fani, sed<strong>il</strong>i, ecc.”, si nota la presenza di calici e appliques in vetro edi alti steli in ferro che sostengono coppe, anch’esse in metallo lavorato,dalle quali fuoriescono, timidamente, coppe in vetro. Sonoquesti i primi esempi, presentati al grande pubblico, dell’uso delvetro da parte dell’artista; uso che egli impiega per dar vita a operedi stampo eclettico, ispirate agli st<strong>il</strong>i storici (si vedano ad esempioi calici), e a quei tripodi che, con successive elaborazioni, diventerannola nota distintiva della sua produzione come “Connubiodi ferro e vetro”.Per la Biennale del 1914 egli ut<strong>il</strong>izzò <strong>il</strong> vetro trasparente ed èpossib<strong>il</strong>e ipotizzare che la maggior parte dei “connubi” del periodosia stata realizzata ut<strong>il</strong>izzando soffiati eseguiti con tale materia.Questi vengono posti a conclusione di una struttura in ferro battuto,più o meno complessa, che si compone di un elemento verticaleinserito in un piedistallo. Il sostegno assume forme diverse, a secondadei casi, e regge una montatura metallica nella quale sono sistemati<strong>il</strong> vaso o la coppa in vetro. Per l’occasione Bellotto si avvalsedei maestri della Fratelli Toso, storica azienda che si distinguevaper un repertorio abbastanza tradizionale di vetri muranesi, ma chepartecipò alla stessa Biennale esponendo opere tutt’altro che consuetesu disegno dell’artista norvegese Hans Stoltenberg Lerche.Presumib<strong>il</strong>mente affascinato da alcune di quelle opere, intornoal 1920, <strong>il</strong> veneziano disegnò degli oggetti vitrei che si rifanno alletecniche impiegate da Lerche. È<strong>il</strong> caso, ad esempio, del vaso invetro azzurro con doppia strozzaturae con f<strong>il</strong>amenti vitrei applicati,quasi sospeso sopra unastruttura in ferro battuto decoratasull’asta dal leone marciano(1920 circa), eseguito ancorauna volta con la Fratelli To s o ,con cui <strong>il</strong> fabbro lavorò più volte.Ma egli intrattenne rapporti[131-32] Vasi su strutture in ferrobattuto: a sinistra in vetro trasparenterealizzato nel 1920 e, a destra, in vetroa “piume di pavone” del 1914.di collaborazione soprattuttocon la fornace dei Barovier coni quali, forse, era già entrato incontatto prima della guerra. Lofarebbe pensare la struttura inferro battuto con la sfera vitreadecorata con motivo a “piume di pavone” del 1914 circa.Dal primo dopoguerra la produzione di “connubi” andò via viacaratterizzandosi per una ricerca raffinata sulla materia e sul coloreper la realizzazione degli elementi vitrei. Si assistette perciò a unsempre maggiore impiego della tecnica “a murrine” ut<strong>il</strong>izzata perimpreziosire e dare forma ai vasi ealle coppe da includere nella composizione.Così, ad esempio, alcuni vasivennero impreziositi da semplici“murrine circolari” o dalle “murrinea stella” di avventurina dovuti all’ab<strong>il</strong>itàdei Barovier. A queste si associarono,talvolta, supporti modellatidal maestro del ferro con l’inserimento,nel sostegno verticale, di tipichefigure masch<strong>il</strong>i piegate su sestesse o slanciate verso l’alto.[133] Dettaglio di un vaso in vetrotrasparente decorato da murrine eposto su una struttura in ferrobattuto, 1920 circa.[134-135] Vasi e “Connubi in ferro evetro” esposti alla prima Biennale diarti decorative di Monza nel 1923 e, adestra, paravento e cancelli esposti allaBiennale di Venezia del 1924.L’attività di Bellotto continuò aessere documentata anche nellebiennali veneziane postbelliche(1920, 1922, 1924, 1932) a cuisi aggiunse, dal 1923, la prestigiosavetrina delle biennalimonzesi (1923, 1925, 1927).L’artista partecipò alle varie rassegnesia con lavori in ferro battuto(cancelli, cancellate ecc.),sia con “Connubi di ferro e vetro”– sporadicamente solo conoggetti in vetro – insieme aiquali si videro anche opere in ceramica,cuoio e stoffe. La qualitàdei manufatti suscitò discordantipareri critici. Fin dal 1922 cifu chi, come Gino Damerini,espresse perplessità sui risultatidell’impiego del ferro in associazione con vetro e maioliche, sottolineandocome tali proposte non “raggiunge[ssero], talora, l’equ<strong>il</strong>ibriodesiderab<strong>il</strong>e”. Sulla stessa scia è anche <strong>il</strong> parere di Roberto Papiniin occasione della prima Biennale di Monza nel 1923. Tu t t a-via, durante quest’ultima manifestazione, in cui Bellotto ebbe unasala personale con ben 54 pezzi e fu insignito del Gran Diplomad’Onore per i “ferri battuti in connubio col vetro”, altre voci si levaronoin suo favore come quelle di Raffaele Calzini o di RaffaelloGiolli. In particolare Giolli notava che “quando [...] <strong>il</strong> paradossalefabbro veneziano, dopo aver alleggerito <strong>il</strong> ferro, con la sua stravagantelavorazione, e dopo essersi creati apposta dei vasi vitrei ricchidi colori vivaci e robusti, combina ferro e vetro, mettendo un vasodi vetro su un sostegno di ferro, nessuno certo ci trova a ridire”.Inoltre, <strong>il</strong> veneziano Guadagnini ricordava come Bellotto avesse“una fama che ha varcato frontiere e oceani. I lavori di questo cesellatoredel ferro, si trovano anche in America, nella Grecia, in Egittoe suscitano ovunque calda ammirazione. [Egli] è anche un ricercatoree, fissando in forme nuove i fantasmi elaborati, sa mantenereviva e fresca la sua arte, sa realizzare con sorprendente efficacia e disi n v o l t u r a ” .Indipendentemente dalle posizioni dei vari critici, tale testimonianzasottolinea come la linea seguita dal veneziano riscuotesse ungrande successo di pubblico. A conferma di ciò vanno ricordati anchei tentativi fatti da alcuni maestri muranesi di riproporre in chiavepersonale l’associazione del ferro col vetro. Nella stessa Biennaledel 1923 la Vetreria <strong>Arti</strong>stica Barovier aveva presentato “la nuovadecorazione del vetro soffiato combinato a fuoco col ferro battuto”con la collaborazione dei fabbri Cardin e Fontana di Venezia per glielementi metallici. L’esperimento però non ottenne i risultati sperati,tanto che lo stesso Giolli, confrontando l’opera di Bellotto conquella dei Barovier notò come essi “fa[nno] <strong>il</strong> contrario: lavora[no]<strong>il</strong> ferro come se fosse vetro finto, a ricamini, sghiribizzi e riccioli, epoi te l’inchioda[no], con delle viti di vetro di finto ferro”.Il catalogo della mostra del 1923 non fa menzione degli artigianiche eseguirono i manufatti in vetro inseriti nel lavoro di Bellotto.A ragione si può ritenere però che la maggior parte di essi siastata realizzata proprio dalla Vetreria <strong>Arti</strong>stica Barovier per l’eccezionalequalità esecutiva dei vetri “a murrine” e per <strong>il</strong> loro straor-
[137-138] Vasi del 1927: a sinistra vetrotrasparente su struttura in ferro battuto e,a destra, vetro con bolle incluse.dinario cromatismo. Caratteristico è inoltre l’uso di particolari tipidi “murrine” già presenti in altre realizzazioni della fornace ma, inquesto caso, combinate con una maggiore libertà per potenziarnel’aspetto coloristico, che viene spesso rimarcato dalla presenza di unbordo nero alla sommità del vaso.Sempre in occasione della stessaBiennale si videro anche dei vasi,ideati da Bellotto – interamente invetro, perlopiù a “murrine” – a testimonianzadel sempre maggiorecoinvolgimento dell’artista verso unsettore che, pur non essendo specificatamente<strong>il</strong> suo, esercitava su di luiun notevole fascino. Egli continuòsu questa strada sv<strong>il</strong>uppando ulteriormentela ricerca nonostante alcunecritiche tacciarono <strong>il</strong> suo lavoro di [136] Vaso “a murrine”, 1923 ca.manierismo, tanto che una sua importantepersonale (con più di cinquanta opere) fu ospitata dallaBiennale di Venezia nell’anno seguente: <strong>il</strong> 1924.L’artista partecipò poi anche alla seconda edizione della Biennaledi Monza del 1925 presentando insieme a dodici cancelli inferro battuto, anche “lampade pens<strong>il</strong>i, tripodi con connubi di ferroe vetri eseguiti [...] nelle fornaci dell’IVAM”. Per la successiva edizionedella mostra monzese nel 1927 “<strong>il</strong> mago” – come veniva anchechiamato – si avvalse invece dei maestri della Pauly presentando,tra l’altro, vetri eseguiti su suoi modelli insieme a “supporti inferro battuto con vetri”. Lanuova produzione dimostròla svolta operata anche per farfronte alle mutate esigenzedel <strong>gusto</strong>. Così si poteronoapprezzare vasi e calici in vetrosoffiato con una materiatrasparente – spesso con coloritenui e inclusione di bolle– caratterizzati da combinazionie sovrapposizioni di elementigeometrici semplicicome la sfera, <strong>il</strong> cono, <strong>il</strong> c<strong>il</strong>indro.Per sottolineare la giuntura tra le parti egli impiegò inoltre finituree, talvolta elementi decorativi come rostri, anelli e spirali, dicolore contrastante priv<strong>il</strong>egiando <strong>il</strong> blu e <strong>il</strong> nero, quasi a evocare ancorala presenza figurativa del ferro battuto.All’inizio del decennio successivo, nel 1933, altre sue opere sividero sulle pagine della rivista L’artista moderno a corredo di un articolosulla Mostra d’arte e artigianato ferroviario di M<strong>il</strong>ano. Oltrealle ceramiche erano <strong>il</strong>lustrati anche dei vetri che verosim<strong>il</strong>menterappresentano gli ultimi esempi del lavoro del “mago”. Sono vetridove la forma si fa più morbida e viene elegantemente accompagnatada es<strong>il</strong>i finiture in vetro opaco, <strong>il</strong> cui esito appare come elaborazionedi un d é c o ormai attardato. Si chiude così la parabola diun artista che, nato in un ambiente artigiano, grazie al talento, seppeconiugare <strong>il</strong> suo bisogno di ricerca con i gusti dell’epoca senzarinunciare alla sua originalità, spaziando dal ferro al vetro.* tratto da Forme moderne, n. 4, Roma, Iuno Edizioni, maggio 2010.Miniature di vetro: le murrineGIOVANNI SARPELLONÈpossib<strong>il</strong>e far stare in un dischetto di vetro di tre m<strong>il</strong>limetridi diametro i ritratti di Vittorio Emanuele II, Garibaldi eCavour? L’incredib<strong>il</strong>e risposta è sì. L’autore di questa prodezzafu Giacomo Franchini che, lavorando al fuoco della lampadausata dai perlai veneziani, fra <strong>il</strong> 1845 e <strong>il</strong> 1863 realizzò una serie dibacchette di vetro (o “canne”,come si dice a Murano) chein tutta la loro lunghezzaracchiudevano un ritratto.L’arte di fabbricarecanne di vetro contenentiun disegno è vecchia di[139-140] Murrine con iritratti di VittorioEmanuele II e GiuseppeGaribaldi realizzate daGiacomo Franchini ametà Ottocento.oltre trem<strong>il</strong>a anni; essa raggiunse <strong>il</strong> suo momentodi massimo splendore nei due secoliattorno alla nascita di Cristo, per opera deivetrai di Alessandria d’Egitto e di Roma,che erano in grado di preparare canne conuna grande varietà di colori e disegni, chetagliavano poi a fettine e saldavano le une alle altre sotto l’azionedel fuoco, riuscendo così a fabbricare piattini, ciotole e anche vasettidi grande bellezza.L’introduzione nel lavoro di fornace della canna da soffio (versola prima metà del I secolo dopo Cristo) fece cadere in disuso questogenere di lavorazione, che riappare solonel XIX secolo per opera dei vetrai muranesi.Fabbricare una canna di vetro contenenteun disegno in tutta la sua lunghezza nonè cosa molto diffic<strong>il</strong>e se ci si serve di unostampo aperto nel quale pressare una massadi vetro preventivamente raccolta sulla puntadi un’asta di ferro. Con questo sistema si[141] Stampo per canna fanno canne con decori semplici, generalmentea forma di stella o ruota dentata, chem<strong>il</strong>lefiori.sono comunemente chiamati “m<strong>il</strong>lefiori”.Un secondo metodo per fare una canna più complessa consistenel disporre assieme più canne semplici e con queste formare un disegno;riscaldando molto lentamente <strong>il</strong> nuovo c<strong>il</strong>indro così formatosi ottiene una nuova canna. Il terzo sistema di lavoro è molto piùdiffic<strong>il</strong>e: a un primo nucleo di vetro caldo attaccato alla punta diun’asta di ferro, si aggiunge dell’altro vetro direttamente preso dalcrogiolo, sagomandolo secondo la forma voluta, e costruendo <strong>il</strong> disegnofinale un po’ alla volta.Il merito della reintroduzione delle canne a m<strong>il</strong>lefiori nel lavorodei vetrai muranesi spetta a Domenico Bussolin che, nel 1838,produsse una serie di canne molto eleganti. Poco dopo, GiovanniBattista Franchini ne riprese l’esempio e dettevita ad alcune centinaia di nuove canneelaboratissime e raffinate che usava poi perfabbricare sp<strong>il</strong>le, pendenti,manici di posa-[142-143] Canne m<strong>il</strong>lefiori,di fronte e in sezione.
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