Coddington di Londra, presidente dell’Oriental Club, disposto asvelare <strong>il</strong> fascino della nuova tecnica di intarsio in metallo, <strong>il</strong> tarkashi.Nel 1882 si assiste a una ridefinizione del piano di studi chefavorisce le attività di carattere tecnico-pratico, mantenendo i laboratoriper la lavorazione del legno, la tornitura e l’intarsio. Lascuola va acquistando in tal modo una fisionomia ben definita finchénel 1888 è già completamente organizzata secondo un propriostatuto e un organico piano di studi. Bisognerà attendere lo scalporede Les demoiselles d’Avignon di Picasso, perché nel 1908 venganoistituiti i corsi di ricamo e cucito, e successivamente, nel 1935,si apra una sezione femmin<strong>il</strong>e di maglieria, tessitura e ricamo.Dal 1846 a oggi l’Istituto ha operato fornendo all’economia localele maestranze e le più alte professionalità per <strong>il</strong> settore della lavorazionedel legno; negli anni, infatti, la Scuola d’Arte ha rappresentatola “bottega”, la sede della formazione di falegnami, artisti,architetti, donne e uomini che di arte e mestiere si sono cibati ehanno imparato a progettare e realizzare, immaginare e forgiare, osservaree creare. Numerosi, inoltre, sono gli stage professionali perstudenti, anche stranieri, che la scuola ha organizzato nei propri laboratorie presso aziende del settore arredamento, che hanno consentitoloro di operare in diretto contatto con i tecnici del ramo. Lascuola, sin dalla sua nascita, si è rivelata quindi luogo del sapere vicinoalla quotidianità e, allo stesso tempo, radicato nel pensiero enell’azione della comunità; è stata funzionale alle esigenze del territorio,che presenta una marcata vocazione artistico-artigianale,specie nell’ambito del legno; a rafforzare tale sinergia sono poi inatto rapporti di collaborazione con associazioni artigiane locali edella provincia.Proprio <strong>il</strong> connubio tra scuola e impresa, istruzione e lavoro, hasuggerito la strada da intraprendere per cogliere nella riforma dellascuola l’occasione per rinnovare e r<strong>il</strong>anciare l’offerta formativadell’Istituto d’Arte che, da quest’anno, si presenta nella nuova vestedi Liceo <strong>Arti</strong>stico: scelta obbligata alla luce di quella specificitàartistica che la scuola ha storicamente sv<strong>il</strong>uppato e consolidato. Ilpiano di azione concordato consiste in tre mosse che permettano dicostituire e garantire a Cortina un percorso unitario di istruzionedagli 11 ai 19 anni, quale originale Polo artistico, unico nella Provinciadi Belluno.Nella scuola media annessa al Liceo <strong>Arti</strong>stico, che rappresentauna realtà importante nell’istruzione secondaria di primo grado, èstato potenziato lo studio delle discipline artistiche così da proporreun percorso propedeutico al liceo, con l’auspicio che vi sia la possib<strong>il</strong>itàdi conservarla e r<strong>il</strong>anciarla come “Scuola Media delle <strong>Arti</strong>”benché a Cortina vi sia già un’altra scuola media.Nell’ambito dell’autonomia scolastica si vorrebbe inoltrerafforzare <strong>il</strong> numero delle ore di laboratorio attraverso una gestionediversa e trasversale delle materie umanistiche e linguistiche.Infine, si pensa di ottimizzare l’attività laboratoriale del biennioproponendo <strong>il</strong> progetto “Arte e design in laboratorio”, strutturatoin moduli pomeridiani facoltativi, con tematiche inerenti aldesign del prodotto artigianale, permettendo così di perseguiretutte le fasi di studio: dall’idea alla progettazione, dalla realizzazionealla presentazione. Aperto anche agli studenti di terza media,<strong>il</strong> laboratorio avrebbe le caratteristiche di un campo d’azione aperto,flessib<strong>il</strong>e, ideale luogo del saper pensare e saper fare, dove glistudenti sarebbero messi nella condizione di affrontare problemi ericercare soluzioni concretamente realizzab<strong>il</strong>i.<strong>Arti</strong> Decorative: per saperne di più...•MARINO BAROVIER, ROSA BAROVIER MENTASTI, ATTILIA DORIGATO, Ilvetro di Murano alle Biennali. 1895-1972, M<strong>il</strong>ano 1995.•GIOVANNI BIANCHI, “Il Padiglione Venezia, uno spazio alla Biennale perle arti decorative veneziane”, in Quaderni della donazione Eugenio Da Venezia, n. 14, Venezia, Fondazione Querini Stampalia, 2005.•GIOVANNI CANIATO, Con <strong>il</strong> legno e con l’oro. La Venezia artigiana degli intagliatori, batt<strong>il</strong>oro e doratori, Verona 2009.•MICHELA DAL BORGO, “L’arte del battioro” in I <strong>mestieri</strong> nella tradizione popolare veneta, Quaderni del Lombardo-Veneto, Padova, s.d.•DORETTA DAVANZO POLI, Le arti decorative a Venezia, Azzano San Paolo(BG) 1999.•DORETTA DAVANZO POLI, Il merletto veneziano, Novara 1998.•DORETTA DAVANZO POLI, Seta & oro, Venezia 1997.•DORETTA DAVANZO POLI eSTEFANIA MORONATO, Le stoffe dei veneziani,Venezia 1994.•MANLIO CORTELAZZO (a cura di), Cultura popolare del Veneto. <strong>Arti</strong> e <strong>mestieri</strong> tradizionali, M<strong>il</strong>ano 1989.•ELENA FAVERO, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975.• Forme moderne, rivista di storia delle arti applicate e del design italianodel XX e XXI secolo, Roma 2010.•SILVIA GRAMIGNA eANNALISA PERISSA, Scuole di arti, <strong>mestieri</strong> e devozione aVenezia, Venezia 1981.•GIOVANNI GREVEMBROCH, Gli abiti de veneziani di quasi ogni età con d<strong>il</strong>igenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII, copia anastatica del manoscritto del1754-1760, Venezia 1981.•DOMENICO GUADAGNINI, Le industrie caratteristiche delle tre Venezie e laprima mostra biennale internazionale delle arti decorative di Monza, Venezia1923.• Le insegne delle arti veneziane al Museo Correr, Venezia 1982.•NELLA LOPEZ Y ROYO SAMMARTINI, Fiori di perle a Venezia, Venezia 1992.•FABRIZIO MAGANI (a cura di), Canova e l’Accademia. Il maestro e gli allievi, Treviso 2002.•ANTONIO MANNO, I <strong>mestieri</strong> di Venezia. Storia, arte e devozione delle corporazioni dal XIII al XVIII secolo, Padova 1995.•GIUSEPPE MORAZZONI eMICHELANGELO PASQUATO, Le conterie veneziane,Venezia 1953.•MARCO MULAZZANI, I padiglioni della Biennale di Venezia, M<strong>il</strong>ano 1988.•MARIABIANCA PARIS (a cura di), Manufatti in cuoio conservazione e restauro,M<strong>il</strong>ano 2001.•PIERO PAZZI (a cura di), Contributi per la storia dell’oreficeria, argenteria egioielleria, Venezia 1996.•FILIPPO PEDROCCO, La porcellana di Venezia nel Settecento. Vezzi, Hewelcke,Cozzi, Venezia 1998.•ANDREA PENSO, Camini di Venezia, Venezia 1989.•GIUSEPPE MARIA PILO, Francesco Guardi. I paliotti, M<strong>il</strong>ano 1983.•SERGIO POLANO, “Fortuny e l’arte applicata. Necessità dell’ornamento”,in Fortuny nella Belle Époque, M<strong>il</strong>ano 1984.•ELISABETTA POPULIN, Il ponte dell’Accademia a Venezia. 1843-1986, Venezia1998.•CLARA SANTINI, Le lacche dei veneziani. Oggetti d’uso quotidiano nella Venezia del Settecento, Modena 2003.•GIOVANNI SARPELLON, Miniature di vetro. Murrine 1838-1924, Venezia1990.•FRANCESCO STAZZI, Le porcellane veneziane di Geminiano e Vincenzo Cozzi,Venezia 1981.•FRANCESCO STAZZI, Porcellane della Casa Eccellentissima Vezzi. 1720-1727,M<strong>il</strong>ano 1967.•GIUSEPPE TASSINI, Curiosità veneziane, ovvero origini delle denominazionistradali di Venezia, ristampa, Venezia 1970.•CAMILLO TONINI, Frammento di cuoridoro da tappezzeria, in Venezia e l’Islam. 828-1797, catalogo della mostra, Venezia 2007.
Il Palladio che non c’è a VeneziaANTONIO FOSCARICanaletto, <strong>il</strong> grande vedutista veneziano, ha avuto l’intuizioneper primo. Dipingendo un quadro – la famosa telafatta su commissione di un intellettuale raffinato quale eraFrancesco Algarotti – in cui rappresenta, come fosse realmente costruito,<strong>il</strong> Ponte di Rialto progettatoda Palladio, affiancatoda due altre superbe opere palladianeerette in Vicenza, <strong>il</strong> Palazzodella Ragione e <strong>il</strong> PalazzoChiericati, ci ha offerto una immagineastratta, un “capriccio”si sarebbe detto allora, di comesarebbe potuta essere Venezia sePalladio avesse potuto costruirepiù di quanto non gli era statoconcesso di fare.Per avere una idea più distinta sull’impatto che l’architetturapalladiana avrebbe potuto avere sulla immagine di Venezia, è necessarioperò seguire un criterio diverso. Bisogna portare l’attenzionesui progetti incompiuti e su quelli irrealizzati che <strong>il</strong> grandearchitetto vicentino ha elaborato per la capitale della Serenissima.Sono molti. A cominciare dalla ricostruzione della chiesa patriarcaledi San Pietro di Castello che Palladio, in un primo momento,aveva concepito come un tempio a pianta centrale preceduto da duealtre “fabbriche” esemplate sul modello dei templi gemelli di Pola;e, in un secondo momento – sotto la pressione dei due autorevolipatrizi che si erano impegnati a finanziare l’opera: Daniele eMarcantonio Barbaro –, aveva progettato come tempio “ornato”sulla sua facciata da sei colonne corinzie d’ordine gigante.Non meno impressionante sarebbe stata, in Venezia, la costruzionedella facciata della chiesa di Santa Lucia, voluta da LeonardoMocenigo. Se questa fosse statarealizzata, sarebbe apparsa sullariva del Canal Grande – nelbiancore della pietra d’Istria,esaltato in questo caso dalla lucemeridiana – la “forma” inaspettatadell’arco trionfale erettoquindici secoli addietro inAncona per rendere onore all’imperatoreTraiano. Ma non facciata della chiesa di Santa Lucia.[229] Progetto palladiano per lasarebbero state queste le operepiù imponenti concepite per Venezia da Palladio.Il Convento della Carità (quello in cui oggi sono ospitate leGallerie della Accademia) sarebbe stato – se fosse stato compiutamenterealizzato <strong>il</strong>progetto palladiano– la costruzione piùgrande per mole e[230] Planimetria del Convento palladiano dellaCarità con l’aggiunta di un tempio rotondo sulla suatestata settentrionale prospiciente <strong>il</strong> Canal Grande.[228] Canaletto, Capriccio: unprogetto di Palladio per <strong>il</strong> ponte diRialto con edifici di Vicenza, 1760circa, Parma, Galleria Nazionale.per imponenza dellacittà. E si sarebbe attestatoal CanalGrande (secondo la[231] Elaborazione di un disegno palladiano ditestata di una “piazza dei latini”.mia ipotesi) con un tempio rotondo esemplato sul modello delPantheon. Che se poi un altro tempio rotondo fosse sorto sul medesimoasse, sull’altra sponda del Canal Grande – secondo <strong>il</strong> programmatenacemente sostenuto da Marcantonio Barbaro nel corsodel dibattito per la costruzione del tempio votivo del Redentore –,su questa via d’acqua, che è la principale arteria della città, si sarebbematerializzato un evento architettonico che avrebbe avuto unimpatto sulla percezione della forma della città non inferiore aquello che avrebbe avuto <strong>il</strong> Ponte di Rialto, se questo fosse stato costruitoseguendo <strong>il</strong> modello audace proposto da Palladio.Quella che ha immaginato <strong>il</strong> Canaletto è una metafora di particolareefficacia, dunque, ma davvero insufficiente a esprimerecompiutamente la visione che Palladio aveva maturato per la capitaledella Repubblica. Egli infatti non si è limitato a concepire interventiche avrebbero coinvolto <strong>il</strong> Canal Grande; ma anche opereche avrebbero investito<strong>il</strong> cuore stessodella città, in ambitorealtino non menoche nell’ambito marciano.Ai piedi delPonte di Rialto –sulla sua sponda meridionale– avevaimmaginato si potesserealizzare una“piazza dei latini”,circondata da dueordini di logge, entrola quale si sarebbero potuti celebrare eventi e dare spettacoli,che avrebbero coinvolto <strong>il</strong> popolo veneziano non meno che l’oligarchiache governava la città.Ancora più clamorose sono le proposte palladiane per <strong>il</strong> foromarciano, per l’ambito cioè in cui si concentra <strong>il</strong> potere politico dellaRepubblica e con <strong>il</strong> quale Venezia ha sempre inteso dare al mondol’immagine più pregnante di sé. Assecondando un programmadi Marcantonio Barbaro che, divenuto Procuratore di San Marco,era intenzionato a r<strong>il</strong>anciare <strong>il</strong> processo di r e n o v a t i o del “foro” marcianoavviato negli anni del dogado di Andrea Gritti, Palladio avevaprogettato la costruzione di un palazzo imponente al centro dell’areadi Terranova quella, per intenderci, su cui sorgevano quei magazzinitrecenteschi che sono stati rasi al suolo da Napoleone perrealizzare quei modesti giardinetti che oggi si dicono “reali”. Unprogetto che Palladio, seguendo <strong>il</strong> procedimento mentale del Barbaro,non esita adampliare quasi a dismisura,fino a occuparel’intero sedimedell’area assai ampiadi Te r r a n o v a .[232] Progetto per la costruzione di un palazzopubblico nei due lotti centrali dell’area di Terranova.Palladio segue peròquesta iniziativa dell’autorevoleProcuratoredi San Marco“con la mano sinistra”, per così dire. Perché tutto <strong>il</strong> suo cuore e lasua mente sono impegnati, in quelle medesime settimane, nell’audaceproposito di dare nuova forma al fulcro stesso del potere poli-
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