L’arte di far cassoni nuziali dipintitra XV e XVI secoloANNA GIULIA VOLPATOle camere, la sala, la loggia, ed <strong>il</strong> giardinodella stanza che abitate ad una sposa che aspetta <strong>il</strong> parentadoche dee venire a darle la mano: e ben debbo io “Simigliereifarlo; sì è ella forbita e attapezzita e splendente. Io per me non civengo mai, che non tema di calpestarla coi piedi: cotanta è la delicatezzade’ suoi pavimenti. Né so qual Principe abbi sì ricchi letti,sì rari quadri, e sì reali abbigliamenti” [Pietro Aretino, Lettere].Con queste parole Aretino elogiava nel 1538 la casa in fondamentadel Gaffaro di Andrea Odoni. Visitata alcuni anni prima daMarcantonio Michiel, l’abitazione ospitava tra i vari oggetti d’arte“casse, lettiera e porte dipinte da Stefano, allievo di Tiziano”. Il tripudiodi colori e d’immagini della casa veneziana del Rinascimentopuò essere dedotto grazie adocumenti grafici e d’archivio: imob<strong>il</strong>i erano dipinti, le paretivestite di panni, arazzi, spalliereistoriate e i tappeti scivolavanosopra gli arredi o si distendevanosotto i passi leggeri degli abitanti.La magnificenza degli interniera tale da rendere necessarial’emanazione di norme finalizzatead arginare lo sciupio vistosodei ceti agiati: nel 1476non potevano essere spesi più di[85] Interni veneziani del Cinquecento:dettaglio della Miracolosa guarigionedella figlia di Benvegnudo da SanPolo di Giovanni Mansueti, Venezia,Gallerie dell’Accademia.150 ducati per l’arredamento di ogni stanza e dal 1514 tre specialiProvveditori alle Pompe sorvegliavano <strong>il</strong> rispetto delle leggi.La cassa era <strong>il</strong> modulo fondamentaledell’arredamento veneziano ed eranosfruttate tutte le sue possib<strong>il</strong>i fatture.Poteva essere costruita in noce, inabete, in pino, ornata con le armidella casata, dipinta in tinta unica,[86-87] La Venere di Urbino di decorata con girali vegetali o istoriata;piccola o grande, poteva accoglie-Tiziano, Firenze, Uffizi e, inbasso, <strong>il</strong> dettaglio dei cassoni.re stoviglie, vestiti, tovaglie, cibo,libri, fungere da sed<strong>il</strong>e, contenitore osostegno di letti. Tra le innumerevolitipologie e destinazioni della cassa,solo quella nuziale ha suscitato interessetra gli storici dell’arte.A Venezia i realizzatori di questi contenitori furono i c a s s e l l e r i,attivi a Santa Maria Formosa fin dal X secolo. I cassoni nuziali, commissionatiin coppia in occasione di unioni per lo più patrizie, dovevanoospitare l’abbigliamento e i beni degli sposi. La loro funzionesi spingeva oltre a quella del mero oggetto di arredamento: quandol’unione matrimoniale era tutto fuorché ratificata, <strong>il</strong> cassone portatoin parata o esibito nel p o r t e g o durante le celebrazioni, simboleggiava<strong>il</strong> vincolo sociale e testimoniava l’ingresso della donna nellacasa del marito. I fronti dipinti con episodi tratti dalla letteraturaclassica e contemporanea, dalla Bibbia o dalla storia antica eranoveicoli di moniti morali e servivano da compendio di educazione[88-89] Cassone nuziale del XV secolo e, adestra, <strong>il</strong> particolare decorativo. Treviso,Museo Civico.sentimentale per gli sposi. Sistemati in camera da letto, i cassoni ricordavanodi rispettare la v i r t u s, di combattere la v o l u p t a s, di vivereall’insegna del buon comportamento nell’equ<strong>il</strong>ibrio armonico.L’esigua sopravvivenza di mob<strong>il</strong>i integri è in parte complice delmistero che avvolge i cassoni veneziani dipinti: le tavole istoriatedisperse nei musei sono quanto rimane degli arredi, <strong>il</strong> risultato dellosmembramento operato nel corso dei secoli dai proprietari deicontenitori. Mut<strong>il</strong>azioni e ridipinture impediscono <strong>il</strong> più delle voltedi comprendere l’identità dei committenti, evidenziata nei mob<strong>il</strong>iintonsi dalle araldiche delle famiglie congiunte raffigurate a<strong>il</strong>ati dell’arredo o in altri punti del cassone. Gli anonimi pannelliistoriati, creati dai pittori negli anni del loro apprendistato in bottega,subiscono ancor oggi le attribuzioni più disparate e persino ledinamiche di produzione risultano oscure.Dagli inventari della bottega di Apollonio di Giovanni e Marcodel Buono Giamberti si apprende che negli anni tra <strong>il</strong> 1446 e <strong>il</strong>1463, a Firenze, <strong>il</strong> prodotto terminato e pronto per la vendita eraceduto presso i laboratori dei pittori. A Venezia la pedante divisionedelle professioni rende complessa la formulazione di ipotesi intornoalla creazione e alla vendita dei cassoni dipinti. Se a Firenzesi attestano “felici” e frequenti invasioni di campo tra gli appartenentialle <strong>Arti</strong>, in laguna sono numerose le cause intentate tra gliiscritti e depositate presso la Giustizia Vecchia.Per la sua creazione, un cassone istoriato avrebbe avuto bisognodi almeno quattro figure professionali: un c a s s e l l e r per la costruzionedel contenitore, un d e p e n t o r per la raffigurazione delle storie dipinte,un i n t a i a d o r per i r<strong>il</strong>ievi decorativi, un indorador per la doratura degliornamenti. Le interferenze tra <strong>mestieri</strong> erano immancab<strong>il</strong>i: moltimanufatti esigevano diverse attività artigianali che, secondo leleggi delle arti, non potevano essere condotte da una sola maestranza;gli intromessi nell’altrui mestiere erano punib<strong>il</strong>i con un’ammendamonetaria. Le molte diatribe fecero capire a Provveditori e Giustizieriche <strong>il</strong> mantenimento della separazione delle mansioni, conriferimento alle attività di i n t a i a d o r i e d i p i n t o r i, era impossib<strong>il</strong>e: nel1459 permisero quindi ai due gruppi di esercitare entrambi i ruoliall’interno delle botteghe o in private commissioni. Agevolazioni eregolamentazioni meno ferree non bastarono a far cessare i contenziosiperpetrati da quanti vivevano nell’<strong>il</strong>legalità.Dopo aver permesso, seppure sotto stretta vig<strong>il</strong>anza, la collaborazionetra alcune arti, insorse <strong>il</strong> problema della vendita degli oggetti.Per scongiurare nuove cause, nel 1542 si permise ai c a s s e l l e r idi far istoriare le loro casse da pittori regolarmente iscritti, ma al finedi commerciarle soltanto fuori dal territorio cittadino. Poco tempodopo, sotto <strong>il</strong> controllo del gastaldo, fu concesso ai c a s s e l l e r i d ivendere casse già dipinte ai d i p i n t o r i stessi che le avrebbero smerciatenelle loro botteghe. Il luogo deputato alla vendita poteva subirealcune eccezioni: dalla vita del Tintoretto st<strong>il</strong>ata da Ridolfi, ap-
prendiamo che i pittori di “minor fortuna” erano soliti mercanteggiarearredi dipinti negli st<strong>il</strong>i degli artisti più famosi sotto le arcatedi Piazza San Marco, attività legale in questo luogo <strong>il</strong> sabato econcessa anche <strong>il</strong> mercoledì a San Polo. Possiamo dunque immaginareche se qualcuno avesse voluto acquistare una cassa dipinta conuna tinta unica o con una tonalità in grado di emulare un legno piùnob<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> c a s s e l l e r non si sarebbe rivolto allabottega di un pittore, ma avrebbe adempiutoall’um<strong>il</strong>e mansione nel suo laboratorio.Intuiamo così la valenza dellaregola stab<strong>il</strong>ita nel 1542 per la qualei c a s s e l l e r i potevano vendere una cassagià dipinta in tale modo alla bottegadi un pittore che a sua volta terminaval’arredo con decorazioni più complesse e[90] Endimione dormiente,tondo di cassone di Cima daConegliano conservato allaGalleria Nazionale di Parma.traeva profitto dal lavoro completo.Se invece i c a s s e l l e r i c o m m i s s i o n a v a-no ai pittori una qualche decorazione,la cassa poteva essere commerciatada loro solo in territorio esternoalla città, al fine di non generare inut<strong>il</strong>i competizioni.Grazie alla norma del 1459 i r<strong>il</strong>ievi potevano essere creati daipittori, oppure dagli stessi i n t a i a d o r i; essi lavoravano abitualmentenella decorazione delle cornici da specchio e allo stesso modo avrebberopotuto realizzare le dorature delle parti in gesso applicate in unsecondo tempo agli arredi. La supposizione è rinforzata da una normativaemanata dai Provveditori di Comun e dai Giustizieri Ve c c h inel 1457 che ribadisce la netta separazione delle competenze degliartigiani e precisa l’esclusione dalla disposizione dei casseleri e delledonne addette alla doratura. In seguito a questa breve riflessione intornoalle normative delle <strong>Arti</strong> tra XV e XVI secolo pare correttoritenere che anche le botteghe dei pittori veneziani fossero legittimatee tutelate nella vendita in città degli arredi dipinti. In questaottica altrettanto chiara appare l’inclusione nel 1482 della figuradel c a s s e l l e r all’interno della b a n c a al fianco del f i g u r e r, del c o r t i n e r ed e l d o r a d o r: la collaborazione e la pari importanza dei quattro furonoriconosciute in base a una reale necessità.Il primo passo della genesi di un cassone dipinto avrebbe vistoun anonimo pittore o un suo garzone recarsi in calle della Casselleriaa Santa Maria Formosa per acquistare oppure ordinare un contenitoredi legno. Dopo aver fatto trasportare <strong>il</strong> cassone alla bottega,l’anonimo pittore avrebbe preso le misure della parte da istoriare,avrebbe creato l’apposito supporto e iniziato la realizzazionedel dipinto. Grazie alle numerose analisi di laboratorio compiutesulle tavole superstiti, apprendiamo che tra le metodologie che <strong>il</strong>pittore avrebbe potuto ut<strong>il</strong>izzare per la decorazione potevano esserepreviste: la dipintura diretta su tavola, l’uso di disegni preparatoridi repertorio, l’impiego della tecnica dello spolvero, la ripresadi modelli x<strong>il</strong>ografici. Esemplari di questa pittura ancora tutta dascoprire sono le due tavole con la Storia di Alcione e Ceice, realizzatedalla bottega di Vittore Carpaccio e oggi divise tra la National Gallerydi Londra e <strong>il</strong> Ph<strong>il</strong>adelphiaMuseum of Art.[91] Bottega di Carpaccio, fronte dicassone con Il ritrovamento di Ceice,Ph<strong>il</strong>adelphia, Museum of Art.Il <strong>gusto</strong> cinese negli arredi laccatiCLARA SANTINILa sesta decade del XVII secolo segna per l’intera Europa l’inesorab<strong>il</strong>eavvento della chinoiserie. Scocca l’ora delle laccheprovenienti dal “lontano Oriente”, destinate a suscitare unconsenso unanime, privo di cedimenti, anzi contrassegnato da impennatedi fanatico entusiasmo. È questa l’epoca dei cabinets des chinoiseries, sorta di Wunderkammer esotiche allestite inseguendo la bizzarraispirazione della moda orientale e straripanti di tesori. Sonopreziose lacche ma anche giade, bronzi, porcellane, tappeti in seta,che dai fastosi fondali laccati ricevono l’appropriata valorizzazione.Se può sembrare scontato che la vicenda inerente alla formazionedel <strong>gusto</strong> europeo per l’esotico, galvanizzato dai resoconti diviaggio di esploratori e missionari, coincida con l’incontenib<strong>il</strong>epassione per i manufatti laccati – una vera e propria mania che indussea un incremento esponenziale della domanda, al conseguenterapido cedimento qualitativo della produzione cinese e a una seriedi caparbi tentativi da parte europea di carpire <strong>il</strong> segreto delle “supreme”vernici orientali –, risulta del pari inevitab<strong>il</strong>e che, in Italia,le prime “contraffazioni” façon de la Chine avessero luogo a Venezia,dove la lacca aveva alle spalle una tradizione plurisecolare.Nel Sei e Settecento, infatti, i depentori alla cinese – come si facevanochiamare gli artigiani dediti alla pratica della laccatura,consci della natura imitativa del lorooperato – continuarono a servirsi,come per <strong>il</strong> passato, della vernice pereccellenza, la sandracca, per conferireai manufatti dipinti la tanto ambitalucentezza e la necessaria protezione.Risalgono addirittura al 1283i minuziosi decreti emanati dai GiustizieriVecchi – la magistratura prepostaal controllo dell’operato artigianale– che stab<strong>il</strong>ivano “che cofa-[92] La sandracca.ni, scrigni, tavole da pranzo, ancone, taglieri, coppe e catinelle d<strong>il</strong>egno i depentori dovevano consegnare al cliente inverniçate; per glioggetti rivestiti in cuoio poi la consegna era lecita solo dopo tregiorni dalla loro verniciatura.Pratica ornamentale già ampiamente accreditata a Venezia nelXVI secolo – ove l’incastonatura di materiali preziosi su superfici ligneesi configurava come traslitterazione in chiave lagunare dell’intarsio“alla certosina” di ascendenza moresca – l’insolito connubiolacca-madreperla s’impone nell’arredocome soluzione decorativa ricercatae di grande effetto al trapasso fraSei e Settecento. È questa la fase dellarigorosa osservanza dei canoni d<strong>il</strong>aconica impassib<strong>il</strong>ità cui soggiaccionole raffigurazioni orientali, dell’adeguamentoai motivi e alle formedelle lacche originali contempora-[93] Specchiera in legno intagliato decoratacon lacca policroma e madreperla intarsiata,fine XVII secolo, collezione privata.
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