 luglio 2015


Un murales dedicato<br />

ai senza fissa dimora<br />

in una strada di Atene<br />

una volta avevano una casa, un lavoro e<br />

qualcosa di degno da chiamare vita. Si<br />

addormentano sotto i fasci di luce delle<br />

insegne delle boutique di lusso, senza<br />

neppure un giornale per lenzuolo, perché<br />

non se ne trovano in giro, i greci non<br />

ne comprano più. Quando chiudono gli<br />

occhi rimangono con la mano tesa rivolta<br />

ai passanti, stringendo un bicchiere<br />

di plastica per le monetine buttato<br />

dai turisti che bevono continuamente<br />

cappuccino freddo. Alzi la testa al cielo<br />

all’acropoli - la città in alto - il tempio<br />

di Atena, trafitto da schegge di ferro nel<br />

Paese dove tutto sta diventando la sua<br />

metafora: vedi le gru tra le rovine del<br />

Partenone. Georgiu faceva il dottore.<br />

Era a Bologna quando è esplosa la bomba:<br />

«Un’altra epoca». Se gli dici Italia,<br />

risponde Berlinguer: «La povertà renderà<br />

tutti i greci comunisti. Il proverbio<br />

dice: il fiume sa dove andare: lui lo sa,<br />

io no. Ho votato no al referendum, ma<br />

tanto era uguale. Come va? Male. Come<br />

andrà? Malissimo». Al bar dice: «Questa<br />

strada ora la vedi vuota, ma tre anni fa<br />

non c’era posto per sedersi». Al tavolo<br />

un vecchio radiofonista delle navi militari<br />

non andrà in pensione perché non<br />

può permetterselo e te lo dice in tutte<br />

le lingue dei porti in cui si è fermato.<br />

Ha 64 anni: «All’Europa non piace la sinistra<br />

né la Grecia». Ma la sinistra non<br />

farà come Amleto, non dirà “sii fedele a<br />

te stesso”.<br />

Nonostante il terrore mediatico dei<br />

canali privati greci per votare sì, i greci<br />

hanno scelto Oxi. «Sì, no: abbiamo capito<br />

dopo che era uguale. Era un test<br />

in vitro per distruggere i popoli, uno<br />

dopo l’altro». Raccontano dei loro amici,<br />

atei reticenti che vanno a mangiare<br />

alla mensa sociale della chiesa. «Noi ci<br />

siamo, noi siamo qui, questa non è carità,<br />

è organizzazione sociale». A Lisandro<br />

rimangono pochi denti e tutti neri,<br />

ma una volta questo ex cameriere alto e<br />

magro qualcuno per strada si voltava a<br />

guardarlo. «Non esistono domande difficili,<br />

solo risposte difficili». È quello che<br />

dice quando gli chiedi cosa<br />

ha votato al referendum<br />

e quanto durerà questa<br />

situazione. Nel deposito<br />

della solidarietà dei vestiti<br />

donati, lavati e divisi per<br />

essere mandati a famiglie,<br />

carceri e verso le isole affollate<br />

dai migranti le scatole<br />

raggiungono numero<br />

600. «Noi lavoriamo 24 ore<br />

al giorno per 7 giorni alla<br />

settimana, siamo noi stessi<br />

dei poveri, noi stessi dei<br />

disoccupati, senza solidarietà<br />

organizzata non c’è Grecia». La salvezza<br />

arriva ogni giorno per molti nelle<br />

buste di plastica, in quote di pasta, riso,<br />

fagioli, farina. Nella sede c’è una minuscola<br />

biblioteca, un ufficio di assistenza<br />

legale e medica. Solidarietà del Pireo:<br />

un’associazione di poveri che aiutano<br />

altri poveri, disoccupati organizzati che<br />

da due anni sollevano tutti i giorni casse<br />

di frutta e verdura invenduta al mercato<br />

al tramonto, con una lista di supermercati<br />

da visitare per ritirare la giacenza e<br />

distribuirla a cento famiglie, mille persone<br />

del quartiere sprofondate in povertà.<br />

«Io ho ammazzato molti fascisti».<br />

Georgiu faceva<br />

il dottore:<br />

«La povertà<br />

renderà tutti i<br />

greci comunisti.<br />

Ho votato no<br />

al referendum,<br />

ma tanto<br />

era uguale.<br />

Va male. E andrà<br />

malissimo»<br />

In fila per il pane e una zuppa di fagioli<br />

c’è Kostas, 90 anni e 4 dita, partigiano<br />

della guerra civile greca finita nel ’49, il<br />

resto della vita operaio. Quando abbassò<br />

il fucile, le falangi dal palmo destro<br />

gliele tagliò un macchinario in fabbrica.<br />

Panaiodis ha cominciato a lavorare a 12<br />

anni nella fabbrica della birra Alfa, ha<br />

smesso 50 anni dopo, ha votato Papandreu<br />

tutta la vita finché non è arrivato<br />

Tsipras. È un membro della comune<br />

che si riunisce alla fila del pane. Quando<br />

è riuscito a ritirare qualche goccia della<br />

sua pensione dal bancomat, ha comprato<br />

le sigarette a tutti i senza dimora<br />

del quartiere.<br />

In fila con la Grecia, non per il pane,<br />

ma per l’uscita dall’euro o il martirio<br />

dell’austerity, dicono, «ci sono Italia,<br />

Spagna, Portogallo». «Millenni fa la<br />

Grecia indicò la strada della civiltà al<br />

mondo, forse le tocca farlo<br />

ancora». Anna cita di continuo<br />

Gramsci. Ha perso<br />

tutto: il negozio, la casa, il<br />

marito. In una vita che le<br />

sembra un’altra ha studiato<br />

sociologia in Inghilterra.<br />

«Dovevo rimanere lì», racconta,<br />

ma quell’isola era<br />

sotto la Thatcher. «Incredible<br />

times: ma adesso anche<br />

questa penisola affonda.<br />

Non permetteranno una<br />

sinistra, alcuna sinistra in<br />

Europa, è un’unione basata<br />

sul capitalismo». Sta passeggiando<br />

per le fabbriche deserte, abbandonate<br />

a cani randagi e vagabondi, la scritta del<br />

partito comunista Kke di vernice rossa<br />

qualcuno è venuto a ricalcarla sulla ruggine.<br />

Di notte la città da bianca diventa<br />

grigia, il Partenone dall’alto guarda giù,<br />

la città di sotto, casermoni, poveri, afa<br />

e cemento. Dalla radio di Anna in macchina<br />

canta Bob Dylan: «There’s nothing<br />

left, all gone». Non ci è rimasto niente,<br />

tutto è andato. Il disco è Standing on the<br />

doorway, rimanendo sulla soglia: lì c’è<br />

Anna, Lisandro, Kosta, c’è la Grecia. Insieme<br />

a quella fanciulla. Europa.<br />

18 luglio 2015<br />

51


IL NUOVO MEMORANDUM SPACCA<br />

SYRIZA. E IL GOVERNO DI TSIPRAS<br />

La Troika torna a “occupare” la Grecia. L’accordo di Bruxelles mina la tenuta<br />

del partito del premier e del suo governo. Intanto, denuncia un medico della ong<br />

Praksis, in fila davanti agli ambulatori «ai senza tetto si somma la gente comune»<br />

di Francesco De Palo - da Atene<br />

È<br />

durata appena centosessanta<br />

giorni l’illusione che fosse<br />

andata via, per sempre, dalle<br />

vite dei greci e degli europei.<br />

E invece la troika torna con<br />

strabordante prepotenza ad occupare<br />

militarmente la Grecia, come un<br />

macabro risiko in cui il capo supremo<br />

sposta carri armati e truppe, invadendo<br />

uno Stato non più sovrano.<br />

Umiliarne pesantemente uno per<br />

intimidire terroristicamente tutti gli<br />

altri: ieri la bomba atomica sganciata<br />

su Hiroshima e Nagasaki, oggi la Troika<br />

sparata dal cannone teutonico in<br />

direzione dell’Egeo, mentre il debito<br />

greco veleggia verso il 200% del Pil<br />

(nel 2012 era al 125%) e mentre l’ex<br />

ministro Varoufakis apre ufficialmente<br />

la stagione delle critiche al suo ex<br />

premier.<br />

Al di là di come finirà la trattativa<br />

per le nuove misure, se ci sarà improvvisamente<br />

un Grexit o un nuovo<br />

premier, è il campo democratico<br />

che viene arato da un trattore nerorosso-giallo.<br />

Una marcia inflessibile<br />

e demolitrice, quella teutonica, che<br />

spazza via ciò che resta di un voto<br />

popolare, di un’idea comune legata<br />

all’Unione stessa, di una legittimazione<br />

stabilita dalla Costituzione e non<br />

da memorandum o da mille summit,<br />

dove tra l’altro sono volati gli stracci<br />

e, oggi, piovono solo euromacerie.<br />

Vassilis Kiriakakis, neurologo e deputato<br />

di Syriza dal 2012, ha firmato<br />

assieme a tre suoi colleghi (Kodela,<br />

Sotiriou e Chatzilamprou) una mozione<br />

prima del voto parlamentare<br />

post referendum in cui scrive che il<br />

governo ha chiesto il loro appoggio<br />

per «un terzo memorandum preparato<br />

su richiesta della Troika».<br />

È quella la ferita su cui l’accordo di<br />

Bruxelles ha gettato un pugno di sale<br />

e che fa male, malissimo a chi dalla<br />

piattaforma di Salonicco in poi aveva<br />

immaginato una svolta. «L’errore<br />

di Tsipras è stato quello di non prevedere<br />

un piano B alternativo alle<br />

trattative lacrime e sangue con i creditori<br />

- dice a Left, poco dopo aver<br />

partecipato al vertice della Piattaforma<br />

di Sinistra, quella che fa capo a<br />

Panagiotis Lafazanis - Siamo passati<br />

dal no al referendum a un altro memorandum,<br />

durissimo e che affonderà<br />

la nostra economia. Varoufakis ha<br />

ragione su tutto». Il partito è dilaniato<br />

dallo scontro tutto europeo che non<br />

è stato condotto, così come pattuito,<br />

partendo dal famoso programma di<br />

Salonicco. «Avevamo promesso solidarietà<br />

e oggi chiediamo ai greci altri<br />

sacrifici, parlavamo di haircut del<br />

debito e invece qui ritorna la Troika.<br />

Questo governo è giunto purtroppo<br />

al capolinea, e non solo per i nostri<br />

no». Per poi sganciare un siluro: «Nel<br />

partito erano in molti ad aspettarsi la<br />

vittoria del sì al referendum, anche lo<br />

stesso premier penso. Ecco perché il<br />

giorno dopo è crollato tutto».<br />

Neanche i creditori, in verità, si aspettavano<br />

il no al 60%. Ma il passo falso<br />

di Tsipras è stato quello di «riconsegnarsi<br />

mani e piedi ai suoi aguzzini<br />

immaginando che lo avrebbero riaccolto<br />

a braccia aperte e invece lo<br />

hanno punito». È in quell’istante che<br />

nasce già il governo di larghe intese<br />

conservatori-socialisti-centristi e<br />

che muore l’esperimento di Syriza,<br />

52 18 luglio 2015


© Michela A.G. Iaccarino<br />

Kiriakakis (Syriza): «Un percorso vede<br />

la fine. Non so se Varoufakis farà<br />

un partito, ma è probabile che dopo<br />

il governo tecnico si voterà a novembre»<br />

dal momento che Tsipras, ricevendo<br />

tutte le opposizioni, getta le basi per<br />

il voto parlamentare di pochi giorni<br />

dopo.<br />

Lecito chiedersi: dopo questo tsunami<br />

politico-finanziario Syriza avrà<br />

ancora un futuro? «Non pensiamo a<br />

una scissione già domani né a ritornare<br />

con i comunisti del Kke, peraltro<br />

troppo anacronistici - continua Kiriakakis<br />

- ma è chiaro che un percorso<br />

sta vedendo la fine. Non so se Varoufakis<br />

riuscirà a fare un partito, ma<br />

probabilmente dopo il governo tecnico<br />

andremo ad elezioni a novembre e<br />

lì sarà un’altra battaglia”.<br />

Ma mentre a Bruxelles e a Berlino si<br />

preparano alla grande abbuffata greca,<br />

anche grazie al fondo di garanzia<br />

da 50 milioni per le utility elleniche<br />

controllato dai creditori internazionali,<br />

nell’Egeo c’è chi proprio non ha<br />

tempo di guardare i tiggì. Sono i medici<br />

delle ong, quei professionisti che<br />

curano non solo migranti o tossicodipendenti<br />

ma, dall’inizio della crisi,<br />

anche i poveri greci.<br />

Electra Koutsoumani risponde al telefono<br />

molto trafelata dalla sede ateniese<br />

di Praksis. Non ha tanto tempo<br />

perché i pazienti aumentano esponenzialmente,<br />

ma ci consegna un<br />

messaggio: in Grecia un<br />

terzo della popolazione<br />

è a rischio povertà, un<br />

altro terzo è già povero<br />

e si rivolge ai loro ambulatori<br />

per medicine,<br />

visite specialistiche,<br />

fare una semplice doccia,<br />

ottenere cibo e anche per un alloggio.<br />

Sempre più numerose sono<br />

infatti nel Paese le famiglie che non<br />

hanno elettricità: le tasse della troika<br />

sono state inserite nella bolletta<br />

elettrica e ai morosi è stata tagliata la<br />

luce tout court. Quindi niente lavatrice<br />

o lavastoviglie.<br />

«Ai senza tetto si somma la gente comune,<br />

quella che dalla crisi in poi ha<br />

visto assottigliarsi il proprio potere<br />

di acquisto e, dopo un licenziamento,<br />

si ritrova a zero». In Grecia oggi<br />

gli uomini disoccupati sono il 22,5%,<br />

le donne il 29,6% e i giovani ben il<br />

50,1%. Mentre i suicidi da crisi hanno<br />

sfondato ufficialmente quota 10mila<br />

dal 2012 ad oggi, l’ultimo il giorno<br />

successivo all’accordo con Bruxelles.<br />

Ha scritto Alberto Savinio in Sorte<br />

dell’Europa (Adelphi, 2014) che i popoli<br />

del Vecchio continente «non guariranno<br />

dalle loro gravissime ferite se<br />

non formeranno una sola nuova nazione<br />

unita da comuni pensieri. Solo<br />

un’idea potrà unire gli europei: l’idea<br />

della comunità sociale». La realtà, invece,<br />

si ritrova nella sindrome “compro<br />

oro”, dove i gioielli di famiglia - le<br />

utility greche - verranno svendute per<br />

un tozzo di pane in un paio di giorni al<br />

pari di quella dignità civile e di quella<br />

legittimazione democratica che sono<br />

stati i fiori all’occhiello del Novecento<br />

dei diritti. E che oggi, semplicemente,<br />

non ci sono più.<br />

18 luglio 2015<br />

53


VIAGGIO NELLA SANITÀ<br />

UMILIATA DALL’AUSTERITY<br />

Dall’ospedale Nikea il racconto dei tagli economici e di personale<br />

e delle liste di attesa che si allungano. Mentre aumentano<br />

le “cliniche liberate” e le iniziative di solidarietà dal basso<br />

testo di Nicola Zolin e Jacopo Ottaviani - foto di Nicola Zolin - da Atene<br />

Seduto nel suo ufficio al reparto di neurologia<br />

dell’ospedale Nikea del Pireo,<br />

Panogiotis Papanikolau accende una<br />

sigaretta dopo l’altra. «Questo accordo<br />

è una presa in giro. Sono preoccupato<br />

di ciò che accadrà». Cinque anni di austerità<br />

hanno messo in ginocchio il servizio sanitario<br />

greco e gli accordi post-referendum tra governo<br />

ellenico ed Eurogruppo non fanno che alimentare<br />

il timore che la situazione possa peggiorare<br />

ulteriormente.<br />

«Nel 2000 la Grecia si trovava al 14° posto nella<br />

classifica dell’Organizzazione mondiale della<br />

sanità», racconta Papanikolau. «Poi i tagli imposti<br />

dalla troika ci hanno fatto sprofondare». I<br />

soldi destinati ai servizi sanitari e agli ospedali<br />

sono diminuiti di anno in anno. Ad esempio,<br />

dal 2009 al 2011 i fondi per gli ospedali sono diminuiti<br />

del 25 per cento. Il personale che va in<br />

pensione non viene sostituito da nuovi assunti<br />

e gli ospedali sono sotto organico. «Solo in<br />

questo ospedale siamo sotto di 300 infermieri<br />

e 50 medici, ma se estendiamo il conteggio a<br />

tutta la Grecia servirebbero 20.000 infermieri<br />

e 5.000 medici» aggiunge. «Abbiamo una lista<br />

infinita di pazienti che aspettano cure oncologiche<br />

che non riusciamo a fornire. Noi medici<br />

viviamo questa tragedia ogni giorno che passa.<br />

Per questo la maggioranza dei lavoratori<br />

della sanità ha votato no al referendum del 5<br />

giugno». Ma il volere del popolo, per Papanikolau,<br />

non è stato rispettato: «L’unica soluzione<br />

rimasta sembra quella del Grexit. Dobbiamo<br />

uscire da una Unione Europea, che sembra<br />

sempre più una prigione medievale». Al piano<br />

terra dell’ospedale, intanto, una folla si raduna<br />

agli sportelli: sono persone che non hanno<br />

abbastanza denaro per acquistare in farmacia<br />

le medicine, in questo caso psicofarmaci, di<br />

cui hanno bisogno. Da circa un anno una legge<br />

permette agli ospedali di fornire medicinali<br />

gratuiti a chi, privo di assicurazione sanitaria,<br />

non se li può permettere.<br />

Secondo The Lancet - la prestigiosa rivista di<br />

medicina, che ha analizzato gli effetti devastanti<br />

dei tagli alla sanità nel Paese - i casi di<br />

depressione in Grecia dal 2008 al 2011 sono<br />

più che raddoppiati, dal 2011 al 2012 il fondo<br />

di assistenza per i pazienti con malattie mentali<br />

è stato tagliato del 55 per cento e dal 2007 al<br />

2011 i suicidi sono aumentati del 45 per cento.<br />

«Sono qui dalle otto di questa mattina» racconta<br />

Antonis, seduto sugli scalini dell’ospedale.<br />

«Talvolta rimaniamo ad attendere le medicine<br />

per sette ore e quando arriviamo allo sportello<br />

scopriamo che sono finite». Sempre più persone<br />

hanno difficoltà ad ottenere cure e farmaci.<br />

Secondo le ultime stime di The Lancet, sono<br />

almeno 800.000 i greci che non hanno accesso<br />

al sistema sanitario. «Non abbiamo né cibo né<br />

54 18 luglio 2015


George Vihas: «Abbiamo<br />

convertito una vecchia<br />

base Usa in disuso<br />

in una clinica aperta<br />

a tutti». In pochi mesi<br />

il sogno è diventato realtà<br />

e molti altri dottori sono<br />

arrivati a dar manforte<br />

lavoro. Abbiamo votato Oxi al referendum. Ma<br />

il nostro è un “no” a tutto quello che non funziona<br />

in questo Paese».<br />

Se da un lato la Grecia non riesce a gestire una<br />

crisi sempre più profonda del settore sanitario,<br />

le iniziative di solidarietà dal basso si moltiplicano.<br />

Più di cinquanta “cliniche libere” sono<br />

sorte da nord a sud, gestite da dottori, infermieri<br />

e farmacisti volontari, al fine di assistere<br />

chiunque non possa accedere a visite, analisi,<br />

cure e medicinali. «Dopo il primo memorandum<br />

ho visto i miei<br />

pazienti perdere il lavoro<br />

e l’assicurazione<br />

sanitaria» racconta<br />

il cardiologo George<br />

Vihas. «Volevo fare<br />

qualcosa per loro<br />

e con l’aiuto di un<br />

gruppo di colleghi ho<br />

fondato una clinica<br />

nel quartiere di Helliniko.<br />

Abbiamo convertito<br />

una vecchia base militare americana in<br />

disuso in una clinica aperta a tutti». In pochi<br />

mesi il sogno è diventato realtà e molti altri<br />

dottori sono arrivati a dar manforte. «Ho visto<br />

l’annuncio sul profilo Facebook di un amico»,<br />

racconta Katerina Mourtzopoulou, pediatra<br />

ateniese di 55 anni. «In questi anni noi medici<br />

abbiamo visto il nostro salario diminuire consistemente,<br />

ma non ci ho pensato due volte a<br />

mettermi a servizio della clinica». Katerina definisce<br />

il suo lavoro «un atto di fede» e sostiene<br />

che «se ognuno facesse la sua parte, anche piccola,<br />

la situazione migliorerebbe rapidamente<br />

per tutti». Tutte le medicine che arrivano<br />

alla clinica derivano da donazioni. Istituzioni<br />

private, persone che cambiano cura, famiglie<br />

di pazienti defunti che regalano i medicinali<br />

avanzati. «Alcuni farmaci, specialmente quelli<br />

contro il cancro, costano anche più di 2.000<br />

euro a confezione», spiega Maria Sideris, farmacista<br />

in pensione, ora al lavoro nella clinica<br />

libera di Helliniko, dove talvolta arrivano anche<br />

le richieste di medicinali di ospedali pubblici<br />

che momentaneamente non ne hanno.<br />

«Una delle scene che più mi ha colpito è quella<br />

di una signora di 54 anni che è venuta alla clinica<br />

con il seno tutto bendato. Non aveva soldi<br />

per pagarsi le cure e il cancro le stava uscendo<br />

dal petto. Grazie all’aiuto della clinica e<br />

alle medicine che ci vengono donate è ancora<br />

viva» racconta il fondatore della clinica George<br />

Vihas. «Dei trecento pazienti con il cancro che<br />

finora abbiamo assistito, il 70 per cento è arrivato<br />

in ritardo. Molti di loro potevano essere<br />

salvati se solo curati in tempo. Alcuni siamo riusciti<br />

a salvarli, ma per una ventina di loro non<br />

c’è stato nulla da fare».<br />

18 luglio 2015<br />

55


L’EUROPA DEI TEDESCHI<br />

SEMBRA UN CLUB PRIVÉ<br />

Il modo in cui i tedeschi hanno trattato la crisi greca rivela<br />

il loro progetto di Europa, e il fastidio per ciò che è non-germanico.<br />

Con tanti cari saluti al progetto federativo<br />

di Nadia Urbinati<br />

“A<br />

ccordo fatto”, titolano i giornali.<br />

La Grecia resta nell’euro. Ma<br />

l’Europa che la crisi Greca ha<br />

fatto emergere non assomiglia<br />

al progetto di Unione al quale<br />

avevano pensato Altiero Spinelli e Jean Monnet.<br />

E nemmeno al progetto di integrazione<br />

che con cinquant’anni di trattati, a partire da<br />

quello di Roma del 1957 fino a quello di Lisbona<br />

del 2007, si è imposto all’attenzione<br />

del mondo come un ambizioso tentativo di<br />

creare uno spazio geopolitico fra Stati, guerrafondai<br />

per secoli, e che ora, a memoria<br />

delle tragedie delle due guerre mondiali, promettevano<br />

di usare il diritto per interagire tra<br />

loro e l’accordo per risolvere i loro dissensi.<br />

L’arma del diritto e della trattativa invece di<br />

quella dell’aggressione e dell’umiliazione è<br />

stata la strategia che, nel solco dell’Illuminismo,<br />

l’Unione ha adottato e messo in pratica<br />

in questi decenni post-bellici. Una strategia<br />

che, vale la pena ricordarlo, si basa categoricamente<br />

sull’eguaglianza di considerazione<br />

dei partner - siano essi individui o popoli - e<br />

sul principio della reciprocità, di autonomia<br />

e rispetto. Su queste basi di cooperazione deliberativa<br />

e pubblica, senza sotterfugi o manovre<br />

segrete e senza secondi fini, si regge<br />

la pace nella libertà (e in prospettiva il patto<br />

federativo), secondo la visione illuminante di<br />

Immanuel Kant.<br />

Dobbiamo ricordare questi principi e queste<br />

promesse se vogliamo capire appieno la crisi<br />

europea che stiamo vivendo e il modo oltraggioso<br />

con il quale le istituzioni europee<br />

e la Germania stanno risolvendo il caso greco:<br />

una soluzione che ha il sapore antico del<br />

pregiudizio contro il mondo non-germanico,<br />

della rivincita dei virtuosi protestanti nordici<br />

contro i greco-latini, popoli dell’antico e del<br />

pre-moderno, da ammirare come un museo<br />

del passato, ma completamente inaffidabili e<br />

anacronistici perché inadatti a praticare l’etica<br />

protestante della responsabilità su cui si basa<br />

la fiducia e il diritto moderno. Il modo con il<br />

quale i tedeschi hanno trattato e trattano la<br />

crisi greca rivela il loro progetto di Europa, che<br />

assomiglia tanto a una riedizione moderna degli<br />

imperi centrali austro-tedeschi, un progetto<br />

che la grande Germania ha cercato di rimettere<br />

in moto dal momento della sua unificazione,<br />

dopo il 1990. Questa Unione Europea e quella<br />

nata con il Trattato di Roma hanno di diverso<br />

proprio questo: la prima contava su una Germania<br />

limitata, la seconda sente il peso di una<br />

Germania grande e che ha ricostruito il suo<br />

alone di potere a Nord e a Est, con stati alleati<br />

e satelliti, in funzione ora anti-Russa ora anti-<br />

Mediterranea. Si tratta di una riedizione di una<br />

storia vecchia e sempre attuale nel Vecchio<br />

continente, diviso, come già aveva scritto Montesquieu<br />

nel 1748, tra una libertà moderna nata<br />

56 18 luglio 2015


La Ue è destinata<br />

a diventare<br />

una camicia<br />

di forza per<br />

coloro che sono<br />

fuori dall’orbita<br />

tedesca.<br />

Spetterebbe<br />

a Italia e Francia<br />

cambiare<br />

le cose<br />

nelle foreste nordiche e una libertà antica nata<br />

e morta con le repubbliche antiche.<br />

E veniamo al presente, per comprendere in<br />

che senso esso sia una reinvenzione del passato.<br />

La figura più rappresentativa di questa<br />

germanizzazione dell’Europa è il ministro tedesco<br />

delle finanze, Wolfgang Schäuble, presentato<br />

come un figlio politico di Helmut Kohl<br />

e sincero europeista, e che ha tuttavia una visione<br />

decisamente centro-europea dell’Europa.<br />

Nel suo lobbismo per la Grexit ha messo<br />

in chiaro che egli non crede a una integrazione<br />

europea, ma a un’Europa a diverse velocità<br />

e in sostanza gerachicamente strutturata in<br />

relazione alla vicinanza di interesse e di cultura<br />

con la Germania. È per questa ragione<br />

che egli ha sponsorizzato una visione<br />

che sembrava fino a ieri un<br />

tabù: che l’appartenenza all’Europa<br />

è reversibile. Il che significa<br />

che l’Europa è a tutti gli effetti un<br />

club, anziché un’unione; un club<br />

per entrate nel quale, e per starci,<br />

è necessario accettare alcune regole<br />

stabilite dalla Kerneuropa e<br />

non egualmente costruite da tutti<br />

i partner europei.<br />

L’Europa come club, ecco la visione<br />

tedesca di Kerneuropa: il nucleo<br />

europeo rispetto al quale gli<br />

altri popoli sono periferici. Parte<br />

del “cuore” europeo non sono necessariamente<br />

i Paesi fondatori (vi<br />

è di che dubitare che vi figuri l’Italia) ma i Paesi<br />

vicini per cultura e interesse al centro propulsore,<br />

la Germania. Non è un caso se in questa<br />

drammatica vicenda greca la Germania abbia<br />

goduto del sostengo dei suoi tradizionali Paesi<br />

satelliti o alleati: dalla Filandia, le Repubbliche<br />

baltiche e la Slovenia, all’Olanda e l’Austria.<br />

Qui il Kerneuropa prende la configurazione<br />

geo-politica degli imperi centrali (non casualmente<br />

il settimanale Bild ha recentemente<br />

definito Angela Merkel la “cancelliera di ferro”,<br />

il nuovo Bismarck). Un esempio concreto<br />

vale a provare la veridicità di questo progetto<br />

pangermanico, quello del salvataggio della<br />

Carinzia. Il Land austriaco della Carinzia con<br />

un indebitamento da “caso Greco” ha chiesto<br />

e ottenuto dal governo federale austriaco lo<br />

stato di emergenza, condizione per l’accesso<br />

al finanziamento federale per ottenere prestiti<br />

a tasso agevolato, di fatto una ristrutturazione<br />

del debito. La Baviera ha accettato questa<br />

condizione di salvataggio per la Carinzia. E ora<br />

l’Austria è l’alleato di ferro della soluzione Grexit.<br />

Ma lo stesso trattamento di favore non riesce<br />

ad applicarsi alla Grecia. Perché? La ragione<br />

l’ha suggerita lo stesso Schäuble, quando<br />

ha avanzato l’ipotesi di un Grexit per cinque<br />

anni: non c’è “fiducia” nella Grecia. La fiducia<br />

non è la stessa cosa delle garanzie. La garanzia<br />

prefigura una condizione accertabile e quantificabile<br />

e riposa su una serie di fatti esistenti.<br />

La fiducia è invece un’attitudine psicologica,<br />

sorretta da un sostrato di valori morali ed etici<br />

condivisi, che mette in moto progetti e piani<br />

per il futuro. Per funzionare presume la messa<br />

in conto che gli stessi valori guidino i comportamenti<br />

dei partner. In sostanza, anche la fiducia<br />

riposa su garanzie: la certezza che qualche<br />

cosa in comune esiste nel modo di agire e<br />

comportarsi. E dire che manca la fiducia verso<br />

la Grecia equivale a riconoscere che il partner<br />

ellenico non è un partner perché non condivide<br />

la stessa Kultur, i principi etici che fungono<br />

da garanzia morale. Ecco perché, quali che siano<br />

le garanzie offerte dal governo di Atene, i<br />

tedeschi non si fidano nello stesso modo in cui<br />

si sono fidati della Carinzia. Qui siamo già fuori<br />

dell’Unione Europea perché siamo in un’Europa<br />

pantedesca.<br />

Per questo, fingere di stare lottando per difendere<br />

l’Unione Europea comincia ad avere poco<br />

senso, poiché l’Europa ha un diverso significato<br />

per i suoi stati membri. A meno che i Paesi<br />

fuori dall’alone tedesco (la Francia e l’Italia in<br />

primis) non si decidano a vedere questa nuova<br />

Europa che si sta profilando dietro l’ordoliberalismo<br />

germanico - ovvero un neo-liberalismo<br />

per il bene di una nazione o di un’area<br />

nazionale - l’Unione Europea è destinata a diventare<br />

come una camicia di forza per coloro<br />

che sono fuori dell’orbita tedesca. Spetta quindi<br />

agli altri Paesi fondatori dell’Unione, alla<br />

Francia e all’Italia, costringere la Germania e i<br />

suoi alleati a rivedere le loro mire egemoniche.<br />

Ci sarebbe bisogno di leader visionari per sfoderare<br />

tanto coraggio.<br />

18 luglio 2015<br />

57


<strong>MA</strong>RTIN SCHULZ, L’UOMO<br />

CHE IMBARAZZA I SOCIALISTI<br />

Il padre poliziotto, la madre militante della Cdu. Ultimo di cinque<br />

figli, aderisce alla Spd appena maggiorenne. Ecco come<br />

Martin Schulz è diventato l’uomo che difende i tecnocrati<br />

di Stefano Santachiara<br />

Da quel Kapò che lo trasformò, nel 2003,<br />

in martire iconoclasta di Silvio Berlusconi,<br />

per Martin Schulz è stata un’ascesa<br />

continua sino alla presidenza<br />

dell’Europarlamento. Oggi però tocca<br />

a lui difendersi dall’accusa di conflitto d’interessi,<br />

quelli della Germania anteposti ai Paesi<br />

che rappresenta con suo incarico. In occasione<br />

del referendum greco infatti Schulz ha<br />

perduto l’immagine super partes: prima del<br />

voto, schierandosi nel tentativo di far cadere il<br />

governo Tsipras, e poi annunciando un drammatico<br />

e allarmistico «piano di aiuti umanitari<br />

per pensionati, bambini, gente comune».<br />

Le note dichiarazioni di Schultz dipendono<br />

da interessi economici ed elettorali ma sono<br />

innanzitutto volte ad impedire ogni progetto<br />

alternativo di Europa. E se l’Spd, il più antico<br />

partito socialdemocratico, perlomeno dalla<br />

caduta del Muro adempie alla funzione storica<br />

di legittimare l’involuzione antropologica<br />

della sinistra, Schulz, pur privo di esperienza<br />

di governo, incarna il Cerbero dell’austerity e<br />

il Caronte della terza via neoliberale che si è<br />

consolidata nelle larghe intese in Germania,<br />

Italia e soprattutto in Eurozona. Secondo la logica<br />

della governamentalità liberale, il capitalismo<br />

finanziario, apolide, adopera trattati, patti<br />

di stabilità e prestiti per imporre tagli sociali,<br />

tasse e privatizzazioni. Il fronte che vi si oppone<br />

da sinistra ora si sta allargando dopo l’affermazione<br />

di Syriza e la crescita di Podemos<br />

in Spagna. Ben si comprende dunque come<br />

la richiesta di dimissioni di Schulz avanzata<br />

da nove europarlamentari di Gue/Ngl assuma<br />

un valore intrinseco al di là della parzialità del<br />

presidente. Discorso analogo per le posizioni<br />

di chi, nel milieu socialdemocratico, sta rimettendo<br />

al centro la politica. Massimo D’Alema,<br />

ad esempio, ha definito il piano di prestiti ad<br />

Atene un favore alle banche creditrici, denunciando<br />

il rischio di una «compressione di salari,<br />

consumi e diritti dei lavoratori» (ulteriore,<br />

aggiungiamo noi) qualora l’Unione non si dotasse<br />

di nuovi meccanismi. È presto per parlare<br />

di rinascita della weltanschauung di sinistra<br />

ma queste analisi colgono il mainstream in<br />

contropiede, per usare il gergo calcistico caro<br />

a Schulz e al fedele Renzi.<br />

Nato nel 1955 a Hehlrath, paesino della Vestfalia<br />

al confine con Olanda e Belgio, Martin non<br />

è un semplice tifoso del Colonia ma un calciatore<br />

che ha appeso le scarpette al chiodo dopo<br />

un infortunio al ginocchio. Studente modello e<br />

poliglotta, dopo il ginnasio Schulz gestisce una<br />

libreria. I testi che predilige, vale a dire i saggi<br />

dello storico Eric Hobsbawm e Il Gattopardo,<br />

danno il senso di una realpolitik che forse interiorizza<br />

già in famiglia. Il retroterra di sinistra<br />

è quello del padre Paul, poliziotto e figlio di un<br />

minatore, mentre la madre Clara fonda la sezione<br />

locale della Cdu. Martin Schulz, ultimo di<br />

58 18 luglio 2015


Il guardiano<br />

dei tecnocrati<br />

nel suo libro<br />

Il gigante<br />

incatenato<br />

celebra<br />

l’inefficacia<br />

della spending<br />

review. Poi però<br />

plaude Monti,<br />

Letta e Renzi<br />

cinque figli, aderisce alla Spd appena maggiorenne<br />

e a 31 anni viene eletto sindaco di Würselen,<br />

40mila abitanti nella Renania settentrionale.<br />

A Strasburgo entra nel 1994, lavora dietro le<br />

quinte nelle commissioni su diritti dell’uomo,<br />

libertà civili e affari interni fintanto che, nove<br />

anni dopo, assurge a vittima della nota gaffe di<br />

Silvio Berlusconi.<br />

Il Cavaliere, colto nel vivo dell’oligopolio televisivo<br />

e delle amicizie mafiose, suggerisce il collega<br />

tedesco «per il ruolo di Kapò in un film sui<br />

campi di concentramento nazisti». La zuffa fa<br />

sparire dall’aula il dibattito su globalizzazione<br />

e ingiustizie sociali; in Italia, nello stesso periodo,<br />

la lotta della Cgil di Sergio Cofferati contro<br />

l’abolizione dell’articolo 18 viene occultata dalla<br />

questione morale.<br />

Mentre Schulz sale dalla presidenza del gruppo<br />

Spd a quella dei socialisti europei, in Germania<br />

l’esecutivo di Gerhard Schröder si scontra<br />

coi sindacati per l’introduzione dei mini-job,<br />

lavori precari e pagati al massimo 450 euro al<br />

mese. Le produzioni qualitative e le esportazioni,<br />

già favorite dal cambio del marco, crescono<br />

sull’onda di investimenti anche in settori come<br />

la green economy. La chiave di volta che manca<br />

al resto dell’Eurozona risponde al nome di Kfw,<br />

banca pubblica tenuta fuori dal perimetro del<br />

bilancio federale. Schulz bolla di estremismo<br />

chiunque osi mettere in discussione il sistema<br />

e si muove come un Giano bifronte. In patria<br />

la postura è quella del rigore intransigente,<br />

come se gli eurocrati non avessero chiuso un<br />

occhio sui trucchi contabili della Grecia all’epoca<br />

dell’ingresso nella moneta unica. Schulz<br />

mostra il volto dialogante nel Belpaese, dove è<br />

insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce,<br />

difendendo l’operato del dimissionario governo<br />

Monti «che non ha colpa nella crisi odierna»<br />

e del successore Enrico Letta.<br />

Le affinità elettive sono però quelle con Matteo<br />

Renzi. Nel marzo 2007 il presidente della<br />

Provincia di Firenze respinse l’invito di Schulz<br />

nella famiglia socialista europea: «La costruzione<br />

del percorso internazionale del Pd richiede<br />

pazienza e collaborazione, non certo<br />

annessioni e abiure». Pare una vita precedente.<br />

Sette anni dopo Renzi cambia verso completando<br />

la trasmigrazione dei centristi seduti<br />

sui banchi di Ppe e liberali. Nel febbraio 2014,<br />

mentre la Direzione Pd sta per dare il benservito<br />

al premier Letta, il rottamatore annuncia<br />

il matrimonio con il Pse. Al Congresso di Roma<br />

il partito dei socialisti aggiunge la denominazione<br />

democratici su proposta della renziana<br />

Federica Mogherini e candida Schulz alla<br />

presidenza della Commissione. La vittoria dei<br />

popolari alle Europee però premia Jean Claude<br />

Juncker, che da neocommissario lancia un<br />

piano di investimenti ancora da decifrare. In<br />

nome del contrasto ai “populismi” Ppe e Pse<br />

cementano l’alleanza rinnovando Schulz alla<br />

presidenza. Il guardiano della tecnocrazia, nel<br />

libro Il Gigante incatenato, si dice solidale verso<br />

i Pigs, ammettendo l’aumento della disoccupazione<br />

e l’inefficacia della spending review.<br />

Intanto celebra le riforme di Renzi «dall’amministrazione<br />

alle riforme costituzionali, dal<br />

sistema giudiziario alle istituzioni», e continua<br />

a vagheggiare investimenti extra-bilancio per<br />

l’Italia. L’interpretazione del good cop con la<br />

bad cop Merkel prosegue fino a quando il referendum<br />

greco rimette in discussione tutto,<br />

compresa l’idea di Europa.<br />

18 luglio 2015<br />

59


© Thibault Camus/Ap Photo<br />

60 18 luglio 2015


L’ITALIA DI RENZI?<br />

GRANDE ASSENTE<br />

Roma non decide sui dossier più scottanti, dalla Grecia<br />

all’Ucraina. Il nostro presidente del Consiglio sembra<br />

il protagonista di una puntata di Chi l’ha visto, in eurovisione<br />

di Umberto De Giovannangeli<br />

L’<br />

impegno certo non manca, neanche<br />

i buoni propositi. Ma, per il resto,<br />

potrebbe essere il soggetto di una<br />

puntata straordinaria di Chi l’ha<br />

visto di Federica Sciarelli. Una puntata<br />

in eurovisione. Protagonista è l’uomo<br />

di Palazzo Chigi, il giovane leader talmente<br />

sicuro di sé da proclamare che avrebbe fatto<br />

“cambiare verso” all’Europa iper-rigorista<br />

targata Angela Merkel, trascinando con sé<br />

l’inquilino dell’Eliseo, François Hollande,<br />

con la benedizione dell’amico della Casa<br />

Bianca, Barack Obama, che poi tanto amico<br />

non lo è visto che sul disastroso programma<br />

d’acquisto degli F-35 non ha fatto sconti<br />

(con gli altri quattro aerei ordinati, salgono<br />

a 14 i velivoli acquistati dall’Italia) e sull’Afghanistan<br />

ha preteso la permanenza dei<br />

militari italiani ben oltre il 2015. Si arrabbia,<br />

Matteo Renzi, prova a giocare all’attacco, a<br />

evocare un’Europa solidale e non egoista,<br />

pronuncia discorsi nel miglior stile “obamiano”,<br />

nel suo tour africano, ma purtroppo<br />

i fatti non sono all’altezza dei propositi,<br />

perché i fatti stanno a testimoniare che l’Italia<br />

non decide e sui dossier più scottanti<br />

(l’Ucraina, la Grecia, il nucleare iraniano...)<br />

non è richiesta la nostra opinione. Il semestre<br />

di presidente italiana dell’Unione europea<br />

non ha lasciato traccia, quanto poi alla<br />

sbandierata conquista della poltrona di Alto<br />

rappresentante per la politica estera dell’Ue,<br />

andata alla diligente quanto politicamente<br />

impalpabile Federica Mogherini, beh, su<br />

questo, per carità di patria, è meglio stendere<br />

un velo pietoso. Chiede, e a ragione, maggiore<br />

collegialità, il premier italiano, a cominciare<br />

dalla “Questione greca” ma anche<br />

stavolta niente da fare, al vertice Hollande-<br />

Merkel non c’è posto per lui, neanche uno<br />

strapuntino. E così, all’inquilino di Palazzo<br />

Chigi non resta che avvertire “frau Merkel”<br />

e il socialista in assenza di prove, François<br />

Hollande che: «L’Europa senza la Grecia è<br />

impensabile». Peccato che a pensarci sono<br />

in tanti a Berlino e nei Paesi satelliti della<br />

Grande Germania. Resta la rivendicazione<br />

di un ruolo da protagonisti nel Mediterraneo.<br />

Richiesta legittima, da parte italiana,<br />

ma che se dovesse concretizzarsi soltanto<br />

nella nomina di un ammiraglio italiano a<br />

capo di una flotta che dovrebbe combattere<br />

gli scafisti, il massimo (!) che potrebbe ottenere<br />

è rispedire indietro, e cioè nei gironi<br />

infernali di Libia, Somalia, Eritrea, Iraq, Nigeria,<br />

Siria, Afghanistan», migliaia di disperati.<br />

Un risultato che farebbe felice l’altro<br />

Matteo: Salvini. Lasciamo da parte le pole-<br />

18 luglio 2015<br />

61


In apertura, Parigi, 6 luglio. Il<br />

presidente francese François Hollande<br />

con la Cancelliera tedesca Angela<br />

Merkel alla conferenza stampa sulla<br />

crisi greca. A destra, Sharm el Sheikh<br />

(Egitto), 13 marzo. Il premier Matteo<br />

Renzi con il presidente egiziano al-Sisi<br />

Nel mondo arabo<br />

il nostro alleato<br />

è il presidente<br />

egiziano al-Sisi<br />

che ha riempito<br />

le carceri<br />

di oppositori<br />

e tratta centinaia<br />

di blogger<br />

come pericolosi<br />

eversori<br />

miche interne, quelle di un Paese in campagna<br />

elettorale permanente: la politica estera<br />

è, o meglio dovrebbe essere cosa troppo<br />

seria per essere immiserita dallo stanco<br />

gioco delle battute e dei colpi bassi da talk<br />

show di quart’ordine. E allora sarebbe bene,<br />

anche per Renzi, prestare ascolto a queste<br />

considerazioni: «Il quadro che si compone<br />

è dunque quello di una politica difforme e<br />

frammentata, nella quale buoni risultati si<br />

accompagnano ad alcuni limiti, a una confusa<br />

azione internazionale e a un’inadeguata<br />

o appena sufficiente performance in altri<br />

ambiti». Come per esempio il “ruolo dell’Italia<br />

in Europa”. A sostenerlo non è qualche<br />

bastian contrario, magari pentastellato o<br />

coalizzatore sociale, ma il ben più moderato,<br />

anche nell’uso delle parole, Ispi, Istituto<br />

per gli studi di politica Internazionale.<br />

Le conclusioni del<br />

report sono più che deludenti:<br />

«Nonostante il timore per le minacce<br />

internazionali l’Italia non<br />

sembra in grado di dettare una<br />

propria linea nel quadro della<br />

governance europea». Sia chiaro:<br />

non è la buona volontà che<br />

manca. Né, a volte, propositi<br />

positivamente bellicosi. Ormai<br />

si è perso il conto delle volte in<br />

cui Matteo Renzi ha twittato,<br />

dichiarato, centrato interviste e<br />

conferenze stampa, sostenendo<br />

che la sua “mission possible” era lanciare la<br />

sfida all’Europa sull’austerità. Peccato che<br />

nessuno, nelle cancellerie che contano, lo<br />

abbia assecondato. La risposta, in tedesco,<br />

è sempre stata la stessa: «Dovete rispettare<br />

il Patto di stabilità». Punto e a capo.<br />

Quanto al fronte interno, non sono da meno<br />

quanti avevano pure plaudito il premier per<br />

misure adottate in economia (leggi Jobs act).<br />

«È demoralizzante vedere che quando fanno<br />

i vertici che contano non ci invitano più»,<br />

annota Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria.<br />

E ancora. L’ex capo della “Ditta”,<br />

Pier Luigi Bersani, non ha nulla, ma proprio<br />

nulla, dell’estremista di sinistra, né, va a suo<br />

merito, è animato da spirito di vendetta. Per<br />

questo, valgono ancora di più le sue considerazioni<br />

rilasciate a Repubblica, quando<br />

l’ex segretario Pd annota che in Grecia «hanno<br />

vinto i poveracci, i giovani senza lavoro,<br />

i disoccupati, gli studenti che stavano con<br />

il No. Questo alla sinistra dovrebbe bastare,<br />

perché è il nostro popolo». E nella gestione<br />

della crisi greca sarebbe «meglio un’uscita a<br />

sinistra», visto che «Tsipras chiede più Europa,<br />

più solidarietà, a differenza della Le Pen<br />

che in Francia chiederebbe meno Europa e<br />

meno solidarietà». E con chi chiede questo,<br />

è il corollario politico, ci si prova ad alleare<br />

e non gli si fa la guerra, finendo così, volenti<br />

o nolenti, a schierarsi con la Germania, che<br />

annovera tra i ministri che più contano, il titolare<br />

delle Finanze, Wolfgang Schäuble, capofila<br />

della linea durissima, sostenitore del<br />

default della Grecia, che più che a un governo<br />

intende impartire una lezione<br />

a un popolo intero. E magari<br />

dopo quello greco, il prossimo<br />

popolo da “educare” potrebbe<br />

essere quello italiano. Renzi ne<br />

prende coscienza ed ecco che<br />

vira a “sinistra” con «un’Europa<br />

senza la Grecia è impensabile».<br />

Quanto poi al sostegno europeo<br />

all’Italia nell’affrontare l’emergenza<br />

migranti e sostenere la<br />

“guerra” agli scafisti, non si può<br />

certo definire un successo la decisione,<br />

assunta dal vertice Ue<br />

del 23 aprile scorso, di triplicare<br />

i fondi per l’operazione Triton, visto che si<br />

è partiti da una base ridicola, rispetto alla<br />

cifra spesa con l’operazione Mare Nostrum,<br />

ovvero 2.9 milioni di euro al mese contro i<br />

10 milioni della missione voluta dal governo<br />

di Enrico Letta. In pratica, un milione di<br />

euro in meno. E questo apre il capitolo più<br />

dolente, quello che investe l’area su cui il<br />

nostro Paese, per collocazione geopolitica<br />

e per interessi nazionali, avrebbe dovuto<br />

esercitare una funzione di leadership: il Mediterraneo<br />

e il Vicino Oriente. Il semestre di<br />

presidenza italiana dell’Ue, anche alla luce<br />

dei drammatici avvenimenti che continuano<br />

a sconvolgere quella Regione, avrebbe<br />

potuto determinare uno spostamento a Sud<br />

delle politiche dell’Unione - vista anche la<br />

62 18 luglio 2015


© Ansa<br />

perdurante emergenza immigrazione - rimarcando<br />

così quella “vocazione mediterranea”<br />

che ha rappresentato il meglio della<br />

nostra politica estera. Questo salto di qualità<br />

semplicemente non è esistito. «Il mondo<br />

ha fame d’Italia», è solito ripetere Matteo<br />

Renzi. Se è così, nella tragedia dei migranti<br />

non lo ha dato a vedere. A meno che di quel<br />

“mondo che ha fame”, non facciano parte, o<br />

non abbiano diritto a essere iscritti, i milioni<br />

di esseri umani che hanno fame di vita e che<br />

dall’Europa, ma anche dall’Italia, vengono<br />

rifiutati. I fatti non sono stati all’altezza delle<br />

parole. E ciò che conta, in politica estera,<br />

sono i primi non le seconde. Ma anche le parole<br />

pesano, eccome se pesano. Soprattutto<br />

quando evocano scenari di guerra, di operazioni<br />

di “polizia internazionale”, che lasciano<br />

intendere tutto e niente. Come la “guerra<br />

agli scafisti”, a cui ha fatto accenno più volte<br />

il premier italiano. Chi e come dovrebbe fare<br />

questa guerra? Con quali mezzi: i droni, le<br />

portaerei? E sotto quale egida? E chi dovrebbero<br />

essere i nostri interlocutori in un Paese,<br />

la Libia, dove esistono due governi, due parlamenti,<br />

oltre 200 milizie in armi, 150 tribù<br />

in lotta tra loro, oltre che bande di trafficanti<br />

di esseri umani dotati di armi sofisticate,<br />

tirate via dagli arsenali del fu Colonnello<br />

Gheddafi? Un alleato nell’area l’abbiamo<br />

individuato: il generale-presidente dell’Egitto,<br />

Abdel Fattah al-Sisi che ha riempito<br />

le carceri di oppositori, messo al bando la<br />

Fratellanza musulmana e trattato centinaia<br />

di giovani blogger come pericolosi eversori<br />

(sostenere Il Gendarme delle Piramidi, peraltro,<br />

ci è già costato un attentato al tritolo<br />

contro il Consolato italiano al Cairo).<br />

Renzi ha dimostrato di essere abile, spregiudicato,<br />

determinato quando vuole, capace<br />

di prendere anche decisioni opportune<br />

(l’ingresso del Pd nel Pse, ad esempio) e allora<br />

accetti un consiglio spassionato: in Europa<br />

non s’improvvisa, e un sano esercizio<br />

di umiltà è sintomo d’intelligenza. E come<br />

tale va coltivato, con grande cura. Puntando<br />

sulle “colombe” e non cercando spazio tra i<br />

“falchi”, che poi misurando gli italici artigli<br />

(spuntati) sempre una misera terza fila gli<br />

assegnerebbero.<br />

18 luglio 2015<br />

63


<strong>TROIKA</strong>, LISBONA HA<br />

GIÀ VISTO QUESTO FILM<br />

Dopo tre anni di “cura” a base di austerità, debiti<br />

e disoccupazione restano. E anche in Portogallo<br />

c’è chi chiede un referendum per uscire dall’Eurozona<br />

di Tiziana Barillà<br />

La chiamano «liberazione<br />

dalla sottomissione all’euro».<br />

Dopo tre anni di “cura”<br />

della Troika e quando<br />

mancano meno di tre mesi<br />

alle prossime elezioni, il Portogallo<br />

torna all’attacco per voce dei comunisti.<br />

Il loro segretario Jerónimo de Sousa<br />

annuncia che il Pcp (60mila iscritti<br />

e il 12,69% alle ultime Europee) ha inserito<br />

l’uscita dall’Eurozona nel programma<br />

elettorale del suo partito: «La<br />

soluzione migliore sarebbe la dissoluzione<br />

dell’Unione economica e monetaria.<br />

Ma l’uscita non può essere un<br />

atto improvviso o un’avventura», ammette,<br />

e le «contraddizioni, esitazioni<br />

e cambiamenti delle istituzioni europee<br />

nei confronti del governo Tsipras<br />

dimostrano che non sono preparati<br />

all’uscita di un Paese». Se uscire o no,<br />

insomma, lo decidano i portoghesi,<br />

avverte il segretario: attraverso un referendum,<br />

oppure ci penserà il futuro<br />

governo. Alla cui guida la sinistra radicale<br />

si candida contro l’attuale centrodestra<br />

dei popolari e socialdemocratici<br />

di Pedro Passos Coelho, longa<br />

manus della Troika e delle politiche di<br />

austerità a Lisbona; e anche contro i<br />

socialisti del sindaco lisboeta António<br />

Costa, trionfatori delle ultime Europee<br />

(primi con il 31,4%) e moderatamente<br />

critici verso l’austerità.<br />

I muri di Lisbona, Porto e delle altre<br />

città sono tappezzati di manifesti che<br />

chiedono un referendum popolare<br />

per reclamare la fuoriuscita dall’Eurozona<br />

e il ritorno alla moneta nazionale,<br />

lo scudo. Insomma, l’Oxi infiamma<br />

sì l’orgoglio dei creditori sempre più<br />

duri al tavolo con la Grecia di Tsipras,<br />

ma radicalizza anche le posizioni in<br />

quei Paesi che alla Grecia si sentono<br />

legati da un destino comune. Come<br />

il Portogallo. È evidente, secondo de<br />

Sousa: «Quanto accade in Grecia dà<br />

ragione alla nostra proposta». Cosa<br />

vogliono? I comunisti chiedono di<br />

rinegoziare il valore nominale del debito<br />

con la sua riduzione di almeno il<br />

50%, e di estendere i termini di pagamento<br />

degli interessi. Poi, sollecitano<br />

il ritorno immediato al controllo<br />

pubblico delle banche e, a partire dal<br />

2016, l’aumento del salario minimo<br />

da 505 ad almeno 600 euro.<br />

Il Portogallo ha già conosciuto la<br />

“cura” di austerità, con un piano di<br />

salvataggio da 78 miliardi ripagato in<br />

tre anni, con tanto di lodi di Angela<br />

Merkel: «Ha imparato a camminare<br />

con le proprie gambe, adottando misure<br />

per ristrutturare le proprie finanze».<br />

Ripagato in moneta, ma anche in<br />

riforme: del mercato del lavoro, del<br />

sistema fiscale, delle liberalizzazioni<br />

in molti settori.<br />

«Un buon allievo», lo ha definito il Wall<br />

Street Journal, che sotto la guida del<br />

centrodestra ha tagliato, tassato e riorganizzato.<br />

Dritto come un treno, attraversando<br />

indenne anche una dura<br />

crisi politica del suo governo, a luglio<br />

di due anni fa, nel pieno della “cura”,<br />

quando anche i socialisti chiedevano<br />

elezioni anticipate. Crisi risolta con la<br />

svolta a destra del governo lusitano e<br />

la nomina del leader popolare Paulo<br />

Portas a vicepremier, il più a destra<br />

nella coalizione del governo conservatore<br />

di Lisbona. Due anni dopo, il<br />

primo ministro Passos Coelho insiste<br />

nel sostenere che il Portogallo sia ormai<br />

fuori pericolo. Non è affatto d’accordo<br />

de Sousa: «Si è cercato di con-<br />

64 18 luglio 2015


© Francisco Seco/AP Photo<br />

vincere la gente che abbiamo pagato<br />

tutti i debiti, ma non è vero. Il nostro<br />

debito è ancora insostenibile come<br />

quello greco. La disoccupazione continua<br />

a crescere, cosi come la povertà<br />

e le differenze sociali. Condividiamo<br />

gli stessi problemi strutturali della<br />

Grecia. Oggi il Paese non sta meglio e<br />

i sacrifici non sono valsi la pena», avvisa<br />

de Sousa: «Il Portogallo è molto<br />

più vulnerabile di prima, più fragile<br />

economicamente, con meno risorse<br />

e strumenti». Anche per le agenzie di<br />

Il leader comunista de Sousa:<br />

«La soluzione migliore<br />

sarebbe la dissoluzione<br />

dell’Unione economica<br />

e monetaria. Ma l’uscita non<br />

può essere un’avventura»<br />

rating, il Portogallo rimane un Paese<br />

vulnerabile, nonostante i miglioramenti<br />

è ancora valutato come «junk<br />

rating» (ad alto rischio). Non solo,<br />

l’indebitamento del settore privato e<br />

societario è molto alto e questo vuol<br />

dire che le aziende stanno ancora<br />

lottando per ristrutturare i bilanci e<br />

trovare nuovi capitali per gli investimenti.<br />

Infine, il credito continua a<br />

contrarsi: le famiglie e le imprese che<br />

lavorano sul mercato interno faticano<br />

ancora a ottenere prestiti e mutui,<br />

mentre chi esporta, spiega la Banca<br />

nazionale lusitana, riesce a ottenere<br />

finanziamenti bancari. Insomma, il<br />

Portogallo resta un Paese impoverito.<br />

Il suo debito supera ancora il valore<br />

prodotto dalla sua economia: l’indebitamento<br />

delle famiglie è al 130%, il<br />

rosso nelle casse dello Stato è passato<br />

dal 94% del Pil del 2010 al 126,7%<br />

del 2014. Infine, rileva l’Eurostat, la<br />

disoccupazione è calata ma non riesce<br />

a scendere al di sotto della soglia<br />

del 15%.<br />

Prestito internazionale e riforme<br />

dettate dalla Troika hanno contribuito<br />

a una certa ripresa economica, ma<br />

per molti portoghesi lo hanno fatto<br />

a costo di un’ingerenza eccessiva, se<br />

non di un asservimento. Cosa che mal<br />

si addice allo Stato sovrano più antico<br />

d’Europa.<br />

L’EUROZONA SPACCA<br />

LA SINISTRA<br />

La sinistra portoghese non è<br />

cosa semplice da raccontare.<br />

Tanto più se vista da Bruxelles.<br />

Ci sono i comunisti portoghesi<br />

- quelli del Pcp, fondato nel 1921,<br />

che conta circa 60mila iscritti ed è<br />

radicato nel sud agricolo del Paese -<br />

critici da sempre: prima verso l’eurocomunismo<br />

di Berlinguer e Carillo<br />

e poi verso la formazione del<br />

Partito della Sinistra europea. Alleati<br />

dei Verdi dal 1987, con la Coalizione<br />

democratica unitaria (Cdu)<br />

alle scorse Europee raggiungono<br />

il 12,64% eleggendo tre europarlamentari,<br />

tutti comunisti e iscritti al<br />

Gue/Ngl. Poi, c’è il Bloco de esquerda<br />

(Be), nato nel 1999 dalla fusione<br />

di partiti minori di estrazione comunista<br />

e socialista trotzkista. Con<br />

circa 7mila iscritti, nel 2014 raggiunge<br />

il 4,56% ed elegge un’eurodeputata:<br />

Marisa Matias, che siede<br />

nelle fila del Gue/Ngl e aderisce al<br />

Partito della Sinistra europea.<br />

Anche il Be, vicino tanto a Syriza<br />

quanto ai cugini spagnoli di Podemos,<br />

ha posizioni dure contro l’Europa<br />

della troika, ma non al punto<br />

da invocarne l’uscita. «Quando il<br />

governo portoghese resta al fianco<br />

di chi ricatta la Grecia, quando il<br />

governo portoghese rimane al fianco<br />

di chi sta lavorando affinché la<br />

Grecia esca dall’euro, sta lavorando<br />

contro il nostro stesso Paese», dice<br />

Catarina Martins, la portavoce del<br />

Be. «È l’Europa della punizione per<br />

chi osa non seguire le indicazioni<br />

della Germania. E Passos Coelho ha<br />

deciso di stare dalla parte della Germania».<br />

Europeisti, seppur critici i<br />

bloquisti sembrano più preoccupati<br />

da un’eventuale uscita che dalla<br />

permanenza: «Il Portogallo - avverte<br />

Martins - sarà il Paese che più velocemente<br />

e con più forza subirà le<br />

conseguenze della crisi economica<br />

che ciò potrebbe causare». t.b.<br />

18 luglio 2015<br />

65


Un concerto<br />

per salvare il Pianeta<br />

© Britta Pedersen/Ansa/Epa<br />

Dal 30 novembre all’11 dicembre a<br />

Parigi le Nazioni Unite si riuniranno<br />

per la Climate Change Conference. Lo<br />

stesso farà l’associazione 350.org con<br />

la nuova edizione di Pathway to Paris<br />

che ospiterà a Le Trianon una conferenza<br />

sullo stesso tema. Ospiti, oltre a<br />

relatori di spicco come Bill McKibben,<br />

Naomi Klein e Vandana Shiva, anche<br />

Thom Yorke, cantante dei Radiohead,<br />

Flea, Patti Smith e Dhani Harrison. Il<br />

fine ovviamente è sensibilizzare anche<br />

con la musica l’opinione pubblica<br />

sull’emergenza climatica. I biglietti<br />

saranno in vendita da settembre sul<br />

sito 350.org. Nel frattempo per i fan<br />

dei Radiohead ottime notizie, dopo<br />

che Yorke si è divertito ha comporre<br />

“Subterranea”, una canzone lunga 18<br />

giorni, la band è di nuovo in studio di<br />

registrazione. Giorgia Furlan<br />

18 luglio 2015<br />

67


La donna e l’identità<br />

della sinistra<br />

Il No del popolo greco mette in gioco l’identità dell’Europa<br />

e della sinistra. Ma è necessario superare la razionalità<br />

del logos occidentale e del comunismo<br />

di Gianfranco De Simone *<br />

na figura di donna di un antico<br />

mito di Europa emerge dal blu<br />

di una copertina che senza figura,<br />

con i colori parla di un’altra<br />

immagine femminile. Era su Left<br />

dell’altra settimana con la scritta<br />

“La rivolta. Il No della Grecia costringe<br />

a ripensare l’Europa e la Sinistra”. Penso<br />

alle parole di Albert Camus e all’azzardo del suo<br />

nuovo cogito: «Io mi rivolto, dunque noi siamo».<br />

Il no del popolo greco mette in gioco l’identità<br />

dell’Europa, l’identità della sinistra? Di<br />

sicuro il debito che noi abbiamo con la cultura<br />

greca è l’idea della democrazia. In quel gesto<br />

di Tsipras di dare la parola al popolo e nella risposta<br />

collettiva rivive lo spirito della polis. C’è<br />

da chiedersi se quel gesto parli anche di qualcos’altro,<br />

qualcosa che il logos greco escludeva<br />

dalla polis: un movimento irrazionale che ha<br />

portato al No poetico di un popolo che ha trovato<br />

ed espresso in quel no vittorioso il germe<br />

di un’identità non razionale. «Mi hanno preso<br />

le tasche - urla composta una donna di Atene -<br />

ma non la mente e il cuore».<br />

Al di là di come andranno le vicende della Grecia<br />

nell’Eurozona, ci troviamo davanti a un fatto<br />

nuovo nella sinistra: il marxista Tsipras è apparso<br />

l’eroe per un giorno di una rivolta irrazionale<br />

che ha reso più feroce la reazione calcolata con<br />

freddezza di coloro che lo vogliono eliminare<br />

insieme al suo popolo disordinato, incapace di<br />

far quadrare i conti.<br />

La storia ci ha insegnato che il logos non crea<br />

alcun movimento nella realtà umana, che basa<br />

la sua identità sul tenere fuori dalla coscienza<br />

ciò che sotto e senza la coscienza tende a muoversi,<br />

a venir fuori e lo blocca come dinamismo<br />

caotico distruttivo per l’ordine razionale.<br />

Oggi, ma ormai da sessanta anni, un pensiero<br />

nuovo ci invita alla rivolta mostrando che nel<br />

prerazionale c’è un movimento che è quello<br />

della vita umana, che inizia alla nascita e che,<br />

anche quando viene bloccato o distrutto dalla<br />

morsa di ragione e anaffettività, quel movimento<br />

può essere ricreato in un rapporto irrazionale.<br />

Il no di un singolo al logos occidentale ha aperto<br />

una ricerca sull’evoluzione e sui movimenti<br />

della mente umana e si è aperto al confrontoscontro<br />

con una collettività che quaranta anni<br />

fa aveva fallito la lotta al superamento del comunismo<br />

cercando una libertà senza identità.<br />

La “troika” di comunismo, esistenzialismo,<br />

68<br />

18 luglio 2015


18 luglio 2015<br />

69


freudismo aveva trascinato molti in una rivolta<br />

sciancata che ha finito per lasciare la sola libertà<br />

di scegliere la stampella del sostegno religioso o<br />

quella dell’identificazione col padre; di seguire<br />

la credenza di uno spirituale salvifico o muoversi<br />

soltanto nel rapporto con la realtà materiale.<br />

Religione e Ragione uniti nel salmodiare: ormai<br />

solo un Padre ci può salvare. Il logos occidentale<br />

impose la sua identità razionale allontanando le<br />

figure della mitologia che avevano raccontato il<br />

mondo con immagini senza rapporto con la realtà.<br />

I concetti sulla natura, fatti allontanando le<br />

immagini, erano costruiti da un pensiero razionale<br />

che lontano dagli affetti del corpo, avrebbe<br />

dovuto portare alla scienza invece portò solo<br />

alla filosofia. All’amore per il pensiero razionale<br />

e tutto ciò che era simile a se stesso (philia). Un<br />

pensiero che ha condannato l’irrazionale, ciò<br />

che non è ragione, a non essere pensiero, perché<br />

considerato diverso da se<br />

stesso, incapace di conoscenza<br />

La “troika”<br />

di comunismo,<br />

esistenzialismo,<br />

freudismo aveva<br />

trascinato molti<br />

in una rivolta<br />

sciancata che<br />

ha finito per<br />

lasciare la sola<br />

libertà di scegliere<br />

la stampella<br />

del sostegno<br />

religioso o quella<br />

dell’identificazione<br />

col padre<br />

e di contribuire alla ricerca della<br />

verità. Anzi l’irrazionale essendo<br />

animalità, cioè non umano,<br />

metteva a rischio l’identità<br />

umana e la ragione doveva combatterlo<br />

e tenerlo sotto controllo<br />

(come il debito!).<br />

L’uomo greco, padre del logos<br />

occidentale, pensò se stesso<br />

come identità razionale e pensò<br />

la donna come essere irrazionale,<br />

incompleta nella mente,<br />

da tenere nel chiuso dell’òikos<br />

per generare e occuparsi dei<br />

figli, anch’essi irrazionali e incompleti.<br />

Questi poi andavano<br />

affidati alle migliori identità razionali,<br />

rigorosamente maschili,<br />

per “completare” il loro sviluppo<br />

mentale, nella paideia, nel rapporto pedofilo<br />

maestro-allievo, l’unico che può inculcare il<br />

pensiero nel corpo dell’adolescente per renderlo<br />

umano. Un privilegio, un potere che nella religione<br />

cristiana è elevato a esclusiva prerogativa<br />

dello Spirito che insuffla l’anima nel prodotto<br />

del concepimento; e che sarà profanato, con insistenza<br />

nei nostri giorni, da tanti ministri di Dio<br />

addetti alla cura cattolica delle giovani anime.<br />

Solo sulle pagine di Left ho visto il coraggio di<br />

accusare il logos occidentale di non aver detto<br />

la verità sulla realtà della mente umana, di avere<br />

inculcato nelle menti la radice di un non è,<br />

anche senza parola, che è diventata negazione<br />

(Fagioli). Il sogno non è pensiero, l’irrazionale<br />

non è umano, non è conoscibile, la donna non<br />

è essere umano, il bambino non è. La sola identità<br />

è quella razionale del pater familias.<br />

Tsipras è il figlio che si ribella ai padri padroni<br />

del logos contabile o è quello che vuole a tutti<br />

i costi restare nella casa del padre? Questa storia<br />

può finire come una bella favola pre-logos o<br />

come una tragedia greca. La tragedia di Edipo<br />

ammonisce con le sue fantasticherie sul destino<br />

di sventura che insegue i figli che uccidono<br />

i padri. Nella favola di Amore e Psiche che precede<br />

il logos occidentale, c’è un’idea che poi è<br />

un’immagine che è stata eliminata dal logos. L’idea<br />

che Psiche, la donna, è in primo piano sulla<br />

scena, dove appare il suo cammino di adolescente<br />

che si allontana dalla casa del padre e,<br />

superando le difficili prove della vita viene a<br />

realizzare se stessa e la sua identità di donna,<br />

proponendo un nuovo e superiore ideale di<br />

bellezza femminile.<br />

È l’opposto del logos, in cui l’identità umana<br />

come ragione è realizzabile solo dal maschio,<br />

dal pater familias. Idea che ha attraversato immutata<br />

tutte le epoche del pensiero occidentale<br />

in cui con l’illuminismo si ratifica la scissione<br />

ed il principio che il pensiero razionale può<br />

avere rapporto soltanto con la realtà materiale;<br />

che il massimo che esso può raggiungere è l’essere<br />

per “identificazione con” il padre.<br />

L’identità del logos vede le cose materiali e gli<br />

dà un nome, ma non “vede” la realtà non materiale.<br />

Le parole che ha dato e dà a questa realtà<br />

invisibile non sono parole: perché sono figlie<br />

della scissione mente-corpo. Le stesse parole<br />

- creazione, trasformazione, memoria, desiderio,<br />

annullamento, pulsione - diventano parole<br />

figlie del superamento della scissione, figlie<br />

del corpo umano. Parole che fanno il linguaggio<br />

di Fagioli e dei suoi articoli che qualcuno in<br />

buona fede considera non comprensibili dalla<br />

ragione, mentre altri - che forse comprendono<br />

- si affannano a lanciare allarmismi sul rischio<br />

di rinunciare al pensiero del logos, perché senza<br />

di esso ci sarebbe il proprio disfacimento.<br />

Così come senza padri resterebbe senza freni<br />

la cultura del branco, pericolosamente alimentata<br />

dalla naturale cattiveria dell’infanzia<br />

70<br />

18 luglio 2015


In apertura F. Gérard, Amore e Psiche,<br />

1798, Louvre, Parigi.<br />

A fianco J. A. D. Ingres, Edipo e la Sfinge;<br />

1864, Baltimora, Usa<br />

(Scalfari). Questi appelli al mantenimento del<br />

logos, della figura del padre ecc., potrebbero<br />

essere lo smarrimento davanti a un pensiero<br />

che ha pensato qualcosa di nuovo e di opposto<br />

al logos occidentale.<br />

Finché c’è solo il No del rifiuto e della rivolta ci<br />

può essere il timore di non riuscire ad andare<br />

oltre. Così è stato per il rifiuto di Camus della<br />

Rivoluzione comunista, un no poetico, irrazionale,<br />

onesto, di grande coraggio e dignità che<br />

ha pagato con un’emarginazione feroce di Sartre<br />

e degli intellettuali engagé.<br />

Fagioli al rifiuto del pensiero vecchio, alla rivolta<br />

al non è della negazione, ha unito il “non<br />

è” che è affermazione, pensiero nuovo. Nel<br />

“non è” c’è l’energia del nucleo della nascita<br />

umana che nel movimento contro il mondo,<br />

nel No, simultaneamente realizza “l’è” dell’esistenza<br />

del corpo umano e di un altro essere<br />

umano con cui rapportarsi. Il prerazionale<br />

non è inconoscibile. La malattia mentale non<br />

è incurabile. L’identità non è la ragione, ecc..<br />

Questo linguaggio che parla di realtà non materiale<br />

con olimpica certezza, si scontra con la<br />

certezza millenaria che non si possa andare<br />

oltre il logos occidentale. Anche se c’è la negazione<br />

della donna, il problema della schiavitù,<br />

la violenza sui minori, ecc., esso resta un male<br />

minore, quasi un male necessario. Andare oltre<br />

non è pensabile! Tuttavia è un fatto storico che<br />

un pensiero nuovo ha creato un’identità che<br />

si è formata proprio eliminando dalla mente<br />

l’idea della naturale scissione tra coscienza e<br />

non coscienza, eliminando l’idea (delirante)<br />

che nel sonno l’uomo è senza pensiero e accogliendo<br />

nella mente l’idea della trasformazione<br />

del pensiero, dalla veglia al sonno, che<br />

si sogna perché si pensa, ricreando il primo<br />

anno di vita senza parola, con la capacità di<br />

immaginare. È altrettanto storico che andare<br />

oltre il logos occidentale nell’irrazionale ha<br />

significato la pazzia per Nietzsche. Ha significato<br />

per Heidegger trovarci qualcosa che non<br />

era uguale per tutti, che faceva la differenza tra<br />

esseri umani e subumani; trovarci una dimensione<br />

capace di realizzare la non esistenza.<br />

Il logos è il passato che non passa, che resta e si<br />

vuole fissato per sempre come unico migliore<br />

ed eterno destino della realtà umana. La parola<br />

logos nella sua radice ha il significato primario<br />

di scegliere, raccogliere, seguito da contare e,<br />

solo alla fine, parlare. Oggi sembra aver assunto<br />

il carattere metallico di una gelida razionalità<br />

contabile. Una mano di ferro che ha instaurato<br />

in modo strisciante una vera e propria dittatura<br />

economica che sta sopra il potere politico e si<br />

arroga il potere di punire e schiacciare coloro<br />

che, considerati debitori inaffidabili e in rivolta,<br />

sarebbero dovuti restare fuori per 5 anni,<br />

secondo la proposta illegale di Schaeuble. Per<br />

destinarli all’“autoannientamento”? È difficile<br />

capire se nella rivolta di Tsipras, di Syriza, ci sia<br />

una rivolta al logos occidentale dei tecnocrati<br />

che imponendo un homo oeconomicus rivela<br />

tratti in comune con le esperienze del comunismo<br />

al potere, che considerava dell’essere<br />

umano solo i collegamenti con la merce e la<br />

capacità di produrre beni materiali. Il plusvalore<br />

del capitalismo di Stato veniva gestito dai<br />

funzionari del partito, reintroducendo le diseguaglianze<br />

dopo aver eliminato la libertà con il<br />

controllo estenuante delle vite umane.<br />

Superamento del logos e superamento del<br />

comunismo camminano abbracciati per realizzare<br />

un’identità della sinistra. Recuperare<br />

la propria identità irrazionale è recuperare<br />

la capacità originaria di realizzare un No che<br />

è rifiuto della diseguaglianza, è lotta contro i<br />

logos che disumanizzano la vita. È realizzare<br />

quell’uguaglianza originaria che consente il<br />

rapporto tra esseri umani diversi. Quell’immagine<br />

femminile che permette all’uomo, orfano<br />

del logos, di realizzare se stesso.<br />

*psichiatra e psicoterapeuta<br />

18 luglio 2015<br />

71


72<br />

18 luglio 2015


Majakovskij, il poeta<br />

“suicidato” dal regime<br />

Per Stalin era una presenza scomoda. Non solo perché criticava i burocrati<br />

e denunciava il ritorno all’ordine. Ma perché «era la poesia allo stato puro,<br />

incandescente» dice Serena Vitale, autrice de Il defunto odiava i pettegolezzi<br />

di Simona Maggiorelli<br />

non mostrava alcun segno di disagio psichico, e<br />

nulla faceva presagire la tragedia» ricostruisce<br />

Serena Vitale nel libro Il defunto odiava i pettegolezzi<br />

(Adelphi). E molto altro ancora si scopre<br />

leggendo questo volume, pieno di indizi che<br />

invitano a interrogarsi su quel suicidio. La slavista<br />

si è finta “detective” facendo una ricerca<br />

a tappeto negli archivi e tuffandosi nei giornali<br />

dell’epoca. Ma non si è limitata a scrivere un<br />

avvincente libro-inchiesta. La sua prosa incalzante<br />

e febbrile invita a riscoprire questo «immenso<br />

poeta» che era diventato assai scomodo<br />

per il regime stalinista. In testi come La cimice<br />

(1928) e Il bagno (1929) Majakovskij stigmatizzava<br />

il filisteismo di ex rivoluzionari diventati<br />

burocrati, e denunciava il ritorno all’ordine che<br />

aveva ucciso la bella utopia del socialismo e la<br />

ricerca. Lui si era gettato con entusiasmo nella<br />

lotta di liberazione dallo zarismo, aveva lasciato<br />

la Georgia perché non sopportava l’immobilismo<br />

della provincia, si era trasferito a Mosca<br />

cogliendone i più vivi fermenti politici (finì in<br />

carcere a soli 14 anni per attività clandestina)<br />

ma anche e soprattutto artistici. A Mosca le novità<br />

dell’avanguardia parigina erano più conosciute<br />

che nel resto d’Europa, come notava Antutti.<br />

Se muoio, non incolpate nessuno. E, per<br />

favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva<br />

sopportare... Non è una soluzione (non la<br />

consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta.<br />

Lilja, amami...Come si dice, l’incidente<br />

è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata<br />

contro il quotidiano. La vita e io siamo<br />

pari. Inutile elencare offese, dolori,<br />

torti reciproci. Voi che restate siate felici».<br />

Così Vladimir Majakovskij lasciava scritto<br />

prima di suicidarsi il 14 aprile 1930. Ma molti<br />

aspetti di quel gesto restano ancora oscuri.<br />

Perché quel biglietto d’addio potrebbe essere<br />

un collage di versi precedenti. Perché la pistola<br />

non era la sua Mauser. Perché c’è chi dice di<br />

aver visto una scala esterna, poi sparita, che arrivava<br />

allo «studio-barchetta» dove fu trovato il<br />

cadavere. Perché agli incontri della Lef fondata<br />

nel ‘23 dal poeta e alle sue serate prendevano<br />

parte anche sinistri uomini dei servizi di Stalin.<br />

Come Agranov che frequentava - e sorvegliava<br />

segretamente - l’intelligencija moscovita. E ancora,<br />

perché la versione di Veronika che era con<br />

lui quella mattina mostra molte incongruenze.<br />

Perché gli amici Šklovskij, Rodcenko, Pasternak,<br />

Tatlin, non se l’aspettavano. «Negli ultimi giorni<br />

18 luglio 2015<br />

73


Aleksandra Kollontaj lottò per liberare<br />

il rapporto fra uomo e donna dalla<br />

famiglia e dal bigottismo. E il primo<br />

provvedimento dopo l’ottobre del ’17<br />

fu il divorzio facile. Ma negli anni 30 la<br />

Russia divenne un Paese ultra puritano<br />

IN BREVE<br />

Nato a Bagdadi, in<br />

Georgia nel 1893,<br />

Majakovskij si trasferì<br />

a Mosca frequentando<br />

gruppi socialisti<br />

clandestini e studiando<br />

arte. Divenne<br />

futurista pensando<br />

che la rivoluzione<br />

esigeva forme e un<br />

linguaggio nuovo.<br />

gelo M. Ripellino in Majakovskij e il teatro russo<br />

d’avanguardia (Einaudi, 1959), e più di recente<br />

Remo Faccani nella prefazione a La nuvola in<br />

calzoni di Majakovskij (Einaudi, 2012).<br />

La ricerca pittorica iniziata con Van Gogh e<br />

Cézanne che con Picasso e Matisse si apriva a<br />

un nuovo modo di fare immagini, abbandonando<br />

la fredda visione razionale della realtà,<br />

era giunta come una onda travolgente anche a<br />

Mosca arrivando a lambire l’Istituto d’arte dove<br />

studiava Majakovkij (dal quale poi fu espulso).<br />

Lui, con un’ardita blusa gialla, nel 1912, si era<br />

dato al teatro futurista e cercava forme nuove,<br />

fuori dalla rigida accademia. Poi la passione<br />

per il cinema, per il<br />

fotomontaggio, per<br />

la grafica e, insieme,<br />

l’incontro con l’attrice<br />

Lilja Brik che divenne<br />

la sua musa e amante,<br />

mentre suo marito, il<br />

commerciante Osjp<br />

Brik, divenne editore<br />

pubblicando La nuvola<br />

in calzoni. Tre<br />

anni dopo, nel 1919,<br />

cominciò la loro convivenza, in una kommunalka.<br />

«Io ero la moglie di Volodja, lo tradivo<br />

come lui tradiva me. E tutte le chiacchiere sul<br />

triangolo e sull’amour à trois non hanno niente<br />

a che vedere con quello che in realtà c’era fra<br />

noi», disse poi Lilja. Majakovskij aveva letto Che<br />

fare? di Cernyševskij che metteva in discussione<br />

il modello della famiglia borghese e sapeva<br />

di Ol’ga Pavlova Lopuchova, antesignana della<br />

«donna nuova» che in pieno ‘800 cercava di liberarsi<br />

«da secolari catene». «La stessa Aleksandra<br />

Kollontaj che lottò per liberare il rapporto<br />

uomo donna dal bigottismo si ispirò alla loro<br />

vicenda nel presentare un decreto sui danni<br />

della gelosia», ricorda Vitale. Ma la sua iniziativa<br />

fu ben presto bloccata da Lenin. Nonostante<br />

lui stesso, benché sposato, quando era all’estero<br />

avesse avuto un’amante. «Il primo provvedimento<br />

legislativo che fu preso dopo l’ottobre<br />

1917 riguardava il matrimonio che veniva<br />

spogliato di ogni significato religioso ma anche<br />

statale, tanto che era facilissimo divorziare. Ben<br />

presto però si tornò a celebrare la famiglia tradizionale<br />

e negli anni 30 la Russia diventerà un<br />

Paese ultra puritano», nota la scrittrice. Intanto<br />

«nel 1919 si era insediata la Ceka, la commissione<br />

creata da Lenin e Dzeržinskij “per combattere<br />

la controrivoluzione e il sabotaggio”, che<br />

operava come una sorta di gladio, di scudo della<br />

dittatura proletaria». Con l’arrivo di Stalin al<br />

potere, la stretta autoritaria diventò una morsa<br />

mortale. Non solo per Majakovskij ma anche<br />

per molti altri artisti. Al suicidio di Sergej Esenin<br />

seguiranno altre sparizioni e casi di morte<br />

violenta fra gli scrittori, repressioni, “purghe”.<br />

Intanto sul piano dell’arte l’imposizione di<br />

un piatto naturalismo come stile di Stato farà<br />

sì che gli spazi per Majakovskij si restringano<br />

molto. Cominciano gli attacchi, il poeta viene<br />

isolato e calunniato. Il perfido Gor’kij (che nel<br />

‘34 figurerà fra i fondatori del realismo socialista)<br />

mise in giro la voce che il poeta fosse affetto<br />

dalla sifilide, «malattia del capitalismo». È in<br />

questo clima che avviene il suicidio. Ma anche<br />

dopo la sua scomparsa il regime non smetterà<br />

di accanirsi sulla sua memoria. In risposta ad<br />

una lettera a Stalin di Lilja Brik nel 1935, Majakovskij<br />

fu imposto nelle scuole come poeta di<br />

regime, in versione censurata, adattata, stravolta.<br />

Ma già all’indomani della sua morte si erano<br />

messi a dissezionarne il cervello. Per studiarlo<br />

era stato creato il Gim, diretto dal tedesco Oskar<br />

Vogt. Con una cieca ideologia materialista e riduzionista<br />

che annullava la realtà psichica e l’identità<br />

umana, «la scienza sovietica tentò lungamente<br />

di carpire il segreto della grandezza<br />

e della genialità. Invano. Né le esangui fettine<br />

del parencefalo di Majakovskij fecero la benché<br />

minima luce sul mistero della poesia» scrive<br />

l’autrice di questo bel libro (e dell’affascinante<br />

Il bottone di Puškin, Adelphi). «Il cervello di<br />

Lenin veniva usato come unità di misura. Era<br />

l’epoca in cui il positivismo pensava che le sue<br />

dimensioni contassero. Oggi sappiamo che non<br />

dimostrano nulla. Ma allora in Russia c’era una<br />

scuola tedesca che pensava di fabbricare l’uomo<br />

nuovo in un modo che ricorda l’eugenetica<br />

nazista. Ciò che mi ha sempre colpito», rimarca<br />

Serena Vitale, «è che dopo quell’intervento<br />

gli studi su Majakovskij hanno taciuto. Dopo<br />

la riabilitazione postuma, che è stata una sorta<br />

di consacrazione, sono rimasti questi cervelli<br />

che sono a Mosca, in un museo... degli orrori».<br />

Una mummificazione per tentare di ingabbiare<br />

Majakovskij, la poesia, l’irrazionale? «Potevano<br />

affettare tutto quello che volevano, ma uno la<br />

74<br />

18 luglio 2015


poesia c’è l’ha o non ce l’ha. E Majakovskij era la<br />

poesia allo stato puro, incandescente, magma,<br />

lava». Perciò prima di scrivere questa inchiesta<br />

l’ha tradotto? «Il Majakovskij che perlopiù<br />

si conosce in traduzione è molto sbiadito. Ne<br />

trasmettono una versione grigia, ideologizzata.<br />

Inaccettabile per me. Poi per cucire questo libro<br />

ho usato come filo rosso una passione per<br />

Majakovskij che spero di trasmettere. È stato<br />

davvero uno dei grandi del ‘900. Era un uomopoeta,<br />

il monumento è ciò che gli si addice di<br />

meno». Capì che una vera rivoluzione ha bisogno<br />

di un linguaggio nuovo? «Ebbe questa idea<br />

prima della rivoluzione di ottobre, da futurista.<br />

Poi cercò di indirizzare questa carica iconoclasta<br />

verso qualcosa di costruttivo, mettendola al<br />

servizio della rivoluzione. E fu leale. Chi vuole<br />

farne una specie di vittima, di dissidente, non<br />

dice il vero. Non sopportava che la rivoluzione<br />

si stesse impietrendo, in una dimensione di<br />

routine, fissa. La “vita dei giorni” per lui doveva<br />

essere sempre sulle barricate. La vita tristanzuola,<br />

ormai piccolo borghese, non faceva per<br />

lui. Ma va anche detto», sottolinea Vitale, «che<br />

non era facile capire cosa stava accadendo. A<br />

parte Pasternak e Mandel’štam, che avevano<br />

fiuto politico, in molti non compresero. E Majakovskij<br />

non ne aveva. Lui era poesia e rivoluzione,<br />

l’ideologia gli era totalmente estranea».<br />

Ma non voleva rinunciare all’idea di un’umanità<br />

nuova, basata sull’uguaglianza, al sogno di<br />

una società più giusta. «Non voleva rinunciare<br />

ai suoi ideali. Era come se dicesse superiamo<br />

questo momento terribile. Ricorda un po’ Le tre<br />

sorelle di Cechov: “Fra cento o duecento anni<br />

la vita diventerà più bella”. E lui scriveva: “Fra<br />

cent’anni io alzerò i miei libretti come il libretto<br />

del partito”. Il suo requiem è stato il poema<br />

A piena voce: era un messaggio al futuro. Se si<br />

svegliasse oggi Majakovskij, poveretto! Lui credeva<br />

davvero che ci sarebbe stata una società<br />

migliore, senza storpi, monchi e mendicanti.<br />

Il mio libro nasce per rendergli omaggio, per<br />

farlo parlare con i posteri». Oggi si troverebbe<br />

davanti Putin che, fra molto altro, ha chiuso il<br />

museo Majakovskij. «In questo molta responsabilità<br />

ha l’oligarchia di Mosca, perché quel<br />

palazzo al centro di Mosca ora vale miliardi.<br />

Non oso immaginare cosa potrà accadere a<br />

tutte le cose meravigliose che conteneva, libri,<br />

documenti, quadri dell’epoca».<br />

Alcune immagini di Vladimir<br />

Majakovskij, con Lilja Brik. A sinistra il<br />

manifesto di un film di Vertov del 1929,<br />

L’uomo con la macchina da presa<br />

18 luglio 2015<br />

75


La Città della Scienza,<br />

un nuovo Rinascimento<br />

Dopo il rogo del 2013, parte la ricostruzione dello science centre<br />

di Bagnoli. Con un modello di sviluppo che fa capo all’economia della<br />

conoscenza. Grazie a un progetto di due giovani architetti italiani<br />

di Pietro Greco<br />

76<br />

18 luglio 2015


cco, qui ci sarà una grande spiaggia, come<br />

quella che aveva fatto di Bagnoli il centro della<br />

Belle Époque napoletana tra la fine dell’Ottocento<br />

e l’inizio del Novecento. Poi, a 30 metri<br />

dalla battigia, il nostro science centre rigorosamente<br />

hands-on, dove per i 500.000 visitatori<br />

previsti in un anno sarà “vietato<br />

non toccare”: una successione di sale<br />

che ospiteranno il museo interattivo<br />

permanente, tre zone per altrettante<br />

aree tematiche, l’officina dei piccoli,<br />

il planetario, il teatro, il ristorante e,<br />

ovviamente, una splendida terrazza sul mare.<br />

All’esterno l’edificio, realizzato con materiali<br />

riusati e autosufficiente dal punto di vista<br />

energetico, apparirà compatto, chiuso in una<br />

membrana di cemento poroso che richiamerà<br />

l’opus reticulatum romano, ma assolutamente<br />

luminoso, con grande spiegamento di vetrate.<br />

Cosicché di sera si accenderà come un lume.<br />

Una grande lanterna che illuminerà il golfo e,<br />

si spera, il rinascimento della città.<br />

Non è senza orgoglio e una certa commozione<br />

che la settimana scorsa Vittorio Silvestrini,<br />

fisico visionario, 80 anni da poco compiuti,<br />

emiliano di nascita e napoletano di adozione,<br />

ha reso noto il progetto che ha vinto la gara<br />

internazionale per la ricostruzione appena<br />

a monte della spiaggia di Coroglio a Bagnoli<br />

dello science centre della Città della scienza<br />

di Napoli, messo a fuoco da una mano ancora<br />

anonima il 4 marzo 2013.<br />

La notizia è degna di grande attenzione da<br />

parte di tutti, anche fuori da Napoli, per almeno<br />

cinque motivi che superano l’ambito, pur<br />

molto importante, della comunicazione della<br />

scienza.<br />

1<br />

La Città della scienza è come un fiore<br />

in un deserto. In un deserto industriale.<br />

Con i suoi 80 collaboratori,<br />

quasi tutti laureati e altamente qualificati,<br />

impegnati nella “economia della conoscenza”<br />

e nella sua promozione, è tutto ciò<br />

che di vivo resta in un’area, quella di Bagnoli,<br />

appunto, dove 20 anni fa trovavano lavoro<br />

oltre 15.000 persone, tra operai dell’impianto<br />

siderurgico Ilva (ex Italsider), indotto e altre<br />

manifatture. Una mano criminale, quel 4 mar-<br />

18 luglio 2015<br />

77


In apertura e di lato<br />

rendering del progetto<br />

di ricostruzione dello science<br />

centre di Bagnoli<br />

zo 2013, aveva cercato di reciderlo quell’unico,<br />

testardo fiore. La mano è ancora sconosciuta.<br />

E i motivi che l’hanno portata ad agire non<br />

sono chiari. Sta di fatto che non c’è riuscita.<br />

La Città della scienza non è morta. E, anzi, si<br />

ripropone con rinnovato vigore come piccolo<br />

esempio concreto e forse anche come uno dei<br />

nuclei di condensazione di una nuova economia,<br />

quella fondata sulla conoscenza, che unica<br />

può dare una speranza a Napoli e all’intero<br />

Mezzogiorno, a loro volta diventati deserti industriali.<br />

2<br />

Nelle intenzioni di Vittorio Silvestrini<br />

e dei suoi collaboratori, la ricostruzione<br />

della Città della scienza vuole<br />

essere una cosa seria e trasparente.<br />

Come sanno esserlo le grandi imprese scientifiche.<br />

Per questo motivo il progetto non è<br />

stato affidato per chiamata diretta, ma è stato<br />

bandito un concorso internazionale cui hanno<br />

partecipato in maniera anonima (i progetti<br />

disgiunti dalla firma) 98 gruppi italiani e stranieri,<br />

tra cui architetti inglesi, francesi, persino<br />

giapponesi. La selezione è stata affidata<br />

a una commissione di esperti - con membri<br />

nominati dal Consiglio nazionale degli architetti,<br />

dal Consiglio nazionale degli ingegneri e<br />

dall’Inarcassa, oltre che dalla stessa Fondazione<br />

Idis - che, sempre in maniera anonima, giudicando<br />

il merito dei progetti senza conoscerne<br />

gli autori, lo scorso 18 febbraio ha scelto le<br />

15 migliori proposte. I progettisti scelti hanno<br />

avuto poi tre mesi per dettagliare i loro piani,<br />

in modo che alla fine di maggio si è iniziato a<br />

procedere alla scelta il vincitore.<br />

3<br />

Premiati sono risultati due giovani e<br />

(finora) sconosciuti architetti: il napoletano<br />

Valerio Ciotola, 31 anni, e il<br />

veneziano Andrea Guazzieri, 29 anni.<br />

Dovranno coordinare il lavoro di otto imprese<br />

napoletane (la capogruppo è la Stige & Partner)<br />

e avranno a disposizione un budget di<br />

33,3 milioni di euro. Tempi di consegna, entro<br />

il 2018. Loro stessi, Guazzieri e Ciotola, si sono<br />

detti meravigliati per l’esito del concorso: non<br />

credevano che in Italia, che a Napoli, potesse<br />

essere riconosciuto il merito e non l’apparte-<br />

78<br />

18 luglio 2015


nenza o il blasone. Certo, è un altro messaggio<br />

non banale il fatto che l’anziano fisico visionario,<br />

Vittorio Silvestrini, abbia annunciato la<br />

vittoria di questi due giovani, affidando ufficialmente<br />

loro la ricostruzione della Città della<br />

scienza. È un messaggio non banale perché<br />

mezzo secolo fa Vittorio Silvestrini è stato uno<br />

di quei “giovani leoni” che, sotto la guida di<br />

Giorgio Salvini e Bruno Touschek, hanno ideato<br />

e realizzato la “via italiana alle alte energie”,<br />

facendo della fisica italiana delle particelle<br />

una delle prime al mondo.<br />

4<br />

Valerio Ciotola e Andrea Guazzieri sono<br />

l’esempio - uno, purtroppo dei pochissimi<br />

- di cervelli italiani che si sono<br />

formati all’estero e che hanno scelto<br />

di ritornare per provare a lavorare in Italia. I<br />

due hanno frequentato le aule di architettura<br />

dell’università di Venezia, ma poi si sono laureati<br />

presso la Technische Universiteit Delft,<br />

l’università tecnica dell’Aja, in Olanda. Avevano<br />

tutte le possibilità di spendere all’estero i<br />

loro talenti. Hanno scelto però di spenderli in<br />

Italia, in controtendenza, non senza coraggio<br />

e anche con una certa dose di scetticismo. Invece<br />

sono stati premiati. E il premio è venuto<br />

dal Mezzogiorno d’Italia, dove la disoccupazione<br />

giovanile supera il 50 per cento e non<br />

è certo il merito, in genere, il fattore primario<br />

su cui contare per trovare lavoro. Il messaggio<br />

che viene da Città della scienza ha, ancora una<br />

volta, un alto valore simbolico. Anche in Italia,<br />

anche a Napoli si può.<br />

5<br />

Quella che è andato bruciato, il 4 marzo<br />

2103, è solo una parte di Città della<br />

scienza: lo science centre, il museo<br />

interattivo dove si impara a “mettere<br />

le mani” (ma anche la mente e il cuore) per<br />

sperimentare direttamente, acquisire i primi<br />

rudimenti del modo di lavorare degli scienziati<br />

(no “il metodo”, che non esiste) e, anche, provare<br />

emozioni mentre “si interroga la natura”.<br />

E la ricostruzione a opera dei giovani architetti<br />

Valerio Ciotola e Andrea Guazzieri riguarderà<br />

quella parte della Città della scienza che ritornerà<br />

a essere uno dei più grandi science centre<br />

di tutta Europa. Ma il museo interattivo è,<br />

anche per area fisica occupata, solo una parte<br />

di Città della scienza. Che è anche un centro<br />

congressi, un centro di studi e un incubatore<br />

d’imprese. Perché, la sua idea fondante è che<br />

la scienza debba essere cultura diffusa per creare<br />

un nuovo modello, sostenibile, di sviluppo<br />

e una “società democratica della conoscenza”.<br />

Insomma, la Città della scienza non si propone<br />

solo come luogo per valorizzare la dimensione<br />

culturale della ricerca scientifica, ma anche<br />

per valorizzare la sua dimensione pratica, che<br />

non è meno importante, nella convinzione che<br />

la conoscenza sia appunto l’unica leva disponibile<br />

per il rilancio sociale ed economico del<br />

Mezzogiorno e dell’Italia intera.<br />

Per questo, fin dalla sua origine, primo museo<br />

hands-on al mondo, la Città della scienza<br />

di Napoli ha ospitato al suo interno un incubatore<br />

di imprese. Di imprese fondate sulla<br />

conoscenza e attente alla sostenibilità sociale<br />

ed ecologica. Ebbene, in questi due<br />

anni e mezzo dopo l’incendio, Vittorio<br />

Silvestrini e il gruppo dirigente del<br />

museo hands-on non si sono lasciati<br />

vincere dalla sindrome della vittima<br />

e neppure impegolare nelle mille polemiche<br />

che una città come Napoli<br />

genera a profusione. Hanno lavorato<br />

con uno sguardo rivolto al futuro. Due<br />

i progetti principali. Da un lato la realizzazione<br />

di nuovo museo interattivo,<br />

accanto a quello in ricostruzione:<br />

si chiama Corporea e sarà il primo in<br />

Italia interamente dedicato al corpo umano e<br />

alla biomedicina. È frutto di un investimento<br />

di 6 milioni di euro e sarà inaugurato all’inizio<br />

del 2016. Il secondo progetto è la costruzione<br />

dell’Area industria della conoscenza che<br />

è stato realizzato ed è in fase di sviluppo fisicamente<br />

lontano dal museo, in uno spazio di<br />

circa tremila metri quadri, a impatto ecologico<br />

zero, a ridosso del quartiere di Bagnoli. Già<br />

oggi ospita oltre venti imprese fondate sulla<br />

conoscenza, che vantano 20 brevetti depositati,<br />

oltre 20 milioni di euro di fatturato, sono<br />

presenti sui mercati internazionali e danno lavoro<br />

a circa 250 dipendenti. Per lo più giovani,<br />

come Valerio Ciotola e Andrea Guazzieri, altamente<br />

qualificati.<br />

Un museo interattivo,<br />

l’officina dei piccoli,<br />

il planetario, un teatro,<br />

una terrazza sul mare.<br />

È il progetto di Ciotola<br />

e Guazzieri, “cervelli<br />

in fuga” tornati in Italia<br />

18 luglio 2015<br />

79


Il favoloso mondo<br />

di Misilmeri<br />

L’ultimo disco di Dimartino esplora la geografia umana.<br />

Omaggia la lentezza, nell’ascolto e nella narrazione.<br />

E viaggia per paesi reali e immaginari, partendo dalla sua Palermo<br />

di Tiziana Barillà<br />

n paese ci vuole, non fosse<br />

che per il gusto di andarsene<br />

via». Parte da qui<br />

l’ultimo viaggio di Dimartino,<br />

Un paese ci vuole (2015). Il cantautore<br />

palermitano prende in prestito le<br />

parole di La luna e i falò di Cesare Pavese<br />

per costruirci intorno suggestioni<br />

e immaginari, fatti di viaggi lenti e lente<br />

percezioni, di ascolto attento e attenta<br />

narrazione. Terra dove affondano le radici<br />

e chimera visionaria di questo viaggio<br />

è Misilmeri, in provincia di Palermo.<br />

In questo tour estivo, il trio Dimartino -<br />

che oltre ad Antonio include anche Angelo<br />

Trabace e Giusto Correnti - porta<br />

a spasso l’album uscito il 21 aprile per<br />

Picicca dischi. Ma Antonio Dimartino,<br />

classe 1982, torna dopo Cara maestra<br />

abbiamo perso (2010), Sarebbe bello<br />

non lasciarsi mai ma abbandonarsi<br />

ogni tanto è utile (2012) e Non vengo<br />

più mamma (2013), che gli sono valsi<br />

l’indiscusso ingresso nell’universo cantautorale<br />

italiano.<br />

Paesi reali e immaginari. Evochi una<br />

dimensione geografica o interiore?<br />

In un primo momento è geografico, ma<br />

la geografia condiziona molti lati dell’animo<br />

umano. Nascere in un paese o<br />

in una città, davanti a un fiume o sulla<br />

punta di una montagna, condiziona la<br />

tua vita, il tuo modo di sentire la natura<br />

e le altre persone. La geografia condiziona<br />

il destino delle persone, soprattutto<br />

in questo periodo storico in cui i<br />

confini sono diventati troppo importanti.<br />

Ma la geografia è una condizione<br />

dell’anima.<br />

Il tuo paese, Misilmeri, corrisponde<br />

alla tua anima?<br />

Non può non essere lo specchio della mia<br />

anima. È un posto dove ho lasciato delle<br />

cose e dove ogni tanto le vado a riprendere,<br />

quando parto porto via delle cose e<br />

poi le torno a rileggere e riguardare.<br />

Ce lo descrivi? Per chi non è mai stato<br />

a Misilmeri, s’intende…<br />

(ride) In realtà, credo di avere una visione<br />

molto idealizzata... Cerco di vedere<br />

la bellezza anche dove non c’è. Il mio<br />

paese negli anni 80 ha vissuto una pesantissima<br />

guerra di mafia ed è stato<br />

condizionato anche politicamente da<br />

scelte devastanti, anche da un punto di<br />

vista paesaggistico. Il piano regolatore,<br />

per esempio, lo hanno fatto solo negli<br />

ultimi anni.<br />

Ma?<br />

Ma mi piace pensarlo come un paese<br />

ideale. Credo che coi luoghi dovremmo<br />

avere questo tipo di rapporto, anche<br />

vedendo i luoghi brutti possiamo immaginare<br />

come siano stati e possiamo<br />

progettare un modo per renderli migliori<br />

in futuro. Le persone, le usanze,<br />

resistono e trovi ancora qualcuno che<br />

te le racconta.<br />

Il tuo lavoro, del resto, è raccontare.<br />

Quali sono le tue “fonti narranti”?<br />

Il modo in cui i paesi si stanno spopolando,<br />

i miei coetanei che vivono tutti<br />

fuori dall’Italia e quei pochi che sono<br />

rimasti e arrancano. Le impressioni che<br />

ho avuto viaggiando, soprattutto nel<br />

Sud. E le storie che apprendo parlando<br />

con le persone a me vicine.<br />

Come tuo nonno, giusto?<br />

Sì, mio nonno è un grande narratore, ha<br />

90 anni per cui è uno che non si fa pregare<br />

per raccontarti le storie…<br />

80<br />

18 luglio 2015


Cosa serve per tornare ad ascoltare?<br />

La lentezza. È una cosa a cui non siamo<br />

più abituati, recuperarla ci può fare recuperare<br />

un modo antico di ascoltare<br />

e di raccontare. Oggi molte discussioni<br />

avvengono con dei post su facebook,<br />

in cui non è possibile nemmeno<br />

esprimersi con la mimica facciale, si è<br />

annullata l’umanità nella discussione.<br />

Recuperare la lentezza significa anche<br />

discutere guardandosi negli occhi,<br />

prendersi il tempo di osservare le reazioni<br />

fisiche altrui.<br />

Siamo finiti nella “filosofia”... parliamo<br />

un po’ di musica?<br />

Ecco, infatti. Mi piace pensare a questo<br />

come un disco folk, nel senso che<br />

racconta una coralità, un momento<br />

storico, un sentire comune. Poi magari<br />

musicalmente ci sono molte influenze<br />

della canzone d’autore e del pop, però<br />

ho scritto ogni singola parola pensando<br />

di scrivere un disco folk.<br />

Concettualmente folk, ma contiene<br />

il più classico e rassicurante cantautorato.<br />

A cosa dobbiamo tanta calma<br />

serafica?<br />

Non mi piaceva l’idea di<br />

discriminare il pubblico<br />

per una questione musicale,<br />

di fare delle sperimentazioni<br />

che potessero<br />

allontanare una parte<br />

di pubblico. Finalmente<br />

questo disco lo ascolta anche<br />

mia madre.<br />

Non è che per raggiungere<br />

questo obiettivo - far<br />

ascoltare il disco a tua madre - hai sacrificato<br />

la composizione?<br />

No, è stata una cosa che mi è venuta naturale.<br />

Negli altri miei dischi c’era molta<br />

voglia di stupire con le parole, questa<br />

volta ho preferito una narrazione quasi<br />

letteraria più che un insieme di frasi a<br />

effetto. Ho evitato il cinismo dei miei<br />

vecchi dischi e l’ho fatto perché bisogna<br />

cambiare a un certo punto... Basta fare i<br />

pessimisti della vita e della società, non<br />

fa bene all’artista e non fa bene al pubblico<br />

che lo segue.<br />

Mettere su uno studio di registrazione<br />

in casa per incidere fa parte della tua<br />

ricerca del senso della realtà?<br />

«Ho scritto ogni<br />

singola parola<br />

di questo album<br />

pensando di<br />

scrivere un disco<br />

folk. Nel senso<br />

che racconta un<br />

sentire comune»<br />

Sì, durante le registrazioni arrivavano<br />

amici e cucinavano… è stata più una<br />

scampagnata che una registrazione<br />

vera e propria. L’ho fatto per dare quel<br />

senso di purezza e immediatezza che se<br />

avessi filtrato da uno studio di registrazione<br />

avrei perso. Adesso riascoltandolo<br />

ricordo che quella voce l’ho fatta di<br />

notte, mentre avevo voglia di cantare<br />

proprio “quella” canzone perché ero in<br />

“quello” stato d’animo. Gli altri dischi<br />

li ho sempre fatti in studio e subivano<br />

quella burocrazia dello studio fatta di<br />

orari, costi. Questo ha creato un immaginario<br />

nel disco, anche da un punto di<br />

vista sonoro.<br />

Cori, pianoforte, timpani, tanti strumenti,<br />

archi percussioni. E poi?<br />

La marimba! È uno strumento africano,<br />

una specie di xilofono con i tasti di legno<br />

e ha questo suono un<br />

po’ acquatico. Ho scoperto<br />

che a Palermo c’è un ragazzo<br />

che suona la marimba,<br />

sono andato a casa sua e<br />

lui viveva in una stanza in<br />

cui aveva solo il letto e questo<br />

strumento alto due metri.<br />

Conviveva con questo<br />

strumento, allora abbiamo<br />

piazzato sei microfoni in<br />

camera sua e abbiamo preso<br />

anche la marimba.<br />

Di quale strumento non potresti mai<br />

fare a meno?<br />

Del mio basso. Per me è fondamentale,<br />

quando vedo i gruppi senza basso<br />

sto male (scherza)... Io capisco la sperimentazione.<br />

Ma non senza basso!<br />

Un’ultima domanda. Nel gospel “La<br />

vita nuova” canti di «figli della nuova<br />

Europa»: ci ho visto la Grecia, Ventimiglia,<br />

Lampedusa, il Sud Italia, chi parte<br />

e chi arriva…<br />

Era esattamente quello che volevo che<br />

succedesse. Quando l’ho scritta avevo<br />

pensato di cambiarla, mi sembrava banale,<br />

poi mi sono detto: le canzoni vanno<br />

anche rispettate per come nascono.<br />

18 luglio 2015<br />

81


LIBRI<br />

TEATRO<br />

Spy story<br />

nel palazzo<br />

della politica<br />

Roberto Moliterni<br />

e Bruno Morchio,<br />

due autori di neo noir<br />

non convenzionali<br />

di Filippo La Porta<br />

Non amo il neo noir<br />

italiano - genere tutto<br />

d’importazione e che<br />

abitua a una indifferenza<br />

per le vittime - ma farei una<br />

eccezione per le spy story,<br />

capaci spesso di illuminare<br />

zone torbide della politica.<br />

Lo sapevate che i servizi<br />

segreti, nati nel primo conflitto<br />

mondiale, furono decisivi<br />

- attraverso omicidi e<br />

sequestri - nel farci entrare<br />

presto in guerra? Dunque<br />

due romanzi italiani, di<br />

estrema leggibilità e anche<br />

con una intelligenza “morale”<br />

che esula dal genere,<br />

e che hanno che fare con lo<br />

spionaggio e la caduta del<br />

muro. Arrivederci a Berlino<br />

Est (Rai Eri - vincitore premio<br />

La Giara) di Roberto<br />

Moliterni attraversa mezzo<br />

secolo di guerre e intrighi<br />

internazionali, fino a dare<br />

al lettore un senso di spaesamento.<br />

Ma soprattutto<br />

scolpisce un personaggio<br />

memorabile, il siciliano Titta,<br />

che acquista innumerevoli<br />

identità e passaporti,<br />

alla ricerca di un amore<br />

perduto. Il testamento del<br />

greco (Rizzoli) di Bruno<br />

Morchio si allontana dal<br />

suo detective Bacci Pagano<br />

e ha un ritmo cinematografico<br />

mozzafiato. Anche qui<br />

ci troviamo davanti a un<br />

personaggio bello, corposo,<br />

vitalissimo: Alessandro<br />

Kostas, gigante di 36 anni,<br />

che divora jazz e romanzi,<br />

che ha perso la madre troppo<br />

presto, e che eredita dal<br />

padre, il Greco (una ex spia,<br />

curiosamente anche nel romanzo<br />

di Moliterni c’è un<br />

personaggio che si chiama<br />

il Greco), un passato torbido<br />

e violento. Viene citato il<br />

Primogenito di Ferchaux di<br />

Simenon, dove il giovane<br />

Maudet diventa segretario<br />

del ricchissimo Fercheaux<br />

e poi lo uccide: un delitto<br />

senza pentimento, ben prima<br />

dei film di Woody Allen.<br />

Il padre diceva a Kostas che<br />

i vinti sono i quattro quinti<br />

dell’umanità, e anche<br />

nella citazione di Garcia<br />

Marquez leggiamo di tutte<br />

le 32 guerre civili perse<br />

da Aureliano Buendia. Il<br />

punto è come si perde. Nei<br />

due diversi romanzi ci si<br />

sente impotenti, superflui<br />

di fronte alla Storia, però i<br />

loro protagonisti cercano<br />

un senso nell’onore, nella<br />

giustizia, nell’amore per le<br />

persone vicine.<br />

L’Iran che<br />

sogna la<br />

rivoluzione<br />

A Santarcangelo<br />

la nuova pièce<br />

di Koohestani, autore<br />

di Dance on glasses<br />

di Massimo Marino<br />

Erano seduti agli<br />

estremi di un tavolo<br />

lunghissimo, a tenzonare<br />

su un amore simile<br />

a una danza tra bicchieri<br />

di vetro, tra l’estasi e il pericolo<br />

di rompere equilibri<br />

troppo fragili. Li ritroviamo<br />

più di 10 anni dopo sistemati<br />

a due tavolini rivolti<br />

verso il pubblico, separati.<br />

Alle loro spalle scorrono<br />

spezzoni del precedente<br />

spettacolo, Dance on Glasses,<br />

e loro sembrano là per<br />

doppiarne il dvd. Ma il pre-<br />

sente si sovrappone a una<br />

storia finita - lo spettacolo,<br />

l’amore - con la solitudine<br />

del frattempo trascorso, i<br />

rimpianti, gli slanci inutili.<br />

L’oggi e un passato irrimediabile<br />

si intrecciano in Timeloss<br />

dell’iraniano Amir<br />

Reza Koohestani, si sovrappongono<br />

con insidiosa<br />

malinconia, a rimarcare<br />

l’impossibilità di rammendare<br />

la storia se non nella<br />

rievocazione impotente dei<br />

suoi atti, del dolore, in un<br />

impietoso tentativo di capire<br />

di fronte ai tratti ormai<br />

induriti del volto di lei, alla<br />

pancia di lui. Spettacolo labirinto<br />

che parla per silenzi,<br />

frasi spezzettate, asincroni<br />

tra parole attuali e vecchio<br />

audio del dvd, ricordi della<br />

voce esterna dell’autore,<br />

Timeloss inscena anche l’Iran<br />

del sogno di liberazione<br />

prudente di Khatami e<br />

il Paese di oggi, che vive timidamente<br />

nuove speranze.<br />

Con la consapevolezza<br />

82 18 luglio 2015


ARTE<br />

che quando Orfeo si volta<br />

a guardarsi dietro le spalle<br />

può solo perdere la sua Euridice,<br />

e poi piangerla con<br />

il canto. È questo lo spettacolo<br />

più intenso del primo<br />

fine settimana del festival<br />

di Santarcangelo 2015 (fino<br />

al 19 luglio), dedicato alla<br />

domanda su come l’arte<br />

può prendere la parola nello<br />

spazio pubblico, civile.<br />

Con lavori come l’autodifesa<br />

dell’assassino della<br />

strage di Utoya in Norvegia<br />

del 2011, fatta leggere<br />

integralmente dal regista<br />

svizzero Milo Rau (in altri<br />

tempi per uno spettacolo<br />

firmato dall’ex terrorista<br />

nero Mario Tuti insorse<br />

l’Anpi), un documento su<br />

un neo-conservatorismo<br />

che arriva al crimine, in un<br />

festival invaghito del fatto,<br />

dell’atto, secondo una<br />

cultura di consumo da talk<br />

show: poco incline a fornire<br />

fili per storie tutte da<br />

rabberciare.<br />

IPAZIA, DONNA<br />

E SCIENZIATA<br />

A Rimini una mostra<br />

dedicata alla libera<br />

pensatrice, uccisa<br />

dai cristiani<br />

di Simona Maggiorelli<br />

Afar conoscere Ipazia<br />

al grande pubblico<br />

è stato soprattutto<br />

il film Agorà di Amenábar,<br />

che in Italia - come i lettori<br />

ricorderanno, - nel 2009 ha<br />

incontrato non poche difficoltà<br />

di distribuzione. Ma a<br />

regalarci ritratti affascinanti<br />

e approfonditi dell’astronoma,<br />

filosofa neoplatonica<br />

e matematica alessandrina<br />

che fu fatta a pezzi dai fondamentalisti<br />

cristiani nel<br />

415 d.C. sono stati, in tempi<br />

recenti, soprattutto studiosi<br />

del mondo antico come<br />

Silvia Ronchey (Ipazia, la<br />

vera storia, Rizzoli) e alcuni<br />

scrittori come Adriano Petta<br />

e l’egiziano Youssef Ziedan<br />

che, per il suo romanzo<br />

Azazel (Neri Pozza), è stato<br />

attaccato da cristiani copti<br />

che si dicono eredi di quel<br />

vescovo Cirillo che condannò<br />

a morte la scienziata pagana<br />

(e poi fu fatto santo!).<br />

Di questa straordinaria donna,<br />

pensatrice e studiosa, di<br />

cui tutte le fonti ricordano<br />

l’autorevolezza e il modo<br />

di parlare franco, si torna<br />

ora a parlare grazie a una<br />

mostra, Ipazia, matematica<br />

alessandrina, aperta fino al<br />

30 agosto al Museo del cal-<br />

Hypatia (1885) di Charles W. Mitchell<br />

colo di Rimini (Mateureka).<br />

Si tratta di una esposizione<br />

che mira a ricostruire in<br />

modo rigoroso (per quanto<br />

è possibile vista la scarsità<br />

di documenti) il contributo<br />

che la scienziata dette alla<br />

ricerca del suo tempo. Per<br />

questo il percorso espositivo<br />

invita a diffidare di ipotesi<br />

che non trovano riscontro<br />

testuale, come l’idea che<br />

Ipazia avesse intuito molto<br />

prima di Keplero il moto<br />

ellittico dei corpi celesti.<br />

Mentre, sulla base di testimonianze<br />

antiche come<br />

quella del bizantino Suida,<br />

la mostra racconta che Ipazia,<br />

oltre a tenere lezioni<br />

aperte al pubblico, scrisse<br />

molti importanti commenti<br />

ad opere greche classiche.<br />

Non tanto di filosofi, quanto<br />

di “scienziati”. Per esempio<br />

alle Coniche di Apollonio di<br />

Pergamo e all’ Aritmetica di<br />

Diofanto di Alessandria. In<br />

primis, Ipazia, era una studiosa<br />

di matematica. Ma si<br />

occupò anche di astronomia.<br />

«Il nome di Ipazia è associato<br />

a un’opera chiamata<br />

dalle fonti Canone astronomico,<br />

probabilmente un<br />

commentario alle Tavole<br />

facili di Tolomeo» scrivono<br />

i curatori. E a lei si deve la<br />

“revisione” del terzo libro<br />

dell’Almagesto di Tolomeo<br />

«all’interno del commento<br />

di Teone, che scrive: “edizione<br />

riveduta da mia figlia, la<br />

filosofa Ipazia”». Riguardo<br />

invece agli strumenti che<br />

progettò, facendoli costruire<br />

ai suoi allievi, stando a<br />

quanto scrisse il suo allievo<br />

Sinesio, la mostra riminese<br />

propone un astrolabio piatto,<br />

un idroscopio e un aerometro.<br />

Ma certamente Ipazia<br />

usò per le sue ricerche<br />

anche l’astrolabio messo<br />

a punto e perfezionato dal<br />

padre Tenone, astronomo e<br />

direttore del museo di Alessandria.<br />

© Ilaria Scarpa<br />

18 luglio 2015<br />

83


BUON VIVERE<br />

TENDENZE<br />

A tavola<br />

“Italians<br />

do it better”<br />

La dieta Mediterranea<br />

ha indubbie proprietà<br />

salutari. Una ricetta<br />

per gustarla al meglio<br />

Francesco Maria Borrelli<br />

Ancel Keys, il ricercatore<br />

statunitense<br />

padre della dieta Mediterranea<br />

che attraverso il<br />

suo lavoro evidenziò le proprietà<br />

salutari di questo stile<br />

di vita che rende longevi ed<br />

aiuta a combattere le malattie<br />

cardio-cerebro-vascolari.<br />

Si dice che non vinse il Nobel<br />

perché tra le molte ricerche<br />

in campo alimentare svolte<br />

nel ’900, «preferì sposare la<br />

causa dell’Italia Meridionale<br />

e quindi della dieta “povera”<br />

caratterizzata dall’olio d’oliva.<br />

Keys era altresì contrario<br />

al burro perché contiene<br />

grassi saturi e proprio per<br />

questa sua avversità, si trovò<br />

contro i colossi industriali<br />

alimentari del Nord Europa<br />

e dell’America», spiega<br />

Alessandro Notaro, presidente<br />

dell’Associazione<br />

dieta Mediterranea (Pioppi,<br />

Salerno). E proprio partendo<br />

da Pioppi negli anni 50<br />

Ancel Keys iniziò il percorso<br />

scientifico che lo portò a<br />

coniare e definire il termine<br />

dieta Mediterranea. Morì a<br />

Minneapolis nel 2004 a 101<br />

anni, ulteriore prova della<br />

validità della dieta. «Keys<br />

- ricorda Notaro - amava<br />

mangiare la pasta e fagioli,<br />

i maccheroni con la salsa di<br />

pomodoro fresco e il pesce<br />

azzurro come le alici; tutto<br />

condito con l’olio extraver-<br />

gine d’oliva». Ecco la ricetta<br />

delle alici in tortiera.<br />

Ingredienti per 4: alici 800g;<br />

mollica di pane raffermo;<br />

prezzemolo; aglio; olio Evo;<br />

sale e pepe.<br />

Iniziate con lo spinare le<br />

alici per poi sciacquarle in<br />

acqua fredda, appena salata,<br />

ed asciugarle piano con<br />

un canovaccio. Quindi in<br />

una tortiera mettete dell’olio<br />

extravergine d’oliva ed<br />

adagiate le alici formando<br />

uno strato. A parte tritate<br />

due spicchi d’aglio e salateli.<br />

A questo punto mettete del<br />

prezzemolo tritato sulle alici<br />

e poi di seguito l’aglio tritato,<br />

un spolverata di pepe<br />

macinato, la mollica sbriciolata<br />

di pane raffermo ed<br />

un filo d’olio. Proseguite con<br />

un secondo strato di alici<br />

spinate e aggiungete di nuovo<br />

gli ingredienti di prima.<br />

Infornate a 180 gradi per 15-<br />

20 minuti finché la superfice<br />

non sarà dorata.<br />

Vino consigliato: Bricco del<br />

Bosco, Grignolino del Monferrato<br />

Casalese, azienda Accornero.<br />

«È un rosso leggero<br />

che si abbina benissimo al<br />

pesce» racconta Ermanno<br />

Accornero. «Facciamo una<br />

vinificazione breve che restituisce<br />

al palato una tannicità<br />

leggera. Viticoltori dal<br />

1897, produciamo il Bricco<br />

dal 1982».<br />

ESPADRILLAS,<br />

DALLA SPAGNA<br />

CON FURORE<br />

Adorate da Dalì, perfette<br />

per lui e per lei,<br />

ci piacciono denim, a<br />

righe o multicolor<br />

Sara Fanelli<br />

Il nome non lascia spazio<br />

ad equivoci o travisamenti<br />

sul paese di<br />

origine. Le espadrillas nascono<br />

in Spagna, tra i Pirenei<br />

dell’Occitania e della<br />

Catalogna nel XIV secolo, e<br />

prendono il nome dall’erba<br />

resistente con cui veniva<br />

intrecciata in principio<br />

la suola. Nei Paesi Baschi<br />

pare ci siano ancora negozi<br />

che le realizzano a mano da<br />

più di un secolo. Se prima<br />

gli artigiani le cucivano per<br />

i contadini e pescatori locali,<br />

oggi quegli stessi negozi<br />

sono presi d’assalto dai turisti<br />

della costa, fashioniste e<br />

surfisti. La bellezza di queste<br />

scarpe è che possono essere<br />

indossate da tutti, uomini e<br />

donne indifferentemente.<br />

Precursore fu Salvador Dalì,<br />

che ci ha insegnato che ap-<br />

pena torna l’estate, tornano<br />

anche le espadrillas. Colorate<br />

cariche di luce, millerighe,<br />

a pois, per percorrere<br />

paesaggi incontaminati e<br />

calde atmosfere mediterrranee.<br />

Effetto denim, in cuoio,<br />

o classico cotone per gli uomini.<br />

Mentre le donne possono<br />

sbizzarrirsi tra flat e<br />

zeppa, allacciate o incorporate<br />

alla caviglia da eleganti<br />

cinturini. Missoni mare<br />

porta la sua classica fantasia<br />

anche sulla tela di queste<br />

scarpe, Valentino preferisce<br />

pelle di vitello con cinghietta<br />

alla caviglia. Open toe in<br />

tessuto animalier per Stella<br />

Mccartney. Con la zeppa e<br />

in cotone Ralph Lauren. Bicolore<br />

in canvas e pelle per<br />

Fendi.<br />

Per chi invece ama i lustrini<br />

ci sono quelle glitterate di<br />

Chiara Ferragni. Ugg australia<br />

porta l’unisex in suede e<br />

corda. Castañer da una svolta<br />

alle espadrillas da uomo<br />

elimina la zeppa e crea un<br />

nuovo concetto, permettendo<br />

che la linea prettamente<br />

femminile possa diventare<br />

un accessorio base per tutti<br />

gli armadi maschili. Comode,<br />

leggere, anticaldo. Le<br />

espadrillas restano la scelta<br />

obbligata di ogni estate.<br />

84 18 luglio 2015


OPERA<br />

MY LEFT<br />

La Butterfly<br />

Limpida e crudele<br />

l’opera di Puccini in<br />

scena a Caracalla nella<br />

versione di Alex Ollé<br />

Elisabetta Tomassini<br />

Èuna Butterfly moderna<br />

e cinematografica<br />

quella che Àlex Ollé<br />

de La Fura dels Bauls porta<br />

in scena alle Terme di Caracalla.<br />

Ollé crea uno stacco<br />

nettissimo, quasi brutale, tra<br />

primo e secondo atto. Salvo<br />

che per l’incursione un po’<br />

forzata, da gangster yakuza,<br />

dello zio Bonzo, l’atmosfera<br />

del primo atto è tradizionale<br />

e romantica. Gli abiti,<br />

i colori, le movenze, tutto<br />

trasmette l’emozione di Cio<br />

Cio San che si avvicina all’altare<br />

e, insieme, al riscatto<br />

dalla miseria e al sogno di un<br />

amore per il quale è arrivata<br />

a rinnegare la propria fede.<br />

Purtroppo il sogno di Butterfly<br />

si chiama Pinkerton,<br />

marinaio yankee a caccia di<br />

affari - siano questi immobiliari<br />

o sentimentali - che<br />

Ollé presenta come l’emblema<br />

del colonizzatore senza<br />

scrupoli, tsunami umano<br />

che distrugge tutto ciò che<br />

di più puro incontra. Angelo<br />

Villari, in sostituzione di Sergio<br />

Escobar, ha retto il ruolo<br />

dello spavaldo Pinkerton,<br />

ma con qualche incertezza<br />

vocale. Se nel I atto è chiaro<br />

che stiamo assistendo alla<br />

costruzione di un sogno, nel<br />

secondo è subito evidente<br />

che quel sogno è infranto.<br />

Una baracca occupa la scena<br />

- è la casa di Butterfly -<br />

sullo sfondo i grattacieli di<br />

Tokyo, sulla destra un cartellone<br />

pubblicizza le ultime<br />

unità disponibili della Pinkerton<br />

Construction Corporation.<br />

Cio Cio San è più<br />

povera che mai, ma non si<br />

rassegna, e, colpo di scena,<br />

sulle ultime note di “Un bel<br />

dì’ vedremo” si libera della<br />

veste bianca con gesto da<br />

supereroe della Marvel e<br />

sbalordisce tutti mostrando<br />

il costume: canottiera<br />

bianca con il disegno della<br />

bandiera americana, shorts<br />

jeans e scarpe da ginnastica.<br />

Non solo, tatuaggi ovunque,<br />

scritte inglesi su una gamba,<br />

sull’altra un dragone. Smantellata<br />

ogni tradizione, tutto<br />

crolla nello squallore. Il console<br />

Sharpless arriva in taxi<br />

con la lettera di Pinkerton<br />

e Butterfly lo accoglie esibendo<br />

una disinvoltura che<br />

vuole essere americana; per<br />

darsi un tono e mascherare<br />

il nervosismo, si accende<br />

una sigaretta. La Butterfly è<br />

interpretata da Asmik Grigorian,<br />

vocalmente all’altezza<br />

e brava a rendere la ragazzina<br />

un po’ esaltata, le cui ali<br />

spezzate sono quelle di un<br />

sogno americano che le è<br />

precluso e che, dopo averla<br />

illusa con visioni di benessere<br />

e un assaggio di felicità,<br />

finisce col portarle via tutto.<br />

Poche opere hanno una trama<br />

limpida e crudele come<br />

Madama Butterfly. Quest’opera<br />

è trafitta da un’unica linea<br />

retta che dalla speranza<br />

va dritta al suicidio. Appare<br />

dunque nello spirito dell’opera<br />

la lettura di Ollé. Le scenografie<br />

di Alfons Flores, gli<br />

abiti di Lluc Castells e le luci<br />

di Marco Filibeck trasmettono<br />

tutta la forza dei colori<br />

mantenendo la leggerezza<br />

dei tradizionali ideali estetici<br />

giapponesi. La direzione<br />

di Yves Abel è apparsa misurata<br />

e attenta alla vocalità.<br />

ADESSO NESSUNO<br />

PUÒ PIÙ VENIRE A<br />

DIRMI COSA FARE<br />

Sergio Caputo racconta<br />

la sua arte oltre<br />

alla musica e la voglia<br />

di vivere a lungo<br />

Alessandra Grimaldi<br />

Negli anni 80 il “suo<br />

sabato” divenne<br />

quello di tutti gli<br />

italiani, poi altri lavori e successi<br />

fino a “Pop Jazz and<br />

Love”, album che con 10 brani<br />

inediti celebra i trent’anni<br />

del cantautore Sergio Caputo.<br />

Armonie jazz, ma confezionato<br />

in stile pop, per testi<br />

rigorosamente in inglese,<br />

a eccezione del singolo “A<br />

bazzicare il lungomare”.<br />

Storie d’amore, raccontate<br />

in modo anche surreale, da<br />

proporre quest’estate al suo<br />

pubblico.<br />

Lei è in giro per il tour: che<br />

tipo di spettacolo è?<br />

Ogni show è diverso perché<br />

ogni volta è diverso il pubblico<br />

che mi trovo davanti,<br />

cambia il modo in cui mi<br />

pongo per comunicare e arrivare<br />

al cuore. Mi presento<br />

con i miei classici, poi viro<br />

su cose più nuove e trasgressive.<br />

Nel 1999 si è trasferito in<br />

California, solo di recente è<br />

tornato in Italia, come mai?<br />

Sono andato per noia e per<br />

curiosità, sono tornato per<br />

amore.<br />

I testi delle sue canzoni<br />

vengono proposti agli universitari,<br />

come esempio<br />

di poesia contemporanea,<br />

come interagisce con gli<br />

studenti?<br />

Sui social ce ne sono tantis-<br />

simi che mi seguono e interagisco<br />

volentieri. Se posso,<br />

metto a loro disposizione le<br />

mie esperienze.<br />

Qual è stata la sua formazione?<br />

Ho fatto il liceo classico, per<br />

me un’immensa perdita di<br />

tempo. Potessi tornare indietro,<br />

avrei studiato solo<br />

arte e musica.<br />

Tra i suoi progetti futuri?<br />

Continuare a poter vivere<br />

della mia arte, che non si<br />

limita alla musica dato che<br />

sono anche un pittore, e vivere<br />

più a lungo possibile<br />

per stare accanto alla mia<br />

giovane famiglia.<br />

Se le dico Liberté?<br />

Nelle società organizzate<br />

non esiste, ma è condizionata<br />

alla convivenza civile.<br />

Égalité?<br />

Oggi si persegue la diversità<br />

più che l’uguaglianza.<br />

Fraternité?<br />

Si pone come un limite ai<br />

rapporti con coloro che non<br />

ne accettano le regole.<br />

Trasformazione?<br />

Penso al bruco e alla farfalla.<br />

Dopo 30 anni, cosa è rimasto<br />

di quel “sabato italiano”?<br />

Il sabato è il giorno in cui<br />

cercare l’evasione. La mia<br />

vita professionale oggi è più<br />

libera, dopo anni di esperienza,<br />

nessuno può più dirti<br />

cosa devi fare.<br />

18 luglio 2015<br />

85


ALLA<br />

SORGENTE<br />

DEL SOUL<br />

OLTRE<br />

LA LUCE,<br />

IL SUONO<br />

Formello (Roma) - Dal 23<br />

al 31 luglio la sala Orsini di<br />

Palazzo Chigi ospita la personale<br />

dell’artista Marina<br />

Baciocchi. Con il suggestivo<br />

titolo Oltre la luce il suono è<br />

uno degli eventi della rassegna<br />

Formello Palcoscenico<br />

Città 2015. In foto un’opera<br />

della pittrice.<br />

L’ARTE<br />

IN BREVE<br />

Tuscania (Vt) - L’attrice<br />

Lella Costa, il cantante Daniele<br />

Silvestri (in foto) e poi<br />

Celestini, Sinibaldi e Bergonzoni.<br />

Vola verso il gran<br />

finale il FLeb Festival della<br />

Letteratura breve, il 18 e il<br />

19 luglio. www.fleb2015.it.<br />

CARPE DIEM.<br />

COGLI<br />

L’ATTIMO<br />

AL CINE<strong>MA</strong><br />

Giffoni - 600 giurati provenienti<br />

da circa 50 saranno<br />

loro il cuore e l’anima della<br />

45° edizione del Giffoni<br />

Experience, in programma<br />

dal 17 al 26 luglio. Arriveranno<br />

per la prima volta<br />

in cittadella delegazioni<br />

dall’Iraq, dal Marocco, dal<br />

Pakistan e dal Tajikistan<br />

mentre ritornano, dopo<br />

qualche anno di assenza,<br />

giurati provenienti da Albania,<br />

Bosnia Erzegovina<br />

e Brasile. Il tema scelto è<br />

«Carpe Diem come invito<br />

a rendere straordinaria la<br />

propria vita, a non accontentarsi,<br />

senza rimandare,<br />

con coraggio e con passione».<br />

Anche questa volta,<br />

Giffoni saprà stupire con il<br />

suo programma: 156 film di<br />

cui 98 in concorso, selezionati<br />

su oltre 4.200 produzioni<br />

in preselezione.<br />

www.giffonifilmfestival.it<br />

Kilowatt<br />

di creatività<br />

Sansepolcro (Ar) - La 13°<br />

edizione di Kilowatt Festival<br />

presenta quest’anno, dal 18<br />

al 25 luglio, un ricco programma<br />

di teatro, danza,<br />

musica, fotografia, incontri,<br />

convegni che faranno di<br />

Sansepolcro, ente capofila<br />

del progetto europeo Be<br />

SpectACTive. Tra le punte<br />

di diamante della nuova<br />

danza europea, due giovani<br />

coreografi under 35 presenteranno,<br />

in prima assoluta, i<br />

loro nuovi spettacoli: il coreografo<br />

e danzatore croato<br />

Bruno Isakovic, dopo una<br />

residenza artistica di due<br />

settimane a Sansepolcro,<br />

debutterà con Denuded, lavoro<br />

che sarà, a fine anno,<br />

al Moma di New York e il coreografo<br />

e danzatore ceco<br />

Michal Zahora, danzatore<br />

dello Scottish Dance Theatre,<br />

della compagnia norvegese<br />

Carte Blanche e del<br />

Teatro della Danza (Tanec)<br />

di Praga, che sarà presente<br />

con “Devoid”.<br />

Porretta Terme (Bo) - Dal 23<br />

al 26 luglio il Rufus Thomas<br />

Park ospita il ventottesimo<br />

Porretta Soul Festival. Con<br />

un tributo al grandissimo<br />

Otis Redding. Così il più<br />

prestigioso appuntamento<br />

europeo dedicato interamente<br />

alla musica soul<br />

e rhythm & blues, che ha<br />

sempre fatto riferimento<br />

in particolar modo alla scena<br />

musicale di Memphis,<br />

scalda i motori, aspettando<br />

un ospite speciale come<br />

Bernard “Pretty” Purdie,<br />

imperdibile decano della<br />

batteria e delle percussioni<br />

(in foto). Molto attesi sono<br />

anche il chitarrista Anthony<br />

Paule con la sua band e<br />

il vocalista Frank Bey; l’incandescente<br />

veterana Sugar<br />

Pie De Santo e molti altri.<br />

Il programma completo<br />

è sul sito www.porrettasoul.it<br />

86 18 luglio 2015


L’ANGOLO<br />

DELLA POESIA<br />

Pesaro - Mentre le collane di<br />

poesia si fanno sempre più<br />

rare nel panorama dell’editoria<br />

italiana, una bella<br />

iniziativa del Comune di Pesaro,<br />

in collaborazione con<br />

l’Università di Urbino offre<br />

una importante occasione<br />

per riscoprire il fascino<br />

di questo genere letterario.<br />

Con il titolo L’angolo della<br />

poesia. Diversi in versi, dal<br />

20 luglio nella Rocca Costanza<br />

si alterneranno poeti<br />

e letterati, in una non stop<br />

dal vivo. Ad aprire la rassegna<br />

sarà una serata dedicata<br />

a Wystan H. Auden raccontato<br />

da Franco Buffoni, con<br />

Jimmy Villotti e Marco Ercolani.<br />

Il 21 luglio invece sarà<br />

la volta della serata dedicata<br />

ad Antonia Pozzi presentata<br />

da Alessandra Paganardi<br />

con Pupi e Antonio Avati. E<br />

ancora. Da non perdere il 22<br />

luglio la serata dedicata ad<br />

Antonio Machado raccontato<br />

da un giovane autore di<br />

talento come Valerio Nardoni.<br />

Info: www.giuseppepeppinosaponara.com<br />

AL MITTELFEST<br />

VOCI DALLA EX<br />

JUGOSLAVIA<br />

Cividale del Friuli - La grande<br />

coreografa Carolyn Carlson,<br />

la nuova composizione<br />

di Michael Nyman, la musica<br />

d’avanguardia di Markus<br />

Stockhausen e molte altre<br />

anteprime. Si alza il sipario<br />

sul Mittelfest, che va in scena<br />

dal 18 al 26 luglio. Con oltre<br />

60 spettacoli riuniti sotto<br />

il titolo Il colore dell’acqua.<br />

Evento speciale: Aghe.Voda.<br />

Ujë, (sabato 18 luglio) che<br />

unisce compositori, interpreti,<br />

cantautori e poeti da<br />

Italia, Croazia, Bosnia e Erzegovina,<br />

Serbia, Slovenia,<br />

Montenegro, Macedonia,<br />

Albania. L’Italia avrà la voce<br />

di Tosca, del friulano Loris<br />

Vescovo (Targa Tenco), di<br />

Luigi Maieron, Edoardo De<br />

Angelis, mentre testi poetici<br />

e in prosa saranno firmati<br />

dallo scrittore Paolo Maurensig<br />

e dal poeta Miroslav<br />

Košuta. www.mittelfest.it<br />

© Lucas Chilczuk<br />

L’eresia<br />

della<br />

felicità<br />

Milano - Adolescenti in<br />

maglietta gialla imbracceranno<br />

i versi del poeta<br />

russo Majakovskij, scritti<br />

quando era un giovane ribelle.<br />

Eresia della felicità<br />

è il nuovo spettacolo del<br />

Teatro della Albe diretto<br />

da Marco Martinelli ed Ermanna<br />

Montanari, che va<br />

in scena dal 18 al 25 luglio<br />

nell’ambito di Da vicino<br />

nessuno è normale.<br />

Make<br />

your<br />

festival<br />

Roma - «Volevamo creare<br />

qualcosa di nuovo, coinvolgendo<br />

il pubblico». Dall’idea<br />

di 2 ventenni romane nasce<br />

Make your festival, una<br />

piattaforma web e un primo<br />

appuntamento, il 4 e 5 settembre.<br />

Sul sito sito www.<br />

makeyour.it. Sono gli utenti<br />

a fare il cartellone, scegliendo<br />

tra più di 50 artisti.<br />

NEL<br />

SEGNO<br />

DI HENZE<br />

Montepulciano (Si) - Teatri<br />

di guerra e di pace. È questo<br />

il titolo della 40° edizione del<br />

Cantiere di Montepulciano,<br />

storica rassegna, fondata da<br />

Hans W. Henze, che continua<br />

ad accendere le piazze<br />

della cittadina toscana fino<br />

al 1 agosto con 52 appuntamenti<br />

coinvolgendo oltre<br />

400 artisti. In cartellone<br />

quest’anno Idroscalo Pasolini,<br />

prima opera di Taglietti<br />

e Pasquini, diretta da Marco<br />

Angius. E poi ​La finta semplice<br />

di Mozart con la regia<br />

di Caterina Panti Liberovici,<br />

e ancora danza contemporanea,<br />

spettacoli che uniscono<br />

differenti linguaggi e<br />

un omaggio alla cultura del<br />

popolo curdo, con la soprano<br />

Pervin Chakar. www.fondazionecantiere.it<br />

© Adriano Farina<br />

18 luglio 2015<br />

87


TRASFOR<strong>MA</strong>ZIONE<br />

L’identità<br />

razionale e la negazione della donna<br />

Donna<br />

uomo<br />

Non fu il braccio con la sua intenzionalità a<br />

muoversi per scrivere parole. Ero rilassato<br />

sullo schienale della poltroncina davanti alla<br />

scrivania, vedevo le voci che portavano le memorie<br />

dei suoni uditi nello stanzone che si realizza in<br />

due grandi ali unite da una lunga linea che disegna due<br />

rettangoli che si sovrappongono al vertice. Lo sguardo<br />

che andava veloce davanti a sé lesse, scritte a grossi caratteri<br />

bianchi su una nuvola grigia, una parola grande<br />

ed una piccola.<br />

Vennero avanti attraverso le pareti di vetro dello studio<br />

e, ondeggiando come foglie che per il vento si erano staccate<br />

da un albero,si posarono nel rettangolo non disegnato<br />

che sta in cima al foglio bianco. Senza ricordo so che<br />

vengono definite: lingua italiana. Nella mente compare la<br />

figura nota detta “lo stivale”. Nel nord le cime delle montagne<br />

innevate fanno pensare ai capelli bianchi. So che da<br />

esse emerge l’acqua che va a formare i fiumi.<br />

Vengono anche ricordi di parole che davano nomi a<br />

gruppi di persone ed invitavano alla conoscenza del comportamento<br />

e del pensiero di essi. E la memoria disegna<br />

sfumata, senza linee che la definiscono, la figura di una<br />

coscienza che parlava normalmente il linguaggio articolato<br />

ed ascoltava con tutta la pelle le voci dei propri simili<br />

senza amare i nomi che venivano dati agli oggetti materiali.<br />

Cercava negli esseri umani una realtà non direttamente<br />

percepibile dai cinque sensi della coscienza.<br />

Guardo in alto a sinistra e vedo i tre piccoli cipressi che<br />

misi due anni fa nella terrazza di sopra. Odo scendere<br />

le parole del ricordo della poesia che avevo imparato: ...<br />

“Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire: Or non è più quel<br />

tempo e quell’età. Se voi sapeste!... E so leggere di greco e<br />

di latino...”. La memoria disegna l’immagine del ragazzo<br />

che, uscendo di casa, va al liceo classico. Camminando,<br />

pensa.<br />

Vedo il corpo dell’uomo che, per quattro giorni alla settimana,<br />

esce di casa per andare a Trastevere. Apre le porte<br />

dell’originale studio per la psicoterapia di gruppo. In tanti<br />

entrano liberamente. Seduto nella poltroncina attende.<br />

Si chiudono le porte. Lo psichiatra non è più lo stesso<br />

ragazzo che andava al liceo. Non è un ricordo cosciente.<br />

Nacque quando interpretò un sogno, pubblicamente.<br />

Separate dalla realtà materiale del mondo le parole sono<br />

memoria. Sono immagini e non ricordi.<br />

La favola dice che Tifone feconda Echidna che partorisce<br />

la Sfinge. Il corpo di un animale ha il volto di donna.<br />

Sofocle raccontò la storia di Edipo Re ed Edipo a Colono<br />

in cui si afferma che il mistero dell’uomo è incomprensibile<br />

e chiunque voglia conoscere uccide il padre, violenta<br />

la madre e finisce cieco nel bosco sacro alle Eumenidi.<br />

Non è la cecità di Tiresia che vedeva la realtà umana non<br />

percepibile dalla coscienza, nella veglia. Conosceva la realtà<br />

dell’uno e l’altro sesso della specie umana.<br />

La linea mai esistita che la terra fa girando intorno al<br />

sole fa migliaia di capelli rosso scuro della chioma della<br />

donna alta e snella che sta, ogni settimana, nell’ultima<br />

pagina di Left. È il tempo del sangue della resistenza<br />

e rifiuto dell’identità razionale dell’uomo che, dopo<br />

il risveglio che gli fece pensare e dire: terra, aria, acqua<br />

e fuoco, inventò lo Spirito assoluto che cancellava tutte<br />

le immagini. La donna che, nella grotta, faceva le pitture<br />

rupestri sparì... come se non fosse mai esistita.<br />

Tornano migliaia di anni in cui la mente umana tenta<br />

di elevarsi dall’idea che la realtà biologica percepibile<br />

della nascita è fango. Compito della vita è negare il<br />

corpo, umiliarlo fino ai limiti della distruzione che non<br />

deve avvenire perché finirebbe la sofferenza. La realtà<br />

umana è soltanto ciò che è realtà non materiale che<br />

non è realtà biologica. È detta anima, parola derivata<br />

dal termine greco: ανεμος.<br />

Non è Psychè perché vuole affermare che la nascita è<br />

nel respiro, ovvero nel funzionamento della realtà biologica.<br />

A Psychè, che era il nome di una fanciulla più<br />

bella di Venere madre di Eros, era stata tolta la realtà<br />

umana. Non era “la donna”, era spirito...mente senza<br />

cervello. Con l’illuminismo, l’idea che la verità umana<br />

era essere senza corpo fu allontanata e tornò l’identità<br />

della coscienza, del pensiero verbale, e del linguaggio<br />

articolato.<br />

Ormai la razionalità con il mito della libertà aveva lasciato<br />

che si parlasse dell’esistenza di una mente senza<br />

coscienza. E, subito, la lingua tedesca partorì il mostro<br />

cui tutti dovevano sottomettersi: Das Unbewusste. La<br />

religione che fa credere invece che pensare era ancora<br />

presente nella mente “liberata”. Diceva di non credere<br />

alle favole fatte da pensieri che erano immagini e restò<br />

la credenza di un “non umano” presente nel sonno di<br />

essi.<br />

88<br />

18 luglio 2015


Ora è come se l’immagine del ragazzo che, pensando, andava<br />

al liceo fosse svanita nel tempo e compare il giovane<br />

medico che voleva fare psichiatria per comprendere la malattia<br />

mentale. Aveva visto che il linguaggio delle immagini<br />

oniriche era comprensibile e portò l’identità psichiatrica ad<br />

una realtà nuova. La parola cura era giunta ai termini malattia<br />

mentale che avevano sempre definito: lesione della<br />

realtà biologica.<br />

Poi, un giorno di febbraio di nove anni fa comparve il settimanale<br />

Left che aveva, in sé, le due pagine firmate da colui<br />

che, da trentanni, era lo psichiatra dell’Analisi collettiva.<br />

Tre anni e mezzo fa la distribuzione del fascicolo fu legata<br />

al quotidiano l’Unità, giornale fondato da Gramsci nel<br />

1924 e legato ad una storia comunista. Un anno fa cessò<br />

le pubblicazioni. Left cominciò a rinnovarsi fino a giungere,<br />

tra gennaio ed aprile, ad essere completamente nuovo.<br />

Un’altra realtà perché la precedente non esisteva più.<br />

Come se fossero tre pali secchi coperti da un cappellaccio<br />

ed un sacco stracciato che vogliono spaventare,<br />

le tre parole: Organicismo, Daseinsanalyse, Psicoanalisi,<br />

ormai sclerotiche non riescono a muoversi. Sono venute,<br />

da lontano, idee della cultura greca che si presentavano<br />

come immagini. Cloto, Lachesi, Atropo, le tre Parche<br />

nere avevano in mano il destino dell’essere umano.<br />

Era un altro pensiero rispetto al linguaggio articolato<br />

della coscienza che, dando un nome alle percezioni coscienti<br />

riusciva a fare il buio dell’impossibilità di sapere,<br />

oltre. Il linguaggio delle immagini, la fantasia che parlava<br />

senza linguaggio articolato era stata condannata<br />

come “non pensiero”. Guardo tristemente le parole che<br />

l’aria invisibile disegna. “L’uomo razionale annullò l’esistenza<br />

della mente della donna che non aveva linguaggio<br />

articolato e dipingeva le pareti della grotta”.<br />

Massimo Fagioli psichiatra<br />

Ho visto ed udito Tsipras. Rivendica il diritto a sopravvivere<br />

di fronte alla dittatura della Troika che schiaccerebbe i greci riducendoli a<br />

schiavi che devono lavorare per pagare il debito. Irrazionale contro razionale? Ricorda<br />

che in Grecia è nata la democrazia e che la storia e l’identità del mondo occidentale<br />

sono derivate da quella cultura. La memoria tenta di disegnare il corpo<br />

del liceale che cammina per andare al liceo classico dove studiava lingua e<br />

letteratura greca.<br />

Non riesce, le forme sono indefinite, sembra che siano soltanto colori.<br />

Lontano, come se fosse una voce che scende dal cielo, viene scritta<br />

la frase decisa: è l’uomo che ha realizzato l’identità razionale della<br />

coscienza, non la donna. Lo sguardo va sulle due pagine di Left<br />

ed, in alto a destra, vede il grande disegno. Ebbi un impulso<br />

irrazionale alla festa del bambino di due anni.<br />

Senza pensare vennero parole che non erano più nomi che<br />

indicavano la realtà materiale percepita. Dissi: la pioggia<br />

del mare. Ed il pensiero cosciente dice che il mare non<br />

può scendere dall’alto dei cieli. Vedo che le parole<br />

uguali a quelle ascoltate sono, in verità altre, diverse.<br />

Parlano, come il disegno, di un rapporto senza<br />

ragione tra uno psichiatra che ha realizzato,<br />

come propria identità, la mente non cosciente<br />

ed un movimento invisibile di corpi immobili.<br />

E la descrizione delle immagini<br />

oniriche resa nell’aria in silenzio, non<br />

diventa pensiero verbale. E la prassi<br />

del linguaggio articolato risponde e<br />

rivela il non conoscibile.<br />

Diverso.<br />

La memoria<br />

illumina la parola<br />

che non è più ricordo<br />

cosciente. Raccoglie<br />

dal buio delle realtà<br />

mentali sparite un movimento<br />

mai portato al pensiero<br />

verbale. E’ la visione di un<br />

corpo diverso dal proprio che può<br />

togliere alla mente cosciente l’intelligenza<br />

e la bellezza del “non è”, che è<br />

conoscenza e rifiuto. E la mente cosciente<br />

ha sempre pensato: “non è un essere umano<br />

come me”. L’identità della nascita che dice<br />

“esiste un seno” viene lesa nella parola uguaglianza,<br />

data dalla realizzazione della propria nascita e<br />

della propria memoria-fantasia dell’esperienza vissuta.<br />

Il linguaggio profondo dice: essere umano uguale a me<br />

stesso.<br />

18 luglio 2015<br />

89


UN’ALTRA STORIA<br />

di MONICA CATALANO<br />

90<br />

18 luglio 2015


PER LA LIBERTÀ<br />

DI RICERCA<br />

NON ARRESTIAMO LA SCIENZA.<br />

LIBERIAMO LA RICERCA SUGLI EMBRIONI.<br />

FIR<strong>MA</strong> L’APPELLO:<br />

LA CORTE COSTITUZIONALE SI APPRESTA A DECIDERE SU TEMI, DA NOI SOLLEVATI AL SUO<br />

GIUDIZIO, QUALI LA RICERCA SUGLI EMBRIONI E L'ACCESSO ALLA FECONDAZIONE ASSISTITA<br />

DI PAZIENTI NON STERILI. QUALUNQUE SIA LA DECISIONE DELLA CORTE, IL PARLAMENTO<br />

POTREBBE IN OGNI CASO INTERVENIRE PER RIMUOVERE DIVIETI CHE DANNEGGIANO LA<br />

RICERCA E LA SALUTE. PER QUESTI MOTIVI, ABBIAMO PROMOSSO DUE PETIZIONI<br />

CHE TI CHIEDIAMO DI SOTTOSCRIVERE SUL SITO DELL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI.<br />

COSA PUOI FARE:<br />

PRENDI LA TESSERA, INFOR<strong>MA</strong>TI, FIR<strong>MA</strong> L’APPELLO SU<br />

www.associazionelucacoscioni.it

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