La lavorazione dei metalli preziosiMICHELA DAL BORGOdelle arti veneziane legate alla lavorazione di pietree metalli preziosi è da ricondursi, come ormai assodato,a Bisanzio, meta priv<strong>il</strong>egiata dei mercati medievali. L’origineBen presto però l’estro artistico e la capacità professionale degli artigian<strong>il</strong>agunari – sia locali che immigrati – diedero frutti propri,ricercati in tutta Europa per la loro bellezza e perfezione: lavori inf<strong>il</strong>igrana, identificati come opus veneciarum oppure opus veneticum,appaiononegli inventari di numerosi tesori, di proprietà ecclesiasticao di sovrani, sin dal XIII secolo.L’Arte degli oresi ottenne <strong>il</strong> riconoscimento giuridico dallo Statoveneziano nel 1233, anno in cui <strong>il</strong> capitolare fu ratificato dallaGiustizia Vecchia. Il controllo statualesulla corporazione era esercitatonon solo attraverso le tradizionalimagistrature con competenza sulle<strong>Arti</strong> – Giustizia Vecchia e M<strong>il</strong>izia daMar – ma anche dagli uffici dellapubblica Zecca, sia per quanto riguardavala materia prima ut<strong>il</strong>izzata,sia per la buona qualità del prodottofinito. Una determinata quantitàdei metalli preziosi giunti a Veneziaera, per legge, destinata alloStato (un quarto del totale nel XIVe XV secolo); <strong>il</strong> rimanente, dopo l’opportuna valutazione, potevaessere venduto a privati, con una regolare asta da tenersi nella zonarealtina, centro delle transazioni commerciali. Parimenti, ogni oggettoprodotto dagli oresi doveva essere valutato in Zecca: se ritenutodi buona lega e di pregevole fattura lo Stato apponeva <strong>il</strong> propriomarchio – <strong>il</strong> San Marco in forma di leone in moleca – accantoal punzone proprio dell’artigiano, obbligatorio per gli oresi di tuttolo Stato e dato in nota, cioè registrato, presso gli officiali deputatialla bolla nella Zecca della Dominante.Per volere del Maggior Consiglio dal 1331 le botteghe degliorefici si concentrarono dapprima nella zona di Rialto: nella rugaGranda per la vendita di oggetti di notevoli dimensioni, nella rugaMinore o ruga degli Anelli per i gioielli veri e propri – permanetuttora <strong>il</strong> toponimo ruga degli Oresi –; un negozio era poi presentein ogni sestiere, per comododella popolazione. Per questaprobab<strong>il</strong>e ragione, anche l’altarededicato al patrono, Sant’AntonioAbate, fu eretto nella vicinachiesa di San Giacomo di Rialto,tra <strong>il</strong> 1599-1605, in campoRialto Nuovo, la sede stab<strong>il</strong>edella scuola, poi restaurata alla[120] La chiesa di San Giacomo aRialto.[119] Insegna dell’Arte degli oresi,Venezia, Museo Correr.fine del secolo XVII e oggi sededi alcuni uffici del Magistratoalle Acque: le iniziali S.O. presentisulla lunetta in ferro battutosopra <strong>il</strong> portone d’entrata e <strong>il</strong> soffitto affrescato della sala capitolaredi epoca barocca testimoniano l’antica destinazione d’uso.[121] Il corno dogale, <strong>il</strong> gioielloveneziano per eccellenza.L’Arte degli oresi e gioiellieri comprendeva artigiani esperti inmolteplici tipologie di manufatti. Di norma i garzoni – che potevanoessere veneziani, sudditi della terraferma e anche forestieri,trattandosi di una corporazione aperta – erano accettati dai 7 ai 18anni e, dopo cinque anni, passavano alla qualifica di lavorante perulteriori due anni. La divisione in quattro colonelli ( s p e c i a l i z z a z i o n i )principali – gli oresi propriamente detti cioè argentieri e gioiellieri,i diamanteri da duro per <strong>il</strong> taglio e lalavorazione dei diamanti, i d i a m a n t eri da tenero per le altre pietre preziose,i gioiellieri e ligadori da falso p e roro e argento di bassa lega e le pietredure – non esaurisce l’estrema varietàdelle lavorazioni, come chiaramentetestimonia una decisione delcapitolo dell’Arte del 1693 che precisavale diverse prove pratiche che <strong>il</strong>lavorante doveva sostenere per divenire capomaestro. Oltre all’obbligogenerale di dimostrare una perfetta capacità – “bona et perfettacognitione” – nella valutazione della lega in oro e argento presentenelle verghe sem<strong>il</strong>avorate, attraverso un procedimento particolarechiamato t o c c a, sono ben vent<strong>il</strong>e prove d’arte elencate. Ad esempio“per quelli che lavoran di ligar gioiealla francese: un anello quadro conpietra meza gropida (a ottaedro), largadi fazza scoperta con l’onghiella;per quelli che lavoran d’argento digrosso: un piede di coppa; per quelliche lavoran di bottoni: un ferro abuovolo con una rosettina et far unbotton dal detto ferro; per quelli chelavoran di ceselo: una pace con unCristo morto con cherubini e fiori;per quelli che lavoran granate: unagranata lavorata a melon et una afazzetta; per quelli che smalta et dipinge:un fior al natural dipinger”.Tipicamente veneziani, oltre alla decorazione a f<strong>il</strong>igrana importataa Venezia dal centro Europa, sono i manini anticamente dettientrecosei, catenelle composte da minuscoli anelli in oro zecchino elargamente esportate. L’attività orafa fu fiorentissimasino al XVIII secolo: accantoall’oggettistica sacra – pissidi,calici, reliquiari destinati adabbellire gli altari delle chieseveneziane – al vasellame e manufattid’uso comune e decorativoper le case, vi era un’enorme produzionedi generi voluttuari, inabbondanza usati dalle gent<strong>il</strong>donne(ma anche gli uomini nondisprezzavano anelli, cinture e[122] La decorazione a cesello inargento dorato sulla legatura delBreviario Grimani conservato allaBiblioteca Marciana.[123] Ciondolo devozionale in oro esmalti del XVI secolo.catene preziose) per arricchire vesti e acconciature, spesso – o meglio,quasi sempre! – in contraffazione alle innumerevoli leggi contro<strong>il</strong> lusso emanate dai Provveditori alle Pompe.Le altre corporazioni di mestiere veneziane che lavoravano oro
[124] La Scuola dei battioro a SanStae.e argento erano i tira e battioro e ibattioro alemanni. I primi si unironoin un’unica Arte nel 1596, riservandoladapprima ai soli veneziani esudditi, in seguito aprendola anchead artigiani “d’estero Stato” d a l1720, con un periodo di garzonatodi cinque anni, uno di lavoranzia d idue anni e obbligo della prova praticaper ottenere la qualifica di capomaestro.I tiraoro lavoravano <strong>il</strong>metallo, forgiato in forma c<strong>il</strong>indrica,tirandolo, attraverso apposite f<strong>il</strong>iere,sino a renderlo della sottigliezzadi un capello; i battioro i n v e-ce lo riducevano in forma di flessib<strong>il</strong>e lamella, di larghezza variab<strong>il</strong>e,ut<strong>il</strong>izzando “due ruote di azzale poste una contro l’altra”, p a s-sando attraverso le quali l’oro restava “schizatto e batudo”.I due colonelli erano tra loro nettamente distinti: nel 1753 i Provveditoriin Zecca stab<strong>il</strong>irono definitivamente “che ad alcuno non si<strong>il</strong>ecito <strong>il</strong> far <strong>il</strong> tira oro e batti oronello stesso tempo et in una stessacasa, ma bensì chi tira l’oro el ’ a rgento non possi batterlo e ch<strong>il</strong>o batte non possi tirarlo”. La lavorazionedel metallo a foglia era[125] Francesco Griselini, Arte delBatti l’Oro, Venezia 1768.invece prerogativa dei b a t t i o r oa l e m a n n i, provenienti anche dall’estero,riunitisi in corporazioneattorno al 1582-83. L’ a r t i g i a n o ,dopo aver separato le vergelle d’oro con fogli di carta pergamena o“pelle divina”, ricavata dall’intestino cieco di buoi e montoni, avvolto<strong>il</strong> tutto con una doppia guaina di pergamena cucita e più spessa– a Venezia chiamati f r a t e l l i – , sottoponeva <strong>il</strong> pacchetto ottenutoa una serie di battiture con martellidi peso decrescente, sino a ottenerefoglietti di infinitesimale spessore,raccolti poi separatamente tra duecopertine lignee, come un libricino. Imetalli preziosi così lavorati eranodestinati ad avere ut<strong>il</strong>izzazioni diverseda parte di altre corporazioni dimestiere: così i tira e battioro r i f o r n i-vano gli artigiani tess<strong>il</strong>i (i testori) che, intrecciando alla seta i f<strong>il</strong>i o lelamelle, creavano tessuti particolari edi gran pregio, vanto dell’industriaserica veneziana e largamente esportatiin Europa e in Oriente, mentre ibattioro alemanni provvedevano “a tutele dorature et arg e n t a t u r e ”e s e g u i-te dagli indoradori e dai cuoridoro c h eerano specializzazioni interne dell’Artedei d e p e n t o r i.[126-127] Portella del Bucintoro decorata confoglia d’oro e, in alto, particolare del ganzo,tessuto tipicamente veneziano con tramesupplementari in oro e argento.Umberto Bellotto.Un artista tra ferro e vetro*MARINO BAROVIER eCARLA SONEGO[128-129] La Pescheria di Rialto e, inbasso, la cancellata di v<strong>il</strong>la Adele alLido di Venezia.Affermatosi per i suoi caratteristici lavori in ferro battuto,Umberto Bellotto (1882-1940) ottenne un certo consensoanche nel mondo dell’arte vetraria dove si distinse per interpretazionimolto personali. Figlio di un fabbro ferraio, fin dal1902 subentrò al padre nella conduzione della bottega artigiana,specializzandosi nel lavoro fabbr<strong>il</strong>e.A partire da questi anni,avviò numerose collaborazionicon architetti attivi nel capoluogolagunare e riconducib<strong>il</strong>i auna cultura eclettica come AmbrogioNarduzzi, Giulio Alessandrie Domenico Rupolo. Varicordato anche <strong>il</strong> pittore CesareLaurenti al quale, tra l’altro, sideve, con Rupolo, la progettazionedella Pescheria di Rialto a Venezia (1906-07), opera nellaquale fu impegnato lo stesso Bellotto.Cancellate, ringhiere e fanali in ferro battuto vennero ampiamenteimpiegati in laguna a corredo di architetture di stampo storicistico– come la Pescheria – o in alcuni casi ispirati al Liberty,come molti dei v<strong>il</strong>lini, che furonocostruiti al Lido di Venezia. Forse, apartire da queste commissioni, gliinteressi di Bellotto si allargaronoallo studio degli interni e ai complementid’arredo in ferro come lampadarie bac<strong>il</strong>i, che lo portarono a sperimentarel’impiego di questo materialeinsieme ad altri, come <strong>il</strong> vetro,la ceramica e <strong>il</strong> cuoio. In particolare, all’inizio del primo decenniodel secolo egli conseguì, proprio con Cesare Laurenti, <strong>il</strong> brevettoper “Connubi di ferro e vetro”.Presente già dal 1903 alla Biennale di Venezia con opere sporadiche,tra cui nel 1909 si segnalano dei tripodi portavasi in ferro,nel 1914 Bellotto riscosse un notevole successo alla manifestazioneveneziana con un’ampia personale a lui dedicata. La “Mostra” – sottolineavaallora Antonio Fradeletto – “si distingue per alcuni tratticaratteristici; l’armonia e la corrispondenza organica dell’ambientecon gli oggetti che vi sono radunati;la trattazione genuina e signor<strong>il</strong>ea un tempo del rude metallo;le vaghe alleanze di questo conaltri e diversi materiali, specie con laceramica e col vetro. Connubio attraentedi forza e di frag<strong>il</strong>ità”.Nelle foto d’epoca che <strong>il</strong>lustrano l’evento,insieme a “vasche, tripodi,supporti, alari, inferriate, piatti, co-[130] Mostra individuale di UmbertoBellotto alla Biennale del 1914.
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