L’arte dei cuoridoroCAMILLO TONINI eDIANA CRISTANTEesser l’arte in se di gran bellezza, & molto d<strong>il</strong>ettevoleda vedere, e ancor di grandissimo guadagno per“Percoloro, che la fanno: percioché questa si chiama l’Artedell’oro”. [L. Fioravanti, Dello specchio di Scientia Universale, 1572]Il Museo Correr possiede una ricca e diversificata collezione dicuoridoro, una raffinata decorazione del cuoio di cui Venezia diventauno dei centri di produzione d’eccellenza dopo aver appreso questaparticolare arte dalla Spagna e dall’Oriente. Il cuoio per le suequalità di resistenza e isolamento eraut<strong>il</strong>izzato anche come supporto ornamentaleper realizzare arredi comespalliere, paraventi, sovraporte,drappi, tappeti da tavolo o come rivestimentoper cuscini, sedie, cassoni,custodie di diverse fogge, perfino[182-183] Cuscino in cuoio doratodel XVII secolo. In basso, per scudi come le famose “rotelle” diGiovanni Grevembroch, Palazzo Ducale, oppure, in ambitoFabbricatore di cuoia d’oro.religioso, per paliotti d’altare.La decorazione del cuoio, attraverso le tecniche di doratura, l’usodi punzoni e la stesura di lacche e vernici, viene precisamente codificatada Leonardo Fioravanti nel suo trattato Dello specchio di Scien -tia Universale, edito a Venezia nel 1572, nel capitolo “Dell’arte de’corami d’oro e sua fattura”, ma è già documentata in laguna dal XVsecolo come attività ben radicata. La pelle conciata veniva bagnata,battuta, levigata, tagliata a misura,asciugata, brunita e ricoperta di collaper ricevere le foglie metalliche.Comunemente per i parati venivastesa una foglia d’argento invece dellaben più costosa foglia d’oro, e brunitafino a renderla particolarmentelucida. Il disegno veniva riportatocon una tecnica affine alla x<strong>il</strong>ografia:poteva essere impresso usando unavernice scura o, soprattutto a partiredal Cinquecento, creando un r<strong>il</strong>ievo a pressione. La superficie metallicaveniva quindi coperta da una vernice resinosa color oro (meccatura),a risparmio se si volevano zone argentee, e a seguire una sapientepunzonatura con piccoli ferri “quadrati, a occhio di gallo, spinapesce,e altre sorti” veniva a creare un chiaroscuro tatt<strong>il</strong>e. A questopunto si poteva procedere a una decorazione cromatica, con laccheo pigmenti coprenti con leganteoleoso, la quale, specialmentenel Settecento, prevedel’impiego di una diversificatagamma di colori. A questo propositomagistrali risultano i paliottidella veneziana chiesa del[184] Frammento di cuoridoro datappezzeria del XVIII secolo. Redentore attribuiti al valentepennello di Francesco Guardi.Gli elementi iconografici più diffusi si ispiravano al repertoriotess<strong>il</strong>e: fiori e frutta naturalistici o st<strong>il</strong>izzati si intrecciano a formaremazzi, ghirlande, festoni spesso con la presenza di animali, put-[185-186] Due esempi di cuoridorodel XVII e XVIII secolo.ti o stemmi; nel Seicento si affermaanche <strong>il</strong> <strong>gusto</strong> per la decorazione agrottesca, ma a Venezia permane neltempo anche una forte suggestioneverso motivi di matrice orientale.Nei paliotti spesso la parte centraleè occupata da una scena figuratacontornata dagli ornati vegetali.L’assemblaggio delle pelli avvenivaper cucitura, mentre a partire dalla seconda metà del Seicentosi procedeva più comunemente con l’incollaggio sovrapponendonei bordi. Il ricordo di questa fiorente attività rimane ancora vivo nellatoponomastica di Venezia, che testimoniale zone dove maggiormenteoperavano queste botteghe: vi ritroviamo<strong>il</strong> ponte, la calle e <strong>il</strong> sottoportegodei Cuoridoro come riportatodal Tassini.I maestri cuoridoro facevano parte dell’Arte dei pittori comeappare nell’insegna del 1729 attribuita alla scuola di Antonio Balestraconservata al Museo Correr. Nel XVI secolo in Venezia eranooperanti ben settanta botteghe, con una produzione che rendevacentom<strong>il</strong>a ducati annui: inequivocab<strong>il</strong>e attestazione di come la cittàlagunare fosse diventata <strong>il</strong> centro principale in Italia per questa artesuntuaria. Tra <strong>il</strong> XVI e <strong>il</strong> XVII secolo le pareti dei palazzi venezianisi ricoprivano di questi preziosi cuoi e ancora oggi si ha lapossib<strong>il</strong>ità di apprezzare ambienti così decorati nella Sala delle Magistraturealle leggi in Palazzo Ducale, che a giudicare dalla presenzanelle murature di ganci doveva largamente ospitare questiparati, e a Palazzo Vendramin Calergi.Nel corso del Settecento cominciò ad affermarsi l’uso della cartada parati che portò a un rapido declino questa arte; GiovanniGrevembroch ricorda che attorno agli anni sessanta del secolo lebotteghe a Venezia si erano ridotte solamente a sette. Alla fine dell’Ottocentosopravviveva un solo artigiano sul quale Agostino Sagredoriponeva la speranza che “potrà forse far rivivere i cuoi dorati”.Contemporaneamente si affermava un nuovo interesse storicoamatoriale per questa antica arte con una ricerca di questi rari e costosiparati che portò anche a una breve stagione di produzione dicarte per arredo a imitazione dei cuoridoro.In questo stesso periodo <strong>il</strong> Museo Correr creò la sua collezioneattraverso donazioni e oculati acquisti di frammenti di parati, paliotti,cuscini, realizzando un raro e prezioso repertorio. La cospicuacollezione è stata recentemente valorizzata da un attento e pazientelavoro di restauro – eseguito da Lucia Castagna – di cui unaparte è stata esposta a Istanbul nel2009 nella mostra Venezia e Istanbulin epoca ottomana, per testimoniare ifitti rapporti commerciali e culturalitra le due capitali. Anche la saladedicata ai cuoridoro nella sezione“<strong>Arti</strong> e Mestieri” del Museo Correr èstata rinnovata consentendo di apprezzarepienamente la varietà e labellezza di questo materiale.[187] Turco rappresentato in un cuoridoro.
L’arte del merletto*DORETTA DAVANZO POLIArte tutta femmin<strong>il</strong>e – poco nei disegni e mai nella vendita– è quella dei merletti che vanta un’origine assolutamenteveneziana. Pur senza conoscere la storia o l’arte, masemplicemente girando per la città e osservando la sua architettura,le guglie e le polifore traforate, se ne intuisce la ragione. Se deipizzi a fuselli, derivati dalla tessituradi arazzi o passamani, permangonodubbi sul luogo d’origine, perquanto riguarda quelli ad ago, generatidall’evolversi di un particolaretipo di ricamo sf<strong>il</strong>ato, unanimementese ne stab<strong>il</strong>isce l’inizio nella cittàlagunare, nella seconda metà del XVsecolo. Non nasce, come raccontano le leggende tardo-ottocentesche,in ambienti proletari quale evoluzione delle reti da pesca, sucui l’imbrigliarsi di alghe fantastiche avrebbe generato i primitividecori, bensì come espressione artistica di aristocratica sensib<strong>il</strong>itàfemmin<strong>il</strong>e. Alle “nob<strong>il</strong>i et virtuose donne”, tra cui si annovera anchequalche dogaressa, educate fin da piccole alle femmin<strong>il</strong>i “opreleggiadre”, sono infatti dedicati i numerosissimi modellari. Si trattadi libri di disegni per pizzi e ricami, pubblicati nel Cinquecento,in cui si dà per scontata la conoscenza delle tecniche di esecuzionedei vari punti, spesso indicati con termini dialettali. Tra i piùimportanti si ricordano, per <strong>il</strong> merletto a tombolo (dal nome delcuscino imbottito a forma di rullo su cui poggia l’opera realizzataa fuselli) Le pompe della metà del secolo e, per <strong>il</strong> merletto ad ago,Splendore delle virtuose giovani di Jeronimo Calepino del 1563 e Co -rona di Cesare Vecellio del 1591.Solo in un secondo tempo, quandoda raffinata manifestazione dicreatività di dame colte e garbate diventaindispensab<strong>il</strong>e accessorio dimoda sia femmin<strong>il</strong>e che masch<strong>il</strong>e,insostituib<strong>il</strong>e simbolo di stato socialeelevato, <strong>il</strong> merletto si diffonde nelleclassi meno abbienti come fonte diguadagno. L’aumento della richiestada parte del mercato ne renderà infattinecessaria un’org a n i z z a z i o n eproduttiva su vasta scala che sarà[188] Finestrelle della Bas<strong>il</strong>ica diSan Marco sim<strong>il</strong>i a merletti.[189-190] Giovanni Grevembroch,Lavoratrice di punto in aria e,in basso, merletto a punto in aria.concentrata prima presso istituti di educazione e ricovero, ospizi perorfane e penitenti e, dagli inizi del XVII secolo, a livello paleoindustriale,su intere isole della laguna. La lavorazione a Pellestrina dimerli a fuselli, è documentata fin dal 1609 nelle Relazioni dei podestàdi Chioggia, nel cui dipartimento era compresa l’isola. L’ a b i-lità nell’ago delle buranelle è invece ricordata, a metà del XVIII secolo,da Grevembroch, che ne lamentacomunque la decadenza.Nonostante la concorrenzadei fuselli fiamminghi, i merliveneziani di seta, d’oro, d’argentoe neri si esportano in tuttaEuropa, ma è soprattutto nelpunto in aria che Venezia trionfa. Il suo punto tagliato a fogliame adaltor<strong>il</strong>ievo, chiaroscurato e tridimensionale, sontuoso nello svolgersisinuoso dei tralci vegetali carichi di fiori e frutta fantasiosamenteorientali, è così diverso, prezioso e ambito alla corte di Luigi XIVda indurne <strong>il</strong> ministro Colbert, poco dopo la metà del Seicento, afar espatriare in Francia alcune maestranze veneziane, che in brevetempo insegneranno i segreti dell’arte alle colleghe d’oltralpe. Tuttaviaanche un tanto r<strong>il</strong>evante atto di pirateria artigianale, con conseguenzegravissime per l’economia veneziana, pur turbando la Serenissima,che emetterà proclami di morte per i fam<strong>il</strong>iari delle fuoriuscitein caso di un loro mancato o non immediato rientro, nonporterà al riconoscimento del merletto come Arte o mestiere.Malgrado la richiesta internazionale di tale specialità manifatturierae gli importanti riscontri economici, alle merlettaie non saràmai concesso di riunirsi in corporazione ma vengono fatte rientrarenell’Arte dei m a r z e r i, che organizza sia la consegna della materiaprima, <strong>il</strong> refe, sia <strong>il</strong> ritiro e la vendita del prodotto finito. Alle donnesarà proibita anche la vendita portaa porta, esclusiva di ambulantimaschi, soprattutto chioggiotti. Intantola moda reclama merletti semprenuovi, ora più matericamente inconsistentie meno pomposi st<strong>il</strong>isticamente,con cui ottenere effetti[191-192] Merletto a “punto neve”e, a sinistra, a punto Venezia coninserto a punto Burano.spumeggianti su vesti e acconciature.Venezia lancia <strong>il</strong> punto rosa, r i s u l-tato del rimpicciolimento dei decoribarocchi, che miniaturizza, quasi disintegrandoliin una miriade di spruzzi in r<strong>il</strong>ievo, nel punto neve.Nel secondo quarto del Settecento la continua richiesta di innovazioniporta all’invenzione del punto Burano in cui <strong>il</strong> prevalere dellarete del fondo sull’opera rende le trine particolarmente vaporose.Mai quanto però i merli di seta dettib i o n d i, sia semplici che mescolati conoro e argento, realizzati a fuselli maanche a telaietto (f i l e t) . La crisi delsettore nell’ultimo quarto del XVIIIsecolo – dovuta al semplificarsi dellemode che dall’Ingh<strong>il</strong>terra si diffondein tutta Europa e che porta a una drasticariduzione dell’uso dei merletti – si accentuerà con la Rivoluzionefrancese che elimina totalmente, e non solo dall’abbigliamento,ciò che è stato per secoli un aristocratico status symbol. S o s t i t u i t oin seguito dai merletti di produzione industriale, quello venezianodovrà attendere la riscoperta delle arti minori e <strong>il</strong> movimento A r t sand Crafts che, a metà Ottocento, ancora una volta dall’Ingh<strong>il</strong>terra,si propagherà ovunque. A Burano, grazie al senatore Fambri e allacontessa Marcello, sotto l’egida dellaregina Margherita, nel 1872 vieneaperta, con maestranze miracolosamentesuperstiti, una scuola che per meritodella severa professionalità con cui ègestita giunge a superare per qualità eperfezione la produzione del passato.[193] Manifesto celebrativo della Scuola dimerletti di Burano.
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