Intaglio ligneo e dorature.Una tradizione venezianaGIOVANNI CANIATO[75] Il coro ligneo della Bas<strong>il</strong>icadei Frari.Fra tardo Medioevo e primo Rinascimento gli intagliatori inlegno attivi a Venezia erano nell’ordine delle centinaia e ognichiesa, ogni Scuola e dimora patrizia accoglievano le loroopere: soprattutto crocifissi e composizioni sacre, ma anche gli stall<strong>il</strong>ignei dei cori e i soffitti riccamente decorati con volute e modanature.Schiere più o meno anonimedi artigiani-artisti, integrati da diversee complementari categorie –dai marangoni da case ai battioro, daifenestreri ai doratori – che hanno concorsonel tempo a trasformare Veneziain una delle capitali mondialidelle arti e della bellezza. Specializzazioniche ancor oggi si perpetuano,pur fra crescenti difficoltà, grazieagli ultimi artigiani ancora in attività,che hanno saputo conservarenella pratica quotidiana <strong>il</strong> “saper fare”trasmesso loro di generazione in[76] Il crocifisso della chiesa diSan Salvador a Venezia.generazione, mantenendo vive le tradizionali, talora arcaiche, tecnichee consuetudini di bottega.A differenza delle più pregiate sculture in pietra, la maggiorparte di queste opere dei secoli passati, trascorsa la moda del momentoo degradate dalle ingiurie del tempo, venivano ridotte a legnada ardere o riut<strong>il</strong>izzate per altri fini; quelle che sono giunte finoa noi sono spesso in precarie condizioni di conservazione, compromessedai tarli, rimodellate per nuove funzioni, snaturate da integrazionimoderne e strati di ridipinture,oppure private del tuttodella policromia e doratura originali.Anche se va detto che, in tempirecenti, notevoli sforzi sono staticondotti da privati e dalle Soprintendenzecompetenti per restaurarereperti giacenti in magazzini o soffitteo riscoperti nel corso di restauri:ultimo fra tutti <strong>il</strong> pregevole crocifissorinascimentale ritrovato nelcampan<strong>il</strong>e di San Salvador e presentatoal pubblico pochi mesi or sonodopo un accurato intervento di restauro.I reperti lignei giunti fino a noi sono fra l’altro in larga misuraprivi di attribuzione e tradiscono di regola la mano dell’artigianopiù che di un artista tout court; pur con significative eccezioni,individuate soprattutto grazie alle protratte indagini sulle fontiarchivistiche tardomedievali e rinascimentali condotte nell’ultimodecennio da Anne Markham Schulz.Fino al tardo Cinquecento gli intagliatori rappresentavano uncolonello (specializzazione interna) della citata arte dei marangoni dacase, la cui mariegola era stata approvata nel 1271 dall’ufficio dellaGiustizia Vecchia, organo competente in materia appunto di corporazionidi mestiere. I maestri dell’Arte potevano ingaggiare un[77] Insegna degli intagliatori,Venezia, Museo Correr.solo garzone per volta, mentreerano liberi di assumere un numeroindeterminato di lavoranti,che non potevano tuttavia essereforestieri (cioè non veneziani) se non si fossero previamenteiscritti nei ranghi dell’Arte.Fin dal 1445, nell’ottica protezionistica sempre perseguita dallaSerenissima, veniva ribadito <strong>il</strong> divieto d’importazione nella capitaledi manufatti intagliati, mentre un decreto del 1453 vietava lavendita di opere d’intaglio in luoghi che non fossero le botteghe degliintagliatori. Eppure la maggior parte dei componenti la categoriadegli intagliatori operanti in Venezia proveniva da fuori: lamaggioranza dal bergamasco, ma anche dalle Romagne, dal Friuli,dal m<strong>il</strong>anese e dai possedimenti veneziani nell’Adriatico orientale elungo le coste e isole dell’attuale Grecia.Nel 1564 <strong>il</strong> Consiglio dei Dieci, accogliendo la supplica di alcuniintagliadori – che lamentavano di non avere né Arte né regole,pur essendo al numero di oltre sessanta maestri – autorizzano la nascitadi un’autonoma corporazione, regolata da uno specifico statutoapprovato l’anno successivo, nonostante l’opposizione dell’artemadre dei marangoni: si stab<strong>il</strong>iva, fra l’altro, che solo i maestriiscritti all’Arte potessero assumere altri intagliatori e si ribadiva <strong>il</strong>divieto di importazione in Venezia di qualsiasi lavoro d’intaglioeseguito altrove.Nel pieno Settecento – epoca considerata per Venezia di ineguagliatosplendore nel campo delle arti, della decorazione, degliarredi e del rinnovamento ed<strong>il</strong>izio – è attestata in laguna l’attivapresenza di diverse migliaia di maestri, lavoranti e garzoni, inquadratinelle corrispondenti corporazioni di mestiere: riemergono lesecolari diatribe fra gli intagliatoriin legno e l’Arte madre dei marangoni da case, i quali “pretenderebberoche la nostra parte di lavoro fosse <strong>il</strong>puro e semplice intaggio, ma ciò èimpossib<strong>il</strong>e ad esequirne”, poiché <strong>il</strong>avori “si devono far a pezi, ora unboccon ora l’altro”. I marangoni all’epocaerano ancora ripartiti nei quattroprincipali colonelli da fabbriche, dasoaze, da rimessi e da noghera: i primi,[78] Gamba di tavolo intagliato. vale a dire i falegnami veri e propri,con 219 botteghe in attività, giungevanoa un migliaio di addetti (550 maestri, 342 lavoranti, 91garzoni), oltre ad alcune centinaia di “figli di capomaestro”.Vi erano 73 maestri da noghera, con 21 botteghe aperte, addettisoprattutto alla fabbricazionedi mob<strong>il</strong>i in legno massiccio; 50da soaze (corniciai, ma che fabbricavanoanche le finestrelle, lerelative guide o cornici e le gri -glie, cioè le persiane lignee, per ifelzi delle gondole), con 29 botteghe(oggi a Venezia si contanosulle dita di una mano). [79] Il felz della gondola.
[80] Decorazione di uno stipo inlegni policromi e avorio.Erano invece 25, sempre verso lametà del Settecento, le botteghe dimarangoni da remessi, che si occupavanoin particolare di impiallacciature– ma anche di intarsi, spesso inavorio o in altri materiali – con ben38 botteghe attive in città. La “provad’arte”, superata la quale <strong>il</strong> garzoneo <strong>il</strong> lavorante poteva conseguire laqualifica di maestro, consisteva nell’esecuzionedi un altarino d’ordine dorico, intarsiato in avorio, oppuredi uno stipo che “con una parola usurpata dal francese pressodi noi si chiama borò”.Per l’ormai da tempo autonoma corporazione degli intagliator<strong>il</strong>a “prova d’arte” per chi aspirava allo status di maestro prevedeva larealizzazione, partendo da un blocco di cirmolo, di motivi in cuidoveva – come prevedeva la mariegola – “entrar <strong>il</strong> grottesco, l’arabescoe la figura”, di cui si precisavano le caratteristiche: “grottescosi chiama quel lavoro ove vi entrano animali, bisse e sassi”, mentrel’arabesco prevede “un avviato di fiori e frutti” e la figura una testaa tutto tondo. Eppure, soprattutto nel corso del Seicento, verrà segnalatain più riprese l’inosservanza di questo necessario test d’ammissionee la conseguente diffusa presenza di giovani “che non sannofar lavoriero alcuno pertinente all’arte nostra”, <strong>il</strong> che “apportaancor gran vergogna all’arte tutta et alla città insieme”.Negli anni settanta del Settecento erano iscritti all’Arte 106 capimastri,203 lavoranti e 42 garzoni, i quali ultimi erano tenuti aeffettuare cinque anni di garzonato, mentre le botteghe attive incittà erano 30. I maestri della corporazione lamentavano la concorrenzasleale di altre categorie, che interferivano nella loro specializzazionee, in particolare, l’arrivo in laguna di molti todeschi, i quali“portano figure, picciole statue, grandi Cristi, tabernacoli d’intaglioe Santi, case di orloglio [orologi] e qualunque altra ordinazioneche gli viene ordinati numero quasi infinito, con pregiudiziosommo del povero nostro arte [sic] e suoi individui”.I dati relativi alla complementare categoria dei d o r a d o r i, c h eimpreziosivano con foglia d’oro o d’argento i manufatti lignei,confermano la diffusione del mestierenella Venezia tardo barocca, con33 botteghe attive in città per untotale di 64 maestri, 70 lavoranti e10 garzoni. Anche per loro la qualificadi maestro richiedeva <strong>il</strong> superamentodella “prova d’arte”, consistente“nello apparecchiare ingessatedue strisce di legno, una piana, concaval’altra, intagliate, con ornamenti,nel raschiare <strong>il</strong> gesso, indorarlee pulirle”.[81] Putto dorato.Intimanente correlati ai doradori erano gli artigiani che predisponevanola foglia preziosa, i quali ebbero quale sede l’eleganteedificio barocco addossato alla chiesa di San Stae, eretto ex novo all’iniziodel Settecento come si r<strong>il</strong>eva dall’iscrizione ancora in loco:Scola dell’Arte de’ tiraoro e battioro – 1711.La prolungata e spaventosa crisi economico-sociale subita daVenezia dopo l’abdicazione della Serenissima nel 1797, particolarmenteintensa nei successivi due decenni, provocò una decisa con-[82-83] Sculture del Bucintoroconservate nella sede venezianadella Banca d’Italia e, a sinistra,modello del Bucintoro.trazione un po’ in tutte le categorie artigiane, in primis fra quelle legatealla decorazione e al lusso; dalle centinaia di addetti del secoloprecedente intagliatori e doratori si riducono a poche decine nelcorso dell’Ottocento, non più tutelati dalla normativa corporativasoppressa da Napoleone nel 1807. Almeno fino alla metà del secolo,se non oltre, sopravvivono peraltro piccole botteghe individualio fam<strong>il</strong>iari ancora improntate alla tradizione corporativa del tardoSettecento, restie all’introduzione di ditte improntate a una razionaleorganizzazione del lavoro e all’introduzione di nuovi macchinari,come già avveniva in altre località italiane.Facendo un passo indietro nel tempo, all’epoca tardo-barocca, èopportuno accennare alla non secondaria presenza di intagliatori edoratori anche per le decorazioni di navi e imbarcazioni “da parata”o di rappresentanza. Se le leggi suntuarie e <strong>il</strong> divieto di “ostentazionedel lusso” – allora vigenti benché non sempre efficaci e dinon fac<strong>il</strong>e applicazione – avevano certamente ridotto le commesseprivate nell’allestimento delle centinaiadi gondole de casada, la ricostruzionedel Bucintoro dogale –l’ultimo della serie, varato nel 1728– aveva impegnato a lungo gran partedelle maestranze di ambedue lecategorie. Per offrire un solo possib<strong>il</strong>etermine di paragone è stato recentementecalcolato, grazie ad AlbertoSecco, che la foglia d’oro impiegataequivaleva a quella necessariaper la doratura degli intagli cheornavano i castelli di poppa e le poleneprodiere di oltre duecento vascellidi linea. Negli anni immediatamentesuccessivi, come documentatoda Virg<strong>il</strong>io Giormani, furono inoltre varati tre nuovi peatoni dogali riccamente decorati per lecerimonie di Stato, varati <strong>il</strong> 14apr<strong>il</strong>e 1734. Di questi repertinavali, in gran parte distruttigià in epoca napoleonica, rimangonooggi pochi frammenti e unraffinato modello coevo in scala,di proprietà privata.Sussiste ancora perfettamente integra, invece – unica nel suo genere,non solo in Italia – la peota Bucintoro realizzata a Venezia perconto dei Savoia nel 1730, a lungo ut<strong>il</strong>izzata sul Po dai sovrani quale“reggia galleggiante” e vera e propria “nave di Stato”. Un apparatodecorativo di soggetto navale, questo, di eccezionale r<strong>il</strong>evanza– anche perché realizzato negli stessi anni e dai medesimi intagliatorie doratori intervenuti sull’ultimo Bucintoro veneziano – per <strong>il</strong>quale sono da tempo in corso in Piemonte importanti interventi direstauro e progetti di valorizzazione,che ci si augura possanocoinvolgere in prospettiva anchele residue eccellenze artigianeche animano ancora Ve n e z i a .[84] Elemento decorativo della peotaBucintoro dei Savoia.
- Page 3 and 4: Autunno a Palazzo FortunyMuseo Fort
- Page 5 and 6: [16] Senza titolo, 2009.Forme essen
- Page 7 and 8: Le arti di Piranesi. Architetto, in
- Page 9 and 10: Tesori del Montenegro.Gli ex voto d
- Page 11: ARTI DECORATIVEA VENEZIAspeciale a
- Page 14 and 15: [54-55] Andrienne, 1775 ca,Venezia,
- Page 16 and 17: I pavimenti veneziani.I tappeti del
- Page 20 and 21: L’arte di far cassoni nuziali dip
- Page 22 and 23: nee, processo cui non fu estranea l
- Page 24 and 25: [104-105] Le inferiate dellePrigion
- Page 26 and 27: La lavorazione dei metalli preziosi
- Page 28 and 29: fani, sedili, ecc.”, si nota la p
- Page 30 and 31: [146] Ponte di Rialto di GiacomoFra
- Page 32 and 33: [157-158] Impiraresse a Castelloneg
- Page 34 and 35: striaca mirava ugualmente a dimostr
- Page 36 and 37: L’arte dei cuoridoroCAMILLO TONIN
- Page 38 and 39: La produzione di sete e velluti*DOR
- Page 40 and 41: Mariano Fortuny: la seduzionedell
- Page 42 and 43: Le arti decorative alla Biennale.La
- Page 44 and 45: Coddington di Londra, presidente de
- Page 46 and 47: tico della Repubblica, all’unica
- Page 48 and 49: Progetto “Sulle Ali degli Angeli
- Page 50 and 51: GFA. Poltronissima Gold € 150B. P
- Page 52 and 53: ganizzati, sono venuti a Venezia e
- Page 54 and 55: •CATERINA FALOMO, Quando c’eran
- Page 56: Sostieni Venice Foundation...Deside