chiararsi materico delle componentianche a una condizione di nesso corporeonell’uso effettivo del mon<strong>il</strong>e.Una sorta di ag<strong>il</strong>ità di questo, comed’altra parte una sua connessioneperformativa anche nel rapportod’incidenza materico-luminosa. Nelmodo cioè di come <strong>il</strong> trattamentomaterico del metallo prezioso, laparticolare aggettivazione delle suesuperfici solleciti particolari effettidi riflessione luminosa, che arricchisconola qualità autorappresentativadi quell’invenzione plastica che è divolta in volta diversamente <strong>il</strong> gioiello di Zorzi. E ciò in connessioneanche alla varietà materiologica preziosa messa in campo: dall’oroal rame, all’acciaio, dall’ebano ai quarzi; risolvendosi tuttaviarecentemente anche nell’uso inedito del colore a olio.BREVE PROFILO BIOGRAFICOAlberto Zorzi nasce nel 1958 a Santa Giustina in Colle in provinciadi Padova. Dopo gli studi all’Istituto statale d’arte e al Liceo artistico,si laurea in storia dell’arte all’Università di Padova. Dal1987 è docente in Arte dell’oreficeria e della lavorazione delle pietredure e delle gemme all’Istituto Statale d’Arte poi, tra <strong>il</strong> 1991 e<strong>il</strong> 1993, insegna Progettazione di oreficeria all’Istituto Europeo diDesign a M<strong>il</strong>ano. Dal 1994 al 2009 è professore di Progettazionedel gioiello e Storia delle tecniche artistiche all’Università di Firenzee dal 1998 è professore di Oreficeria, modellistica e micromosaicoall’Accademia di Belle <strong>Arti</strong> di Ravenna.Ampia e articolata, fin dagli anni ottanta, l’attività espositiva,con numerose mostre personali in Italia e all’estero; le sue opere sonopresenti in vari musei e collezioni pubbliche in Italia, in Europae negli Stati Uniti.Giorgio Morandi. S<strong>il</strong>enziAttraverso un’accurata selezione di opere raramente esposte,che coprono un arco di tempo che va dal 1921 al 1963, lamostra vuole immergere <strong>il</strong> visitatore nello stesso s<strong>il</strong>enziomeditativo che Giorgio Morandi riservava alla realizzazione deisuoi dipinti.Il visitatore è invitato ad addentrarsi nel dipinto per trovareuna personale chiave di lettura, fosse anche solo quella di interrogarsisul significato di quei vasi e di quelle bottiglie, di quegli oggettisempre uguali, ma sempre diversi, che sono <strong>il</strong> codice, l’alfabetoespressivo dell’artista. Il tentativoè quello di favorire, tra l’opera elo spettatore, un dialogo privo di f<strong>il</strong>trie di parole, nella consapevolezzache <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio morandiano non sipresta a un’interpretazione univoca e[13] Natura morta, 1948. Bologna,Galleria d’Arte Maggiore.[12] Islam, bracciale in argento epittura a olio.[14] Fiori, 1951. Bologna,Galleria d’Arte Maggiore.può essere di volta in volta letto esentito in maniera differente: nonuno ma più “S<strong>il</strong>enzi”, tutti possib<strong>il</strong>if<strong>il</strong> rouge della sua opera. Del restointorno a questo tema la critica morandianasi è espressa da sempre.Arnaldo Beccaria nel 1939 raccontadella preparazione ascetica a ogniopera “fatta di digiuni, di s<strong>il</strong>enzi, dimortificazioni del colore” in cui“l’arte è l’espressione dell’abito moraledell’artista” e di quelle “note dicolore che si compongono nel s<strong>il</strong>enziodel dipinto; e quel s<strong>il</strong>enzio è accesodi una musica intensa e segreta” che chiude l’opera “in un ordineassoluto” dove “tutto è equipartito, secondo un connaturatocalcolo, acutissimo e infallib<strong>il</strong>e, una sublime equazione” dove queicolori bruciano “come un incenso inconsumab<strong>il</strong>e sacrificato al s<strong>il</strong>enzio”.Secondo Francesco Arcangeli, <strong>il</strong> maestro “sembra rendere,forse inconsapevolmente, col suo s<strong>il</strong>enzio <strong>il</strong> supremo omaggio di unumanista ormai disperato a un’immagine dell’uomo per ora irrestituib<strong>il</strong>e”.Roberto Longhi suggerisce di cercare <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio nell’armoniae nell’equ<strong>il</strong>ibrio di quegli oggetti che nascondono una realtàpiù profonda della loro apparenza. Ma è Castor Seibel che evidenziacome la pittura di Morandi esprima “ciò che le parole non possonomai dire, cioè una poesia pittorica che esteriorizza l’inafferrab<strong>il</strong>e”.E precisa come <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio nell’opera del maestro sia evidenteanche agli occhi quando sostiene che “Morandi riesce a “metamorfosare”<strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio, assenza di suoni, in un fenomeno visivo: laluce del s<strong>il</strong>enzio”.Ventuno nature morte, dipinti – come afferma nel catalogoFrancesco Poli – “s<strong>il</strong>enziosi e dimessi” i cui colori “vibrano di unaluminosità un po’ appassita che sembra venire dall’interno... unapittura che si colloca mirab<strong>il</strong>mente nello spazio percettivo e mentaleche sta fra <strong>il</strong> visib<strong>il</strong>e e l’invisib<strong>il</strong>e”. S<strong>il</strong>enzi è un’occasionestraordinaria e unica per dar vita a un insieme di assonanze e rimandi:da un lato, sul piano della ricerca formale, con la minuziosaaccuratezza di Fortuny, dall’altro con gli “spazi metafisici” di Tirelli,esposti al primo e al secondo piano.Marco TirelliAnticipata da alcune opere dell’artista esposte o “disseminate”già al primo piano, la mostra occupa tutto <strong>il</strong> vastoambiente del secondo piano del Museo e presenta tele digrandi dimensioni insieme a sculture e altri lavori di piccolo formato,concepiti da Marco Tirelliper questi spazi.I dipinti rappresentano elementiarchitettonici e geometriciastratti che alludono a stati diindeterminatezza e di passaggio.[15] Opere di Marco Tirelli esposte alsecondo piano di Palazzo Fortuny.
[16] Senza titolo, 2009.Forme essenziali in cui l’oggetto fisicodiventa un pretesto per valicare<strong>il</strong> confine tra luci e ombre, stab<strong>il</strong>endoun rapporto metafisico con lospazio: qui l’architettura si d<strong>il</strong>ata finoa scomparire in un’<strong>il</strong>lusoria monocromiache avvolge e coinvolge lospettatore, creando uno spazio straniante,una finestra per la percezione,un varco per la meditazione.Francesco Poli nel saggio del catalogoafferma che Marco Tirelli invitaalla riflessione e alla meditazione s<strong>il</strong>enziosa e approfondita sullepossib<strong>il</strong>ità e i limiti fisici e spirituali della pittura come forma specificadi creazione visiva. Con un’esemplare chiarezza di idee e unaprecisa messa a punto di un linguaggio caratterizzato dall’usoestremamente originale ed essenziale di mezzi tecnici e di effetticlassici, dà vita a opere di singolare attualità proprio nella misurain cui sembrano collocarsi a una distanza siderale rispetto alla freneticae congestionata fenomenologia iconica iperdinamica dellarealtà virtuale in cui siamo oggi immersi a livello globale. È la lororadicale alterità che, per contrasto, funziona come un magnificodeterrente poetico che apre prospettive inedite di interpretazionedel nostro rapporto col mondo.Le ben studiate composizioni di Tirelli sono immagini impalpab<strong>il</strong>mentemateriali, visioni sospese in una dimensione spazialeche annulla <strong>il</strong> senso del tempo come durata. Sono forme più o menogeometriche che lievitano come volumi senza peso, o anche nudiscorci ambientali in penombra in cui risuona <strong>il</strong> vuoto: forme espazi impregnati da stranianti tensioni enigmatiche, sott<strong>il</strong>menteinquietanti e misteriose. Ma questa aura misteriosa e straniante nonderiva tanto dalla natura delle presenze in scena, quanto piuttostodal processo percettivo attraverso cui avviene la loro apparizione. Ein effetti si rimane affascinati dal lento lievitare delle configurazionidal fondo buio (dall’oscurità o dalla semioscurità) che si apre virtualmenteal di là della tesa superficie della carta o della tela. Ci sitrova davanti alla presenza immob<strong>il</strong>e (ma con impercettib<strong>il</strong>i vibrazioni)di fantasmi figurativi che si situano al limite osc<strong>il</strong>lante frabidimensionalità reale e tridimensionalità <strong>il</strong>lusoria. Il repertoriodegli elementi a dominante geometrica (ricorrente nel tempo macon aggiunte e variazioni progressive) è costituito da sfere, anelli,c<strong>il</strong>indri, tronchi di cono, poliedri di diversa specie, ma anche crocio strutture rettangolari tipo cassette (e altro) con volumetrie vuote.Sono forme e oggetti di nitida e allo stesso tempo sfumata plasticitàpositiva e negativa (e non di rado ambivalente) che si definisconograzie a raffinatissime gradualità di luminosità, o meglio d<strong>il</strong>uminescenza, proveniente da una fonte non ben identificab<strong>il</strong>e all’internodella scena del quadro.Pare quasi che Tirelli, con queste immagini sempre al limitedella monocromaticità, ricerchi l’anima stessa della pittura intesacome incanto visivo puro. E questo incanto, d’una sensib<strong>il</strong>ità tuttamentale, arriva spesso a sfiorarlo; è l’eco lontana dell’essenza metafisicadella pittura: un evento di luce e ombra, linee e volumi, chevive nel tempo sospeso della visione decantata nella camera oscuradella coscienza riflessa.BREVE PROFILO BIOGRAFICOMarco Tirelli è nato nel 1956 a Roma, dove vive e lavora. Frequental’Accademia di Belle <strong>Arti</strong> a Roma diplomandosi nel corsodi scenografia con Toti Scialoia. Dopo la prima mostra personale,nel 1978, a M<strong>il</strong>ano, nel 1982 espone alla Biennale di Venezia, conuna sala personale, invitato da Tommaso Trini nella sezione Aperto82. Seguono numerose mostre personali in Italia e all’estero epartecipazioni alle biennali internazionali tra cui quella di San Paolo,Sidney e Parigi.Gli anni novanta si aprono con la mostra all’American Academydi Roma che pone in dialogo una collezione di suoi disegnicon i wall drawings di Sol LeWitt. Nel 1990 partecipa con una salapersonale alla Biennale di Venezia invitato da Giovanni Carandente,Laura Cherubini e Flaminio Gualdoni; nello stesso anno laGalleria Civica di Modena dedica una mostra al suo disegno e nel1992 una personale. Nel 2002 si tiene all’Institut Math<strong>il</strong>denhöhedi Darmstadt un’importante mostra antologica dal titolo Das Universum der Geometrie, presentata l’anno successivo alla Galleria d’ArteModerna di Bologna.Giorgio Vigna. Altre natureUn progetto site specific sv<strong>il</strong>uppato da Giorgio Vigna appositamenteper <strong>il</strong> wabi-sabi al centro del terzo piano di PalazzoFortuny. Ancora una volta è la sperimentazione dellepotenzialità della materia – vetro, rame e oro così come materialidi scarto – a guidare la ricerca dell’artista, in cui naturale e artificiale,immaginifico e sublime s’incontrano e scontrano in operesospese tra <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e e l’irreale. La mostra si articola in undici momenti,undici “stazioni” o meditazioni diverse in cui la materia divieneora leggera ora pesante, può farsi puro colore incandescente,assumere consistenza ingannevole o forme ancestrali.Altre nature si presenta comeun viaggio, un percorso circolaree atemporale in cui le ottantanoveopere sintetizzano edesemplificano aspetti diversi dellavoro dell’artista, in cui giocaun ruolo fondamentale la sceltae la ricerca sulla materia. Unasosta contemplativa – <strong>il</strong> Giardi -no dell’inizio – apre <strong>il</strong> percorsoespositivo, un invito a sedere su[17-18] Acqua, 2005 e, in basso,Fuochi astrali, 2010.grandi sculture, un vuoto sonoro racchiuso in segmenti metallici,improvviso e catartico. Nelle tre successive “stazioni” si manifestanoaccostamenti materiali antinomici, incui <strong>il</strong> rame è reso doc<strong>il</strong>e e racchiuso in formelevigate, traslucide come gocce d’acquasolidificate. Nel sesto passaggio – <strong>il</strong> Giardino fiorito – enigmatici vasi in vetro emergononell’oscurità facendo esplodere fiori susteli di rame, chiaro rimando alla canna dasoffio dalla cui estremità nascono da semprele opere dei maestri vetrai delle fornaci diVenini. Seguono poi le “finestre astronomi-
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