[104-105] Le inferiate dellePrigioni a Palazzo Ducale e, asinistra, <strong>il</strong> cancello dell’Arsenale.sostanziali si r<strong>il</strong>evano a partire dalXIX secolo con l’introduzione dimotivi geometrici e decorazioni inpiombo. Persino l’intreccio delle inferriatecosiddette “alla galeotta” ètipico di Venezia. L’esempio più imponentedi questa tecnica sono senzadubbio le inferriate delle Prigioni,un lavoro mastodontico per l’epoca,sia per la quantità di materiale impiegato,sia per l’impegno fisico necessarioagli artefici nel costruirle.Un esempio singolare di inferriataesterna è la Porta di Terra dell’Arsenale,unica apertura verso la città, ridisegnata nel XVII secoloa scopo celebrativo, protetta da una possente ma elegante chiusurain ferro e bronzo. La presenzastessa di certi tipi di materialidiventa evocativa di unchiaro messaggio di potenza,esaltato dal portone in ramesbalzato. Tutte le parti principalidel monumento sono costruite con materiali fondamentali per lacostruzione delle armi. Il rame infatti serviva per fabbricare <strong>il</strong> bronzodei cannoni. E non poteva essere altrimenti: la potenza di unoStato si manifesta anche palesando la disponib<strong>il</strong>ità di materie primee la capacità di lavorarle. L’Arsenale nei secoli tra <strong>il</strong> XV e <strong>il</strong>XVII fu <strong>il</strong> più grande complesso industriale d’Europa.Al Museo Storico Navale è ben visib<strong>il</strong>e l’uso del metallo nelleimbarcazioni di vario genere, dalla galea alla gondola, senza contarepoi tutte le navi moderne e le corazzate, costruite interamente inmetallo a partire dal XIX secolo. Tutte le barche tradizionali eranodotate di ferri di prua con lo scopo di decorare, oltre che proteggeredagli urti, la parte frontale dello scafo e ogni imbarcazione aveva– e ha tuttora – la sua tipologia diferro prodiero. Il più celebre è <strong>il</strong> ferroda gondola o d o l f i n (delfino) le cuidimensioni e forme sono cambiatenel tempo e si sono evolute parallelamentea questa imbarcazione che perle famiglie nob<strong>il</strong>i era l’equivalente diuna carrozza. La gondola aveva funzionedi rappresentanza e nel XVIIsecolo fu soggetta alle leggi suntuarieche ne limitarono lo sfarzo. I fer-[106] Antichi ferri da gondola.ri, da alti, decorati e dorati, si ridusserodi dimensione e rimasero in ferro “satinato”, cioè pulito conpietre abrasive e sabbia, in modo da mettere in evidenza <strong>il</strong> vero coloredi questo materiale sim<strong>il</strong>e all’argento. L’introduzione dell’acciaioinossidab<strong>il</strong>e nel secondo dopoguerra ha comportato la repentinascomparsa dei tradizionali metodi di fabbricazione così i ferrihanno subito cambiamenti formali per essere adattati alle macchineut<strong>il</strong>izzate per fabbricarli o per sveltirne la produzione. In questomodo sono stati però eliminati importanti particolari che facevanodei vecchi feri da prova delle vere e proprie opere d’arte.*tratto da http://www.archeove.com/pubblic/ferro/ferro.htmL’uso del ferro nell’OttocentoELISABETTA POPULINdell’architettura italiana con le nuove tecnologiecostruttive ottocentesche, legate all’uso del ferro, evidenziò<strong>il</strong> ritardo tecnologico ed economico nel quale versava <strong>il</strong> L’approccionostro paese all’epoca dell’Unità. Mentre l’impiego delle leghe metallichein Europa incontrava, già da tempo, tre grandi campi diapplicazione quali ponti, ampie coperture vetrate e strutture portantidegli edifici multipiano, in Italia l’adozione dei nuovi materialiveniva spesso celata dall’opulenza rassicurante delle forme storichee classicheggianti e trovò quasi esclusiva applicazione nellegrandi gallerie cittadine e nelle stazioni ferroviarie.Il dibattito architettonico italiano, per molto tempo, si concentrònella ricerca eclettica di uno st<strong>il</strong>e “nazionale” nel quale la borghesianascente ricercava la propria identità. Fu così che l’introduzionedelle nuove tecnologie avvenne in modo assai lento rispettoagli altri paesi europei e nel caso veneziano, in particolare, ciò si verificòsotto la dominazione austriacaad opera di capitali stranieri. In questoperiodo <strong>il</strong> tessuto urbano subì unfondamentale stravolgimento doposecoli di totale immob<strong>il</strong>ismo; l’arrivodella ferrovia a Santa Lucia e la creazionedel primo ponte translagunare,inaugurato dall’arciduca Ferdinandod’Austria l’11 gennaio 1846, iniziaronol’inarrestab<strong>il</strong>e metamorfosi delsistema degli accessi in laguna dalversante occidentale, ribadito poi dalfascismo con la creazione nel 1933del ponte automob<strong>il</strong>istico del Littori o , ora chiamato della Libertà.[109-110] La lapide ricorda che nel1837 fu demolito un ponte in seguitoall’interramento del rio de le Colonne,come testimonia <strong>il</strong> ninzioletto.A destra, l’elegante ringhiera in ghisadel ponte della Malvasia.[107-108] L’arrivo del treno aVenezia e, in basso, <strong>il</strong> nuovo pontetranslagunare del 1933.Gli austriaci misero in atto un sistematico progetto di pedonalizzazionedi Venezia mettendo mano al tessuto cittadino con sventramentiviari e creazione di numerosi rio terà (canali interrati trasformatiin strade), con l’erezionedi vari ponti in ferro e, inparticolare, dei due nuovi attraversamenti,in Canal Grande, all’Accademianel 1854 e agliScalzi nel 1855 che garantivanola percorrib<strong>il</strong>ità pedonale dell’interacittà. La città cambiò volto, oltre che nell’assetto viario einfrastrutturale, anche nei più minuti elementi d’arredo urbano,quali le lampade per l’<strong>il</strong>luminazione pubblica a gas, le fontane inghisa, le ringhiere dei rivi e dei ponti.I due grandi ponti ottocenteschi in ferro sul Canal Grande vennerosempre percepiti come estranei alla tradizione veneziana per <strong>il</strong>
materiale impiegato, tanto che, in particolare quello dell’Accademia,per la sua più priv<strong>il</strong>egiata ubicazione, venne definito dalla popolazione“l’orrido gabbione bislungo”, retaggio della dominazioneaustriaca da dimenticare, e quando negli anni trenta furono sostituitientrambi per vetustà dall’ingegnere comunale EugenioMiozzi, nessuno protestò.[113-114] Il ponte in ghisa agli Scalzi e,a destra, la coesistenza del vecchio pontecon <strong>il</strong> nuovo progettato da Miozzi.[111-112] Il ponte dell’Accademia realizzatoin ghisa nel 1854 dalla fonderia Nev<strong>il</strong>le.Le due strutture sul Canal Grandevennero realizzate entrambedalla Fonderia Nev<strong>il</strong>le che, nell’Ottocento,fu l’indiscussa protagonista dell’architettura del ferroin laguna e che contribuì in modo fondamentale alla modernizzazionedell’arredo urbano veneziano. I Nev<strong>il</strong>le, originari di Essen inGermania, erano proprietari a Venezia, a San Rocco nel sestiere diSan Polo, della “Priv<strong>il</strong>egiata e Premiata Fonderia Veneta” che avevasede in un’area di circa 14000 metri quadrati, compresa tra l’absidedell’omonima chiesa e <strong>il</strong> rio delle Sacchere, zona che, sino all’iniziodel 1850, era stata adibita a maneggio per cavalli. La ditta, divenutain seguito “Enrico G<strong>il</strong>berto Nev<strong>il</strong>le & Co.”, era seconda soloall’attività dell’Arsenale e della Manifattura Tabacchi e risultavala prima, nel genere, in Veneto. Si occupava di trasformare la materiagrezza, che giungeva direttamente al porto di Venezia principalmentedall’Ingh<strong>il</strong>terra come lo stesso carbone per alimentare iforni che arrivava, in crescenti quantitativi, soprattutto da Newcastle.Scaricato in porto dalle navi,<strong>il</strong> combustib<strong>il</strong>e veniva poitrasportato con p e a t e, imbarcazionicapienti da trasporto, sinoal cuore della città storica. Vi s t ii carichi di carbone – coke inglesee carbon dolce – sempre più[115-116] Il ponte del Ghetto realizzatodalla Fonderia Nev<strong>il</strong>le come evidenzia<strong>il</strong> dettaglio a destra.imponenti di cui necessitava laditta Nev<strong>il</strong>le, vennero inviatepiù volte alla direzione dellastessa missive per contenerne le quantità, sino a quando, nel 1879,la commissione antincendi comandò perentoriamente di trasferire aoltre otto metri di distanza dal muro dell’Archivio di Stato ai Frari,depositario della preziosa documentazione della storia della Serenissima,<strong>il</strong> deposito di carbone della fonderia.La ditta Nev<strong>il</strong>le monopolizzò per vent’anni l’intera produzionedel ferro in città in quanto, sino al 1867, rimase l’unica che fondevae trasformava la materia grezza all’origine, mentre varie eranole officine per la lavorazione del prodotto finito. Successivamente,da un censimento effettuato dalla Camera di Commercionel 1895, la presenza di fonderie ammontava già a una quindicinadi imprese, visto che tale attività si era fortemente rafforzata nelperiodo post-unitario. Alcune di queste imprese si limitavano asemplici officine fabbr<strong>il</strong>i, mentre altre si misero in diretta concorrenzacon i Nev<strong>il</strong>le.Le fonderie erano luogo di lavoro esclusivamente masch<strong>il</strong>e e vedevanola presenza di varie specializzazioni quali fonditori, modellisti,fabbri da fuoco, meccanici, tornitori, calderari e facchini. Vi s<strong>il</strong>avorava tutti i giorni non festivi, dieci ore e mezza d’inverno, undicie mezza d’estate. Il salario, nelle fonderie Nev<strong>il</strong>le, variava a secondadel merito degli operai ed era compreso giornalmente tra 2fiorini a 70 soldi per gli operai, da nulla a 35 soldi per i garzoni. INev<strong>il</strong>le con lo svizzero Stucky, fondatore del grande mulino allaGiudecca, i tedeschi Herion e Junghans, sempre titolari di stab<strong>il</strong>imentiindustriali nella medesima isola, e altri industriali provenientidal nord, costituirono <strong>il</strong> corpo vivo di quella coraggiosa imprenditoriastraniera, approdata a metà Ottocento in laguna, cheimpresse un’accelerazione inarrestab<strong>il</strong>e all’allora stagnante economiacittadina.Alla fine dell’Ottocento <strong>il</strong> settore del ferro a Venezia risultavaormai saturo e per vincere la concorrenza si pensò di attivare produzioniindustriali alternative, specie nel settore navale. All’iniziodel secolo successivo, i Nev<strong>il</strong>le, dopo oltre cinquant’anni di valenteattività, decisero, data la concorrenza, di ritirarsi mettendo definitivamentela società in liquidazione. Nel 1905 <strong>il</strong> Comune diVenezia acquistava – per un totale di lire 267.797,92 – l’interaarea della loro fonderia, provvista di vari immob<strong>il</strong>i di pertinenza,mentre un gruppo di coraggiosi imprenditori, tra cui <strong>il</strong> conte GiuseppeVolpi, si dichiarò disponib<strong>il</strong>e a r<strong>il</strong>evare l’attività trasferendolaalla Giudecca per volgere la produzione in ferro al campo dellecostruzioni navali. Venne così costituita la SAV I N E M ( S o c i e t àAnonima Veneziana Industrie Navali e Meccaniche) diretta dall’ingegnerGiovanni Carraro, che era stato <strong>il</strong> liquidatore della FonderiaNev<strong>il</strong>le. Di questa importantetestimonianza produttivadella Venezia dell’Ottocento èrimasta attualmente solo traccia nella toponomastica della calle dela Fonderia a San Rocco.I Nev<strong>il</strong>le si dedicarono a un’attività incessante e creativa cheandava oltre l’erezione dei due ponti in Canal Grande all’Accademiae agli Scalzi e di gran parte di tutti i ponti in ferro veneziani;nel 1855 arrivarono a proporre la costruzione di un grande stab<strong>il</strong>imentobagni, nel 1857 un progettodi mercato, nel 1859 sperimentaronouna macchina per ricavare acquadolce da quella salsa, sino a proporresistemi di rifornimento per l’acquapotab<strong>il</strong>e in città prelevandola direttamentedal S<strong>il</strong>e.[117-118] Disegno di un elemento decorativoper ponte in ferro e, in alto, <strong>il</strong> ninzioletto aricordo della sede della Fonderia Nev<strong>il</strong>le.
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