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NEWS N. 17 - The Venice International Foundation

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SPECIALELA CASA VENEZIANAAssociazione riconosciutacon decreto no. 41/13.300-Ddel 12.07.1999 dellaGiunta Regionale del Veneto®Programma UNESCOComitati Privati Internazionaliper la Salvaguardia di VeneziaTHE VENICE INTERNATIONAL FOUNDATION – NOVEMBRE 2005 – NO. <strong>17</strong>Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3136 – 30123 Venezia tel. & fax +39 041 2774840 e-mail veniceinter@tin.it www.venicefoundation.orgVivere in una casa veneziana:emozione e responsabilitàFRANCA COIN, Presidente <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Una panchina proprio davanti al Canal Grande, posta esattamentetra due fragili alberi a uno o due metri dall’acqua,era per giorni il mio posto preferito per guardare indisturbatala parte opposta del Canale. Da questa panchina ho osservatola luce in vari momenti del giorno: al mattino il primo soleverso la chiesa della Salute, a metà del giorno con il sole a piccosull’acqua, alla sera dietro il ponte dell’Accademia. A un certo puntoil sole è come un faro su Palazzo Barbaro: ne esalta i marmi, ilperfetto equilibrio delle proporzioni, la magia dei riflessi; è il luogopiù in armonia con il naturale evolversi del diluire della luce.Il primo piano nobile di Palazzo Barbaro è quindi diventato mioprima ancora di essere acquistato da mio marito, è stato il mio primogrande amore per Venezia. Nessun altro luogo mi aveva conquistato,attratto, senza nemmeno conoscerne la storia. La storial’ho scoperta dopo e così è cominciata la mia avventura. La leggerezzadell’innamoramento si trasformava piano piano in angosciaper il peso meraviglioso di questa storia, fino a sentirmi, al momentodel restauro, inappropriata e bisognosa di totale aiuto pernon incorrere in interventi o pesanti o troppo moderni per una vitaattuale o comunque non in sintonia con la delicatezza del palazzo.Sopraffatta dai secoli di storia di Palazzo Barbaro mi sono totalmenteaffidata agli esperti. Il travaglio passava da momenti diterrore a gioie improvvise come quando, guardando una parete all’ingressodopo la scala gotica – le cui colonnine, diverse per formae dimensione, provenienti da chissà quali incursioni dei vari Barbaro–, si scopre uno sfiatatoio,prova di un probabile camino. Sicomincia quindi un attento,preciso, delicato intervento disondaggio del muro esterno versoil rio dell’Orso che divide perpochi metri Palazzo Barbaro daPalazzo Franchetti. Appare, dopoun tempo interminabile, nel [1] La bifora ritrovata.mezzo di due finestre laterali,una bifora assolutamente inaspettata, di bellezza unica, probabilmentechiusa perché nel <strong>17</strong>98 fu introdotta una tassa sulle finestrein quanto simbolo di ricchezza.Durante i sondaggi con la Soprintendenza scopriamo sotto ilpavimento di seminato veneziano di antica mirabile fattura che unaE D I T O R I A L E[2] Palazzo Barbaro in una fotodell’Ottocento.serie di colonne sostiene la sala dapranzo confinante con la scala goticache porta al secondo piano nobile.Proprio a quel piano dove alla finedell’Ottocento abitarono Henry James,Sargent e più tardi anche ColePorter con la sua corte. Una ricca famigliadi Boston, i Curtis, acquisì ilpalazzo nel 1876 e lo rese famoso einternazionale, salvandolo non solodall’abbandono ma facendolo ritornareallo splendore dei tempi passati.I Barbaro erano filosofi, condottieri,matematici, diplomatici, scienziati, politici e mecenati; unodei più famosi nel XVI secolo fu Daniele, diplomatico, filosofo, traduttoredel De architectura di Vitruvio, che fece progettare da AndreaPalladio la villa Barbaro a Maser affrescata da Paolo Veronese.Palazzo Barbaro riprese la sua “tradizione intellettuale” a fine Ottocentoquando era frequentato da artisti, musicisti, scrittori e divennetanto famoso che la mecenate bostoniana Isabella StewartGardner ne ricostruì una copia a Boston.Abitare nel terzo millennio con tali storie alle spalle, scoprire all’Hermitagedi San Pietroburgo un piccolo capolavoro – evidentementedipinto da campo San Vio, dove ho potuto ammirare il palazzodalla mia panchina –, sapere che Monet ha dipinto la Saluteseduto sui gradini di Palazzo Barbaro, avere un sussulto di emozioniin capo al mondo vedendo la copertina di un libro con la riproduzionedella facciata ripresa dal ponte dell’Accademia, ritornareoggi da New York e vedere che la Delta Airlines, in servizio direttoa Venezia, distribuisce ai passeggeri una mappa della laguna conla veduta in prima pagina dell’elegante e armoniosa facciata di PalazzoBarbaro, ebbene è sicuramente un grande privilegio ma ancheuna grande responsabilità.Però la storia non finisce qui; è stata restaurata la facciata di tuttoil palazzo con spese notevolissime, mentre le finestre del secondopiano nobile, venduto anni fa e mai restaurato, sono pietosamentee vistosamente rabberciate con assi e chiodi, gli affreschi sonofortunatamente custoditi alleGallerie dell’Accademia. Forsel’abbandono di questo nobilissimopiano costringerà PalazzoBarbaro a un ulteriore oblio?[3] Claude Monet, Canal Grande.Vista da Palazzo Barbaro, 1908.1


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Da Bellini a Tiepolo al Museo CorrerLa grande pittura venetadella Fondazione SorliniFILIPPO PEDROCCO, Curatore della mostraLe sale neoclassiche del Museo Correr di Venezia ospitano unanuova e assai stimolante iniziativa espositiva: la mostra DaBellini a Tiepolo. La grande pittura veneta della Fondazione Sorliniè infatti l’occasione per vedere una ricca selezione delle quasiduecento opere di pittura che l’industriale bresciano Luciano Sorliniha raccolto nel corso degli anni, con grande passione e intelligenza,per decorare le proprie residenze in Lombardia e in Veneto.Nel 2002, di concerto con lamoglie Agnese e i figli, LucianoSorlini ha voluto aprire al pubblicola sua casa di Carzago diCalvagese della Riviera, pressoBrescia, dove sono conservaticirca un centinaio dei dipinti [4] La Fondazione Sorlini a Carzago.della raccolta, costituendo unaFondazione – la cui prima uscita “ufficiale” è proprio quella veneziana– destinata a divenire, oltre che un’importante realtà musealedell’area bresciana, anche un originale centro culturale, sede diseminari e di convegni d’alto profilo formativo, oltre che di un’importantebiblioteca specialistica.La mostra costituisce quindi l’occasione per poter conoscere devisu una serie numerosa di dipinti tutti già ben noti in letteratura,ma conservati in passato in diverse collezioni private, in Italia e all’estero,per lo più pressoché inaccessibili. Grazie alla collaborazionedegli Amici dei Musei e Monumenti Veneziani, saranno costantementepresenti in mostra giovani storici dell’arte qualificati cheaccoglieranno i visitatori e li assisteranno durante la visita.Tra i dipinti tre-quattrocenteschi,notevolissima appare latavola con la Pietà di NicolettoSemitecolo, che in origine costituivauno dei comparti della palamobile dipinta dal pittore venezianonel 1367 per l’altare dedicatoa Santo Stefano nel Duomodi Padova e che Sorlini ha ritrovatoin una collezione privatasvizzera; ma un celeberrimo capolavoroè anche la deliziosa Madonnacol Bambino dipinta daGiovanni Bellini verso la metàdell’ottavo decennio del Quattrocento,che venne scoperta daCarlo Gamba quando faceva partedella raccolta fiorentina deiContini Bonacossi e che risultada allora presente in tutte le monografiebelliniane.Ricca di dipinti significativiè anche la sezione cinquecentesca,dove ritroviamo la celebre[5-6] Nicoletto Semitecolo, Pietà e, inbasso, Giovanni Bellini, Madonna colBambino.E V E N T I V E N E Z I A N ISibilla di Jacopo Palma il Vecchio e,soprattutto, un rarissimo esempiodella produzione pittorica di DomenicoCampagnola, una Sacra Conversazionedi eccezionale qualità, pubblicatagià dal Venturi quando facevaparte della famosa raccolta deiconti Papafava dei Carraresi di Padova,dove l’impostazione ancora tizianescadella scena si assomma, inun colorismo di grandissimo effetto,a un gigantismo delle figure, tipicodel mondo del Pordenone.Assai completa appare la rassegnadei protagonisti del Seicento, dove, assieme alle classiche e raffinatissimestorie mitologiche diGiulio Carpioni, tra le quali lasplendida trascrizione pittorica dellostruggente mito di Ero e Leandro, sipotranno ammirare autentici capolavoriquali l’elegante immagine diSanta Cecilia, raffigurata da FrancescoMaffei come una splendida giovanedonna, vestita all’ultima moda,ripresa mentre suona l’organo; l’umoristicafigurazione di SebastianoMazzoni che mette in scena gli[8] Francesco Maffei, SantaCecilia.[7] Palma il Vecchio, Ritratto didonna detta la Sibilla.amanti Venere e Marte esposti al pubblicoludibrio dopo essere stati catturati,ignudi, da Vulcano con la suarete; o la vigorosa scena di Giuseppe ebreo che interpreta i sogni in carcere,opera di Antonio Zanchi.Ma il cuore della mostra è senz’altro la sezione dedicata al Settecento,che si apre con tre importanti tele di Sebastiano Ricci, tra lequali emerge la drammatica immaginedi Venere che si precipitaa soccorrere l’amato Adone, ormaimorente; di simile fulgorecromatico è poi la rarissima interpretazionefornita da GiannantonioPellegrini del mito diSalmace ed Ermafrodito, certo dipintadurante il soggiorno ingle-[9-10] Sebastiano Ricci, Venereaccorre da Adone morente e, adestra, Giannantonio Pellegrini,Salmace ed Ermafrodito.se del pittore veneziano. Altrettantointeressanti risultano leopere dell’Amigoni, del Pittoni,di Nicola Grassi, di FrancescoFontebasso, di Antonio Guardi e del bellunese Diziani, di cui èesposto per la prima volta il bozzetto raffigurante Sant’Agostino chesconfigge l’Eresia, preparatorio per un dipinto già nella Scuola venezianadi San Salvador. Ma, naturalmente, in questo completo panoramanon potevano mancare opere di Giambattista e Giandomenico2


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Tiepolo: del primo verrà espostoL’angelo della fama, che costituisceuno dei due frammenti sopravvissuti(l’altro si trova agliUffizi) di una grande composizioneche in origine si trovavasul soffitto del salone di PalazzoGrimani ai Servi; del secondo,invece, la giovanile figurazionedi Cristo e la Samaritana al pozzo,eseguita verso il <strong>17</strong>51, durante ilsoggiorno a Würzburg.[11-12] Giambattista Tiepolo,L’angelo della fama e, a sinistra,Giandomenico Tiepolo, Cristo e laSamaritana al pozzo.Notevole è poi la sezione dedicataai paesaggisti che consta di unaurorale dipinto del Canaletto,una Veduta ideata già Donà dalleRose, tanto strettamente legata ai modelli di Marco Ricci, da esserestata ritenuta in passato, quando la ricostruzione del catalogogiovanile del Canaletto era ancora al di là da venire, opera del maestrobellunese; ma in questa sezione sono esposte anche belle provedello stesso Marco, del friulano Luca Carlevarijs, di Francesco Guardi,di Giuseppe Zais e di Francesco Zuccarelli e una realistica immaginedi un Borgo della campagna veneta di Antonio Diziani che,per la sua qualità, dovrebbe far riflettere sull’importanza di questopoco considerato pittore.La mostra si chiude con alcuni esempi di Pietro Longhi – famosissimoè il Precettore di casa Grimani, che riporta una delle rareimmagini del noto erudito veneziano Melchiorre Cesarotti – e delfiglio Alessandro, specialista nella ritrattistica, di cui sono presentatialcuni bozzetti preparatori per i grandiosi ritratti aulici per iquali Alessandro andava famoso, e con alcuni dipinti di figura diFrancesco Guardi, tra i quali la celeberrima, almeno tra gli studiosi,paletta della Deposizione di Cristo dalla Croce, firmata, di grandissimopathos.Occorre però ricordare che i cinquanta dipinti che sarannoesposti fino alla fine di febbraio del 2006 nelle sale neoclassiche delMuseo Correr costituiscono solo una parte, sia pure estremamentesignificativa, di quanto Luciano Sorlini ha raccolto nel corso deglianni. Infatti sia nel palazzo di Carzago che nella sua casa venezianasul Canal Grande sono presenti numerosi altri capolavori: tanto percitarne qualcuno, la celeberrima serie di tele di Antonio Guardi dedicatealla narrazione delle vicende di Giuseppe Ebreo, già Grassi egià Lutomirski; uno splendido Girolamo da Treviso; una Nativitàdi Jacopo Tintoretto; un Doppioritratto di Lamberto Sustris.La visita alla Fondazione –che ha sede appunto nel palazzodi Carzago e che può avveniretramite prenotazione (tel. 030-601031) – può costituire dunqueuna interessantissima appendicealla mostra.[13] Interno della Fondazione Sorlini.E V E N T I V E N E Z I A N IMitoraj. L’infula e l’alaGIANDOMENICO ROMANELLIIeratico e inviolabile, enigmatico e provocante, cieco comeOmero e veggente come Tiresia: Mitoraj conquista silenzioso eimpassibile metropoli e città, storia e forma; senza preghiera esenza lamento, labbra serrate come segreti indicibili e orbite piùvuote di una voragine notturna. Entrarein queste voragini e forzarequesti segreti non appare possibile:certo non più di quanto potrebbe essererovesciare il destino compiutodi Orfeo sul limitare dell’Ade, fermarela caduta precipitosa di Icaro,salvare da morte Atteone o dischiuderele labbra bronzee sorridenti eperfette del grande Buddha di Kamakura.Le bende sacre e sacerdotali cheavvolgono fronti e volti e busti impongonoil silenzio sospeso della[14] Porta italica installata inCampo San Vidal.meditazione, lo stupore di una meraviglia lontana, sprofondata einsondabile; celano misteri ed eventi che ci spingono verso l’enunciazionedi domande impossibili: che cosa passa, infine, che cosa siaggruma e si addensa e si sedimenta di emozioni, di sentimenti, dipensieri e passioni sotto le infule sacre che bendano gli occhi e labocca e la fisionomia misteriosa di eroi dolenti, di titani muti, diefebi, di adolescenti apollinei?La risposta, una risposta possibile e temeraria, si disegna allorchéda sotto la membrana di un corpo, attraverso la placenta di unanascita annunciata, affiorano volumi, volti e figure; come simboli ecome frammenti di parole poetiche; come allusioni a lontananze incombenti,ad altrove prossimi e invisibili, a farsi di materia e di formaevocate dall’insondabile profonditàdi meandri dell’anima, di spazio/tempoche affiora come ripostigliodi futuro piuttosto che come repertoriodi repertori di un passatoavvenuto nient’altro che nella dimensionedel mito. Il visibile di Mitoraj,i suoi frammenti di teste, divisi, di membra sono allora comel’affiorare dalla nebbia della memoriae della coscienza, come figure cheescono grondanti dal fiume sacro[15-16] Per Adriano, 2003 e, dell’oblio o dalla liquidità di unoin basso, Sotto Laguna II, 2005. Stige denso come lava e gelido comela carezza della morte.Mitoraj anche a Venezia (dopo Roma, Parigi, Barcellona, Londra,Firenze, Varsavia…) dissemina e feconda la città dei suoi interrogativisilenziosi, interpella ladimensione di una storia frammentatae magica con i dilemmi dell’eternitàe del mito, traccia percorsi dilettura e si misura con la prorompenteimmobilità della luce sulbronzo, modella e plasma poesia.3


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Don Chisciotte – e in verità e in coscienza credevo e speravo che giàfosse stato bruciato e ridotto in cenere come intruso”.L’autore della Seconda parte non è Cervantes, ma un certo AlonsoFernández de Avellaneda pseudonimo, appropriatosi indebitamentedel personaggio di invenzione recente, già entrato tuttavianell’immaginario collettivo. L’apocrifo, di inferiore qualità letterariama con immediato riscontro di pubblico, fu effettivamente pubblicatonel 1614. Si tratta di un caso letterario senza precedenti: all’apparizionedel Segundo tomo del Ingenioso Hidalgo Don Quixote de laMancha, risponde infatti Cervantes pubblicando nel 1615, la Segundaparte del Ingenioso Caballero Don Quixote de la Mancha: stampatoreJuan de La Cuesta, editore finanziatore il libraio Francisco de Robles,stessa “squadra” vincente della prima parte. La Segunda parte sidiffonde in Spagna e all’estero: a Valencia e Bruxelles nel 1616 e aLisbona l’anno successivo. La prima edizione unitaria di prima e secondaparte esce a Barcellona nel 16<strong>17</strong>. Tre secoli più tardi, nel1905, Unamuno riscriverà la Vita di Don Chisciotte e Sancho e Borgesavrà buon gioco nel creare la figura di Pierre Menard “autore delChisciotte” che rifà misteriosamente il Chisciotte parola per parola.Riscritture e traduzioni sono i due obiettivi della mostra apertaa Venezia Quixote/Chisciotte. 1605-2005. Edizioni rare e di pregio,traduzioni italiane e straniere, nelle Sale Monumentali della BibliotecaNazionale Marciana, facendo seguito al tanto ristretto quantosignificativo saggio di edizioni presentate a Verona (I libri di DonChisciotte) e all’incomparabile, colossale esposizione di Madrid (ElQuijote. Biografía de un libro 1605-2005), entrambe realizzate nelcorso del 2005.Tra minimum e maximum – come osserva Donatella Ferro, curatricedel catalogo – la ricchezza dei fondi marciani è nota, ma è sempresorprendente. Per quel che riguarda l’opera cervantina non puòcerto, e non deve, rivaleggiare con la collezione della Biblioteca Nacionaldi Madrid (circa diciottomila volumi oltre a un consistentenumero di disegni, stampe e altro materiale anche audiovisivo), male presenze sono più che significative. Per apprezzare ancor più ilvalore dei volumi cervantini in lingua originale è bene ricordare laconcomitanza, nel XVI e XVII secolo, di due fattori, uno positivoai fini della divulgazione delle opere, uno negativo pur all’internodella realtà ispanica. Il primo riguarda l’espansione mondiale deldominio spagnolo che fa sentire i suoi effetti culturali e politici, piùo meno desiderati, anche in terre al di fuori della giurisdizione ispanica,come Venezia. Il secondo fattore riguarda la limitatezza dell’attivitàtipografica peninsulare che non si è mai messa in concorrenzacon i grandi centri europei– Venezia, Lione, Anversa – attendendoa un mercato esclusivamentenazionale.Cervantes – continua DonatellaFerro – ottenne un grandesuccesso con cinque edizioni delQuijote nell’anno della sua apparizionenel 1605 mentre le Novelasejemplares, del 1613, raggiunserole sedici edizioni nel corso[23] Frontespizio della prima edizionedel Chisciotte di Miguel de Cervantesstampata a Madrid nel 1605.E V E N T I V E N E Z I A N I[24] Frontespizio dell’edizione del1605 stampata a Lisbona.del secolo. Pratiche amministrativerichieste dalla legislazionespagnola del tempo relative ailibri stampati (la firma delle erratada parte del licenciado FranciscoMurcia de la Llana, 1 dicembre1604 e la firma della tasa,20 dicembre) testimonianoche negli ultimi giorni del 1604El Ingenioso Hidalgo Don Quixotede la Mancha scritto da Miguelde Cervantes Saavedra era giàstampato, anche se nel frontespizioappare l’anno 1605, comesi vede nell’edizione facsimileesposta in mostra. Nella primaveradel 1605 il libraio Franciscode Robles lo riedita e appaiono due edizioni: una a Lisbona el’altra a Valenza. Il Quijote arriva nei paesi europei domìni della monarchiaspagnola: viene stampato a Bruxelles nel 1607 e nel 1611e a Milano nel 1610. Nel 1612 si pubblica a Londra la prima traduzioneinglese realizzata da Thomas Shelton, usata come testo baseper innumerevoli versioni inglesi; nel 1614 appare a Parigi laprima traduzione francese di Cesar de Oudin. Nel 1622 appare laprima traduzione italiana della prima parte – presente in mostra –e nel 1625 la traduzione della prima e seconda parte – anch’essaesposta in mostra –, realizzate entrambe da Lorenzo Franciosini.[25-26] Le prime edizioni stampate in Italia: a sinistra quella in castiglianoedita a Milano nel 1610 e, a destra, la prima traduzione in lingua italianarealizzata a Venezia nel 1622.Primizie bibliografiche, edizioni illustrate importanti ed edizionieconomiche, come quella albanese della traduzione di FanNoli degli anni trenta, vanno poste sullo stesso piano di dignità.Completano infatti la mostra le edizioni ungherese, finlandese eturca (ma, per l’Oriente, anche in hindi), indicando uno spostamentoproficuo del punto di vista dal centro alle periferie della produzioneletteraria.* Si ringrazia Charta per aver gentilmente autorizzato la pubblicazionedell’articolo.5


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Candida Höfer fotografa l’operadi Carlo ScarpaFondazione Querini Stampalia, dal 29 novembre all’8 gennaioNell’ambito delle tradizionali giornate dedicate all’operadi Carlo Scarpa e alla sua conservazione – che si svolgonoalla Fondazione Querini Stampalia ogni anno il 28novembre a ricordare anche la data della scomparsa del grande architetto– la Fondazione quest’anno ha invitato Candida Höfer aesporre per la prima volta in Italia le sue fotografie sull’architetturadi Carlo Scarpa.La mostra della Höfer sembra essere perfettamente in sintoniacon lo spirito che negli ultimi anni ha caratterizzato la linea progettualedella Fondazione, valea dire coinvolgere gli artisti piùsignificativi sulla scena nazionalee internazionale invitandolia pensare un nuovo lavoro[30-31] Una sala della biblioteca e, adestra, il piano terra fotografati daCandida Höfer.frutto della relazione con glispazi: la casa museo e l’areaScarpa. Tutto questo nella convinzioneche gli artisti, con laloro sensibilità e la loro capacità di uno sguardo “altro” sulle cose,siano in grado di approdare a una visione inedita della realtà giàconosciuta. L’area restaurata da Carlo Scarpa alla Fondazione QueriniStampalia è già di per sè un’opera d’arte di altissimo livello,densa di dettagli e di raffinatissimi materiali, con la quale un artistapuò confrontarsi offrendone prospettive diverse che altrimentisi rischierebbe di perdere.L’artista tedesca fin dagli anni settanta ha scelto come soggettodei suoi lavori fotografici gli spazi e i luoghi, più concretamentespazi pubblici e interni. Sono quasi sempre immagini di luoghiculturali e istituzionali: biblioteche, musei, università, ma ancheanonime sale d’aspetto, banche... luoghi impersonali e freddi di cuiCandida Höfer rappresenta le architetture senza eliminarne la storiae conservandone l’aura del contesto temporale e culturale in cuisono nate. È in questo modo e con questo sguardo che l’artista cogliegli spazi della Fondazione Querini, nel momento stesso in cuisono predisposti ad accogliere gente e un attimo prima di essereriempiti da un’abituale quotidianità e frequentazione.Architettura di assenze è il titolo di una monografia di CandidaHöfer e in molti hanno sottolineato questo aspetto di attesa e divuoto che si avverte nei suoi scatti. Luoghi sempre deserti come palcosceniciin attesa degli attori, luminosi e tirati a lucido; le inquadraturesono sobrie, naturali e volutamente banali, capaci di manteneresempre lo sguardo di chi entra per la prima volta in quellospazio. Höfer tende a non alterare mai le luci proprie del luogo inE V E N T I V E N E Z I A N Icui si trova, siano esse naturali o artificiali. La sua fotografia è statadefinita oggettiva e impersonale. Certo la scuola da cui arriva èquella importante di Bernd e Hilla Becher a Düsseldorf, che annoveratra i suoi allievi artisti del calibro di Thomas Ruff, ThomasStruth, Andreas Gursky, scuola il cui linguaggio è quasi sempreprivo di sentimentalismi e lo scatto è al limite della rarefazione. Pergli artisti della scuola di Düsseldorf si tratta di approdare a immaginiin bilico tra un vuoto evanescente e un pieno oggettivo, assolutamentefrontali e naturali (Höfer, Ruff, Struth) o dense e saturedi oggettività (Gursky). Siamo dentro una lezione che chiaramenteha intrapreso strade diverse perarrivare a restituire una visionedella realtà a partire dalla realtàstessa e dai suoi stessi elementioggettivi e culturali.In mostra saranno presentianche le fotografie – mai esposteprima in Italia – che l’artista hascattato alla tomba Brion nel cimiterodi San Vito di Altivole inprovicia di Treviso, anch’essaopera di Carlo Scarpa.Alberto GianquintoDipinti e scultureMuseo Correr, dal <strong>17</strong> dicembre al 26 febbraio[33] Alberto Gianquinto davanti auna sua opera.[32] L’interno della tomba Brionrealizzata da Carlo Scarpa tra il1969 e il 1978.La mostra, allestita in dieci sale al secondo piano del museo,presenta una sessantina di opere, tra dipinti e sculture,del grande pittore veneziano recentemente scomparso, delineandoneil lungo e appassionato percorso sia espressivo che umano.Articolata per temi – Primi anni, Battaglie, Dallo studio, AGuevara, Finestra, No, Il viandante, Il giardino, Storia sacra – sisviluppa cronologicamente a partire dalle intense opere degli annisessanta, tra cui il celebre Grande interno a Lipari, in un alternarsidi visioni legate alla ricerca estetica e all’impegno sociale, a testimonianzeprivate e a riflessioni spirituali, culminanti con la seriedelle Crocifissioni degli anni novanta e con la mitica figura di Endimioneche, addormentato, attende la visita di Selene, la luna.Il rapporto uomo-natura è fin dall’inizio al centro della ricercaespressiva di Gianquinto, così come da subito si stringe il connubiotra arte e impegno sociale, mentre è la luce ad affermarsi comeprotagonista nei paesaggi jesolani dei primi anni sessanta. La ricercaspaziale connessa all’esperienza nel gruppo “Il Pro e il Contro”,si coniuga da un lato col luminismo di chiara matrice veneta,dall’altro con forti rimandi storicirestituiti in immagini emblematiche.Fin dagli anni settanta il percorsosi arricchisce di una dimensionelirica ed evocativa: figureumane, paesaggi, interni, oggettiquotidiani immersi nellasuperficie luminosa di uno spazioprivo di spessore e volume,7


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>segnati da giochi di luce in figuregeometriche rarefatte. E ancora lineeessenziali e intensa emozione costituisconola cifra della sorprendenteserie delle Crocifissioni. Rigore,coraggio e vigore intellettuale connotanotutte le scelte e i diversi esitidella sua lunga produzione artistica,percorsa da “viandante” solitario,in un’appassionata, profonda, continuaricerca.[35] Uno dei teleri delle Storie diGesù.[34] Uomo che reagisce, 1962.PROFILO BIOGRAFICO DELL’ARTISTANasce il 29 marzo 1929 al Lido di Venezia ma, due anni più tardi,la famiglia si trasferisce a Venezia dove Gianquinto, dopo gli studiclassici, si laureerà in Economia e Commercio a Ca’ Foscari, maturandoben presto la decisione di dedicarsi alla pittura, con la guidadi Luigi Cobianco, maestro e amico.È presente con un gruppo di opere alla Biennale d’Arte del1956, dove ritornerà anche nel 1962 e nel 1987 con una sala personale.Su invito, partecipa anche a cinque edizioni della Quadriennaledi Roma tra il 1959 e il 1987. La nascita del figlio Antonino il16 luglio 1961 dà inizio a un affettuoso quanto originale appuntamento:ogni anno, per il suo compleanno, gli dedicherà un’operache, col tempo, andrà a formare una singolare raccolta di trentottoopere dense di ricordi e di bella pittura. Nello stesso anno aderisceal movimento romano “Il Pro e il Contro”, formato da artisti qualiAymonino, Attardi, Vespignani, Farulli, Calabria, Gruccione e i criticiMicacchi, Morosini e Del Guercio. Nel frattempo espone a Veneziae in altre città d’Italia coniugando arte e impegno nel PartitoComunista Italiano e testimoniando nelle sue opere avvenimenti sociali,culturali e politici. Con Grande interno a Lipari, una tela che testimoniala tragica realtà meridionale del tempo, vince il PremioArezzo nel 1964, anno in cui realizza la Pala per Isaac Babel, poetaperseguitato e ucciso nel 1937 in un lager sovietico.Agli anni 1969-1981 appartengono celebri opere segnate dall’impegnoe dalla denuncia politica, tra cui A Guevara, Sugli spalti(1969), Ottobre, No alla repressione, La marcia, Le barricate (1970), Il1975 contro la repressione poliziesca dei moti studenteschi, Il drapporosso del 1979 realizzato per i suoi cinquant’anni, la Stele per PioLa Torre del 1981 dedicata al sindacalista assassinato dalla mafia.Nel 1983 si trasferisce con la famiglia nella campagna jesolanaentrando in un contatto più stretto e quotidiano con la natura esperimentando un nuovo e diverso rapporto con la luce. Nel 1986riprende il soggetto di Che Guevara in un nuovo dipinto ma si dedicaanche a grandi paesaggi solari e alle intense opere dedicate alleBagnanti, alle Nude, infine ai corpifemminili nudi e oziosi dei JardinFéerique. A questo periodo appartengonoanche altre visioni muliebri enature morte. Il periodo tra il 1991e il 1999 è caratterizzato dalla realizzazionedi vari cicli tra cui quellocon grandi tele dedicate alla Montserrat,donna-madre-spagnola combattivae vincente, ispirate dallascultura di Julio Gonzales; il cicloE V E N T I V E N E Z I A N Icon una ventina di tele delle Crocifissioni, emblematico documentodella partecipazione dell’artista alla complessità anche emotiva deitemi religiosi; i diciannove teleri con la Storia di Gesù, figura intensissimae profondamente sentita, che saranno il soggetto di unamostra di grande successo del 1999 a Parma, riproposta in città diverseper ben sei edizioni suscitando grande interesse e anche forteinquietudine.Tra il 2000 e il 2002, nonostante gravi problemi di salute, continuaa dipingere e si dedica anche alla produzione di disegni, acqueforti,litografie, serigrafie, sculture in terracotta e in bronzo.Muore a Jesolo il <strong>17</strong> maggio 2003. Nell’ultimo quadro – Corteo –un piccolo drappello di uomini con le bandiere rosse esce dalla tela,silenzioso ed enigmatico.Emanuele LuzzatiIl Milione di Marco PoloMuseo Correr, dal 10 dicembre al 2 aprileEsposte le quaranta tavole originali con le quali il grande illustratoree scenografo ha illustrato la nuova edizione de IlMilione, che uscirà in occasione della mostra. Alle tavole sarannoaffiancate edizioni antiche, mappe, sete, oggetti appartenentialle collezioni del Museo Correr, tra cui la celebre statua ligneatradizionalmente riferita a Marco Polo, in un percorso suggestivo ecoinvolgente nelle sale del museo dedicate alla civiltà veneziana.BREVE PROFILO BIOGRAFICO DELL’ARTISTALuzzati nasce a Genova nel 1921, nella casa dove ancora oggi vive.È uno degli illustratori e artisti più conosciuti e affermati del nostroPaese. La sua attività è eterogenea e copre tantissimi campi di produzione,sempre con stile e cifra stilistica estremamente personale.Scenografo e costumista, illustratore e scrittore, ceramista e decoratore,autore di cinema d’animazione e di teatro, incisore e grafico,un artista-artigiano che ha dedicato la vita alla creatività sapendolaadattare con forte caratterizzazione alle esigenze della comunicazionecontemporanea.Nel 1940 è costretto dalle leggi razziali a rifugiarsi in Svizzera,a Losanna, dove frequenta l’École des Beaux Arts et des Arts Appliqués.Rientrato in Italia al termine del conflitto mondiale, dà il viaa una strepitosa carriera internazionale, per molti anni legata soprattuttoal teatro, con oltre quattrocento progetti scenografici, mapresto prosegue su vari altri binari paralleli. Ha progettato tessuti earazzi, opere in ceramica, fino ad arrivare a realizzare complessi filmd’animazione, libri illustrati per l’infanzia e di grafica d’arte semprecarichi di pittoricità e di un particolarissimosegno grafico. Molto apprezzatoper il suo carattere amabilee generoso non meno che per la suaarte, gli sono state dedicate innumerevolimostre antologiche in tutto ilmondo ed è stato insignito di prestigiosiriconoscimenti. A Genova gli èstato dedicato un museo personale[36] Emanuele Luzzati. nel rinnovato porto Antico.8


LA CASA VENEZIANA


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>La costruzione della casa venezianaANTONIO FOSCARIDopo due anni dall’inizio della costruzione, in un giorno digennaio particolarmente freddo, crollano le prime due arcatedi quella Libreria che la Procuratia di San Marco deSupra, con grandissima spesa, andavacostruendo sulla base del modellomesso a punto dal suo protomagister.Jacopo Sansovino, che ha la responsabilitàtecnica del cantiere, vieneimmediatamente messo agli arresti.Questa vicenda ha portato moltia interrogarsi sull’effettiva competenzatecnica del grande architettofiorentino, che già aveva avuto delledisavventure a Roma nella gestionedi un importante cantiere sulle rivedel Tevere (e altri incidenti del genereavrà ancora a Venezia). Non bastanoinfatti, a fugare questi dubbi, letestimonianze sull’abilità dimostratada Jacopo nel restauro delle cupoledi San Marco – come di altri edifici[37-38] Tintoretto, Ritratto diJacopo Sansovino, 1566 ca.Firenze, Uffizi.Pagina 9: Attribuito ad Antonioe Paolo Mola, Veduta urbana,tarsia lignea della sacrestia dellaBasilica di San Marco a Venezia.veneziani – perché sappiamo che esse vengono fornite a Giorgio Vasarida Francesco Sansovino il quale, con esse, tende a difendere lafigura del padre da critiche che evidentemente circolavano negliambienti veneziani.Non è però tanto sull’abilità costruttiva di Jacopo che convieneinterrogarsi, quanto sulla rapidità e sulla durezza della reazione dellaProcuratia di San Marco. Questa altissima magistratura non esitainfatti, poche ore dopo il crollo, a far arrestare una personalitàeminente sulla scena culturale veneziana – un artista sommo che siera formato nel fervido clima della corte pontificia di Leone X –quale era Jacopo Sansovino. L’apparizione, nella platea marciana, difronte al Palazzo Ducale, di una architettura “romana” – quale eradi fatto la Libreria – è un evento che evidentemente aveva lasciatointerdetta l’opinione pubblica veneziana e aveva suscitato il risentimentodi quanti avevano visto in questa costruzione in pietra, inquesti archi, in queste volte in muratura, in queste ornamentazioniscultoree, una contestazione della tradizione costruttiva veneziana.La violenza della reazione della Procuratia sembra essere dunque,a suo modo, una “risposta” a un dissenso che è, evidentemente,diffuso. Quasi una mossa che, per la tempestività con cuiviene compiuta, mette a tacere un’opposizione che può crescere eprorompere da un momento all’altro.Questo arresto brutale può esseremesso, per qualche verso, sullostesso piano di quello schiaffo cheun capomastro dell’Arsenale, inquella stessa congiuntura storica, dàin pieno volto a Vettor Fausto,umanista di indiscussa levatura, che[39-40] Distinte tipologie navali: in altomodello di trireme romana e, in basso, galeraveneziana.L A C A S A V E N E Z I A N Adal doge Andrea Gritti aveva avuto l’incarico di costruire una anticatrireme. La scelta di una tipologia navale romana, quale la trireme,è in fondo l’equivalente della scelta compiuta da JacopoSansovino di utilizzare la tipologia architettonica della BasilicaAemilia per avviare la costruzione della Libreria. In entrambi i casisi tratta di un modello antico che viene evocato, e in definitivaesaltato, in alternativa – ma potremmo dire anche in polemica –alla tradizione veneziana.[41-42] La Libreria Marciana di Jacopo Sansovino e, in basso, la ricostruzionevirtuale della romana Basilica Aemilia.Quell’arresto e quello schiaffo sono dunque il segno di un conflittoche assume toni aspri e violenti, perché coinvolge convincimentiprofondi, formae mentis radicate da secoli e sentimenti confusi,ma non per questo meno intensi. La tradizione delle costruzioninavali, così come la tradizione edilizia veneziana, è messa in discussione,e per ciò stesso virtualmente in crisi, da operazioni intellettuali,come sono queste, condotte da persone imbevute di culturaumanistica.Per cercare di spiegare quanto quelle tradizioni siano radicatenella coscienza veneziana – fino ad assumere in essa un connotatodi sacralità – è necessario, prima di affrontare il tema della tradizionecostruttiva in campo edilizio, comprendere brevemente latradizione costruttiva navale attraverso un episodio emblematico.Un giorno, all’Archivio di Stato di Venezia, una studiosa stachina sulle riproduzioni fotografiche di alcuni disegni quattrocenteschidi una galera veneziana. Quelle linee sottili, nitide, tracciatecon somma perizia sulle antichepergamene, attirano la miaattenzione anche perché non esistealcun disegno di architetturaveneziana di quell’epoca. La studiosa,con il supporto di questi[43] Progetto di vascello della fine delXVII secolo.disegni, avrebbe dovuto – rapportandolial testo del trattatoin cui essi erano inseriti – formulareun glossario per alcunistudiosi che stavano conducendo delle ricerche in quell’archivio inglesein cui queste pergamene sono conservate.Per un profano, anche oggi, sono così curiose le parole usate daimarinai. Solo un vero marinaio – e per di più un marinaio che abbiaconoscenza della tradizione marinara – avrebbe potuto compiereun lavoro così specialistico e perciò suggerisco alla studiosa di10


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[44] Insegna dell’Arte dei Marangoni da nave.Venezia, Museo Correr.consultare un amico veneziano, figlio di un grande progettista dibarche, progettista lui stesso di imbarcazioni e grande conoscitoredella storia della nautica veneziana dei secoli scorsi. Era evidente –ma al momento non ci avevo pensato – che un uomo di queste qualità,quale è Alvise Chiggiato, non si sarebbe accontentato di formulareun glossario. Nel momento in cui avesse potuto disporredelle riproduzioni di questi affascinanti disegni, si sarebbe posto ilproblema di intendere l’intera struttura dell’antico trattato di cuiessi facevano parte, per “entrare”nella cultura che lo aveva ispirato,nella logica che ne avevaispirato la composizione.E così farà,giungendo, con unosforzo durato meno diun anno, alla comprensionedel testo edei disegni. Per intenderelo straordinarioimpegno che richiede un lavoro di tal genere, basti considerareche ci volle un secolo perché gli umanisti riuscissero a intenderecon relativa sicurezza il testo del trattato vitruviano di architettura.Non descrivo la storia e lo sviluppo di questa appassionante ricerca.La cosa significativa è che quel trattato quattrocentesco condensain sé e riproduce una tradizione secolare che era giunta a unasua intima perfezione che a noi, che ne avevamo perso la cognizione,era divenuta inaccessibile e appariva pertanto arcana. Una tradizioneche, con ogni probabilità, discende da una matrice bizantina,la quale, a sua volta, si innesta in un fondamento di cultura romana.Il procedimento costruttivo descritto dal trattato appare –una volta riconosciuta la sua ratio – di grande semplicità concettualeed è facilmente memorizzabile, cosa niente affatto trascurabile,quest’ultima, perché solo così Roma prima e Bisanzio poi furonoin grado di allestire – mettendo all’opera simultaneamente i loroarsenali sparsi nel Mediterraneo – delle flotte capaci di affrontarequalsiasi nemico.Quel capomastro dell’Arsenale che prende a schiaffi Vettor Faustoè depositario di un sapere antichissimo che ha assunto nel suoanimo – e anche nella coscienza collettiva delle maestranze – unasorta di sacralità che viene percepita come inviolabile. Egli non sapiù, e quindi non saprebbe dire, quali sono i fondamenti filosofici,la concezione teorica, in una parola la cultura su cui quel sapere sifonda ed è proprio a causa di questa “debolezza” che egli sa e senteche a quella cultura deve rimanere fedele nel modo più rigoroso eacritico. Fino a diventare aggressivo verso chi – avvicinandosi “all’antico”per altri itinerari e con altri strumenti di conoscenza –tende a mettere in discussione una “verità” che si fonda ormai solosulla “tradizione”. In questo modo si spiega anche la reazione – chegiudicheremmo altrimenti eccessiva – della Magistratura, la Procuratiadi San Marco, che incarcera il suo proto eccellente, il qualeaveva rievocato e stava riportando alla vita nella platea marciana un“antico” che sembra contraddire la tradizione veneziana, se non addiritturacontestarla.Il sistema costruttivo veneziano, come esso era praticato fino alXVI secolo – e come rimarrà in uso per altri due secoli almeno – èdiverso infatti da quello praticato dagli architetti rinascimentali diformazione tosco-romana, dalla cui esperienza discende quellaL A C A S A V E N E Z I A N A[45] Insegna dell’Arte dei Mureri. Venezia, Museo Correr.“scienza delle costruzioni” che viene insegnata ancor oggi nelle nostrescuole. Per rendercene conto cominciamo a interrogarci su comeviene costruita una casa veneziana.Per casa intendiamo ora, per semplicità, una sola tipologia edilizia:quella che più frequentemente si trova entro le nostre lagunee che compiutamente realizza laconcezione strutturale veneziana.Per schematizzare all’estremo, diremoche questo edificio che assumiamocome “modello” è scandito daquattro allineamenti strutturali –cioè da quattro muri paralleli – cheformano tre campate: una campatacentrale, il tradizionale portego cheoggi chiameremmo salone centrale;e due campate laterali, in cui si ricavanodelle stanze. Si tratta moltoprobabilmente, e come è stato spessodetto, di una tipologia romanaapprodata nelle lagune nel VI o nelVII secolo e radicatasi qui durante ilprimo periodo della dominazionelongobarda.[46] Pianta tripartita di palazzoveneziano, nello specificoCa’ Corner della Ca’ Granda.Questa tipologia tripartita è perfettamente funzionale per unparticolarissimo tipo di concezione strutturale su cui conviene fermarela nostra attenzione. Elemento essenziale di questa concezione– anzi, per meglio dire, presupposto di essa – è la natura del“terreno” in cui queste costruzioni devono sorgere. Quello lagunareè un suolo anomalo, tanto è imbevuto d’acqua. È un materialeplastico, malleabile, duttile, un “terreno” che si deforma e si assestaquando viene sottoposto a pressione.Naturalmente per un popolo che vive in barca – che quindi saper esperienza come anche un elemento fluido può portare pesi –non è difficile concepire di usare il fango, cioè un materiale che ha,comunque, una consistenza superiore a quella dell’acqua, comesupporto per una costruzione. Basta, del resto, osservare le zampepalmate delle anatre che affollano le barene delle nostre lagune percomprendere come il fango possa sorreggere un peso. È sufficienteallargare la superficie dell’appoggio al suolo, come fanno le anatreappunto, per ridurre il carico unitario che si scarica sul terreno. Cosìfanno i veneziani.Saltiamo, per brevità, la descrizione di come nei secoli passatisi portava all’asciutto, o quasi, il terreno su cui si doveva realizzareuna fondazione, che doveva essere impostata – come ben si comprende– a un livello che era normalmente allagato dalle acque. Sal-11


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[47] I “battipalo” da JanGrevembroch, Gli abiti deiveneziani, XVIII secolo. Venezia,Museo Correr.tiamo la descrizione dei procedimenticon cui, sul “terreno” cosìmesso a nudo, si ponevano deglistrati di tavoloni di larice, per meglioripartire il carico del fabbricatoche su di essi, alla fine, avrebbe gravato.Ma una cosa non rinunciamo adire, a proposito, perché ci riporta aquella cultura di cui è imbevutoquesto popolo che passa in barca unaparte non trascurabile della sua vita.Questi tavoloni venivano chiamaticon lo stesso nome – magieri – che siusava in antico per il tavolame difondo delle imbarcazioni. Saltiamoanche la descrizione delle malte –particolarmente magre – che allora siusavano perché era ben difficile, senzamezzi moderni, tenere all’asciutto[48] Fondamenta tipicheveneziane: muro di mattoni,blocchi alternati di pietra emattoni; fondamenta svasate inmattoni sopra pali di fondazione.L A C A S A V E N E Z I A N A[49] Le barene della laguna di Veneziasono esemplificative del tipo di terrenosu cui è stata edificata la città.uno scavo che veniva facilmente allagato e sull’uso di pietrame dispolio che si faceva nella costruzione dei massi di fondazione.Consideriamo invece i massi di fondazione di questi quattro allineamentimurari di cui prima si è detto. I massi di fondazione deidiversi allineamenti non sono realizzatitutti di eguale spessore. Di maggioresezione – e quindi di maggioreconsistenza e robustezza – vengonocostruiti i massi di fondazione perimetrali.Di minore sezione – e quindimeno “forti” – vengono costruiti imassi di fondazione dei due allineamentistrutturali interni della casa.Questa diversità di sezione meritauna spiegazione, con la quale peraltrocominciamo a introdurci nellaparticolare logica che regola la prassicostruttiva veneziana. Le fondazioniperimetrali debbono essere più robustedi quelle interne per tre ragioniprincipali: la prima è che esse sonosollecitate all’esterno dall’acqua; laseconda che esse, di solito, portano ilpeso della copertura. Ma anche perun’ulteriore ragione: vengono a formareuna barriera – una specie di diga– che chiude, che imprigiona, che serra, il terreno su cui si devonocostruire le fondazioni dei due allineamenti centrali, o interni,della casa. Un terreno così perimetrato, chiuso, serrato – proprioperché non ha più possibilità di scivolare via lateralmente, per fenomenidi rifluimento – vede accresciuta, più che se fosse “libero” datutti i lati, la sua capacità di portare pesi, quindi la sua portanza.Questa è già una buona ragione per cui le fondazioni centralidella casa – quelle che devono essere costruite in questo suolo serrato– possono essere di sezione minore di quelle perimetrali. Inquesta scelta vi è però anche un sapiente principio della cui importanzaci si accorgerà in seguito. Su queste fondazioni – su quelle perimetrali,come su quelle interne – si cominciano a costruire i muri.Per quanto essi siano leggeri– infinitamente più leggeri dellespesse murature di pietra dellecostruzioni che si ergono inItalia negli stessi secoli – essihanno un peso considerevole inrelazione alla portanza di un terrenoplastico, malleabile, chequalcuno – che non sia veneziano– chiamerebbe semplicementefango. Sotto questo carico lefondazioni cominciano dunque acedere. Cedono di più, affondandosi nel suolo, laddove il terreno èmeno consistente o meno costipato. Cedono meno dove il terrenoha, per qualche ragione, una maggiore capacità di sopportare il carico.Questo fenomeno non allarma più di tanto un popolo di marinaiche è abituato a stivare le mercanzie in una nave e sa, più omeno, come distribuire e bilanciare i pesi.I veneziani – così educati – costruiscono in elevazione quel tantodi muratura che basta per verificare il processo di assestamentodelle fondazioni e laddove esso si accentua rettificano i corsi deimattoni per ristabilire un adeguato orizzontamento delle murature.Questa operazione si può eseguire anche più volte e si ripete finoa che si ritiene di aver raggiunto un soddisfacente equilibrio,cioè una portanza del suolo omogenea, per tutta la lunghezza dellefondazioni, su tutti e quattro gli allineamenti.[50-51] Disegni ditipologie di fondazionisecondo GiovanniAntonio Rusconi, 1590.Ma come si raggiungequesta omogeneità?Attraversoquale processo si vienead accrescere laportanza di questi suoli che prima si mostravano variamente cedevolisotto il carico cui erano sottoposti? La risposta a questa domanda– che apre uno scenario che pare, a tutta prima, misterioso– è semplice, purché si tenga a mente la realtà fisica particolare dicui stiamo ragionando.La pressione esercitata dal peso della costruzione – nel momentostesso in cui essa si erge – comprime il terreno il quale, così sollecitato,espelle da sé quell’acqua che contiene, allo stesso modo –per fare un esempio banale – come si sprigiona l’acqua da una spugna,quando viene schiacciata. E più aumenta la pressione – comeavviene mano a mano che si eleva la muratura – più si accentuaquesto fenomeno di espulsione dell’acqua. Sotto il peso, insomma,12


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[52] Sebastiano Serlio, Diversi procedimenticostruttivi di murature con paramento lapideo.avviene una sorta di metamorfosi della consistenza fisica del terrenoche, da molle che era, si trasforma in un suolo più compatto. Inaltre parole, sotto il masso di fondazione si viene a formare un terrenopiù resistente che – se volessimo vederne la configurazione insezione – appare come una sorta di bulbo di materiale abbastanzaconsistente.Le murature che si elevano su questo masso di fondazione – chefinalmente posa su un terreno atto a sorreggere il peso che gli verràassegnato – assumono un andamento verticale. Questo dato appareovvio, ma deve comunque suscitare la nostra attenzione, in considerazionedel fatto che, come vedremo, i muri perimetrali in elevazione,al di sopra di una certa quota, assumono invece un andamento“fuori piombo”: cioè, non sono più verticali.La verticalità del primo tratto delle murature perimetrali di unedificio veneziano è resa necessaria per il fatto che, se non fosseverticale, esso, con la sua inclinazione, imprimerebbe al masso difondazione – assieme alla spinta verticale del carico – una spintaorizzontale che creerebbe una situazione critica. Il terreno fangososu cui è posato il masso di fondazione non è in grado di sopportareuna spinta orizzontale. Se ricevesse una spinta orizzontale, ilmasso di fondazione comincerebbe infatti a “slittare” sul suo supportofangoso, mettendo in crisi, globalmente, l’equilibrio staticodell’edificio. Quindi le murature perimetrali spiccano dal “pianodi campagna” verticalmente. Ma fino a che quota dal “piano dicampagna” queste mura perimetrali si elevano verticalmente?Per rispondere a questa domanda basta uscire nelle calli di Veneziae guardare. Siscopre ben prestoche le mura perimetralisono verticali,generalmente, finoal livello del primosolaio, cioè per pochimetri di elevazione.Anche questodato appare facilmentecomprensibile:un solaio, con latrama delle sue travature,“lega” l’unaall’altra, in un sistemacomplesso dicontinuità, le muraperimetrali. E, cosìfacendo, viene a formareuna sorta dibasamento indeformabileche è capaceL A C A S A V E N E Z I A N A[53-54] Palazzo Dario: uno dei piùevidenti esempi di edificio con muraperimetrali non verticali. A destra,Antonio Rizzo, Eva. Venezia, PalazzoDucale.di trattenere quelle spinte orizzontali che vengono prodotte dallo“sbandamento” – di cui si tratterà in seguito – delle sovrastantimurature perimetrali.Le travature del primo solaio fungono dunque in qualche mododa “catene” che, unendo le murature sui lati opposti del perimetroedilizio, compensano l’una con l’altra le spinte orizzontaliimpresse a questo tratto basamentale dalle murature sovrastanti. Lemurature sovrastanti a un certo punto, infatti, assumono un andamento“fuori piombo”. Sia consentito di annotare, prima di indagarele ragioni di questo sistemacostruttivo, che questo dato –che allarma gli ingegneri chenon conoscono la logica costruttivaveneziana – contribuiscenon poco all’eleganza delle caseveneziane che, larghe alla lorobase più che non alla sommità,assumono, con questo loro andamentolievemente“piramidale”,unacerta graziagotica cherichiama labella figurain bronzo diEva, nel cortiledel PalazzoDucale,con la piccola testa e le spalle strette che concludonoin sommità una figura serena con fianchigenerosamente larghi.Quando a Zagorsk – la sede antica del Patriarcatorusso, non lontano da Mosca – ho avuto modo di cogliere,inaspettatamente, questa impressione di eleganza che mi è familiare,ho capito che questa logica strutturale, e quindi la cultura chela sottende, è con ogni probabilità di matrice bizantina. Mosso daquesta intuizione, sono andato a rivedere quel che resta delle costruzionibizantine in Istanbul che mi hanno confermato questaidea. Ma torniamo a Venezia e alle sue case antiche.A una certa altezza dal suolo – due o tre metri circa, quattro altrevolte – le mura perimetrali, che spiccano dal suolo verticalmente,pendono tutte verso l’interno, venendo a formare idealmenteuna figura che evoca un tronco di piramide o, forse è meglio dire,il pezzo basamentale di un obelisco le cui facce convergono inun punto molto elevato rispetto alla base.Ma perché le mura perimetrali vengono inclinate verso l’interno?Quale sapienza ispira questa concezione strutturale? Per trovarerisposta a queste domande, dobbiamo tornare al dato che condizionatutta la logica costruttiva delle case veneziane: alla natura delsuolo su cui le case venivano costruite. Questo materiale fangoso dicui abbiamo parlato, per quanto esso sia stato saggiamente costipatoe compresso per essere liberato dall’acqua, rimane sempre, per uncerto grado, plastico, malleabile e deformabile. Per cui esso cedeinevitabilmente con il passar del tempo – in misura maggiore o minore– sotto l’effetto del carico cui viene sottoposto. Questo cedimento,come è naturale che sia, coinvolge l’edificio che su quel suolosi erge. Quindi ecco che affiora la deduzione che ispira il sistemastrutturale che stiamo cercando di descrivere: l’antico costruttoreconcepisce un sistema strutturale che sia compatibile con questi cedimenti;per dirla in altri termini, progetta – ma forse è meglio dire“programma” – l’edificio in modo che i cedimenti, che abbiamoassunto come eventi inevitabili, non ne mettano a repentaglio lastabilità ma che addirittura la rafforzino.Non sarebbe ragionevole – se davvero si vuole conseguire questoobiettivo – che le murature perimetrali in elevazione fossero13


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>verticali perché in tal caso, quando iniziano i cedimenti, esse potrebberoindifferentemente sbandare da una parte all’altra: versol’esterno o verso l’interno dell’edificio. Se un muro sbandasse versol’esterno, nulla potrebbe contrastarne il crollo. È un’eventualità,questa, che un costruttore deve dunque scongiurare ed è per questo,quindi, che egli costruisce una parete “fuori piombo”, inclinata,in modo da essere “programmata” per sbandare naturalmente, acausa dell’eccentricità del suo stesso peso, verso l’interno.Cerchiamo di simulare astrattamente, a questo punto, il comportamentostatico dell’edificio veneziano che stiamo considerando.Lo sbandamento di ciascuna parete verso l’interno produce unaspinta orizzontale che viene compensata dallo sbandamento egualee contrario della parete contrapposta. Quelle travature di cui sonocomposti i solai, che si sarebbero sfilate dai loro incastri alle muraturese le pareti fossero sventuratamente sbandate verso l’esterno,sempre più si conficcano nelle loro sedi, quand’anche le loro “teste”fossero in qualche modo ammalorate per l’umidità o per qualcheaggressione batterica, e pertanto concorrono in modo decisivo apuntellare, l’una contro l’altra, le due mura perimetrali che, per effettodello “sbandamento programmato”, hanno la tendenza ad avvicinarsil’una all’altra.Ciò detto, si comincia a intendere la ragione per cui le fondazionicentrali di un edificio veneziano – quelle che sorreggono i duemuri “di spina” centrali – sono di sezione minore, e quindi meno“forti”, di quelle delle murature perimetrali della casa. Si ripete infatti,in altre forme, il medesimo ragionamento che ha suggerito dicostruire “fuori piombo” le mura perimetrali della casa. Se le fondazionicentrali fossero di medesima sezione, e quindi egualmente“forti”, di quelle perimetrali, non sarebbe possibile prevedere – nelmomento in cui inizia un processo di cedimento – se cedano piùqueste o quelle. È una condizione di incertezza che non si può tollerareperché, se ammettessimo che le fondazioni perimetrali –quelle che sono generalmente lambite da canali e quindi più soggettea eventuali fenomeni di rifluimento di suoli – cedessero piùdi quelle interne, si attiverebbe un processo “catastrofico”, secondol’espressione efficace che usano i costruttori: l’edificio comincerebbe– per dirla in modo colorito – ad aprirsi come un carciofo. La resistenzadelle fondazioni interne, quando si avviasse un cedimentodelle fondazioni esterne, farebbe “esplodere” la casa.Le fondazioni interne debbono quindi essere più “deboli” diquelle perimetrali in modo da garantirci che il loro cedimento –che è determinato anche dal maggior carico che esse sono deputategeneralmente a sostenere – sia di entità maggiore di quello dellemurature perimetrali. Di questi cedimenti differenziati sono consapevoliquei veneziani che abitano una casa antica, perché essi sannobene che i pavimenti delle loro camere – costruiti secoli addietro– sono oggi dei piani inclinati che pendono, anche visibilmente,verso l’allineamento delle murature di spina, interne al corpo difabbrica.Come si possono compiere in una casa veneziana tutti questiprocessi di assestamento? È evidente che se le murature fossero fraloro solidamente concatenate, i “movimenti” delle murature – qualisono quelli conseguenti all’assestamento delle fondazioni e quindial loro cedimento – non potrebbero avvenire senza la formazionedi vistose lesioni delle murature stesse. I veneziani antichi – fortidi una esperienza che è venuta formandosi nel corso di generazioni– hanno immaginato dunque alcuni provvedimenti che sonoL A C A S A V E N E Z I A N Ain grado di rendere il sistema strutturale delle case compatibile conla loro concezione costruttiva. Hanno evitato di fare ammorsaturelà dove le pareti di spina – e così pure le pareti divisorie – si attestanoalle murature d’ambito della costruzione di modo che il murod’ambito possa in qualche modo “slittare” sul muro che a esso siattesta e quindi possa ricercare “liberamente” il suo equilibrio staticonel contesto del processo di assestamento dell’edificio. Hannoperò adottato anche un’ulteriore misura: hanno collocato i vani delleporte che si aprono su ciascun muro di spina – e così pure su ciascunmuro divisorio – vicino, molto vicino, alle murature d’ambito.Di modo che il vuoto delle porte venga a costituire un punto didebolezza – quasi una cerniera – che consente al muro d’ambito,ancora una volta, di perseguire liberamente, il più liberamente possibile,il processo di assestamento che per esso – in questa logica costruttiva– è stato programmato. Anche di questo – come del cedimentodifferenziato dei muri di spina, che determina l’inclinazionedei pavimenti delle camere – i veneziani hanno esperienza diretta.Non c’è praticamente casa antica veneziana in cui i vani porta, contiguialle murature d’ambito, da rettangolari che erano non sianodivenuti trapezoidali, con una soglia e un architrave inclinati –“fuori bolla” direbbe un muratore – con il punto più alto vicino almuro d’ambito, la cui fondazione ha maggiore resistenza, e il puntopiù basso all’angolo opposto.I solai delle case veneziane sono anch’essi parte, niente affattosecondaria, del sistema strutturale. Sono composti da una serie ditravi di abete, sormontati da un tavolato anch’esso di abete, copertogeneralmente da un terrazzo. Le travature servono – oltre che persostenere il carico del solaio medesimo e di quanto esso poi devesorreggere – anche per puntellare, le une contro le altre, le paretiperimetrali fuori piombo, che sono inclinate verso l’interno dellacasa. È interessante considerare un dato che nessun studioso ha specificatamenteanalizzato: i diversi orientamenti che hanno le travaturenei diversi localiin cui la casa anticaè compartita.La ragione di unavariazione degli[55] La diversità di orientamento della travatura diPalazzo Giovannelli a Santa Fosca.orientamenti è abbastanzaevidente: setutte le travaturefossero orientate nellamedesima direzioneil sistema strutturale,nel suo complesso,sarebbe piùlabile. Ma, ciononostante,è sorprendente la sapienza con cui questi orientamenti sianoalternati e variati per assicurare al congegno strutturale la massimacompattezza.Le tavole che vengono poste sulle travature – ortogonali a essenella concezione originaria; parallele per esigenze estetiche nellecostruzioni rinascimentali e più recenti – e chiodate a esse rendonouna trave solidale all’altra e formano idealmente una “piastra”. Sonoi chiodi, evidentemente, che concorrono in questo caso a formarequesta struttura di notevole resistenza. L’uso di elementi metalliciè infatti una caratteristica propria e singolarissima dell’ediliziaveneziana e costituisce una tecnica praticamente sconosciuta a qua-14


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>si tutte le altre culture costruttive antiche. Sono metallici anchequei “tiranti”, ancorati alla muratura con dei conci in pietra d’Istria,che vengono posti ortogonalmente alle travi, sopra le tavole,e chiodati alle travi attraverso le tavole. Questi tiranti servono adancorare le murature perimetrali alla piastra formata dal sistematravi-tavole in modo sostanzialmente elastico e facilmente deformabile– data l’esigua sezione del tirante e la relativa deformabilitàdel legno – in modo da non impedire gli inevitabili processi di assestamentodelle murature di cui già si è detto. Il terrazzo, con ilsuo peso, è l’elemento che assicura infine una piena efficienza logicaa questo congegno strutturale.Il terrazzo è un “battuto” che, con ogni probabilità, è anch’essoun’eredità della cultura costruttiva romana. Più che la fattura delterrazzo – che è tecnica di grande raffinatezza che merita da solaun’attenta riflessione – è interessante evidenziare la particolare congenialitàdel terrazzo con un edificio che subisce gli assestamenti descritti.Questo impasto di inerti e calce – che costituisce il tipico pavimentoveneziano,arricchito dell’oliocon cui esso vienemantenuto – ha unaplasticità che gliconsente, senza subirerotture, di seguire“naturalmente” gliassestamenti dell’edificio.Ciò può av-[56] Terrazzo di Palazzo Loredan.venire purché il terrazzoabbia un adeguato spessore e quindi un peso a suo modo consistente.Il che è assai opportuno, anche in termini statici, perché ilpeso è una “forza” che agisce permanentemente: una forza che “nondorme”, come dicevano gli antichi costruttori. Una forza che, attraversol’attrito, blocca le travature alle morse in cui esse sono conficcatee “mette in forza” l’intero sistema strutturale.Il peso dei solai si scarica in grande misura sui muri di spina iquali, per loro natura, sorreggono un solaio per parte. Anche in talmodo il costruttore antico si è assicurato che una sollecitazione notevolesi scarichi sulle fondazioni interne, quelle che – come si èdetto – hanno una sezione minore e sono programmate per cedereprima di quelle perimetrali. Ma non per questo si può dire che lefondazioni perimetrali abbiano di norma un carico dimezzato rispettoa quelle di spina, perché su di esse scarica generalmente ilpeso delle coperture a falde, ricoperte di coppi, che sono sorrette,quasi sempre, da capriate.La logica che governa la costruzione delle case veneziane è antichissima.È il frutto di una esperienza secolare di costruzioni suterreni plastici, il prodotto di una empiria raffinatissima, che si ècondensata e organizzata, nella mente dei veneziani, diventando perloro una sorta di filosofia di comportamento. Non è facile, o quantomeno immediato, spiegare questa filosofia a chi fonda la sua culturasu presupposti logici diversi. Non l’aveva ancora appieno intesaJacopo Sansovino quando gestiva il cantiere della Libreria Marciana,in qualità di protomagister della Procuratia di San Marco. Allostesso modo difficilmente la intende, oggi, un tecnico le cui conoscenzesi fondano sui principi di una scienza delle costruzioni –quale è quella che oggi si apprende nelle nostre università – la qualesi propone sistematicamente, con il sussidio delle più avanzateL A C A S A V E N E Z I A N Atecnologie, di posare ogni edificio su fondazioni indeformabili, equindi esclude l’ipotesi stessa di un assestamento dell’edificio.Ciò non è privo di conseguenze. Perché un ingegnere dotato diuna cultura di tal genere è portato, sulla base delle sue conoscenze,a interpretare lo sbandamento delle murature, le inclinazionidei solai, la deformazione delle porte – tanto per riprendere esempicitati precedentemente – come forme di dissesto. E si confermain questa sua analisi quando scopre che queste facciate sbandatenon si concludono in sommità orizzontalmente. Non sa infatti, enon può supporre, che tutte le linee di gronda hanno una fortependenza, anch’essa programmata, che è concepita perché le grondaie– le piccole canalizzazioni in pietra – conducano le acque piovanealle sponze (spugne, in italiano), cioè alle cisterne dove i pozziattingono quell’acqua dolce che manca altrimenti in questacittà d’acqua salata.Questo ingegnere – a fronte di situazioni così anomale e, perlui, incomprensibili – si allarma, a suo modo giustamente, e si determinaquasi automaticamente a mettere in atto delle provvidenzeper contrastare questi “fuori piombo” e “fuori bolla” che a luipaiono come conseguenze di gravissimi dissesti. Non ci soffermiamonemmeno un minuto a descrivere gli effetti devastanti di unapproccio del genere. La rigidità degli elementi strutturali “moderni”– quali sono quelli che vengono inseriti da chi non conoscela logica costruttiva delle case veneziane – entra rapidamente inconflitto con la plasticità della struttura antica e innesca un processodi “rigetto” non molto dissimile da quello che avveniva neitrapianti di organi umani, quando si sono tentate operazioni audacisenza conoscere adeguatamente le reazioni di autodifesa di ciascunorganismo. Un “rigetto” che si manifesta nelle case venezianecon rotture, lesioni, lacerazioni, e che non si arresta fino a che l’organismoantico non si è “liberato” dal condizionamento rigido chel’innesto moderno riteneva di potergli imporre.Vi è dunque la necessità di trasmettere questo antico sapere.Nei secoli passati questa trasmissione avveniva tramite una formacollaudata di “tradizione” orale (ove il termine tradizione sta a indicareletteralmente un passaggio, una trasmissione materiale diuna conoscenza da un maestro a un apprendista, da una generazioneall’altra). Una tradizione che è entrata in crisi per diverse ragioni,fra cui – evidentemente – un processo di globalizzazione del sapere,o per meglio dire dei saperi, che porta con sé, “naturalmente”,la distruzione di quelle culture che, per qualche ragione, vengonomarginalizzate dalla storia. Al fenomeno storico se ne aggiungeperò, qui, uno specifico, locale. La logica costruttiva a Veneziaera posseduta da proti, capomastri, marangoni, mureri, cioè daesponenti di un ceto sociale che coincide, in termini sociologici,con quel “popolo” che questa città ha espulso dal suo seno nell’arcodegli ultimi decenni.La perdita di un ceto sociale di così essenziale importanza hadeterminato – come avviene quando si compiono delle tragedie sociali,com’è questa – un’emorragia di sapere, di saperi. Per cui toccaoggi a nuove categorie sociali – ricercatori, docenti, intellettualie professionisti – cercare di recuperare, di ordinare e di trasmettere,con nuovi media evidentemente, questi antichi saperi. A motivareun’operazione del genere dovrebbe bastare la coscienza chesenza di essi non è possibile provvedere alla conservazione fisicadelle case veneziane, cioè delle molecole edilizie che compongonoquesto meraviglioso universo urbano che chiamiamo Venezia.15


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Abitare a Venezia cinque secoli fa:l’edilizia residenziale d’affittoPAOLA PAVANINIVenezia, 1545. Dopo un vivace dibattito, i confratelli dellaScuola Grande di San Rocco stabiliscono di scegliere ilprogetto di Antonio Scarpagnino, architetto ben noto incittà e già altre volte impiegato dalla confraternita, per la costruzionedi un grosso edificio adiacentealla nuova, sontuosa, sede dellaScuola. Antonio avrà naturalmenteanche l’incarico di realizzare la nuovafabbrica. Di che si tratta? Non èun palazzo, né una chiesa, né in altromodo un edificio d’uso pubblico:è invece un “condominio”, ovveroun gruppo di quattro appartamenti,che la Scuola edifica a finespeculativo e che affitterà a caroprezzo a privati cittadini.Eccoci dunque subito di fronte a un episodio interessante dell’abitarea Venezia: la fabbrica in questione, conosciuta come CastelforteSan Rocco, è di evidente rilevanza architettonica, avvicinabileai palazzi che negli stessianni il patriziato si andava costruendoin città. Da essi diversa,tuttavia, per la sua distribuzioneinterna: quattro abitazioniuguali tra loro per dimensione,distribuite sui cinque piani[58] Castelforte San Rocco. complessivi, per un totale dicirca 500 metri quadrati ciascuna.Ognuna di codeste case (così le chiamavano i veneziani), occupauna parte, pari a circa un quarto, del piano terra, una parte delprimo mezzanino,metà di uno dei pianinobili, e una partedel mezzanino disottotetto. Ogni casaha un ingressoproprio, ovvero unavenezianissima “portasola”, da cui saleuna rampa di scale,alquanto ripida,che conduce direttamenteal mezzanino,riservato alle attivitàdel padrone di casa[57] Il simbolo della Scuola diSan Rocco che si ritrova in ogniedificio di sua proprietà.[59] Veduta assonometrica dell’edificio di CastelforteSan Rocco con la pianta del piano terra.L A C A S A V E N E Z I A N A[60] A sinistra del tratteggio la pianta del primopiano nobile e, a destra, quella del secondo. Inentrambi i piani è evidente il portego passante.e, talvolta, a domicilio dei garzoni. Da qui si accede all’abitazionevera e propria, situata al primo o al secondo piano nobile, di cuiciascuna occupa una metà.Questo complicato sistema di divisione serviva appunto a garantireche ogni casa fosse completamente separata dalle altre e chea ognuna fosse riservata la stessa quantità di spazio. Garantiscono ildecoro esterno le eleganti trifore ad arco, cui si aggiunge un’ulteriorefinestra a costituireciò che apparecome una quadrifora,elemento certodegno di un palazzo.La pianta del pianonobile è quella tipicadella casa veneziana:il portego, con letrifore su ambedue ilati, svolge la suafunzione di nodo di distribuzione, dando accesso a camere e cucina,mentre a esso immettono direttamente le scale. Al piano terra, oltrea lavanderie e magazzini, trova spazio la cisterna, dotazione indispensabile,nutrita da condotti interni alla muratura che raccolgonol’acqua piovana dal tetto.Questa fabbrica dello Scarpagnino, qui rapidamente descritta,riunisce in sé e illustra al meglio, tutti gli elementi di una tipicacostruzione veneziana cinquecentesca per abitazioni d’affitto. La tipologiaebbe un grande successo, tanto che a essa si conformò perquasi tre secoli l’edilizia speculativa. La flessibilità del tipo permettevadi rispondere a esigenze diverse: dalle ampie abitazioni perricchi borghesi, quali erano quelle di Castelforte, alle modeste casetteper artigiani di altre costruzioni, quali quelle, sempre dellaScuola di San Rocco, situate a San Simeon Profeta.[61-62] A sinistra fronte delle case perartigiani edificate dalla Scuola di SanRocco a metà del Cinquecento a SanSimeon Profeta. In alto vedutaassonometrica dell’edificio con in bassola pianta del piano terra.[63-65] L’edificio in campo SanBasilio e, a sinistra, le due schiereparallele di fondamenta degli Ormesinicollegate da un arco e, in basso, relativaveduta assonometrica.Basta alzare lo sguardo, in città, per incontrare ovunque fabbricheimprontate a questo impianto costruttivo. Qualche esempio:tra San Basilio e le Zattere,otto case costruite attorno al1553 dai nobili Molin; dueschiere parallele, per complessivediciannove abitazioni, si vedonosulla fondamenta degliOrmesini. Simili schiere parallele,con venti case complessive,vengono edificate a metà del16


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[66-67] Veduta assonometrica delle case dicalle degli Avvocati e, a destra, la facciata sulrio Marin delle case Contarini.[68-69] Case di corte San Marco infondamenta dei Cereri e, in basso,relativa veduta assonometrica.Cinquecento presso Santa Maria Maggiore, non lontano da ungruppo di altre simili appartenenti ai patrizi Cappello. Questiesempi sono tutti cinquecenteschi, ma ve ne sono anche di più tardi.Così nel 1614 i Procuratori di San Marco fanno costruire dieciabitazioni a San Zulian, nelle quali però i due piani nobili sovrappostinon sono identici, poiché solo al secondo il portego è sottolineatoda un alto arco.La destinazione delle case ci è resa chiara, oltre che dalla lorodimensione, dall’entità dei canoni d’affitto: nei due esempi citati,gli appartamenti di Castelforte vengono affittati a cifre che sono didue volte e più superiori a quelle pagate per le casette di San Simeon.A Castelforte abitano mercanti e industriali, per esempio,della lana. In altre case simili troviamo alti burocrati dello Stato,professionisti e talvolta anche qualche patrizio. La professione degliinquilini è collegata, a parità di canone d’affitto, anche all’ubicazionedella casa. In calle degli Avvocati, nelle eleganti case riedificatenegli anni settanta del Cinquecento dai nobili Correr, abitanonotai, avvocati e segretari ducali, mentre nel complesso di dodiciabitazioni dei Contarini a rio Marin, in cui le case prospicientila fondamenta sono decisamente ricche, troviamo piuttosto drapieri(mercanti di panni), oresi (orefici), mercanti da lana e sanseri(mediatori).Naturalmente non è questo l’unico tipo di edilizia residenzialed’affitto che si trovi in città dal Rinascimento in poi. Vi sonocase a schiera, come quelle fattecostruire a metà del XVI secoloda un mercante di seta, FrancescoMuti, case raccolte attorno auna corte, come quelle concessegratuitamente ai confratelli poveridella Scuola di San Marco, aSanta Maria Maggiore. Ma ilnuovo tipo di casa a due pianinobili sovrapposti è senz’altroquello che gli investitori preferiscono,poiché permette unamaggiore densità edificativa,garantendo nello stesso tempotutti quegli elementi che l’abitareveneziano considerava essenziali.Ovvero, riassumendo: porta sola, scale che servono ciascunauna sola abitazione, spazi, ove richiesti, per uffici e servizi,entrate con magazzini e cisterne. Quanto alla distribuzione interna,come accennato, si articola attorno a una sala passante, dettaportego, che copre assai spesso l’intera profondità della fabbrica edè sottolineata in facciata da finestre di maggior evidenza, bifore,trifore o serliane. Al portego, che può anche avere dimensioni assaiL A C A S A V E N E Z I A N A[70-72] Spaccato di interni veneziani:sopra una dimora per persone agiate, adestra, il piano terra e il primo pianodi una casa modesta.ridotte, in caso di abitazioni modeste, si entra direttamente dallescale e da esso si accede alle stanze e alla cucina, che lo affiancano.Nelle case più agiate ogni stanza è dotata di camino, mentre inquelle più povere la sola cucina dispone di un fogher, per la preparazionedei cibi e per fornire un poco di calore all’ambiente.Come venivano usate codeste case? Per quanto riguarda quelleabitate dai ricchi mercanti, vi si trovavano sempre quadri, sculture,qualche libro e assai spesso strumenti musicali, clavicembaliper lo più. Oltre, naturalmente, agli arredi d’uso quotidiano:dunque casse e cassoni in gran numero, in funzione di contenitori,poiché di armadi ancora non si parla, e tavoli, sedie, pagliericci,casseruole, piatti, un po’ di argenteria... tutto quanto insommarende vivibile uno spazio domestico. Le case più modeste degli artigianinon erano molto diverse: minore il valore degli arredi, naturalmente,e minore il numero d’essi, ma simile il loro carattere.Anche in queste più umili dimore troviamo di frequente dipinti,non solo a carattere sacro, ma anche paesaggi e ritratti con valorequindi esclusivamente decorativo. Un elemento interessante caratterizzatutte le abitazioni veneziane a partire almeno dal Cinquecento:la presenza di vetri. Persino le case concesse gratuitamenteai poveri, formate da due soli ambienti e spesso ingombreper la presenza di strumenti di lavoro, ebbene anch’esse sono fornitedi quegli accessori davvero di lusso che sono le “lastre” allefinestre. Una caratteristica che non si ritrova ovunque in Europain quegli anni.Un minimo commento merita un fondamentale elemento dellacasa veneziana: la cisterna alimentata da acqua piovana, visibile inogni campo e in ogni corte, trova il modo, sul finire del Quattrocento,di entrare in case e palazzi, rendendosuperflui gli spazi aperti che sino ad allora leerano necessari. Alimentata da condotti internialla muratura, che portano l’acqua dallegrondaie, la cisterna si situa nelle entrate,spesso divisa a metà da un muro di spina, sicchévi possono attingere due case adiacenti,senza che mai gli abitanti debbano vedersi.Questa edilizia residenziale è quella che atutt’oggi costituisce il prezioso tessuto dellacittà, quello che contribuisce a fare di Veneziaun’irripetibile magia urbana: ai veneziani ilcompito di usarla senza sciuparla o cancellarla.[73] Cisterna di pozzoin uno schizzo diGiannantonio Selva.<strong>17</strong>


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>I pavimenti veneziani:i tappeti della SerenissimaTUDY SAMMARTINIFin da ragazzina la casa veneziana mi appare come una barcarovesciata dove il tetto trattiene o collega la struttura dell’edificioin un unico gioco di delicati equilibri. Mi è impossibilecapire perché a Venezia non sia proibito usare quella materiasgradevole e purtroppo indistruttibile, come la definisce Gillo Dorfles,denominata “cemento armato”. Inserire una struttura rigida inun equilibrio così armonico e affascinante provoca solo disastri, aggiungendoinoltre carichi eccessivi in posizioni sbagliate. Benedettii tiranti in ferro di antica memoria!Completano e sono parte integrante di questo sapiente gioco,tramandati da secoli, i sinuosi terrazzi in calce, stucco e marmisbriciolati che, elastici, si adattano all’ondeggiare delle travi e, riflettendola luce, creano un’atmosfera fluttuante.Il primo a parlare dei terrazzi è Francesco Sansovino, figlio diJacopo, nel 1581, elogiandone lemaestranze: “S’usano per le camereet per le sale comunemente, i suoli opavimenti, non di mattoni, ma diuna certa materia che si chiama terrazzo;la qual dura per lungo tempo,et è vaghissima all’occhio et polita...Et i maestri proprij et particolari diquest’arte, son per ordinario Forlani...”.Quella dei “terrazzeri” eraconsiderata un’arte, perciò venivagelosamente tramandata di padre infiglio, al punto che i discendenti ancoraoggi ne custodiscono i segreti.Il terrazzo – o pavimento alla veneziana– è il classico pavimento perinterni così descritto nella traduzionedi Vitruvio, pubblicata a Venezia[74] Il “terrazziere” da JanGrevembroch, Gli abiti deiveneziani, XVIII secolo. Venezia,Museo Correr.L A C A S A V E N E Z I A N A[75] Pavimento della sede dell’exBanca Commerciale.alla metà del Cinquecento, da Daniele Barbaro: “Sopra la travaturache sostiene il solaio si posano assi trasversali di una stessa qualitàdi legname per ottenere una rigidità costante nel tempo e di giustospessore, attenti che non cedano in mezz’aria facendo crepare ilpavimento. Su questo piano si adagiano paglia e fieno affinché lacalce non guasti il legno. Il sottofondo è formato da una parte dicalce e due di mattoni o tegole pestati di fresco. Questo impastodeve essere spesso quanto una mano e battuto. Su questo letto vienesteso un secondo strato più sottile, detto stabilitura, formato dategole finemente tritate e calcina in rapporto due a uno su cui sisparge la semina (le scagliette di marmo). Ma per le politure e spianamentisi piglia un pezzo di piombo, o di silice, di molto peso,spianato, e quello con funi tirato su e giù, di qua e di là, sopra ilpavimento e spargendovi sempre della arena aspera e dell’acqua sispiana il tutto... e se il pavimento è con oglio di lino fregato rendeun lustro come fosse di vetro”.Poi nel Settecento i terrazzi si arricchiscono di decorazioni, speculariagli stucchi che ricoprono pareti e soffitti incorniciando gliaffreschi che dilatano lo spazio, probabilmente su disegno deglistessi artisti. Quest’abitudine prosegue nell’Ottocento. Persi i contenuti,la forma viene esaltata daun’accurata precisione tecnica comenegli impeccabili pavimenti dellasede dell’ex Banca Commerciale Italiana,in Calle Larga XXII Marzo,dove la precisione del disegno è ottenutausando le sagome, cioè con l’usodi tirare degli spaghi da un punto all’altroe di adoperare forme in legnoo di metallo per ottenere un disegnopreciso e perfettamente simmetrico.In quest’ottica s’inserisce il magicotappeto creato alla Ca’ d’Oro dal barone Franchetti con le sue stessemani, come ci riferisce D’Annunzio, usando marmi antichi e ispirandosialla Chiesa di San Marco e di San Donato a Murano.[76-77] A sinistra le geometrie marciane ispiratrici dei disegni del pavimentodella Ca’ d’Oro, a destra, realizzato dal barone Franchetti in persona.Avvicinandoci ai giorni nostri, la separazione fra passato e presentediventa sempre più netta. Comunquei grandi maestri, deposto illinguaggio antico, ne sanno creareuno nuovo, anche usando gli strumentidi sempre. Su tutti emergeCarlo Scarpa, come possiamo ammirarein Piazza San Marco nel negozioex Olivetti e alla Fondazione ScientificaQuerini Stampalia.Riflessi di acqua, riflessi di luce,ecco le mille pietruzze colorate dei[78] Il pavimento di CarloScarpa del negozio ex Olivetti.pavimenti veneziani. Nelle prime chiese troviamo i preziosi cromatismiorientali, frammenti luminosi che simboleggiano biblicamentela caritas divina della Gerusalemme Celeste. I maestri mosaicistidecorano questi luoghi sacri con tappeti musivi, trasformando porfidi,terrecotte e pietre dure in preziose coloratissime tessere, a creareelaborate figure geometriche, elementi vegetali e mitiche figure.Si fondono così reminiscenze del mondo romano, pagano, cristiano,bizantino e arabo. Riconoscibile su tutte è l’influenza orientale, seguitaalla diaspora dei monaci e dei mosaicisti per le persecuzioniiconoclaste proclamate nel 726 dall’imperatore Leone III. Possiamoinfatti considerare il Mediterraneo come un grande lago in cui l’acquafunge più da ponte che da elemento separatore, dove Veneziaappare come l’estremo lembo occidentale in cui è palpabile la sovrapposizionee il legame tra le due sponde dell’Adriatico.Poche città hanno il privilegio come Venezia di conservare uncorpus così ricco di pavimenti medioevali ancora in loco, sempre usati,giunti fino a noi nel rispetto dell’impianto originale, anche secontinuamente rinnovati secondo le tecniche e i gusti delle varieepoche. Solo la ricchezza delle opere d’arte della città ha fatto passarein secondo piano questi gioielli dimenticati. Alcuni risalgono18


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>alle origini stesse di Venezia come il pavimento di Sant’Ilario equello inferiore di Torcello, che ricordano gli schemi dei pavimentidel mondo tardo romano di Antiochia, del Libano, di Grado e diRavenna a partire dal V secolo.A San Donato di Murano troviamo impresso nella navata centrale“Settembre 1141”, che ci permette di datare anche i pavimentidi San Marco e di SantaMaria Assunta a Torcello, il quale,per disegno e fattura, può essereconsiderato l’ultimo di questoperiodo, realizzato nella secondametà del XII secolo. Difattiriprende gli elementi a cerchiconcentrici inseriti in grandiquadrati di San Donato e SanMarco, a loro volta ispirati al pavimentodella Basilica di Santa [79] IN NOMINE DOMINI NOSTRI JESUSofia di Costantinopoli. Il pavimentodi San Donato poi è cosìè la scrittaCHRISTI ANNO DOMINI MCXLI MENSESEPTEMBRI INDICTIONE Vpavimentale a San Donato a Murano.splendido che Ruskin vi legge lepremesse del colorismo venezianoche sboccerà nelle pennellate di Tiziano.Solo nella seconda metà dell’Ottocento iniziano i primi studiscientifici dei pavimenti medioevali veneziani: nel 1873 Viollet-le-Duc ammira i restauri del pavimento della Chiesa di San Marco etra il 1888 e il 1892 Ongania pubblica La Basilica di San Marco inVenezia illustrata nella storia e nell’arte da scrittori veneziani ad operadi Arrigo Boito. Anche se conosciamo poco o nulla delle maestranzesi può presumere che, lavorando in équipe, si spostassero da uncantiere all’altro. Di conseguenza osserviamo in alcuni pavimentiun disegno unitario e in altri discrepanze dovute all’esecuzione intempi successivi e a restauri poco ortodossi.Questi scintillanti tappeti sono eseguiti con due tecniche abbinate.In opus sectile (locuzione latinada sectus, participio passato di seco,taglio) è il pavimento o il rivestimentoparietale a lastre marmoreeanche di diversi colori, tagliate informe geometriche, quasi sempre arettangoli o anche per comporre figurein forme non geometriche; talilastre erano chiamate dai romanicrustae. In opus tessellatum (locuzionelatina da tessella, tassello) è invece ilpavimento a mosaico eseguito contasselli cubici di marmi coloraticomposti da preziose tessere a disegnigeometrici e figure allegorichedai significati arcani, misto di simbolipagani e cristiani a ricordare lenostre radici romane e bizantine.[80-81] Esempio di opus sectilee, in basso, di opus tessellatum.Questi pavimenti, ispirati anche a disegni di tessuti, a guardarlicon attenzione, appaiono un concentrato di influenze orientali,occidentali e storiche e testimoniano l’evolversi del gusto in questacittà sospesa tra acqua e cielo. Un caso emblematico è la Basilica diSan Marco dove il monaco architetto, nel tracciare lo schema dellapavimentazione, credeva di apprestarsi a mettere in contatto cieloL A C A S A V E N E Z I A N Ae terra utilizzando forme, non solo bagaglio di un repertorio dellatradizione, ma evocando e rendendo parlanti figure proprie dellamistica cristiana. Nella pianta le quattro braccia della croce grecas’intersecano nel quadrato su cui gravita la cupola dell’Ascensione.È il fulcro dell’edificio dove la corrispondenza tra sommità e baserappresenta l’incontro tra cielo e terra. Per la mistica, il cerchio è losviluppo del centro, il suo aspetto dinamico; il quadrato il suoaspetto statico. Il cerchio simboleggia il cielo, il quadrato la terra,dunque il paradiso terrestre. L’aspetto più sorprendente è l’armoniacon cui sono state pensate tutte le parti dell’edificio, la perfetta corrispondenzatra i mosaici delle volte e le geometrie pavimentali. Ilpavimento riproduce in simboli quello che il soffitto racconta configure e si dispone come una vera e propria cosmogonia rovesciatain cui il cielo si rispecchia. Proprio per questo il pavimento di SanMarco diventa simbolo della città – e come lei in continua evoluzione– ed è punto di riferimento per tutti gli altri.Nei documenti si parla poco dei pavimenti veneziani. Un casoeccezionale è costituito da Francesco Sansovino che, nel 1580, descriveSanta Maria dei Miracoli in questi termini: il suo rivestimentopolicromo appare ricchissimo “di finissimi marmi e di dentroil simile, per terra, per tutto”. Non appena la Rinascenza si famatura, le ricerche sui rapporti architettonici fanno sì che, quandolavorano artisti particolarmente sensibili, gli edifici vengano costruiticon una precisa corrispondenza fra le parti. Per i pavimentiesterni alla funzione pratica di identificare uno spazio e di delimitarecon il disegno le differenti proprietà o la sacralità del sagrato,si aggiunge quella di proiettare a terra la facciata dell’edificio. Talesistema è ben leggibile ancora oggi nella chiesa del Redentore diAndrea Palladio, dove i tre elementi costituiti dal pavimento esterno,dalla facciata edal pavimento internocombaciano manon solo: il gioco coloristicodel presbiteriodisegna inpianta la strutturadelle absidi e della[82] La suggestiva proiezione a pavimento dellacupola e delle absidi della chiesa del Redentore.cupola e, anche attraversoil dislivellodi tre gradini, separaquesto luogo privilegiatodalla navata ricoperta dagli usuali scacchi bianchi e rossi.Le pavimentazioni, proiezioni delle strutture architettoniche disegnatedagli stessi architetti, come alla Salute, di cui si conservanogli schizzi preparatori di mano del Longhena, sono il caleidoscopiodei marmi delle chiese rinascimentali e barocche in commesso (dal latinocommissus, participio passato di committere, congiungere) dove ilpiano è formato tutto di pietre che combaciano, diverse di colore,di forma e di dimensione. È Vasari che dà il nome di commesso al pavimentomarmoreo a figure, come quello del Duomo di Siena.Guardando con attenzione questi pavimenti – che per me sonodei giardini di pietra – vi si possono leggere sia la storia dell’artesia dell’architettura dalle origini a oggi. Sono preziosi e hanno bisognodi continua manutenzione. Mi piange il cuore quando vedoi gioielli di San Marco calpestati da orde di barbari che dovrebberoprima di entrare indossare le pantofole, come fanno quando entranoin casa propria!19


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Le altane:oasi di fresco, colore e cosmesiELISABETTA PASQUALIN VESPIGNANIUno degli elementi minori e tipici dell’architettura venezianaè senza dubbio l’altana. Basta alzare gli occhi inqualunque momento, mentre si cammina per la città, perscoprire cos’è l’altana: una terrazza pensile, aerea, sui tetti, di antichissimaorigine e tradizione.Se si pensa all’aspetto di Venezia nei secoli passati, si ha davantiagli occhi una città nella quale accanto ai palazzi più eleganti eraffinati, centri di potere e ricchezza, si trovano le case, per lo piùpiccole, basse, buie, umide, costruite secondo antiche tecniche navalisoprattutto in legno, materiale più elastico della pietra difficilmentereperibile e comunque più costosa. La funzione primariadell’altana era legata a esigenze di carattere quotidiano: avere unpo’ di luce e di spazio in più, poter stendere il bucato all’aria e farloasciugare al sole. Già dal XII secolo infatti le case erano arricchitedi elementi aggiunti all’esterno: semplici poggioli, terrazzesul tetto oppure logge di varie dimensioni.Pensando alla parola altana sembra ovvio riferirsi a un elementoposto in alto: in realtà però pare non sia stato sempre così. Sembrainfatti che nel XIV secolo le altane fossero costruite “davanti lecase” e “somiglianti ai liagò”. Nello stesso secolo il Maggior Consiglioè ben deciso a limitare i pericoli e i danni che le altane, osporgenze a esse simili, possono provocare, soprattutto alle persone:nel 1316 viene infatti approvata una Parte con la quale si disponeche vengano demolite tutte le altane in pietra o in legno chesi trovavano sui rii, sui canali, sulle piscine e sopra le vie pubbliche:“totae altanae quae sunt super canale, rivos et vias publicas”,come si legge in un documento conservato all’Archivio di Stato diVenezia (Maggior Consiglio, Liber Civicus, c. 54, 16 agosto 1316).[83-84] Altana e liagò: due elementiarchitettonici tipici a Venezia.L A C A S A V E N E Z I A N AQuesto fa sospettare che le strutture a cui si fa riferimento fosseroposte alle pareti delle case, piuttosto che sui tetti. In questomodo esse potevano diventare assai pericolose perché molto vecchiee insicure, oppure potevano essere magari poste ad altezze non elevatetali da creare problemi di traffico in calli e in canali, o ancorapotevano trasformarsi in un comodo accesso per i ladri. Sono moltii provvedimenti in cui si citano queste strutture, a volte denominatecol diminutivo “altanelle”, quasi a voler far riferimento apiccole sporgenze sui balconi, magari aggiunte per ampliarli, oppurealle finestre, creando all’esterno uno spazio d’appoggio usufruibile.Quindi con molta probabilità, fino al XIV secolo, le altaneo altanelle erano delle terrazze di varie dimensioni, spesso sporgentie poste a varie altezze, sia alle facciate, sia sui tetti delle abitazioni.In un secondo tempo queste strutture si distinsero nella denominazionein “liagò”, “altane” e altre sporgenze.Probabilmente è il telero di Vittore Carpaccio San Giorgio conduceil leone ammansito al convento, conservato alla Scuola Dalmata deiSanti Giorgio e Trifone di Venezia, a fornirci dati architettonici abbastanzachiari e precisi relativi alla forma dell’altana quattrocentesca:nell’edificio di fondo, infatti, sul lato sinistro si vede unasporgenza che ricorda le altane in legno descritte dalla legge delMaggior Consiglio del 1316. Basta quindi pensare di raddoppiarequesta struttura e di elevarla portandola sul tetto ed ecco che si arrivaalla forma dell’altana, anche moderna. La sporgenza di destra,invece, è un liagò, cioè una specie di balcone, aperto, ma copertocon un tetto e chiuso su tre lati con un parapetto, senza imposte névetrate. Anch’esso in origine era simile all’antica altana, ma si sviluppòautonomamente come balcone coperto.[85-87] L’altana nel XV secolodocumentata nel telero di Carpaccio dicui il particolare a destra. In basso unliagò sul tetto nel dipinto di Mansueti.Un’altra specie di liagò era costituitada una stanza posta sultetto, piccola camera situata all’ultimopiano, come si vede,per esempio nel telero di GiovanniMansueti de Il miracolodella Croce in campo San Lio: sul tetto dell’edificio che fa da sfondoalla scena, accanto a due camini, si scorge una piccola stanza con trefinestre. Inoltre nello stesso dipinto si può vedere come l’altana potevafacilmente diventare un ottimo punto di osservazione, soprattuttoin circostanze particolari.Le altane sono costituite da un tavolato – preferibilmente di larice– posto su un certo numero di pilastrini che si poggiano al muroesterno della casa. Uno dei lati dell’altana si trova a ridosso deltetto: lì generalmente è situato l’accesso, attraverso una scaletta o,più spesso, un abbaino. Attorno corre la balaustra, generalmente inlegno, a croce di Sant’Andrea o ad altri disegni, fino a un certo periodoin ferro battuto, un tempo invece costruita esclusivamentecon tavole di legno accostate, così da creare uno spazio protetto, domestico,lontano da sguardi curiosi e indiscreti come, ad esempio,l’altana che si vede ne La scuola di San Rocco di Canaletto della collezionedel duca di Bedford a Woburn Abbey.Dagli angoli dell’altana si può alzare una leggera struttura in legnoo in ferro, a volte coperta da sottili assi, che servono da riparodal sole; una tenda crea uno spazio ancora più vivibile, se poi si aggiungonoun po’ di piante, un tavolo e delle sedie si ha subito unluogo estremamente piacevole, come sanno bene i veneziani. Dallealtane inoltre si gode e si poteva godere di un meraviglioso panorama.Un tempo poi erano assai più numerose di adesso, anche in zonecome San Basso o lungo la Riva degli Schiavoni, dove, grazie al-20


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>la loro posizione, a volte diventavanopure strategici punti di osservazione,come accadeva ancheper i campanili. Lungo il CanalGrande invece sono sempre stateutilizzate come luogo privilegiatoper assistere agli avvenimentiche accadevano lungo il canale osul ponte di Rialto, come ci raccontaCarpaccio ne Il miracolodella Croce a Rialto delle Galleriedell’Accademia di Venezia.Nella vita quotidiana l’altanaaveva lo stesso uso delle nostreterrazze; in una Venezia dovemolte erano le case buie e umideera un’oasi di fresco, di verde, dicolore, un luogo al sole dove poteranche stendere il bucato, o ipanni tinti, in una città dovenon erano in molti ad avere un giardino. Ma la destinazione più tipica,più veneziana, più femminile, più esclusiva di cui si ha notiziafin dal Cinquecento è quella cosmetica: era lassù che le donnetrascorrevano ore e ore sotto il sole cocente per schiarirsi i capelli,biondi o rossi, come la moda imponeva. C’era anche l’abbigliamentoadatto: contro il caldo si usava una lunga veste bianca che,per le più raffinate era preziosamentedecorata, oppure in sottilissimalenza, chiamata schiavonetto. Era indispensabileproteggere il volto, lanuca, le spalle dai raggi del sole: cisi metteva allora un largo cappellodi paglia – chiamato solana – con latesa molto ampia, senza fondo, dadove venivano fatti uscire i capelli:si potevano così esporre al sole senzaproblemi di scottature (anche se ildetto ciapar la solana, cioè prendersi[88-89] Usi diversi dell’altana:postazione di contraerea nella primaguerra mondiale e, a sinistra, stenditoiodei teli di un tintore ne Il rio deiMendicanti di Canaletto.[90] Cesare Vecellio, Donnaveneziana sull’altana con lasolana e la sponzeta. Venezia,1590.un’insolazione, deriva proprio daqui!). Si prendeva poi un bastoncinocon in cima una piccola spugna –detta sponzeta – che si inzuppava inacqua e sostanze decoloranti contenutein una fiaschetta e si passava ripetutamentesui capelli che, asciugandosi al sole si sarebbero schiariti.Le ricette erano molte. Un esempio? “Bionda da capelli: in dueboccali d’acqua mettansi a bollire lib. una d’alume di feccia, e bollatanto che l’acqua si senta pizzicar la lingua, poi mettansi dentroon. III di sapone damaschino gratati, et bolla ogni cosa per spatiodi due hore; poi si coli della acqua in un fiasco, et lasisi al sole perotto di. Poi s’adoperi, pigliando una spongia l’infondo nella dettabionda un poco caldetta, e bagnasi i capelli al sole più volte, conquella, e dipoi si lavi il capo con lessiva dolce e sciughisi...”. Cosìsi legge nei Secreti della Signora Isabella Cortese nei quali si contengonocose minerali pubblicato a Venezia nel 1588.L A C A S A V E N E Z I A N ARosso di VeneziaUn colore che si senteMANLIO BRUSATINIl rosso di Venezia non è altro che il rosso dei mattoni con l’acquaverde sotto. Tutto qui, un colore però che non si dimentica euna difficoltà assoluta a dipingerlo, anche solo a fotografarlo.Questo rosso non è altro che terracolor ocra con particelle diferro che una volta cotta diventauna città e in polvere è come lacipria delle guance di Venere.Nella grande pittura venetail colore ha rappresentato unaseduzione fin troppo negata rispettoal “disegno” che ha acquistatoinvece una dimensioneetica e una qualità assolutamentesuperiore nell’idea dell’arte. dell’acqua (e delle alghe) e il bianco[91] Il rosso dei mattoni, il verdeMa cosa sarebbe la pittura senzadella pietra d’Istria.il colore? Il colore è la forma diquesta pittura e anche ciò che resta dopo di essa.I rossi veneziani sono almeno di due tipi secondo Ludovico Dolceche in un libretto anticipa l’arte della comunicazione: Dialogo nelquale si ragiona della qualità, diversità e proprietà dei colori, edito a Venezianel 1565. Il rubro e il rufo sono “i rossi” secondo un umanistache è molto più attento di un moderno critico d’arte ma moltopiù grossolano di un pittore, anche alle prime armi, che conosceesattamente quante sono le famiglie di rossi. Il cinabro (solfuro dimercurio) e la terrarossa hanno vibrazioni che vanno verso i tonicaldi e arancione, così anche il minio (ossido salino di piombo) e ilrealgar (bisolfuro di arsenico) mentre la lacca di robbia o garanza eil rosso di grana o kermes vanno verso toni di un rosso con un’animadi violetto. Queste ultime sono più propriamente le lacche deipittori in Venezia.Il realgar, il re dei rossi, si trova in natura ma era ottenuto spessoartificialmente con zolfo e arsenico, per quanto di una tossicitàestrema. Era il realgar che conalchemiche aggiunte di zolfo potevadiventare orpimento (auripigmentum), un giallo arancionemolto meglio dell’oro che provenivadal Kurdistan e dalla Cina.[92-93] Il realgar e, a sinistra, unesemplare di orpimento.È stato provato che ne “l’alchimia dei pittori veneziani”– come eraconosciuta –, nella pittura di Giovanni Bellini, di Tiziano, di Palmail Vecchio, di Sebastiano del Piombo, di Paolo Veronese, di JacopoBassano e di Tintoretto, si preparava l’orpimento mescolato alrealgar, cioè un giallo-rosso-fuoco, il vero colore di un tramonto diun giorno che sfuma. Queste le vere e tossiche alchimie cromaticheche sono la pittura dei rossi veneziani anche se Giorgione, con del-21


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>la semplice terra rossa sapeva ottenere un risultato migliore del cinabro.Il rosso cinabro è conosciuto come vermiglione: il rosso caldodi una pietra friabile che si trova in natura e raccoglie in sé levirtù alchemiche dello zolfo e del mercurio. L’apprendistato dei garzoninelle botteghe dei pittori era una preparazione ai mestieri dellavita, come, per esempio, distillare l’alcool, estrarre il mercuriodalla pietra di cinabro, ottenerela biacca con scaglie di piombo eaceto forte. Ma la semplice terrarossa per Giorgione era il solomezzo per ottenere con un’espertacontraffazione il colore dellacarne – con grande meraviglia diGiorgio Vasari che di fronte airisultati, era costretto a mettereGiorgione fra i cinque pittori eccellentiinsieme a Michelangelo,Raffaello, Leonardo e Mantegna.Una semplicità assoluta nelrosso di Giorgione per ottenere[94] Giorgione, La tempesta.Venezia, Gallerie dell’Accademia.la pienezza e la trasparenza delle carni ma invece una complicazioneassoluta di mescolanze nell’altro rosso veneziano. Il rosso Tiziano,un impasto di ocra rossa, ocra gialla e terra d’ombra e un’idea dicinabro, un colore di effetto, per ottenere i risultati che vedremo.Abbiamo detto che il rosso di Giorgione può rappresentare ilrosso di Venezia, la semplice polvere di coccio, messa sopra una tavoladi abete con uovo sbattuto e olio di noce, che diventa miracolosamentei due personaggi de La tempesta, dove però il fulmine èdipinto solo con un guizzo di giallorino. Un colore fatto con coccidi vetro di piombo e stagno, raccattati dalle botteghe dei vetrai.Il rosso Tiziano però è un’altra cosa. È il biondo-rosso-rame dellacapigliatura delle dame veneziane, come si vede in Violante alKunsthistorisches Museum di Vienna o nella Bella di Palazzo Pittia Firenze, che essendo tendenzialmente brune desideravano una capigliaturabionda come le spighedi grano. Aspetto che volevaappartenere alla bellezza delledivinità greche, come Venere,Cerere, Psiche e le Tre Grazie,tutte notoriamente bionde secondola tradizione classica.[95-96] Due bionde di Tiziano: in altoViolante del Kunsthistorisches Museumdi Vienna e, a destra, il dettaglio diVenere e Adone del MetropolitanMuseum di New York.Per “possedere” questa tinta era necessario fabbricarsi in casa almenouna fra i trentasei tipi di “acqua bionda”– così infatti si chiamavanoqueste tinture – per ottenere nei capelli un’ossigenazionenaturale. Questo accadeva almeno quattro secoli prima della scopertadell’acqua ossigenata che, come è noto, fu introdotta e messaL A C A S A V E N E Z I A N Ain commercio come Eau de Jouvence,a complemento della moda pariginadel coiffeur, attorno al 1870.Il biochimico Konrad Bloch(1912-2000) premio Nobel per la“scoperta del colesterolo” nel 1964,amante e conoscitore dei colori, avevanotato nei suoi soggiorni estivi inAsolo che tutte le bionde della pitturaveneta non potevano che essere“ossigenate”. Questo fu documentato [97] Konrad Bloch.in uno studio scientifico uscito nellarivista italiana Eidos (n. 5, 1990, pp. 21-24) che documentò comeesistesse in pieno Cinquecento a Venezia tutta una linea cosmeticadi tinture per capelli. Gli estratti delle piante che servivano per le“acque bionde” erano i più vari: fiori di noce e di cipresso, foglie dimirto, gemme di pioppo, feccia e ceneri d’uva bianca, trifoglio,agrifoglio, aloe e mirra, cumino, lupino, legno di bosso ma soprattuttola pianta della robbia (rubia tinctorum) che è stata da sempre ilcolorante rosso, cioè la lacca di garanza, per tintura e pittura.Il composto colorante della robbia era l’alizarina, sostanza chearrivò alla chimica industriale per terza dopo il rosso mauve e il fuchsia.Non si tratta che dei rossi moderni in sostituzione del rossomediterraneo della porpora antica.La scoperta moderna dell’alizarinanel 1869 fu da subitoun grosso affare rispetto al prodottonaturale perché costavaimmensamente meno e soprattuttopoteva essere prodotto inquantità. Il rosso della robbiaserviva anche a produrre il famosorosso turco, un “inimitabilerosso del panno rosso”. Coloreche arrivò intatto ai fiericalzoni della cavalleria militareche con la guerra di Crimea fu il [98] Lord Cardigan muove all’attaccobersaglio privilegiato dei fucili, la Brigata Leggera contro le truppein un massacro famoso nella valledi Balaclava, dove si estinserusse nella piana di Balaclava.col sangue il rosso delle divise troppo vistose.Ma il rosso di garanza aveva avuto anche un impiego cosmeticooltre al fatto che era una garanzia della tenacia e della durata diquel colore, e insieme al rosso di grana serviva a produrre un’ampiagamma di tessuti di color pavonazzo e scarlatto – come ha sempresaputo Tintoretto, figlio di tintori.Soltanto da ora Konrad Bloch scopriva che la robbia – di cui sivede qualche rara pianta sopravissuta nei giardini di Venezia – erala migliore materia prima per lebionde di Tiziano che con moltacura preparavano delle tinturedagli estratti delle radici. Li lasciavanomacerare in grandi vassoie poi li esponevano al soledurante qualche settimana perla necessità di concentrare le sostanzeattive e poi farsi [99] Pianta di robbia pellegrina.ripetuti22


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>shampoo e mettendo i capelli ad asciugare, disposti a raggiera sullatesa di un larghissimo cappello senza calotta, chiamato solana.Non facevano che aspettare, sulle altane di Venezia, che il sole e labrezza della laguna producessero quella reazione chimica che oggisi chiama “perossido di idrogeno”, ma che da allora è diventato ilrosso Tiziano. Qualche altro pittore come Jacopo Palma, insieme alui, aveva non solo intensamente osservato questo colore nei capellidi Venere delle donne di Venezia, ma era riuscito a dipingerlo.Ecco, il rosso di Venezia, non è altro che il colore più diffuso almondo, un po’ di terra rossa cotta, e anche il colore di una specialetinta per capelli ottenuta con pazienza infinita, per produrre la bellezzanon effimera delle donne di Venezia che senza il rosso di Tizianonon avrebbero avuto nemmeno un volto.Il significato delle piantenel giardiano venezianoTUDY SAMMARTINIIl giardino a Venezia assume un significato e una morfologiatutta particolare. In una città piantata in mezzo a una laguna,dove tutto è opera di pensiero e braccia di uomini e perfino laterra vi viene portata da fuori, il giardino trascende il significato diluogo di delizie del mondo antico e quello di paradiso terrestre deicanti di Salomone... Perfino Henry James, che la sapeva lunga, ciracconta che Venezia senza le cose che crescono sarebbe solo un fattodi terra e acqua e Frederic Eden, stanco anche lui di acqua e pietre,ha creato, con le proprie mani, alla Giudecca il più bel giardinoveneziano, oggi Fondazione Hunderwasser, vergognosamenteabbandonato e ricettacolo di tutti gli insetti nocivi che massacranoi fiori e gli alberi della città.I primi abitanti di queste terre erano contadini e pescatori. Celo documenta Cassiodoro, nel VII secolo, nella sua famosa letterache li descrive in modo poetico. I campi, le nostre piazze, sono naticome aree che ospitavano vigne,alberi da frutto, orti. Alcentro troneggiava il pozzo cheraccoglieva l’acqua piovana incisterne: era il fulcro di quellasemplice vita. Le reti asciugavanoal sole, i bambini vi giocavano,mucche, asini, cavalli, capre,maiali e pecore vi pascolavano,polli e galline vi razzolavano.Doveva essere un mondo pienodi fascino. Ancora oggi, quandopiove, grazie alla “solerzia” dei[100] Particolare della pianta diJacopo de’ Barbari del 1500 con gliorti e due pozzi alla Giudecca.nostri spazzini, i campi tendono a ricoprirsi di verde e sulle fondamenta,lungo i canali, crescono il sedano selvatico e il crescione.Qua e là, come in campo San Trovaso, troviamo angoli di verde conpanchine all’ombra di alberi, in campielli fuori mano, vasi di fiori,di spezie e perfino di pomodori coltivati con amore da chi vi abita.Ogni campo mantiene la sua vera da pozzo con la cisterna sottostante,alcuni sono ancora funzionanti come quello del chiostro delRedentore da cui i Francescani estraggono con la pompa l’acqua perL A C A S A V E N E Z I A N Airrigare l’orto. In tempi di siccità dissetavano tutta la Giudecca...perché non riapriamo i nostri pozzi invece di disperdere la preziosaacqua piovana?I nostri giardini sono particolari, limitati da mura coperte diverde che traboccano su calli e canali, rari quelli aperti sull’acquache li rispecchia. Le case vicinevi si affacciano come su di uncampo fiorito. Le piante che vicrescono, rallegrano gli occhicon i loro colori e le loro forme,ci curano con le loro proprietà esolleticano l’olfatto con i lorointensi profumi. Oltre a questedoti, portano con sé significatiarcani di cui, col tempo, abbiamoperso le chiavi. Uno degliobiettivi del mio prossimo libro[102-103] Il simbolismo delle piantesi trasforma in semplice ornamento: inalto un gelsomino ricopre il muro delcortile della Collezione Guggenheim e,a destra, una palma svetta nel giardinodi Palazzo Luccheschi.[101] Venezia ha molti più giardini diquello che si potrebbe immaginare espesso si palesano lungo calli o, come inquesto caso, lungo il rio del Battello.sui giardini di Venezia è infatti riportare alla luce questi segreti dimenticati.Nel Polifilo di Francesco Colonna, pubblicato proprio a Venezianel 1499, il pellegrino incontra Polia sotto una pergola di gelsomini:il gelsomino era l’emblemadei “Fedeli d’amore”, unasetta misterica di origine persiana,e rappresentava l’amore perfetto,mentre per Mirella LeviD’Ancona, siccome fiorisce inmaggio, mese dedicato alla Vergine,ne diviene il simbolo. Lapalma che non perde le foglieper gli antichi era simbolo di vittoria, per il mondo cristiano dimartirio. Quanto alla rosa, è la regina dei fiori. È il fiore dei poetie il simbolo di Venere per gli antichi, mentre per il mondo cristiano,è simbolo di purezza perché dedicata alla Vergine.[104-105] Le rose di Casa Rocca e, adestra, quelle simboliche delladecorazione pavimentale della Basilicadella Salute, dedicata alla Madonna.23


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Di alcuni stranieri a VeneziaMARINA GREGOTTITalento ne aveva da vendere. Il suo libro Il desiderio e la ricercadel tutto, sottotitolato Il romanzo di Venezia moderna, ebbeun grande successo postumo, ma non si sarebbe certopotuto pubblicare mentre era in vita. Personaggi veneziani di tuttii ceti sociali vi si sarebbero riconosciuti in ritratti al vetriolo.Aveva anche meditato di suicidarsi, così per farsi notare, al funeraledi Lady Layard che considerava la regina di quella colonia inglesecolta e ricchissima che aveva scelto di stabilirsi in città. Ma all’ultimomomento cambiò idea.Frederick William Rolfe, inglese, studente a Oxford e seminaristamancato, tra gli stranieri che vissero a Venezia fu certamenteil più stravagante, il più beffardo emaledetto. Siamo al turn of the century,l’omosessualità è ancora untabù e lui la vive con disperazione.Per di più, privo di ogni mezzo disostentamento, conduce una vitamiserabile, alloggia in alberghi dicui brucia il conto “per non vergognarsene”,ogni tanto, a seguito di[106] Frederick William Rolfeconosciuto come Baron Corvo.mille suppliche e petizioni, incontraqualche benefattore e, come raccontaAlvise Zorzi in quel fascinoso libroche è Canal Grande, utilizza queldenaro per comprarsi una barca e costosi foulard rossi da annodareal collo del suo cane.Si era autoconferito il titolo di Baron Corvo e come tale era conosciutoin città. Occhialini, capelli tra il biondo e il rossiccio,spesso con un sigaro in bocca, i veneziani sono abituati a vederlo così,ai remi del suo sandalo che gli serve per esplorare canali e laguna,per amare i giovani gondolieri al riparo da occhi indiscreti, chefunge anche da casa quando non ha più una lira. Scrive della lagunacon un tocco di genio: “un mare fatto di eliotropio, di violette elavanda... che precipita senza fondo nel blu degli occhi delle pennedi pavone quando fa la ruota, mentre la luna sorge, rosea come unamadreperla”.Ultimo coup de théâtre: quando un ammiratore gli offre la possibilitàdi abitare a Palazzo Marcello, ne decora le stanze sul canalecon un tessuto rosso cardinale e per avere la tonalità precisa fa anchealcuni viaggi a Roma. In quelle stanze, tappezzate sontuosamente,muore il 5 ottobre 1913. Il console inglese, che ha l’ingratocompito di riordinare le sue cose, sarà costretto, suo malgrado, ascoprire il lato più laido di Baron Corvo: tragiche contabilità e documentazionidi un traffico di ragazzi che egli offriva ai ricchi inglesiomosessuali di passaggio a Venezia. Estremo cinismo o disperatanecessità di sopravvivere? Eppure era un poeta.Ma ecco spuntare, dopo la guerra, un’altra grande stravaganteche, parafrasando il titolo del libro di Carlo Levi, diceva spiritosamentedi Venezia “Cristo si è fermato a Piazzale Roma”. PeggyGuggenheim, americana, strepitosa collezionista di arte, arrivò inquegli anni a Venezia con un carico di opere assolutamente eccezionalie si stabilì a Palazzo Venier dei Leoni, il mai finìo come lochiamano ancora in città, una costruzione tronca e bizzarra come lasua proprietaria.L A C A S A V E N E Z I A N A[107] Palazzo Venier dei Leoni, la casa di PeggyGuggenheim.A Parigi, prima dellaguerra, aveva avutograndi maestriper la sua dieta acquistodi “un quadroal giorno”, erano statiMarcel Duchampe Nellie van Doesburga indicarle la strada. Divenne ben presto la musa dei surrealisti,Max Ernst (che poi sarà suo marito), Paul Delvaux, Yves Tanguye quando tornò negli Stati Uniti,aprendo nel 1942 la galleria “Artof this Century”, degli espressionistiinformali come Jackson Pollock e laNuova Scuola Americana. Fu unoscandalo quando partecipò allaBiennale di Venezia nel 1948 con leprime opere di Pollock. Attorno alei si creò un gruppo di amici, eranocritici, architetti e artisti come EmilioVedova, Giuseppe Santomaso,Umbro Apollonio, Carlo Scarpa, AlbertoViani, tutti quelli insommache erano soliti ritrovarsi a cena alristorante All’Angelo.[109-110] Peggy Guggenheimcon i suoi stravaganti occhiali e, inbasso, sul trono del suo giardino.spose che non le veniva in mentenessuno con la lettera X.Considerata l’ultima dogaressa diVenezia, costruì il suo mito consapevolmente,giorno dopo giorno. Dormivasotto un Mobile di Calder, si facevafotografare in giardino sedutasu di un trono in pietra bizantino, ilmondo intero, arrivando a Venezia,desiderava incontrarla. Ricchissima,aveva la gondola de casada e il motoscafoprivato sotto casa, era però ossessionatadallo spauracchio dellamiseria e raccontò che aveva accettatodi comparire nel film Eva che Jo-[108] Peggy nel 1948 allaBiennale con il Mobile di Calder.Si lamentavano, quando andavano a mangiare da Peggy, di uneccesso di zuppe in scatola Campbell ma in compenso potevanoammirare alle pareti opere di Braque, Picasso, Pollock, che fu la veragrande scoperta di Peggy, e il Maiastra, la celebre scultura-uccellodi Constantin Brancusi.Con i veneziani non legò mai veramente, per loro restò sempreuna foresta e le sue cene erano “orge”. Certo Peggy faceva sensazionequando passeggiava per PiazzaSan Marco con i celebri occhiali disegnatiper lei da Edward Metcalf,seguita dai suoi cani tibetani e da ungruppo eterogeneo di artisti e collezionisti.La sua vita sentimentale erastata spericolata, quando due giornalistiamericani le domandaronoscherzosamente di fare un elenco deisuoi amanti in ordine alfabetico, ri-24


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>seph Losey girava a Venezia, con Jeanne Moreau, perché le davanoquarantamila lire al giorno.Tentò invano di regalare la sua collezione a Venezia, alla fine,raggiunto un accordo con il museo newyorchese dello zio SolomonGuggenheim, si stabilì che la sua collezione, divenuta proprietà delGuggenheim americano, sarebbe rimasta a Ca’ Venier dei Leoni esarebbe stata aperta al pubblico. Peggy, che si sentiva veneziana,volle essere sepolta nel giardino insieme ai suoi cani. La collezioneGuggenheim è viva e il flusso ininterrotto di visitatori conferma,ogni giorno di più, il suo grande successo internazionale.Alma Mahler e Gustav KlimtGIOVANNA DAL BONL A C A S A V E N E Z I A N AAlma Mahler conosce Gustav Klimt l’attimo prima di diventarela magnetica e tentacolare musa della Secessione acui pochi sapranno resistere. Colei che sposerà in successioneaccelerata il trittico Mahler-Gropius-Werfel, polarizzando attornoa sé le intensità creative del secolo, all’epoca di quell’incontroè ancora la giovane figlia del paesaggista austriaco Emil Schindler,ben visto dalla monarchia asburgica. Compositrice precocissimae interamente votata alla musica, vive in uno stato di trance romanticapermanente. Klimt è un pittore di trentacinque anni daltemperamento ombroso che ha riportato l’oro al centro dell’arte evive appartato in una quotidianità maniacale aggirandosi con ilFaust di Goethe in tasca. L’incontroavviene sotto il segno della fatalitàpiù assoluta e accompagna la vita dientrambi durando e rinnovandosinel tempo, senza mai trovare soluzione,come la maggior parte degliincantamenti amorosi a cui Alma vasoggetta.È uscita da poco nelle edizioniAbscondita una raccolta, a cura diElena Pontiggia, che dà notizia diquesta travagliata vicissitudine: GustavKlimt. Lettere e testimonianze. In[111] Alma Mahler nel 1899.una lettera, datata 19 maggio 1899, a Carl Moll, patrigno di Almae suo amico, Klimt rivela lo sgomento travolgente per quella passioneraccontandola in un crescendo, quasi a tentare di arginarla, oesorcizzarla. Vede Alma per la prima volta di sfuggita in un parcoviennese, all’inaugurazione del monumento alla memoria del padredi lei. Quasi si giustifica con puntini sospensivi di averla notata soloda un punto di vista pittorico “come a noi pittori piace una bellabambina”, sorprendendosi del fatto che Moll non avesse ancorapensato di ritrarla. Poi si abbandona all’inesorabilità di quell’attrazione:“Io e Alma ci siamo trovati spesso vicini; mi raccontava dellasua passione per Wagner, Tristano, la musica, la danza […]; èbella, intelligente, piena di spirito, insomma ha in abbondanzaquello che un uomo esigente può volere da una donna”.Alma conferma il perfetto accordo di inclinazione musicale esensibilità con quel “fine pittore bizantino” nella sua autobiografia –pubblicata da Rusconi nel 1985 – riferendosi a lui in molti passaggicon cadenza appassionata: “aveva più talento di tutti. A trentacinqueanni era nel pieno delle forze, bello da tutti i punti di vista egià famoso”. I presupposti in regola per una storia al suo inizio.È nel viaggio in Italia alla fine dell’Ottocento che la vicenda precipita.Klimt insegue la sua amata nelle diverse tappe del suo itinerariodi formazione per la penisola. A Genova, imprudentemente,Alma annota un bacio sul suo diarioe quando la madre “infrangendo laparola d’onore” vi incappa, sarà la fine.Agli sventurati è tassativamenteproibito rivolgersi la parola: “il nostroamore fu crudelmente combattutoda mia madre”. Venezia farà dabivio a quei due destini avversi e avversati:“Potemmo finalmente rivedercisolo a Venezia, nella confusionedi piazza San Marco: tanta folla intorno,lui che giurava che si sarebbe [112] Gustav Klimt.liberato di tutto, sarebbe venuto aprendermi, e mi pregava insistentemente di aspettarlo... fu come unfidanzamento segreto”. La fuga ci sarà. Ma uno dall’altro.Lui oscilla nell’indecisione, lei subisce i condizionamenti dellafamiglia: “la cosiddetta buona educazione che mi era stata impartitadistrusse il mio primo miracolo d’amore”. Continuarono a braccarsie a incespicare per tutta la vita senza mai trovarsi. Quando sirivedono Gustav non allenta la presa e pronuncia frasi fatidiche: “Iltuo fascino non smette di catturarmi, anzi, diventa sempre più forte”;Alma è sibillina: “Fu il primo grande amore della mia vita, maallora ero solo una bambina, immersanella musica e lontana dal mondo...”.In fase di bilanci dirà: “devo aGustav Klimt molte lacrime, ma ancheil mio risveglio”.Venezia resta uno snodo cruciale nell’andantespianato che fu la vita sentimentaledi Alma, una sorta di voraceincontinenza di amare ed essere[113-114] Alma Mahler aVenezia: in barca e, in basso, nelgiardino della sua casa.amata. Continuerà a tornarci, comecontinuerà senza sosta a dipanaretempestosi intrecci amorosi: “Ieri sonoarrivata qui. Venezia! È la mia casaquella in cui abito ora. Il mio ambiente...mio, creato da me dal nulla...”.Qui darà ripetutamente convegnoai tormentosi assalti del giovaneKokoschka. Qui, con il poeta FranzWerfel, suo terzo marito, acquistauna casa “per una cifra irrisoria” chepoi rivende pentendosi. Da Veneziaannota il 2 aprile 1928: “Provoun’irrequietezza tormentosa. Anelo a un sentimento forte. Forse è lareazione alla mia paura mortale...vorrei raccogliere tutto quello che hoamato, o che potrei amare, senza costrizione,senza vincoli”.[115] La casa veneziana di Alma Mahler,tra campo ai Frari e campo San Stin.25


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Abitare Venezia, abitare il mondoNuove finestre sulla lagunaCINO ZUCCHIIl paesaggio europeo e italiano sta subendo vaste mutazioni generatedall’interazione tra la “resistenza” di un territorio antropizzatoda secoli e il rapido evolversi delle dinamiche sociali eproduttive. In un continuum spaziale reso fluido da autostrade, aeroporti,ferrovie, cresce ogni giorno una nuova forma urbana, non piùcittà, non più campagna, alla quale molti hanno tentato di dare unnome: middle landscape, “città diffusa”, “città estesa”; un patchwork dicentri commerciali, recinti residenziali, capannoni, cinema multisala,dove l’unica condizione di desiderabilità sembra essere quelladella vicinanza al sistema del trasporto privato. La cangiante topologiadi questo ambiente sfugge ai modelli della città tradizionalefatta di monumenti, strade, piazze, isolati, di parti diverse che lastratificazione temporale ha amalgamato in una struttura coerente eben conosciuta. In Italia la forte identità figurativa e simbolica del“centro storico” ha per paradosso generato un ritardo nel riconoscimentodel nuovo paesaggio urbano che cresceva ogni giorno alle sueporte, spesso rubandone le funzioni che lo rendevano vitale.Venezia è forse il caso più evidente di questo fenomeno di “abbagliamento”:come e più di molte altre città, la cui storia ha sottopostoalla pressione del turismo di massa la soverchiante intensitàformale della sua aristocratica insularità, cancella ogni giornola città “di servizio” che si è formata alle sue porte in terraferma.La condizione dell’area industriale dismessa della ex Junghansalla Giudecca non era in un certo senso diversa da molte altre inItalia dalla storia analoga. Unrecinto industriale cresciuto suuna vasta area era stato progressivamentesaturato da costruzioniutilitarie secondo una logicainterna di natura esclusivamente[116] Lo stabilimento Junghans vistodalla luguna in una foto del 1943.produttiva; al cadere di questa,il problema del cambiamentofunzionale da industria a luogoabitato richiedeva un’attenta riflessionesul ridisegno degli spazi aperti e sull’innesto sulla cittàesistente sul suo perimetro.Il progetto di riforma urbana tenta di dare forma a una riflessionesulla presenza alla Giudecca di due scale eterogenee: quelladel tessuto compatto a nord dell’isola, caratterizzato dall’andamentoa insulae allungate in direzione nord-sud, con la fitta presenza digiardini inclusi di piccola scala; e quella più ampia e rada dei recintiproduttivi affacciati verso la laguna. Il ridisegno degli spazipubblici cerca di cogliere quella sorta di reciprocità, o di oscillazione,che a Venezia sembra costantemente avvenire tra edilizia epaesaggio: da una parte la ricorrenza di dimensioni, di dettagli, disoluzioni tipologiche e distributive ricorrenti, sicure, che formanonel complesso la irriducibile unicità del tessuto veneziano; dall’altra,il continuo confondersi dei monumenti con la geografia, inquello straordinario landscape artificiale rappresentato dalla laguna.Il progetto di riforma urbanistica ha agito con intensità variabilea seconda delle situazioni locali, alternando interventi di profondatrasformazione ad altri di sottile modificazione degli edifici e de-L A C A S A V E N E Z I A N A[1<strong>17</strong>-118] Dettagliodella Giudecca nelfotopiano con tratteggiatal’area ex Junghans.A destra, la pianta congli edifici: quelli indicaticon lettere sono opera diCino Zucchi.G1G2gli spazi aperti esistenti, operandouna sorta di “agopuntura” suldelicato tessuto urbano. Il recintodell’area ex Junghans è statocosì riconfigurato secondo unprincipio di continuità in sensonord-sud con la forma urbis dellaGiudecca, definendo un nuovorapporto con la laguna ed eliminandoil senso di estraneità morfologicae di impenetrabilità chela destinazione industriale avevaconferito al luogo.[119] L’edificio al centro, denominato B, si affacciasul rio del Ponte Lungo ed è opera di Cino Zucchi.Da turisti nonE1vediamo la Veneziareale; ma questo succedein ogni luogo divacanza, che deve deformare i propri caratteri secondo le aspettativesemplificate del visitatore distratto. Come una risposta già contenutain una domanda retorica, lo stereotipo visivo dell’ambiente venezianomodifica retroattivamente la sua fonte, ci impedisce di viverela città qual è. SeMarrakech non potràche essere “moresca”,Venezia non potràche essere “veneziana”;ma questa “venezianità”è plasmatadalla progressiva corruzionedella letturaromantica, ruskiniana,che nel tempo si è sovrapposta alla Venezia reale. La cultura romanticaha indelebilmente macchiato la città di rosa, o meglio hacolorato le lenti dei nostri occhiali, fino ad annullare la sorprendentediversità del paesaggio insulare; forse è proprio l’insistenza storicasulla “diversità” di Venezia a impedirci di considerarla in manieranormale, e a comportarci di conseguenza.La percezione di questo pericolo ha da tempo generato degli anticorpinella cultura politica e urbanistica della città. Contro la Veneziavenduta nei souvenir alla stazione, negli spot di automobili eprofumi, sono frequenti i richiami alla “Venezia vera”, quella degliabitanti, della produzione, piena di problemi occupazionali, sociali,ecologici. Ma forse anche questa appare una semplificazione moralistica,un ribaltamento troppo facile; Venezia è anche una città delmondo. Nella società dei media, è l’immagine comunicata a generarele aspettative; la Serenissima, come un regnante o un grande attore,non può tornare a vita privata, non può dismettere il suo ruolo“in società”, cessare di essere sotto gli occhi o sulla bocca di tutti.Lavorare a Venezia è come avere un’affaire con un’attrice famosa.A2DA3B26


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Come le lapidi del cimitero ebraico di Praga, smosse dai fuochifatui delle pile di sepolture compattate dalla mancanza di spazio,così Venezia è sempre cresciuta su se stessa, sottoposta a quell’assestamentocontinuo in grado di deformare impercettibilmente le figuredei tipi, della razionalità costruttiva, che pure ricorrevanospesso nei riferimenti trattatistici della cultura veneta. Se Venezianon ha un’espansione urbana ottocentesca, non ha – se non perframmenti – addizioni urbane che possano legittimamente e conagio accogliere i modelli edilizidella città nuova, essa può cresceree cambiare solo modificandosi,deformandosi. Questo fattoè tuttavia molto “moderno”:Venezia rappresenta ai nostri occhil’utopia urbana di una cittàcomplessa, pluralista, sentimentale,tollerante, e al contempounitaria, memorabile. La sua organicità(metafore fito o zoomorfesgorgano incessantementedalla sua fisiologia acquosa, nelparadosso di una città “naturale”[120] L’edificio E1 si affaccia sulladarsena creata artificialmente.L A C A S A V E N E Z I A N A[121-122] Gli edifici originali dell’area Junghans fotografati nel 1946.laddove integralmente “fatta”), pur non data a priori, fonda un altropensiero, non figurativo, di una struttura.Ma, come diceva Francesco Algarotti prendendo le distanze dalpensiero di padre Lodoli che pur andava divulgando, “più bello delver è la menzogna”. Se Venezia clonata nei parchi tematici di tuttoil mondo vede affievolire la sua stessa aura, e se il rispetto per i monumentinon appare la prerogativa principale del turista distratto,pur sempre esiste una nuova libertà di condizione operativa. Dovel’immagine c’è già, dove una lingua esiste, piccoli spostamenti diforma possono causare grandi cambiamenti di significato. Il grandevantaggio del codice, del suo carattere stereotipo, è quello di essereun setaccio fine, attento, capace di generare una grande economiadi mezzi; atti limitati, dove la “risonanza” semantica generaconseguenze di lunga portata.La Giudecca è in questo senso un luogo dalle grandissime potenzialità,la cui “perifericità” rende un punto di innesto fecondodal quale guardare con occhi nuovi il centro stesso. Proprio perchémeno sottoposta alla pressione del turismo, la trasformazione in attoalla Giudecca può in parte riequilibrare l’intera città, creandospazi e situazioni in grado di mediare l’eccezionalità del vivere aVenezia con la quotidianità, con le funzioni, con le aspettative diuna città normale, al di fuori di quella perniciosa opposizione traun’insularità tutta “estetica” e una terraferma tutta “funzionale”.Venezia contiene edifici molto più stratificati e interessanti,luoghi molto più inaspettati di quel che si creda. In contrasto aiprocessi di omologazione e disneyficazione dei centri storici europei,che sempre più si omologano ai modelli di “consumo”, dobbiamopreservare le differenze della città: differenze di storia, diforma, di scala, di uso. La città funzionerà nel suo complesso, saràunita, tanto quanto le sue parti non tenteranno di sostituirla, di simularnela struttura complessiva. Una nuova architettura a Venezianon può che essere complessa, colta, e al contempo pura, sicuradi sé. Essa deve dimostrare di essere all’altezza della città, di essernedegna; ma non attraverso una mascherina dipinta.Se il progetto per l’area della ex Junghans si è occupato soprattuttodi riconnetttere alla città uno spazio prima separato, essa hagenerato nuove figure edilizie che tentano di rileggere i caratteridel contesto senza cadere in un’ipocrita mimesi “in stile”. Gli edificiesistenti della ex Junghans avevano ben poco di “veneziano”, secon questo si intende l’immagine stereotipa del nucleo storico.Dei cinque edifici da noi progettati, non vi è dubbio che l’edificioD, situato sull’angolo tra i rii di Ponte Piccolo e de la Palada, siadiventato una sorta di piccola“icona” del rinnovo urbano dellaGiudecca e della possibilità diinnestare con attenzione un’architetturacontemporanea nelcorpo della città; esso è ormaimeta di un inaspettato e tranquilloturismo culturale che attestal’interesse dell’Europa per[123] L’edificio D.le peculiarità del caso italiano.L’edificio D sostituisce un edificio esistente – di cui viene conservatala ciminiera –, regolarizzandone il sedime in relazione ainuovi percorsi aperti dallo schemaurbanistico. I suoi caratteri volumetricie architettonici ricordano quellidell’edilizia minore veneziana lungoi canali; la sua mole cubica è scavatada una corte trapezia che conduceall’unica distribuzione verticale.Se i materiali e le finiture sonodel tutto tradizionali – facciate inintonaco grigio sabbia (e marmorinobianco per la corte), cornici e sogliein pietra d’Istria, scuri e serramentiin legno – piccoli accorgimenti nelloro disegno rivelano l’impossibilitàodierna di una replica storicistica:così la maniera di girare gli angoli,l’uso “bidimensionale” e le anomaledimensioni della pietra nelle cornicidelle finestre di servizio, la stereometriaessenziale delle bucature sonol’esito di una riflessione sull’astrattezzaa-stilistica dell’ediliziastorica minore di Venezia, sulla suasorprendente “modernità”.[124-125] La ciminierapreesistente e, in basso, la corteinterna dell’edificio D.“Solo se abbiamo la capacità di abitare, potremo costruire” dicevaMartin Heidegger in Bauen, Wohnen, Denken; “i veri edifici imprimonoil loro segno sull’abitare, portandolo nella sua essenza edando ricetto a questa essenza”. Queste parole sono facilmente ap-27


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[126] Edificio E1: particolare dellafacciata in pietra d’Istria biancaalternata a pietra Aurisina grigia.plicabili all’indescrivibile sensazioneche proviamo di fronte allepeculiarità dell’ambiente veneziano,alla sua intimità, alladimensione domestica e confortevoledei suoi spazi pubblici.Ma i modi di abitare Veneziaoggi possono essere plurimi: dauna parte esiste chi, nato a Venezia,considera lo spazio dellacittà il luogo della quotidianitàin cui coincidono esistenza, lavoro,affetti; se questo stato mentale è il più simile a quello “tradizionale”,Venezia è di fatto abitata anche da cittadini “diversi”. Studenti,professori, studiosi, persone che lavorano nel campo culturalee artistico, non meno innamorati di calli e laguna, eleggonol’ambiente veneziano a loro città per un periodo definito della vita,in una condizione esistenziale che, se da un lato è venata da un modernoromanticismo, è dall’altra immersa in una dimensione nuova,globale, in un certo senso molto “aggiornata”. Una dimensionedove si sa essere al contempo radicati e nomadi, cittadini del mondoe frequentatori giornalieri del caffé sotto casa. Piuttosto che diMorte a Venezia, questi nuovi abitanti sembrano i personaggi di unfilm di Wim Wenders, sensibili ma non decadenti.Qualche giorno fa ho scoperto per caso le opere di un giovaneartista che a mia insaputa ha dipinto alcuni scorci dell’interventoalla ex Junghans. Il fatto che delle case così recenti fossero diventateun soggetto pittorico mi ha emozionato, non tanto per il fatto insé quanto forse come dimostrazione della capacità di Venezia di“metabolizzare” i nuovi interventi amalgamandoli in una sorta digrande paesaggio collettivo che la mente di un singolo non avrebbemai potuto inventare. Riguardo ogni tanto la foto aerea dellaGiudecca da Google Earth, meravigliandomi ogni volta della fortunae della responsabilità che il destino mi ha dato di modificareun angolo di questa stupenda invenzione dell’uomo, o meglio, dimolti uomini insieme.Molino Stucky: il concetto modernodi restauro conservativoFRANCESCO AMENDOLAGINE[127] L’incendio che ha distrutto la torredel Molino Stucky nel 2003.L A C A S A V E N E Z I A N AUn flebile filo di fumo esce in un pomeriggio del 14 aprile2003 dalle finestre neogotiche dell’ultimo piano dellatorre del Molino Stucky e in pochi attimi si trasforma inun rogo che porterà l’immagine dellefiamme del monumentale testimonedell’architettura industrialedell’isola della Giudecca su tutti itelegiornali del mondo. Da una partequesta tragedia riportò di colpo ilMolino all’onore delle cronache internazionalie dall’altraha fatto aleggiarela possibilitàche il lungo processodi rinascita, iniziatonel 1995 attraversol’avvio di un progetto di restauro conservativo, fosse inesorabilmenteinterrotto. Oggi, a oltre due anni dall’incendio, non solo ilrestauro iniziato non è stato interrotto ma anche la ferita inferta allatorre e al silos adiacente, elevati nel 1895 con il serrato prospettosul canale di San Biagio, è stata risanata in tempi record e ritornerannoa far parte del teatro dell’architettura veneziana.Un ennesimo episodio dunque che segna l’avventura di uncomplesso industriale che è entrato a far parte con forza della storiasecolare di Venezia, nascendo sulle fondazioni del rigidissimoconvento di clausura femminile, creato dalla nobile Collalto ai marginidell’area urbana quando ancorasulla laguna aleggiava l’alba dell’eramoderna. Storia caratterizzata dai silenzidelle religiose da una parte edal clamore di due interventi architettonici.La chiesa del convento fucoinvolta prima da un progetto delSanmicheli nel XVI secolo e successivamente,nel XVIII secolo, da unintervento del Massari. Ma della ricchezzaspirituale e artistica del conventorimane soltanto il porticomarmoreo ora appoggiato al fiancodella chiesa di Sant’Eufemia, dono[128] La facciata delMolino Stuckyprospiciente il canaledella Giudecca.di Giovanni Stucky durante la ristrutturazione del 1885, in quantogli espropri napoleonici demanializzarono e spogliarono all’iniziodell’Ottocento tutta l’isola.La storia del Molino è un’epopea che viene segnata da un serratosuccedersi di eventi e di affermazioni economiche che trascinaronoal successo non solo l’impresa di Giovanni Stucky, ma ancheil destino industriale di tutta l’isola della Giudecca e fece entrareVenezia come polo della rivoluzione industriale dell’Italia unita.L’attività del Molino Stucky ebbeinizio alla fine del secoloscorso, nel 1885, anno in cui il[130-131] Il Molino Stucky primadella ristrutturazione del 1895 e, adestra, il trasporto dei sacchi di farina.[129] Il portico addossato allachiesa di Sant’Eufemia provenientedal convento che sorgeva nell’areadel Molino Stucky.suo promotore, Giovanni Stucky, ha avviato la realizzazione deisuoi intenti innovatori che, dal 1895, con un susseguirsi di progettipresentati e poi eseguiti dall’architetto Ernst Wullekopf, hanno28


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>portato all’innalzamento del“castello neogotico”, concretizzandola volontà dell’imprenditoredi affermare l’unitarietà e lacompletezza dell’insieme architettonico.La produzione delcomplesso industriale proseguìfino al 1955, quando avvenne la sua completa dismissione, circostanzache portò a un lento ma lesivo degrado protrattosi sino all’interventodel 1995, allorquando fu coinvolto dal piano di recuperodella società Acqua Pia Antica Marcia, acquisita dall’ingegnereFrancesco Bellavista Caltagirone.[134-135] Immagini del degradoesterno e interno dello Stucky primadell’attuale intervento di recupero.Partendo dal vincolo monumentale posto dalla Soprintendenzaai Beni Architettonici e Ambientali nel 1988, si è manifestatoda parte dei progettisti Francesco Amendolagine e Giuseppe Boccanegral’impegno di sottolineare l’importanza del manufatto nellasua interezza e si è formulato un restauro rispettoso che non dissolvessel’insieme del Molino Stucky in brani ed episodi tra loronon omogenei. Pertanto l’ex complesso industriale esce da unaconcezione “pittoresca” del suo ruolo nel contesto urbano ed entraa pieno diritto nel concetto moderno di restauro conservativo, intraprendendouna nuova e definitiva opera di ridisegno e riorganizzazionedell’insieme architettonico. Infatti tutti i 250.000 metriquadrati del Molino sono stati mantenuti tali per forma e qualità,senza abbattere nessun volume e senza costruire nuovi edifici,intervenendo negli internitenendo comunque sempre presentele funzioni originali distribuiteall’interno della macchinaindustriale. Infatti il progettopoggia su una profondaconoscenza della storia del Molinoaffrontata sotto tutti gliaspetti, non solo architettonici,messa a disposizione dall’AssociazioneScientifica PalazzoCappello attraverso una campagnadi ricerca delle fonti.[132-133] Il progetto diWullekopf conl’inserimento dellefinestre nel silos del1895. In basso laproduzione di pane inuna foto del 1932.[136] Pianta del progetto approvatoper l’intervento nell’intera area delMolino Stucky.L A C A S A V E N E Z I A N ALa conoscenza del significatostorico di ogni parte della costruzioneha condotto a una distribuzionepreferenziale internadelle funzioni a partire proprioda questa differenza, infatti, sonole funzioni che devono esserescelte e determinate in base allearchitetture esistenti e non il contrario. I blocchi edificati a norddell’isola e prospicienti i canali della Giudecca e di San Biagio, i silos,sono costituiti da edifici altie stretti, dato che erano adibitialla lavorazione per caduta epoggiavano sulle fondazioni delconvento. Al contrario i blocchia sud sono caratterizzati da edificibassi e sviluppati in lunghezza,in quanto destinati allalavorazione della pasta e dei biscotti.Pertanto nei silos collegatitra loro dall’alta torre si è ritenuto opportuno considerare chegli spazi erano particolarmente disposti per ricevere l’inserimentodi un albergo.All’interno dell’isola, confinante con gli edifici propriamentedestinati ad albergo, vi è una serie di volumi più piccoli predispostisempre a soddisfare le esigenze della struttura alberghiera, cheavrà circa quattrocento stanze. Negli edifici prevalentemente utilizzaticome magazzini e depositi, risalenti al 1895 e con ultimo interventodel 1922, posizionati sull’angolo opposto lungo il canaledella Giudecca e sull’angoloovest del canale dei Lavranieri,si è ritenuto opportuno inserirel’area delle abitazioni, in cui sonostati ricavati novanta appartamenti.Mentre accanto al mulino,sul canale di San Biagio,venne costruito tra il 1903 e il1905 un primo grande pastificio,al quale si sommò negli anni1922-1923 un secondo laboratorio.Questo grande spazio[137] L’ala del Molino Stuckyprospiciente il canale di San Biagio.[138] Il plastico del progettoapprovato: vista da sud.[139] La hall di ingresso della zonarestaurata e adibita ad abitazioni.orizzontale è stato valutato ottimale per l’inserimento di un centrocongressi con i necessari spazi attrezzati e potrà ospitare circa ottocentopersone.Si sono quindi potute introdurre funzioni non contraddittoriecon l’insieme, senza doverne aumentare la volumetria con nuovecostruzioni e, senza intervenire acriticamente sul versante della storia,non si sono volute abbattere parti dell’esistente, ma si è praticatosolamente il metodo delle aggiunte interne. Ormai la battagliaper la rinascita del Molino Stucky volge al termine e si può guardareindietro con soddisfazione per il lavoro di progettazione e dicantiere svolto che si è protratto per circa dieci anni ma che, per lastoria che ancora dovrà passare attraverso le sue architetture, sonoun attimo.29


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>La casa veneziana in terraferma:la villa venetaFRANCESCO MONICELLIDopo la sconfitta di Agnadello del 1509, che apre la crisidi Cambrai, Venezia avverte l’esigenza di rifondare l’ordinamentostatuale potenziando la propria presenza nelloStato da Terra. Solo nel 1516, dopo aver ricevuto una somma considerevole,Massimiliano I libera tutti i territori occupati dalletruppe imperiali. In tal modo la Repubblica riesce ad avere definitivamentesotto controllo il territorio e la nobiltà di Terraferma einizia lo smantellamento delle roccaforti dei ribelli. Si favorisce poila gestione diretta da parte del patriziato delle aree agricole tramitela rete insediativa delle ville, che vengono progressivamente atrasformare l’assetto continentale rispondendo a ragioni economichee al contempo di controllo politico.Quindi la pax veneta, seguita al conflitto cambraico, e le ineditecondizioni di sicurezza all’interno dello Stato veneto favoriscono laformazione di estese proprietà agricole. L’introduzione del granoturcoe del riso coltivati su vasta scala attira l’attenzione dei patrizial punto che a partire da metà Cinquecento i maggiori investimentidelle grandi famiglie saranno concentrati proprio sulle ville e suciò che rappresentano nell’economia del tempo. A tutto questo siaccompagna una straordinaria fioritura di trattati di economia e diagricoltura, in parte ripresi dagli autori latini de re rustica, che rivalutanoideologicamente la vita in villa, come propugna l’imprenditoree umanista Alvise Cornaro nei suoi scritti, tra i quali sono daricordare il Trattato delle acque e i Discorsi sulla vita sobria. La villaquindi anche come luogo di recupero dello spirito che riprende l’otiumdei romani; del resto la cultura classica ispira la maggior partedei più importanti cicli pittorici presenti nelle ville e la stessa statuariaa ornamento degli edifici e dei giardini. La villa veneta quindicon il XVI secolo subisce un notevole mutamento nel linguaggiocompositivo e nei canoni costruttivi, rispettosi della concezione rinascimentaleche privilegia simmetrie e proporzioni auree, per nonparlare dell’attenzione riposta negli apparati decorativi.Invero contemporaneamente con la rivoluzione introdotta daAndrea Palladio a cominciare dalla metà del secolo con la sua villa-tempio,si consolida la tipologia importata da Venezia della “casa-fondaco”con pianta tripartita in sala longitudinale centrale e saleminori laterali, tra le quali è ricavato il corpo del vano scale. Ilvolume dell’edificio, pressoché cubico, è coperto da tetto a quattrofalde. Al pianterreno corrisponde il piano nobile dal medesimo impiantoe quindi un secondo piano di servizio, solitamente usatocome granaio. L’impaginazione dei fori della facciata individua latripartizione dell’impianto interno con la sala centrale del pianonobile che prende luce da una serliana o da una trifora, munite dibalcone, che rappresentano il punto focale della facciata medesima,come villa Soranzo a Fiessod’Artico.Si sedimenta così l’idea dellacasa cittadina trasferita in Terraferma:all’affaccio dei palazzi sulCanal Grande si aggiunge quel-[140] Villa Soranzo a Fiesso d’Artico.L A C A S A V E N E Z I A N Alo delle ville sul naviglio di Brenta, piuttosto che sul Sile o sul Canalbianco.L’intermodalità tra vie d’acqua e vie di terra rappresentala caratteristica funzionale fondamentale di collegamento tra dimoredi città e dimore agresti. La diffusione della presenza venezianaè evidentemente foriera dell’esportazione di gusti e di modellipropri della capitale. Assieme a questa tipologia se ne diffondeal contempo un’altra che vede sempre la villa identificarsi in unedificio cubico con tetto a quattro falde e la tradizionale tripartizionedella pianta veneziana ma con un piano seminterrato di servizioe magazzino, e un solo piano superiore d’abitazione signorilecui si accede da una scala esterna, e oltre questo il piano per i granai.Il Palazzo delleTrombe, così come èchiamata la villa Saracenodi Finale diAgugliaro attribuitaa Michele Sanmicheli,è emblematico di [141] Villa Saraceno a Finale di Agugliaro.questo archetipo. Unarchetipo che avrà fortuna per tutto il secolo e che sostanzialmentesi ritrova in buona parte delle ville di Andrea Palladio.Il rinnovamento dell’architettura di villa si compie verso lametà del Cinquecento per merito dell’ingegno di Andrea di Pietrodella Gondola, ribattezzato dall’umanista Gian Giorgio Trissino ilPalladio, da Pallade Atena dea protettrice delle arti. Andrea Palladio,padovano di modesta origine, vicentino di adozione, scopertoda Trissino e da questi istruito nella conoscenza dell’architetturaclassica e introdotto nei circoli aristocratici vicentini e veneziani,riuscirà a provocare con i suoi progetti, in discreta parte realizzati,un rinnovamento senza precedenti che rimarrà in vigore fino allacaduta della Repubblica.Palladio mantiene la tradizionale tripartizione della facciata edella pianta veneziane, con variazioni su tema nella sala centrale longitudinale,sostituita talora da una sala a croce latina o greca. Rielaboratalvolta anche la villa a porticoe loggia di matrice quattrocentescaintroducendo facciatecon logge sovrapposte. Ma la novitàdi Palladio, che ben comprendela valenza economica degliinsediamenti di villa, è l’organizzazionein forma compiuta[142] A villa Pisani a Bagnolo e razionale delle adiacenze rurali,Palladio coniuga le esigenze di gestione pensate come completamento edel fondo col prestigio della famiglia.coronamento, se non premessa,della residenza signorile.Sulla scia di Palladio saranno molti i seguaci, dal vicentinoVincenzo Scamozzi che ripropone la villa-tempio a pianta centrale,anche se con modi del tutto personali, a Francesco Zamberlan,a epigoni di cui si ignora il nome.Ma vi sono anche coloro cherifiutano i dettami del classicismopalladiano per rifarsi al manierismodi Giulio Romano, co-[143] La Rocca Pisana di VincenzoScamozzi è un esempio di villa-tempio.30


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>me Dario Varotari egli artefici della villaDella Torre a Fumanee della villaMarogna a Nogara,dove nei grandi portalid’accesso alla[144-145] Evidenti influssi classici in villaMarogna a Nogara, costruita da Dario Varotari, e corte sono presentinel Catajo di Battaglia Terme riprodotto in basso.moduli di derivazionegiuliesca. Per non parlare delcomplesso del Catajo di BattagliaTerme, edificato verso il 1570 daPio Enea degli Obizzi e Andrea daValle, a imitazione di un vero e propriocomplesso castellare reinterpretatosecondo la poetica del tempo.Da rilevare che nel Cinquecento, inconcomitanza all’esplosione dell’architetturadi villa, si manifesta ancheuna grande ripresa delle altre arti. In particolar modo dellapittura con protagonistidel calibro diPaolo Veronese, manon sono da menoZelotti, Fasolo, Battistadel Moro, BernardinoIndia e moltialtri, e della sculturache vede in affrescati da Paolo Veronese.[146] Gli interni di villa Barbaro a MaserAlessandro Vittoriauno dei maggiori rappresentanti.Con l’inizio del Seicento il rinnovamento palladiano si affievoliscenel freddo, decoroso accademismo dell’ultimo Scamozzi. Con lavilla Sandi di Crocetta del Montello del 1622, frutto di uno degliultimi epigoni del maestro, Andrea Pagnossin, sembra chiudersi lastagione palladiana. La nuova moda del barocco, che giunge da Romacon tutta la sua carica di fantasia, di passione per i particolari decorativi,di intenti celebrativi, viene raccolta a Venezia da BaldassareLonghena, un interprete di primo piano. Le nuove forme stenterannoinvero a essere recepite nelle altre città del Dominio Veneto.Lo stesso Longhena nelle residenze di campagna si esprimerà in terminisobri, legati alle valenze ambientali del paesaggio, per soddisfarele esigenze di villeggiatura e di rappresentanza della sua riccacommittenza, esclusivamente da ricercarsi tra le famiglie patrizie:Lippomano, Pesaro, Da Lezze, Contarini, Widmann. Il lessico propriodel barocco che privilegia le linee curve e le linee spezzate,adottato da Longhena, troverà riscontro in una serie di edifici caratterizzatida frontoni elaborati come la villa Pigafetta a Montrugliodi Mossano, la villa Gradenigo Bianchi-Michiel a Bassano del Grappae la villa Tiepolo Passi a Vascondi Carbonera. Invero la pestedel 1630 provoca una pausa.Tuttavia, nonostante la crisi politicae l’impegno economico cheL A C A S A V E N E Z I A N Acomporta il lungo conflitto con la Porta, alla metà del secolo la ripresaè notevole con edificazione di nuove ville e con restauri e ampliamentidi dimore già esistenti. Non si dimentichi che l’aggregazioneper soldo al patriziato di centoventotto nuove famiglie significaanche nuovi committenti desiderosi di visibilità. Invero il XVIIsecolo trova nel rinnovamentoe nell’ampliamentodelgrandioso complessodi Piazzola sul Brentaper i patrizi Contarinila maggior testimonianzadel ba-[148] Villa Contarini a Piazzola sul Brenta.rocco in Terraferma.Il 21 luglio <strong>17</strong>18 Venezia firma la conclusione della terza defatiganteguerra contro gli Ottomani, anche la Morea è persa, ma sonofinalmente terminate le ingenti spese belliche. Venezia lungo ilSettecento presenta una crisi politica ed economica progressiva conun deficit di bilancio dello Stato enorme. Le istanze riformatriciproposte da patrizi illuminati come Andrea Tron, Andrea Memmo,Francesco Pesaro, non risvegliano la sonnolenta assemblea veneziana.Per contro la Terraferma è in ripresa. La campagna conosce gliesperimenti agronomici promossi dalle accademie rurali, mentre siassiste nella fascia pedemontana a un fenomeno di diffusa attivitàimprenditoriale dalle cartiere ai panni, dai tessuti alle ceramiche.Il nuovo vigore economico dello Stato da Terra nel XVIII secolosi fa sentire nella gara tra patriziato e nobiltà suddita per edificaree restaurare moltissime ville con risultati assai più fecondi diquelli del secolo precedente, avvicinabili alla grande stagione cinquecentesca.Anche se ora è lo spazio di rappresentanza a essere privilegiato,con l’edificio signorile, preceduto dal giardino in configurazioneassiale, inquadrato da foresterie e scuderie, ossia da quantoserve al rito della villeggiatura; stalle e aie non sono più gli elementicaratterizzanti: gli edifici connessi alla conduzione agricolasono costruiti in posizione nascosta e possibilmente lontani dalcomplesso residenziale.La committenza sviluppa richieste di dimore sempre più raffinatee alla moda con il conseguente emergere di architetti in gradodi soddisfare tali desideri, spesso sulla scia dell’eredità palladiana.Nascono così personalità di primo piano da Francesco Muttoni aOttone Calderari e Ottavio Bertotti Scamozzi, operanti principalmentenel vicentino, a Giorgio Massari, ai veronesi AlessandroPompei, Ignazio Pellegrini, Adriano Cristofoli, ai veneziani AndreaTirali e Antonio Gaspari, al padovano Girolamo Frigimelica, al trevigianoFrancesco Maria Preti, al bassanese Giovanni Miazzi. Il Settecentoche vede il ristagno della politica e del prestigio veneziani,per converso conosce gli esempi più grandiosi di villa, committentiovviamente ricche famiglie patrizie.La villa nazionale di Stra, dove Frigimelica e Preti sono impegnatinell’opera dirifacimento e ampliamentodi una dimorapiù vecchia, sipresenta come l’apo-[147] Villa Tiepolo Passi a Vascon diCarbonera.[149] La monumentalevilla Pisani a Stra.31


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>teosi di una delle “case grandi”, i Pisani,sublimata dall’affresco allegoricodi Giambattista Tiepolo che decorail soffitto del salone principale.Si tratta invero di una vera e propriareggia, non più di una villa così comeinteso dalla tradizione veneta.La distanza tra necessità economichedi un’azienda agricola e intentocelebrativo si fa sempre piùampia. Il programma costruttivo èdettato dal desiderio di creare villesimbolo di un destino sociale, secondouna concezione che, coi secoli, siè distaccata dalla primitiva politicadi presa del potere dei Veneziani sullaTerraferma, per adeguarsi a modellipiù vicini alla vita degli aristocraticidelle grandi corti europee.La caduta della Repubblica di San Marco nel <strong>17</strong>97 è foriera dicambiamenti che segnano nel profondo gli equilibri degli Stati venetia cominciare da quello ambientale della laguna, tanto severamenteprotetta dalle leggi della Serenissima. Il breve periodo di dominazionefrancese, cui si avvicenda quello più lungo del RegnoLombardo-Veneto sotto bandiera austriaca, vede tra l’altro l’affermarsidi una classe dirigente legata ai valori culturali della borghesiapost-rivoluzionaria e il ridimensionamento della preminenza politicaed economica di Venezia a favore delle altre città, con una crisidel patriziato che appare sempre più drammatica. Alla fine delSettecento ben novanta famiglie del Libro d’Oro risultano estinte, aqueste se ne aggiungono altre cinquanta nella prima metà dell’Ottocento.Scomparsa di famiglie, incapacità di reazione, tassazionionerose imposte prima dai francesi poi dal governo austriaco, segnanola fine di grandi proprietà e l’affermarsi per contro della prevalenzaeconomica di nuovi imprenditori o di quei rappresentantidelle vecchie classi dirigenti capaci di mettersi al passo con i tempi.È un periodo il XIX secolo che vede la demolizione di moltissimeresidenze, alcune di fondamentale importanza, come la Soranzadi Treville disegnata da Sanmicheli e affrescata da Paolo Veronese.Per converso vede anche il restauro di altre, la costruzione di nuovee la trasformazione di molti giardini formali in parchi di gusto paesaggisticosecondo la nuova moda giunta dall’Inghilterra. GiuseppeJappelli, Giannantonio Selva,Giovan Battista Meduna, GiuseppeSegusini, Antonio CaregaroNegrin, Giacomo Franco i nomidi alcuni dei maggiori architettiche lasceranno testimonianzenon indifferenti del neoclassicismoe dell’ecclettismo di quest’ultimastagione.[151-152] Il parco ottocentesco di villaPompei Sagramoso a Illasi e, a destra,villa Cittadella Vigodarzere a Saonaradi Giuseppe Jappelli del 1816 circa.[150] L’affresco dell’Apoteosidella famiglia Pisani, diGiambattista Tiepolo, decora dal<strong>17</strong>61 il soffitto del salone daballo di villa Pisani a Stra.L A C A S A V E N E Z I A N ADel dipinger veneziano in villaI Tiepolo a villa Valmarana ai Nanie nella villa di ZianigoCAROLINA VALMARANA[153] La sala dei Pulcinella diGiandomenico Tiepolo ricostruita aCa’ Rezzonico.Sono da poco venuta a vivere a Vicenza nella villa Valmaranaai Nani, la casa di famiglia decorata nel <strong>17</strong>57 da Giambattistae Giandomenico Tiepolo, molto desiderosa di approfondirele mie conoscenze su questi due artisti e cercare di creare legamicon realtà vicine, specie quelle legate a Giandomenico che ha dipintola Foresteria dove abito.La più speciale è senz’altro Ca’ Rezzonico dove, in sei stanze, sonostati ricostruiti gli ambientioriginari della villa di Zianigo,acquistata da Giambattista Tiepolonel <strong>17</strong>57 e decorata daGiandomenico dal <strong>17</strong>59 al<strong>17</strong>97. Esistono forti relazioni trale due ville non solo perché dipintedallo stesso artista – Giandomenico–, ma anche per alcunitemi identici, seppur differentementetrattati.Guido Piovene, cugino di miononno Giustino Valmarana e alui molto legato, così parla della[154] Il Sacrificio di Ifigenia,l’affresco di Giambattista Tiepolo,nell’atrio della Palazzina.casa: “L’insieme rientra nella regola delle ville venete, convenientiallo spirito del paese quando vogliono essere nient’altro che dimoredi ‘gentiluomini’ e stonate nei rari casi nei quali aspirano a essere‘principesche’. Giambattista nella villa Valmarana, con il figlioDomenico, adegua i soggetti e lo stile al nuovo incarico di abbellirele stanze della dimora suburbanadi un gentiluomo vicentino.Ora il precetto è un altro, lafamiliarità elegante. Qui gli affreschisono vicini a chi entranelle stanze, le figure divine eumane gli stanno accanto quasialla stessa altezza e la loro azionesi svolge su piani paralleli aimuri. Si ha già qualcosa di intermediotra la pittura di palazzoche si associa comunementeall’idea dell’affresco e la pitturapiù moderna di cavalletto destinataa ornare l’appartamento signorile”[Guido Piovene, “La metafisica dei sensi”, presentazione aL’opera completa di Giambattista Tiepolo, Milano, Rizzoli, 1968].Giustino Valmarana aveva acquistato questa proprietà nel <strong>17</strong>20dal monastero padovano di Ognissanti, a cui era stata lasciata ineredità dalla figlia monaca dell’avvocato Giovanni Maria Bertolo.Costruita nel 1665 da un architetto a noi ignoto, venne rimaneggiatada Francesco Muttoni: a lui si devono gli ingressi, la scuderiae il ripristino della Foresteria. Nel <strong>17</strong>57, dunque, Giustino chiamòi Tiepolo che in quattro mesi conclusero l’opera.Nel <strong>17</strong>59 Giandomenico dà inizio ai lavori di decorazione di32


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[155-156] Il grande complesso di villaValmarana ai Nani: in primo piano laPalazzina, al centro la Foresteria e, infondo, la scuderia. In basso la villa diZianigo di proprietà dei Tiepolo.[157-158] Il tema del pappagallo,presente nella Foresteria di villaValmarana è ripreso da Giandomenicoanche a Zianigo vent’anni dopo.L A C A S A V E N E Z I A N A[159-160] Due Mondo novo aconfronto: in alto quello realizzato nel<strong>17</strong>91 per la villa di Zianigo e, asinistra, l’affresco del <strong>17</strong>57 nellaForesteria di villa Valmarana.Zianigo. Due sono gli elementieccezionali di questi affreschi: ilpittore dipinge per sé e non perun committente esterno cheavrebbe potuto in qualche modo indirizzarne temi e soggetti. Inoltre,i tanti anni dedicati a Zianigo – dal <strong>17</strong>59 al <strong>17</strong>97 – offronol’occasione per cogliere lo sviluppo dell’arte di Giandomenico, dalleprove ancora giovanili, legate all’insegnamento paterno, fino alleespressioni più libere e personali della maturità e della vecchiaia.È difficile fare parallelismi fra gli affreschi della villa Valmarana equelli di Zianigo, soprattutto per chi critico non è; mi limiteròquindi a citare alcuni temi comuni, cercando di rispettare un ordinecronologico, anche se i critici sono spesso discordi sulle date.Prima della partenza per Madrid nel <strong>17</strong>62, a Zianigo, Giandomenicoha rappresentato nel <strong>17</strong>59 sul soffitto ovale del portego ilTrionfo delle Arti che ricorda molto da vicinol’impaginazione del Trionfo di Veneredipinto due anni prima nellastanza dell’Eneide nella Palazzina,di cui parte del soffitto è andatodistrutto da una bomba durantela seconda guerra mondiale; Rinaldoche abbandona il giardino diArmida è ispirato allo stesso soggetto– realizzato però dal padreGiambattista – della sala della GerusalemmeLiberata nella Palazzina; anchenumerosi paesaggi rustici sullo sfondodel Giacinto Morente del <strong>17</strong>71 ricordanoquelli della Foresteria, così come ilPappagallo che ritroviamo anche nella Foresterianella stanza dei Putti.Ma il più emblematico di tutti gli affreschi è il Mondo novo chenella Foresteria figura come un finto quadro incastonato nella magnificastanza del Carnevale di Venezia; sulle due pareti sono rappresentatiin trompe-l’œil due scaloni: da una parte Alì, il servitorenegro dei Tiepolo, scende con un vassoio con la cioccolata calda,mentre dall’altra, legata a una catena, una scimmia si arrampicasulla balaustra. Da quando i nonni vennero ad abitare stabilmentela villa nel 1922, questa è stata la loro stanza da pranzo, fonte dimolti ricordi di mio padre Paolo e dello zio Angelo.Il Mondo novo rappresenta una lanterna magica impiantata inuna baracca che un ciarlatano, su uno sgabello, illustra con una lungabacchetta alla folla di personaggiin maschera, tutti ripresidi spalle. Sulla palizzata a sinistrauna bandiera con la scritta “Joan./Dom/Tiep”. Questa iscrizionee quella del Ciarlatano a fianco “Dom. Tiepolo.p./<strong>17</strong>57” sono diparticolare importanza perché certificano autore e data; in passato il57 era stato erroneamente interpretato 37, creando confusione inquanto Giandomenico sarebbe stato troppo giovane – essendo natonel <strong>17</strong>27 – per dipingere un simile capolavoro. Anche Goethe futratto in inganno dalla data: nei suoi Tagesbücher del <strong>17</strong>86 intuiscela differenza di stili presenti nelle due case, parlando di “naturale”e “sublime”, ma ritenne gli affreschi opera di un solo artista.Il Mondo novo di Zianigo – oggi a Ca’ Rezzonico – è una delletre scene policrome della decorazione parietale del portego del pianoterreno ed è firmata e datata <strong>17</strong>91, quindi quasi trentacinque annidopo Vicenza. “Ma ciò che alla Valmarana non era altro che ‘un deliziososcherzo’, un’elegante narrazione di un fatto curioso e festoso,assume nell’affresco di Zianigo valenze inquietanti: tutte le figuresono riprese di spalle, immobili; mancano i volti; pare quasidi vivere l’attesa di un evento che tarda a verificarsi. Può ben essereconsiderata una delle più emblematiche e, a tratti, struggenti testimonianzedella coscienza di una fine imminente e dello sbigottimentocurioso per il mondo che si annuncia in segni e indizi diancor problematica lettura” [Filippo Pedrocco, “GiandomenicoTiepolo: gli affreschi della villa di Zianigo” in Satiri, centauri e pulcinelli.Gli affreschi restaurati di Giandomenico Tiepolo conservati a Ca’Rezzonico”, Venezia, Marsilio, 2000].Chiudo con ricordi familiari legati al nostro Mondo novo, tra l’altroposter del Festival del cinema di Venezia del 1972, nonché copertinadel libro Amare il cinema nel 1952 di mio padre, Paolo Valmarana,pubblicato nel 1994, dieci anni dopo la sua morte. Il racconto“L’angoscia del petto di pollo” – legata alla paura infantileche l’arrivo di un amico o parente potesse privarlo dell’amato petto– parla della cucina dei suoi primi anni, dei pranzi di casa soprattuttoa base di pollo – che veniva dalla campagna e non eraquindi necessario pagarlo –, dell’apparenza ricca ma dell’economiapovera, delle merci, piuttosto che del denaro che giravano (e questoper generazioni), all’ombra del servitore Alì, della scimmia e delMondo novo. Raccontava il nonno Giustino “che il sogno di suo padreera fare un viaggio a Roma ma che i soldi per il treno e per l’albergonon riuscì a trovarli mai... Rimase sempre a Vicenza, tutta lasua vita, nella villa, che però resta fra le più belle del mondo, amangiare pollo e fegatini sotto gli affreschi”.33


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Ultime dimore di veneziani e non...Arte della memoria a San MicheleIRIS C. PEZZALI“La laguna era uno specchio di luce. L’isola di San Michelegalleggiava appena fuori dell’acqua fra un vaporeprimaverile di rosa e d’oro... Venezia, incantevole, solitarianell’acque...”. Alfonso Rubbiani, fondatore dell’Aemilia Ars,società d’arti e industrie decorative, che rappresentò l’interpretazioneitaliana dell’Art Nouveau, così descrisse, nel primo Novecento,la suggestione della necropoli scrivendo della cappella di famigliadi Giovanni Stucky.[161] Il cimitero di San Michele in Isola visto dalle Fondamenta Nuove.Opera di Augusto Sézanne, discepolo artistico del Rubbiani, lacappella Stucky, consacrata dal Patriarca nel 1905 e posta sul lato destrodell’antico ingresso del cimitero, costituisce uno dei più interessantiesemplari d’architettura dellamemoria di tutto il camposanto.Le tonalità delicate del rosso, azzurro,oro, fanno da sfondo elegante ai ramid’olivo che avviluppano la cupola. Digrande suggestione è il mosaico circolaredella volta, la Glorificazione dellamorte, probabilmente ispirato all’operaAngeli laudantes di Edward Burne-Jones,arazzo del 1894 della manifatturaMorris & Co. di Londra, oggial Victoria and Albert Museum, incui le ammalianti figure celesti attendonola nuova vita, Resurrexit, [162] La cappella Stucky.[163-165] Apparato decorativo dellacappella Stucky: sopra e destra particolaridel mosaico posto sotto la cupola. In basso,una delle vetrate.L A C A S A V E N E Z I A N A[166-167] Immagini del passato: imbarcazione per il trasporto funebre e, adestra, il ponte che univa Venezia al cimitero il giorno della ricorrenza dei defunti.cantando e tenendo tra lemani la fiaccola dell’immortalità.Non fosse che alcunivisi del coro angelico portanole sembianze “dei noti cariagli estinti e a cui gliestinti furon noti e cari”, sipotrebbe pensare a un esempiodell’arte come messaggio di speranza, dunque senza angoscia,contemplazione gioiosa della luce, che tutto irradia e purifica.La Venezia che affrontava il nuovo secolo tentando un originalepercorso d’integrazione economica nello sviluppo industrialedell’Italia prebellica, pur frizzando di vitalità artistica, confidavaperò, nel luogo più intimo dell’ultima dimora, un evidente sensod’inquietudine, da lenirsi col conforto dell’arte.Dovette passare quasi un secolo dall’edificazione del primo cimiteronapoleonico di San Cristoforo della Pace, inaugurato nel1813 e unificato a San Michele nel 1839 con la saldatura delle dueisole contigue, perché i segni della memoria, ossia, la forma delsubconscio umano circa l’ineluttabilità della morte, divenissero piùdichiarati, manifesti. L’altra meravigliosa cappella di famiglia diUmberto Bettiolo, opera di Giuseppe Torres, posta tra le cappellinedell’emiciclo, nel giardinodelle magnolie, è l’esempio forsepiù prezioso dell’allegorico misterodella morte nel camposantolagunare. Architetto venezianotra i più rappresentativi tra lafine del XIX secolo e gli inizidel XX, Torres scelse lo stile bizantinoper interpretare i sentimenti“nobilmente alti e poetici”del committente: un monumentoespiatorio, in cui il dolore doveva rivelarsi in tutto il suo significatoprofondamente “lirico ed emotivo, mistico”. Egli produssecosì un autentico trionfo di materiali preziosi come il marmorosso africano antico, la pietra romana di Nabresina, la madreperlain diverse tonalità per ricordare i crepuscoli e le albe della primaverae dell’autunno, antiche corniole bizantine, gemme orientali,diaspro verde, argento, alabastro, malachite. Sorretto dalla riccasimbologia cristiana rappresentata dagli animali e dai frutti, il tentativodi restituire intatto il messaggio d’integrità dogmatica compie,a un tratto, una sorta di sospensione: l’urna ha scolpita “una testadi Medusa per significare il mistero indecifrabile di un’animanon ancora schiusa alla vita...”.Ma San Michele è anche una visione sfuggente e fantastica,un’eco, una poesia calma, la radice più amara della città eppure lapiù luminosa. Il marmo bianco, materiale principe di molte sueparti monumentali, rende l’isolaun gioiello d’architettura di rarabellezza, con il complesso conventuale,la chiesa rinascimentaleopera di Mauro Codussi, lacappella Emiliani. La complicitàdell’acqua, elemento che la uniscee la divide da Venezia, trasfigurainfine il mundus imaginalis[168] Parte dell’emiciclo con lacappella di San Cristoforo.[169] La chiesa di San Michele el’esagonale cappella Emiliani.34


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>[<strong>17</strong>0] L’ingresso antico al cimitero,prospiciente le Fondamenta Nuove.dell’eternità, infliggendo neglianimi poetici una sorta di potenteseduzione visiva. Casa isolatadella memoria, spietata comela calviniana Laudomia deimorti, la città vi ritrova la spiegazione di se stessa attraverso il tracciatodelle dimore che ripete quello della Laudomia viva. Archiviodai segni complessi, il camposanto è una basilica a cielo aperto, conl’abside individuata nella cappella di San Cristoforo e l’antico ingressorivolto verso le Fondamenta Nuove.Meno sfarzoso nei decori rispetto ad altre necropoli italiane, privatodei porticati dell’originario progetto di Annibale Forcellini chene definì l’attuale conformazione negli anni appena successivi allanascita del Regno d’Italia, conserva,soprattutto nel campo maggiore, ilfascino degli antichi cimiteri di ispirazioneilluministica giacobina,egualitarista. Il processo di corrosionedei marmi dovuto alla salsedinedissuase la committenza ottocentescaa investire in monumenti importantiche, per tale motivo, preferì limitarsi[<strong>17</strong>1] Particolare dell’Angelodella Resurrezione di LuigiFerrari per la tomba Papadopoli.a lapidi spesso mediocri, di manufattidi gusto neoclassico, di medaglioniin bronzo o marmo dall’iconografiaripetitiva. Poche le eccezioni dipregio, quali il bassorilievo per LeopoldinaHeninkstein, ormai quasi completamente distrutto, operadi Pietro Zandomeneghi, sotto il porticato del chiostro trilatere.Soltanto tra la fine dell’Ottocento e nei primi del Novecento lascultura cominciò ad affermarsi con esemplari di apprezzabile qualità,quali la statua della Fede diEmilio Marsili per la tomba Donàdalle Rose sotto il pronao della cappellaSan Cristoforo. Autorevoli leopere di artisti come Carlo Lorenzetticon il bassorilievo del Redentorenella cappella Foscari WidmannRezzonico, Annibale De Lotto conl’Angelo che bacia un’anima, di LeonardoBistolfi il bassorilievo Fragiacomosulla banchina del primo recinto.Due le sculture-architetturedi particolare imponenza: l’Angelodella Resurrezione di Luigi Ferrari perla tomba Papadopoli e il Dolore diEmilio Marsili per la tomba Ceresa,entrambe deliberate dal Municipioper incentivare i veneziani all’abbellimentodei recinti. Da vedere i coloratissimimosaici esterni della cappellaMessinis nel recinto greco-ortodosso,raffiguranti i dodici Apostolieseguiti su cartoni del pittore[<strong>17</strong>2-<strong>17</strong>3] Il Dolore e, in basso,la Fede, opere di Emilio Marsili.L A C A S A V E N E Z I A N A[<strong>17</strong>4-<strong>17</strong>5] I mosaici della cappella Messinis e, a destra, le tombe di Igor e VeraStravinskij realizzate da Giacomo Manzù.Carlo Della Zorza e le due lastre per Igor e Vera Stravinskij di GiacomoManzù.Nel XX recinto, il più monumentale, sono da ammirarsi i monoblocchiartistici di Francesco Scarpabolla con il Cristo Risorto eRemigio Barbaro, nel XXI,con le Vergini sagge. Nel recintoevangelico, oltre alletombe semplici e sobrie diJosif Brodsky ed Ezra[<strong>17</strong>6-<strong>17</strong>7] Il Cristo Risorto di FrancescoScarpabolla e, a destra, le Vergini Sagge diRemigio Barbaro.Pound, si può vedere la lapide commemorativadello scrittore svizzeroLéopold Robert (<strong>17</strong>94–1835) commissionatadalla Société du Cercledes Bayards nel 1876. Tra le tombe degli illustri, non va dimenticataquella storicamente più prestigiosa e discussa di Paolo Sarpi,posta all’ingresso della Chiesa di San Michele.Se l’orgoglio di Stato della Venezia medievale e rinascimentaledescritto da John Ruskin trovò la sua espressione più inquietantenei monumenti funerari dei dogi nella Chiesa dei Santi Giovanni ePaolo, è qui, a San Michele, la memoria innocente della Venezianuova, postnapoleonica, dapprima piegata e ferita, poi coraggiosa eintraprendente. Disincantata e divina.L’ampliamento del cimiterodi San Michele in Isola:architettura, ambiente e societàFRANCO GAZZARRI“Se la civiltà è il più totale dei fatti umani perché è la stessarealtà storica degli uomini; ebbene la comprensionedella fenomenologia architettonica, edilizia, urbana eterritoriale, in una parola della realtà storico-edìle, sollecita di perse stessa una capacità di visione globale, cioè un’attitudine criticaadeguata all’oggetto. Il che presuppone a sua volta... un minimo dicapacità di leggere le componenti-implicazioni... per cui quell’og-35


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>getto è un fatto edìle e non altro; per cui esso, in quanto fatto edìle,è architettonico, o edilizio, o urbano, o territoriale...”. È da questaparticolare angolazione – tratta da Realtà naturale e realtà costruitadi Paolo Maretto – che dovremmo partire per definire unametodologia di lettura in grado di cogliere la complessità dell’interventodi ampliamento del cimitero di San Michele in Isola.L’architettura non può che essere un processo, risultato del lungooperare dell’uomo, connotato in termini di tempo e di spazio: lalettura dell’intervento di ampliamento, pertanto, va avviata senzail corto respiro dell’immediata fattualità del progetto, così comeappare, nella sintesi degli elaborati progettuali finali. Per capireSan Michele dovremmo allora alzarci sopra la laguna, per coglierel’unitarietà territoriale dell’ambiente, le regole della sua formazionee della sua dinamica, i suoi caratteri economici, sociali e politicie nello stesso tempo inserire tutto questo nella temporalità, nelmedio e lungo periodo del processo storico.Il progetto discende da una prima insindacabile necessità: la saturazione,già prevista negli anni novanta per i primi anni del2000, dell’esistente cimitero di San Michele, dove gravita una mortalitàdi 1250/1300 salme all’anno e dove le particolari situazioniambientali hanno determinato una forte riduzione del processo dimineralizzazione delle salme e, quindi, di un prolungamento delprocesso di inumazione-esumazione, che normalmente garantiscenel tempo la rotazione nell’uso dei campi inumatori (la mineralizzazionedelle salme, a scadenza del tempo di inumazione, si attestasu livelli del 5%). A questa emergenza l’Amministrazione Comunale,dopo aver scartato ipotesi alternative – ampliamento di altricimiteri lagunari strategici, cimitero di gronda, nuovo cimitero inuna nuova isola – sceglieva la soluzione dell’ampliamento del cimiteroesistente, commisurato su una disponibilità di circa quindicimilanuovi posti-salma.Nel 1993, sulla base del Protocollo d’Intesa tra Ministero dell’Ambiente,Comune di Venezia, Magistrato alle Acque e tutti glialtri enti presenti con ruolo istituzionale nell’ambito lagunare, venivaavviato il progetto di Manutenzione urbana della città di Venezia,con il Piano programma degli interventi integrati per il risanamento igienicoed edilizio della città di Venezia. Negli anni 1997-1998 il Comuneavviava un concorso internazionale di architettura per la sceltadel progetto di ampliamento del cimitero. Dopo la selezione deicurricula, la commissione valutava i progetti presentati da quindicifinalisti prescelti e progetto vincitore risultava quello di DavidChipperfield. L’incarico veniva formalizzato nel 1999 e iniziavaquindi l’approfondimento progettuale con i tre livelli di progettazioneprevisti: preliminare, definitiva ed esecutiva.Il cimitero di San Michele nasce da motivazioni igienico-sanitariesecondo la visione tecnocratica che si sviluppa a partire dall’iniziodel XIX secolo. La sua definizione morfologica e i suoi successiviampliamenti nel corso dei successivi due secoli seguono leregole di formazione delle terreemerse, secondo tradizionalimodelli di conformazione morfologicadelle aree lagunari. Èdel 1804 l’editto napoleonico di[<strong>17</strong>8] Pianta di Venezia di Jacopo de’Barbari del 1500, particolare con leisole di San Cristoforo e San Michele.L A C A S A V E N E Z I A N ASaint Cloud che introduce a Venezia, come in altre città europee,l’allontanamento dei morti dalla città verso un luogo specialistico,che a Venezia diventa l’isola dei morti. Conseguentemente alla decisionedi allontanare i morti nasce la necessità di attrezzare l’isoladi San Cristoforo, quella visibile nella pianta di Jacopo de’ Barbari,a nord delle Fondamenta Nuove. Ma l’isola si rivela ben prestoinsufficiente e, pertanto, vengono avviati interventi di imbonimentoe interramento del tratto di laguna, di circa 85 metri dilunghezza, compreso tra l’isola diSan Cristoforo e quella, più a nordverso Murano, di San Michele. Sonoaltresì condotte le necessarie operazionidi fondazione e consolidamentodel terreno, innalzato – in accordocon quanto predisposto per ilprecedente adattamento di San Cristoforo– alla quota di metri 1,40sul livello della media marea.Negli anni quaranta la Municipalitàdecide di dare un impiantoformale al nuovo cimitero: nel 1841infatti viene indetto un concorsoper il cimitero veneziano aperto atutti gli architetti del Lombardo-Veneto. Nel 1844 la commissionepreposta indica meritevoleil progettodell’architetto LorenzoUrbani ma subitodopo il progettoviene dichiarato“ineseguibile”, essendosidimostratonecessario un ulterioreampliamento dell’area utile alle sepolture. La soluzione definitivadell’area, che nel frattempo si era ampliata nel corso dell’ultimodecennio, viene affidata a un nuovo concorso, deciso nel1858, nel quale è il disegno del giovane architetto Annibale Forcelliniad avere la meglio. Sarà il progetto di Forcellini che, sia pursemplificato, in un lasso di tempo protrattosi fino agli anni trenta,verrà portato a termine ed è quello che segna l’attuale cimitero.Il processo di ampliamento è successivamente avvenuto persemplici addizioni quantitative rispetto all’impianto base. L’attualeampliamento nasce dall’esigenza di proporre nuove regolemorfologiche di formazione insediativa, nell’attualità della situazionecontingente di emergenza ricettiva e di avvio del grandeprogramma di manutenzione urbana della città.Per la realizzazionedel progetto,ai vari partecipantial concorso è statoconsegnato del ma-[181] La ripresasatellitare identifica lezone a bassa profondità;i riquadri evidenziano learee dell’ampliamento.[<strong>17</strong>9-180] Lavori di amplimentonel 1954. In basso, veduta delcimitero di San Michele versoMurano con il marginamentocompletato del 1° lotto.36


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>teriale storico e cartografico di base, nonché la ripresa satellitaredella zona di San Michele (immagine Landstat TM5 1989). Tale ripresa,elaborata dall’Istituto Geografico Militare di Firenze, mostral’area lagunare circostante al cimitero contraddistinta da bassaprofondità di fondale e da bassa idrodinamicità, rilevabile, nella foto,nei termini di alta intensità di crescita algale. La ripresa connotai principali dati morfologici della zona, in relazione al processoformativo delle aree emerse e dei movimenti idrodinamicidelle acque.La lettura che David Chipperfield fa della zona d’intervento èsemplicistica ma estremamente corretta e pertinente al luogo. L’architettoinglese interpreta, attraverso un’operazione di estrema sintesi,i dati salienti della morfologia della zona, in termini di movimentiidrodinamici, caratteri lagunari, rapporto con il costruito. Lamorfologia del progetto risulta così caratterizzata: collocazione diun canale largo quindici metri tra cimitero vecchio e nuovo, arretramentodella nuova isola rispetto al filo settentrionale (quello versoMurano) del costruito esistente, collocazione della nuova isola all’internodella fascia di barena collocata a est dell’attuale cimitero.Questi elementi, estremamente semplici e chiari, determinano unimpianto morfologico corretto, che la successiva fase di elaborazionedella Valutazione d’Impatto Ambientale ha di fatto suffragato.Sul piano più strettamente architettonico, il progetto prevedeil completamento della sacca già esistente (I lotto) attraverso la costruzionedi corti-giardino, unalotto 1lotto 2[182-183] I due lotti interessatiall’intervento e, in basso, il plastico delprogetto di David Chipperfield.L A C A S A V E N E Z I A N Acappella-crematorio, i recintidell’ossario e del cinerario comuni.Questi nuovi elementicreano un’articolazione per partidistinte, dove i volumi delletombe a muro e degli altri edificisi alternano ai percorsi e allearee scoperte. La nuova isola (IIlotto), invece, propone areeaperte a verde (campi inumatori)e giardini-paesaggio a diversilivelli, che scendono a filo d’acquasul fronte di Venezia. Mentrela massa del costruito, contre grandi edifici tomba, aventialtezza di diciotto metri dal livelloacqua (da metri zero sul livellomedio del mare), con fessurericavate nello spessore deimanufatti che mettono in comunicazionel’interno con l’ambientelagunare esterno, si colloca sul lato di Murano e fa da contrappuntoal complesso del convento e della chiesa di San Michele.La doppia valenza del progetto di David Chipperfield – estremo rigored’impianto morfologico e forte connotazione fisica del costruito– fornisce la chiave di lettura dell’intero intervento.Sul piano generale è significativo che i risultati dello Studio diImpatto Ambientale (con successiva Valutazione Favorevole di ImpattoAmbientale da parte della Regione del Veneto) abbiano evidenziatoun livello di impatto sostanzialmente “trascurabile” o“negativo basso”, sia in fase di costruzione che in fase di esercizio,per le diverse componenti: atmosfera, ambiente idrico, suolo e sottosuolo,aspetti naturalistici, salute pubblica. Fa eccezione l’impattosul paesaggio, che viene valutato “negativo medio in considerazionedella sostanziale e permanente alterazione dello scenariolagunare”, anche se viene sottolineato come le modifiche del paesaggioe della morfologia dei luoghi non sono nuove agli ambiti lagunarie in particolare all’area interessata dal progetto, in quantoil progetto richiama modalità di intervento sull’ambiente da semprerealizzate e conosciute nella laguna di Venezia. Del resto l’isolanella sua conformazione attuale è il risultato di successivi imbonimentie interramenti per far fronte alle necessità di nuovi spazi eper poter offrire alla comunità veneziana uno spazio cimiterialeunificato per la sepoltura.La scuola di Venezia, quella di Saverio Muratori e poi quella degliallievi Paolo Maretto, Gianfranco Caniggia e anche di AldoRossi e altri, ha insegnato a leggere l’architettura come grande sintesidella vita civile, all’interno della quale le diverse componenti –tipologiche, tecnologiche, normative, sociali – si ritrovano: al di làdi ogni giudizio soggettivo, estemporaneo e formalista sull’architettura,è soltanto da questo tipo di lettura che dobbiamo partireper cogliere criticamente l’unitarietà dell’intervento di ampliamentodel cimitero di Venezia.Speciale La Casa VenezianaPer saperne di più...• GIORGIANA BACCHIN REALE ed ELISABETTA PASQUALIN, Le altanedi Venezia, Venezia 1989.• PAOLO BAROZZI, Con Peggy Guggenheim. Tra storia e memoria, Milano2001.• GIANNI BERENGO GARDIN, CRISTIANA MOLDI RAVENNA e TUDYSAMMARTINI, Giardini segreti a Venezia, Venezia 1988-1992.• CESARE M. CUNACCIA e MARK E. SMITH, Interni a Venezia, Venezia1994.• DORETTA DAVANZO POLI, Le arti decorative a Venezia, Azzano SanPaolo (Bergamo) 1999.• PAOLO FRANCESCHI, Venezia. San Michele in Isola. Guida pratica illustrata.Chiesa, monastero, cimitero, Venezia s.d.• MASSIMO GEMIN e FILIPPO PEDROCCO, Giambattista Tiepolo. Dipinti.Opera completa, Venezia 1993.• GIORGIO GIANIGHIAN e PAOLA PAVANINI, Dietro i palazzi. Tre secolidi architettura minore a Venezia: 1492-1830, Venezia 1984.• “Gondola Days”. Isabella Stewart Gardner e il suo mondo a PalazzoBarbaro-Curtis, Venezia 2004.• PAOLO MARETTO, Realtà naturale e realtà costruita, Firenze 1980.• FRANCESCO MONICELLI, Ville venete. Civiltà di villa nel Dominio diTerraferma, Verona 2003.• L’opera completa di Giambattista Tiepolo, Milano 1968.• GIANDOMENICO ROMANELLI, Ritratto di Venezia, Venezia 1996.• TUDY SAMMARTINI, Pavimenti a Venezia, Treviso 1999.• Satiri, centauri e pulcinelli. Gli affreschi restaurati di GiandomenicoTiepolo conservati a Ca’ Rezzonico, Venezia 2000.• Venezia. La nuova architettura, Milano 1999.• Venezia Novecento. Reale Fotografia Giacomelli, Milano 1998.• GUIDO ZUCCONI, Venezia. Guida all’architettura, Venezia 1993.37


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Il Museo di Storia NaturaleIl progetto per il nuovo allestimentoVenerdì 23 settembre Giancarlo Ligabue ha ricevuto dalSindaco Massimo Cacciari le Chiavi della Città. Il prestigiosoriconoscimento è legato all’intensa e appassionataattività dell’imprenditore nel settore dell’esplorazione e della ricercascientifica, dell’antropologia, paleontologiae archeologia: oltretrent’anni di ricerche, centotrentaspedizioni in cinque continenti,spesso con strepitosi risultati, e lafondazione dell’importante CentroStudi e Ricerche che porta il suo nome.La cerimonia è stata ospitata nelMuseo di Storia Naturale – di cuiGiancarlo Ligabue è il Presidente –per sottolineare il profondo legametra le attività e le collezioni del museoe le ricerche e le scoperte di Ligabuestesso, che ha, tra l’altro, significativamentecontribuito ad arricchirne il patrimonio grazie aimportanti donazioni, tra tutte quella del famoso Ouranosaurus nigeriensis.La cerimonia è stata l’occasione per illustrare il progetto per ilnuovo allestimento del museo che si prevede possa essere realizzatoentro due anni. Notevoli lavori di restauro hanno infatti interessatol’edificio negli ultimi anni, consentendone il risanamento e l’adeguamentoimpiantistico. In questa fase l’area dedicata all’esposizioneè stata chiusa al pubblico, le collezioni restaurate o messe insicurezza, mentre si è proceduto all’elaborazione di un nuovo progettoespositivo radicalmente innovato rispetto alle soluzioni precedenti,sia nell’approccio museologico, sia nella maggior parte deicontenuti, sia nell’impianto museografico.IL MUSEO OGGIIl Fontego dei Turchi è uno dei più noti edifici civili di Venezia erisale al XII-XIII secolo. Il palazzo divenne nel 1621 emporio ecentro commerciale dei mercanti turchi a Venezia e tale rimase finoal 1838. L’attuale aspetto è dovuto a un radicale intervento direstauro effettuato nel secondo Ottocento. Nel 1923 venne istituitoil Museo di Storia Naturaleaperto al pubblico nel 1928.Oltre due milioni di pezzi costituisconooggi il vasto patrimoniodel museo, grazie a importantidonazioni, depositi o acquisizioni.Molteplici sono le[185-186] La sede del Museo diStoria Naturale nel Fontego dei Turchie, a destra, una teca di farfalle.collezioni zoologiche, tra cuiquelle di uccelli, di molluschi,di insetti (la raccolta di imenotteriè una delle maggiori almondo); in ambito botanico di[184] Giancarlo Ligabue riceve leChiavi della Città dal SindacoMassimo Cacciari.I N O S T R I M U S E Iparticolare rilievo sono gli antichi erbari, l’algarium, la raccolta micologica.Notevole anche la collezione di piante e pesci fossili provenientida Bolca, il giacimento fossilifero italiano più famoso nelmondo i cui reperti – risalenti a oltre 50 milioni di anni fa – unisconoalla grande rilevanza scientifica una forte suggestione estetica.Tra le raccolte ottocentesche, oltre a quella mineralogica, si segnalaquella di preparati anatomici; tra le acquisizioni più recenti,è la celebre e ricca collezione di Giancarlo Ligabue che comprendei resti del dinosauro erbivoro Ouranosaurus nigeriensis e i resti del gigantescococcodrillo Sarchosuchus imperator.Ma il vasto insieme del patrimonio del museo abbraccia anchesettori che esulano dalla vera e propria storia naturale come la raccoltadei modelli di imbarcazioni e strumenti di pesca in uso nellalaguna di Venezia, donata da Alessandro Pericle Ninni; rari e importantii reperti etnografici ottocenteschi provenienti dai viaggidi Giovanni Miani alla ricerca delle sorgenti del Nilo; bizzarra eimponente la collezione di trofei dicaccia di Giuseppe De Reali, raccoltitra il 1898 e il 1929 in Africaorientale e Congo. Non mancano, inquesto enorme repertorio, curiositàcome i due basilischi (animali fantasticicostruiti ad arte con parti dianimali diversi e spacciati per veri),rispettivamente del XVI e XIX secoloo la straordinaria imbarcazionemedioevale ricavata da un tronco dirovere e rinvenuta a fine Ottocentodurante lavori di scavo ai margini [187] La sala De Reali.della laguna veneziana. Unica nelsuo genere è poi la vasta biblioteca scientifica, ricca di oltre quarantamilatitoli e duemilacinquecento periodici, impreziosita danumerose edizioni cinquecentesche e seicentesche e dai manoscrittiottocenteschi di Nicolò Contarini e di Giandomenico Nardo.Il Museo di Storia Naturale di Venezia è oggi un’istituzioneculturale e scientifica che coordina e realizza attività di ricerca inlaboratorio e sul territorio quali il monitoraggio e le ricerche sullalaguna di Venezia e la sua fauna, l’indagine sulla diffusione dellespecie alloctone marine e lagunari, i censimenti ornitologici, ilsupporto tecnico-scientifico nell’attività di repressione del commerciodi specie protette e in estinzione.Le attività didattiche delmuseo si svolgono con continuitàe costituiscono un puntodi riferimento fondamentale perle scuole del territorio. Sono operativii laboratori di microscopiaper le scuole e varie attività per[188-189] Attività didattica nellasala del dinosauro e, a sinistra,l’acquario delle Tegnùe.le famiglie organizzate intornoalle due sale del museo già apertealla visita: l’acquario delle Tegnùee la sala del dinosauro.38


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Il progetto per il nuovo allestimento del museo si sviluppa attornoa tre concetti fondamentali: l’approccio museologico, i contenuti,l’impianto museografico. Vediamo quindi, punto per punto,quali saranno le novità.L’APPROCCIO MUSEOLOGICOLa vastità e la ricchezza delle raccolte, la loro spiccata connotazionecollezionistica e l’importante eredità storica dell’istituzione costituisconoi vincoli e le opportunità da cui scaturiscono le lineeguida del progetto:• valorizzare i reperti individuando temi e percorsi capaci di sottolinearnele ampie potenzialità didattiche;• mediare la complessità dei contenuti attraverso una comunicazionearticolata e attiva a più livelli;• salvaguardare e recuperare il valore del sedimento storico dellecollezioni.Il continuo intreccio e l’integrazione tra questi elementi hannocondotto a un’elaborazione originale in cui percorsi, temi, scelte diallestimento e di comunicazioneconcorronoa coinvolgere ilvisitatore e a stimolarnel’attenzione,giacché l’obiettivometodologico difondo consiste nonnel riversargli unavasta mole di nozioni,ma nel favorire [190] Immagine virtuale di sala espositiva.l’attitudine critica aporsi domande, a creare collegamenti, a cercare nuovi approfondimentio risposte, a comprendere per deduzione le strutture basilaridel metodo scientifico.Il problema della differenza tra utenti per età, cultura, interessiviene affrontato e risolto grazie al mantenimento costante e compresentedi diversi livelli di comunicazione, il primo dei quali fondatosull’esperienza sensoriale. Altri strumenti su supporti diversi– dal pannello alla scheda, dall’audiovisivo al reperto manipolabile,dal calco alla postazione interattiva – consentono invece livellidi approfondimento maggiori.I N O S T R I M U S E II CONTENUTI: QUATTRO MUSEI IN UNOLe vaste collezioni hanno consentito di sviluppare quattro ampiearee tematiche, visitabili anche in tempi e con intenti diversi.1. La laguna di Venezia. Si occuperà degli aspetti geomorfologico,storico-evolutivo, etnografico e naturalistico-ambientale presentandoquelli più tipici e caratterizzanti ma anche i più curiosi enascosti, quasi un invito a esplorare di persona questo ecosistemacomplesso e affascinante. Il percorso, che si snoderà lungo dieci sale,sarà articolato in tre sottosezioni: Origine ed evoluzione; Uomoe laguna: la pesca; Dentro la laguna.2. Sulle tracce della vita: la paleontologia. Il percorso si svolgeràcon la guida dei fossili, che costituiscono le tracce per comprenderela formazione e la storia della vita sulla terra, dalla comparsa 700milioni di anni fa dei primi organismi viventi visibili a occhio nudoa quella dell’Homo sapiens 40 mila anni fa. Il percorso si svilupperàin quattro sale e tre sottosezioni: Alla ricerca dei dinosauri; Testimonianzedel passato: i fossili; La storia della vita.3. Raccogliere per stupire, raccogliere per studiare. L’evoluzione del collezionismonaturalistico. Questa sezione offrirà un singolare percorsoche illustrerà l’evoluzione del collezionismonaturalistico, da raccoltecostituite con finalità prevalentementeestetiche (raccogliere per stupire)alla raccolta e classificazionescientifica (raccogliere per studiare).Sarà dedicata agli esploratori di ierie di oggi, alle collezioni e ai Museidi Storia Naturale e si articolerà insei sale e due sottosezioni: Esploratoriveneziani; Museo e scienza.[191-192] Esempio di collezionemalacologica “per studiare” e, asinistra, nuova proposta espositivadelle raccolte del museo.4. Le strategie della vita. Forma e funzione negli esseri viventi. La sezioneoffrirà una nuova chiave di lettura della complessità della naturae delle forme viventi, analizzata attraverso le strategie di sopravvivenzaelaborate dalle diverse specie. Articolata lungo sette salee divisa in tre sottosezioni – Forme e funzioni; Il movimento; Lanutrizione – proporrà un approccio innovativo alla comprensionedelle relazioni tra forma e funzione negli esseri viventi e illustrerà leanalogie nelle soluzioni di problemi adottate da organismi diversi inambienti diversi. La particolarità dei temi scelti e la modalità dellaloro trattazione richiederà al visitatore un ruolo attivo anche attraversol’interazione con l’apparato allestitivo. L’obiettivo è quello direndere il visitatore partecipe di un processo deduttivo guidato inun percorso inusuale e accattivante, pur su tematiche apparentementecomplesse. Originale di questa sezione sarà infine uno spazio,che si ripeterà in più sale, identificato dal titolo “l’uomo copia” incui saranno descritte alcune soluzioni adottate dall’uomo “copiando”le strategie della natura, mettendo in evidenza le similitudini tra laforma di alcuni organismi e oggetti utilizzati e creati dall’uomo.L’IMPIANTO MUSEOGRAFICOL’area espositiva si sviluppa complessivamente su tre livelli, pianoterra, piano ammezzato e primo piano, grazie al recupero di ampispazi, a partire dal suggestivo e vasto porticato al piano terra, valorizzatocome area polifunzionale, adatta anche a ospitare mostretemporanee, eventi e incontri. Rilevante inoltre il recupero delgiardino, che diventa il principale accesso al museo e costituisce unimportante valore aggiunto per l’intera area urbana circostante.Piano terra. Il giardino sarà l’ingresso principale al museo oltreche area verde, area di prima accoglienza e punto di ristoro. Da quisi accederà al piano terra, il cui porticato interno, una volta dotatodi vetrate parzialmente apribili, sarà in grado di ospitare l’area servizi(informazioni, biglietteria, museum shop), uno spazio per mostretemporanee e la galleria dei cetacei con l’esposizione a soffittodegli scheletri di una grande balenottera, di un capodoglio e di altripiccoli cetacei. Il piano terra continuerà a ospitare l’acquariodelle Tegnùe e il gioco Sott’Acqua, suo complemento didattico, la salaconferenze, lo spazio per la didattica, la biblioteca, il laboratoriodi tassidermia e preparazione biologica.39


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Piano ammezzato. Recuperate con il nuovo progetto a spazioespositivo, le aree saranno interamente assegnate alla prima sezionededicata alla laguna di Venezia. L’ala nord ospiterà i laboratoriscientifici e i depositi di conservazione delle collezioni.Primo piano. Ospiterà le altre tre grandi sezioni del museo. Siaccederà al primo piano al termine della visita alla sezione sulla laguna,tuttavia il percorso potrà iniziare anche da qui.[193] Nuovo modello di fruizione delle sale espositive.Nel nuovo allestimento sarà fondamentale e particolarmentecurato anche l’aspetto comunicativo. Nel progetto per il museoemergono infatti come esigenze fondamentali e interconnesse lamediazione della complessità dei contenuti da un lato e il coinvolgimentoattivo del visitatore dall’altro. Il principale mezzo di comunicazionesarà costituito quindi dallo stesso allestimento. In essosi integreranno, caso per caso, soluzioni grafiche, apparati testualie supporti tecnologici diversi.Particolare attenzione verrà posta nella realizzazione di audioguide– strutturate a livelli diversi di approccio e consegnate insiemeal biglietto d’ingresso – a cui spetterà il compito, tra l’altro, diintegrare il percorso con suggestioni sonore. Gli approfondimentisaranno affidati a schede mobili su supporto cartaceo o integratenelle postazioni multimediali.Un solo ambiente per tutta l’umanitàGIOVANNI VALENTINIE S T & O V E S TAvent’anni dal suo esordio, è felicemente ripresa quest’estatela navigazione della Goletta verde lungo le coste italianeper monitorare lo stato di salute del nostro mare. Dopo unlungo intervallo, la barca-laboratorio di Legambiente ha rifatto ilperiplo della Penisola, sempre in collaborazione con il settimanaleL’Espresso, lanciando purtroppo un nuovo allarme: il livello dell’inquinamentotorna a salire e la cementificazione del litorale aumenta,favorita dall’abusivismo edilizio e dalla pratica perversa dei condoni.C’è evidentemente un rapporto tra i due fenomeni: le costruzioniselvagge, al di fuori di ogni regola e norma urbanistica, danneggianonon solo il paesaggio ma compromettono anche l’ambientee la salute dei cittadini.Quando iniziò, a metà degli anni ottanta, l’avventura della Golettaverde per L’Espresso, sotto la mia direzione, Panorama – il nostroprincipale concorrente, guidato allora da Claudio Rinaldi – pubblicòun’inchiesta intitolata polemicamente Non rompeteci le vacanze.A parte la forma di dubbio gusto, quella reazione d’insofferenzatradiva in realtà un deficit o un ritardo culturale: la questione ambientalenon era diventata ancora un fattore centrale della nostra vitacollettiva, un principio fondamentale per organizzare e orientarelo sviluppo. Come rispondemmo già all’epoca, e come personalmentecontinuo a pensare a maggior ragione oggi, con quell’iniziativanon soltanto non “rompemmo” le vacanze a nessuno ma, anzi,abbiamo contribuito ad “aggiustarle” nel tempo a molti italiani.All’inizio, come accade spesso alle operazioni inedite e sperimentali,Goletta verde suscitò molte riserve e ostilità. L’idea cheun’associazione privata, con il contributo di un settimanale scomodocom’è sempre stato L’Espresso, allestisse un laboratorio galleggiantedotato di tecnici, provette e microscopi per prelevare e analizzarecampioni di mare, insomma per dare i voti alle spiagge italiane,sembrò quasi una sfida o addirittura una provocazione. Mapoi, anno dopo anno, l’iniziativa conquistò una crescente credibilità:tanto che in vista dell’estate cominciarono ad arrivare al giornaleda ogni parte d’Italia richieste e sollecitazioni di sindaci o assessoriche, dopo l’installazione di un depuratore o la bonifica di untratto di costa, reclamavano una visita della Goletta proprio per ottenereuna certificazione – indipendente e attendibile – sulla “pulizia”delle loro acque.Per merito soprattutto di Legambiente, presieduta allora conintelligenza ed equilibrio da Ermete Realacci e adesso con altrettantacapacità da Roberto Della Seta, quella campagna rappresentòanche una supplenza nei confronti dell’amministrazione pubblica,riempiendo almeno in parte un vuoto di potere e di responsabilitàche purtroppo in molti casi perdura fino ai giorni nostri. Sull’ondadelle grandi battaglie per i diritti civili che L’Espresso aveva sostenutoe appoggiato, dal divorzio all’aborto, la Goletta verde divennecosì lo strumento e il simbolo di una partecipazione attiva degliambientalisti, dei cittadini, dei mass media, alla difesa della naturae della salute. È stato, insomma, un modello di iniziativa e di mobilitazionepopolare per integrare, incalzare, sollecitare gli amministratoripubblici nell’azione di tutela ambientale.In questi ultimi vent’anni anche in Italia l’ecologia è diventatacultura diffusa, coscienza dei limiti, consapevolezza dei vincoli cheoccorre rispettare per garantire uno “sviluppo sostenibile”: l’ambientecome patrimonio comune in funzione di un destino comune.Molto tuttavia resta ancora da fare, soprattutto in materia di inquinamento:da quello atmosferico a quello marino, fino a quelloacustico. Il progressivo surriscaldamento della Terra, provocato dalleemissioni nocive e quindi dall’effetto-serra che ne deriva, è unaminaccia che incombe sull’intera popolazione mondiale e in particolaresulle generazioni future.Ora che la globalizzazione e la crisi economica internazionalelanciano nuove sfide a tutta l’umanità, anche gli ambientalisti sonochiamati dunque ad aggiornare e intensificare il proprio impegnoper salvare il pianeta dall’autodistruzione. Questa non è semplicementeuna congiuntura sfavorevole, temporanea, passeggera.Siamo di fronte a una crisi energetica che implica in una prospettivadi medio termine l’uscita dall’economia del petrolio, la fine diuna dipendenza anche geo-politica, la ricerca di fonti alternative aquelle fossili che sono ormai in via di esaurimento.L’ambientalismo può essere perciò il “regolatore dello sviluppo”,il volano di un capitalismo moderno che punti a favorire unprogresso economico-sociale il più ampio ed equo possibile. Ma devediventare anch’esso “sostenibile”, cioè compatibile con l’esigenzadi una maggiore giustizia, di una maggiore sicurezza e di unamaggiore solidarietà. L’ambiente per l’uomo, l’intero genere umano,non contro l’uomo. L’ambiente al servizio dell’uomo, e naturalmentedella donna, non l’uomo e la donna sottomessi all’assolutismodell’ambiente.40


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>La Giuditta II di Gustav Klimtritroverà la sua cornice originaleFRANCESCA TONINI e FRANCO DEL ZOTTOLa Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro presentaun’ampia collezione di arte dell’Ottocento e arte modernaprevalentemente, ma non esclusivamente, italiana.Consistente è infatti la presenza dellacultura austro-tedesca e nordica,con l’eccellente opera di GustavKlimt Giuditta II del 1909, ospitatanel salone centrale al primo piano.Da alcuni anni l’opera è esposta inuna cornice lignea dorata che, però,è una copia dell’originale. Tale sceltaè stata motivata da una pesantedeformazione strutturale della cornicecoeva al dipinto e anch’essa operadi Klimt; il suo svergolamento,infatti, avrebbe potuto ripercuotersinegativamente sullo stato di conservazionedel capolavoro.Alla fine dello scorso anno laConservatrice del Museo ha incaricatola RCA – il nostro laboratorio direstauro – di verificare la possibilitàdi un ripristino della cornice per unsuo auspicabile ricongiungimento aldipinto, senza pregiudicarne l’integritàcon operazioni invasive.La cornice ha uno schema costruttivo molto semplice: due fasceverticali in legno dorato raccordate fra loro con una giunzione “acosta a mezzo legno” da due elementiorizzontali. Ciascuna fascia è costituitada un sandwich di due tavolesovrapposte, incollate una sull’altra;lo stesso procedimento è stato utilizzatoper i due elementi orizzontali.È risaputo che nel momento in cui siincollano fra loro due tavole per ottenerepiù spessore è indispensabileprestare attenzione al taglio e all’andamentodelle fibre e fare in mododi mettere in opposizione le eventualiforze di imbarcamento; le singoletavole devono cioè essere incollatea taglio opposto. In caso contrariocomparirà nel tempo una dannosaconcentrazione di forze orientate[194] La Giuditta II di GustavKlimt montata sulla copia dellacornice originale.[195] Particolare del bordoesterno della cornice in cui si notail sistema di incollaggio delle duetavole e l’incastro “a costa”.A T T I V I T À[196] Particolare dell’imbarcamento esvergolamento della cornice.nella medesima direzione, di poco significato in un listello, ma amplificatae assai visibile su una tavola di dimensioni simili a quelledella cornice.Il difetto della cornice di Klimt sorge quindi sia da una cattivascelta del legno sia da un non corretto incollaggio, condizioni chehanno provocato sia l’imbarcamento che lo svergolamento dellesingole fasce. A questo si aggiunge l’ulteriore aggravante che il legnodella cornice è stato trattato con preparazione, bolo e doraturasolo sul recto, provocando così un disomogeneo assorbimento diumidità fra le due facce e un conseguente comportamento anisotropodel legno, materiale per sua natura assai sensibile alle variazionitermoigrometriche dell’ambiente. Lo svergolamento, inoltre,non è stato sufficientemente frenato dai due elementi orizzontali, acausa della debolezza dell’incastro di collegamento, per cui si è trasmessoa tutto l’insieme.Da non trascurare poi l’effetto degli attacchi di insetti xilofagi,che hanno intaccato la struttura del legno, e i trascorsi interventi emanutenzioni, fra cui un tentativo di appianamento condotto staccandouna tavola e fissandola poi malamente con chiodi e colla nellaparte bassa, e alcuni ritocchi con oro falso applicato a missione euna verniciatura generale.In conclusione, lo svergolamento corrisponde a 48 millimetrisullo spigolo esterno della cornice e a 33 millimetri sullo spigolointerno, esattamente dove il dipintopoggiava con il suo telaio,con gravi conseguenze per lastabilità del dipinto stesso.Secondo una metodologia direstauro ottocentesca, epoca apartire dalla quale molti supportilignei furono ricondotti allaplanarità con interventi invasivie spesso distruttivi, anche ledeformazioni della cornice diKlimt si sarebbero risolte conmetodi drastici, quali un assottigliamentoe una successiva parchettatura che bloccasse le tavole,oppure con la realizzazione di tagli sul retro e il raddrizzamentoforzato delle deformazioni per mezzo dell’incuneatura degli stessi,operazioni a cui si sarebbe potuta affiancare l’impregnazione e l’impermeabilizzazionedel legno di supporto per ridurre lo scambiomicroclimatico e i conseguenti movimenti della fibra. Queste soluzioni,peraltro anche pericolose nell’attuazione, sono a nostro avvisoeticamente improponibili perché pregiudicherebbero irreversibilmentel’integrità del supporto ligneo e, di conseguenza, il valoredel manufatto.Sarà quindi indispensabile affrontare e risolvere la questionedel recupero della planarità della cornice originale in misura sufficienteper inserirvi nuovamente il dipinto, operando sulla basedel concetto del “minimo intervento”. Si metterà pertanto in attoun restauro non invasivo – né sulla materia-legno né sulla fruizionevisiva – che sia anche reversibile. In buona sostanza si realizzeràun supporto funzionale e a basso impatto estetico che, applicatoalla cornice, la riconduca in maniera stabile a condizioni di planaritàsufficienti, una sorta di “apparecchietto per i denti” che, forzandogradualmente le alterazioni strutturali, recuperi una condizioneottimale e la mantenga costante nel tempo.L’idea di progetto è teoricamente indirizzata alla realizzazionedi un telaio con sezioni ridotte – uno spessore di 3 millimetri e uningombro a sporgere sul retro di circa 15 millimetri – collocato trail dipinto e la battuta della cornice e costruito in materiale resistenteed elastico quale l’acciaio armonico. Questo tipo di interventosarà preventivamente testato con un prototipo.Da specifici calcoli matematici è emerso che saranno necessari41


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>15 chili di forza da applicare allospigolo esterno della corniceperché questa si appiani. Il telaio,di conseguenza, dovrà esserein grado di sopportare tale caricosu un unico spigolo senzasubire alcuna deformazione.Lungo i montanti – che corrispondonoalle tavole verticali –verrà aggiunto comunque untubolare in acciaio con due alialle estremità di circa 12 centimetri che collaboreranno a tenere inpiano non solo la cornice nel suo insieme ma anche le singole tavole.Le varie parti metalliche saranno alla fine saldate insieme in mododa ottenere strutturalmente un corpo unico.Per garantirne dimensioni ridotte si costruirà una struttura-telaiodi opposizione, non piana, ma caratterizzata da una deformazionecontraria rispetto a quella dellacornice; una volta assemblatol’insieme, la cornice ritroverà la planaritànecessaria e sufficiente a contenereil dipinto. L’intervento saràpoi completato vincolando la struttura-telaioalla cornice con una seriedi viti in acciaio, che penetrerannonel legno originale mediamente perdieci millimetri; le viti saranno nascostenella battuta e quindi non risulterannovisibili a dipinto montato.A completamento del lavoro siprovvederà inoltre al trattamentoantitarlo del legno, alla pulitura del supporto e della doratura cosìche Giuditta II possa finalmente ritrovare la sua naturale appendicepiù splendente che mai.I Luoghi di BaldassareIl successo della decima edizioneCLIZIA NALIN[197] Grafici di progetto dellastruttura-telaio per il raddrizzamentodello svergolamento.[198] Esempio di montaggio delsupporto a una cornice in cuil’incastro a filo della battuta èrinforzato da viti in acciaio.A T T I V I T ÀSi è conclusa il 22 ottobre scorso la decima edizione consecutivadel Festival “I Luoghi di Baldassare” che, anche quest’anno,ha goduto del prezioso appoggio di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>e del Consorzio Venezia Nuova e ha potuto contare, come sempre,sulla collaborazione dell’Assessorato alla Cultura del Comunedi Venezia, della Regione del Veneto, dei Musei Civici Veneziani ealtri importanti istituzioni quali il Teatro La Fenice e la FondazioneGiorgio Cini.Il Festival, partito con qualche difficoltà a causa dell’incertezzadei finanziamenti pubblici fino all’ultimo istante, ha portato comunquea termine anche questo ulteriore passo avanti, sviluppandotemi che gli sono ormai consueti e proponendone di nuovi, obbedendocosì alla logica e agli obiettivi che fin dall’inizio l’AssociazioneFestival Galuppi – ideatrice e promotrice dell’evento – siè prefissa: progredire accogliendo continuamente spunti che provengonodal mondo musicale e culturale nel suo complesso e chelo arricchiscono lasciando spazio a proposte che si sono aggiunte initinere e che si aggiungeranno nelle prossime edizioni.Secondo una peculiare dinamica interna, la sezione concerti –che quest’anno ha costituito la prima parte della rassegna – si èmossa in più direzioni e ha esorditocon un genere musicale per essanuovissimo. L’inaugurazione – avvenutaal Teatro Goldoni l’11 di settembre– è stata affidata infatti alviolinista compositore Lino Cannavacciuoloche ha presentato un veroe proprio spettacolo con musiche dalui stesso composte proprio per questaoccasione, il cui spunto è statofornito dalla coincidenza – naturalmentevoluta – della data con l’e-[199-200] Memento, il concertodi Lino Cannavacciuolo che ha vento epocale che nessuno può certoinaugurato il Festival Galuppi al dimenticare. Lino CannavacciuoloTeatro Goldoni l’11 settembre.ha suonato assieme al suo ensemble ealla bellissima vocedi Elena Ledda. Ilpubblico, dapprimaun po’ sorpreso trovandosidi fronte aun genere inconsueto,ha però rispostopositivamente.Un’altra importante novità sono state le sedi scelte per quest’edizione.Un concerto si è svolto infatti nell’isola di Pellestrinacon protagonisti un gruppo musicale di giovani strumentisti. Ilpiccolo ensemble, costituitosi nel 2000, porta avanti un lavoro di ricercache, pur partendo dalla musica classica, vi fa confluire generinuovi che vanno dall’etnico, al jazz, al blues, in un repertorio daloro stessi definito “musica di confine”. Un’altra sede nuova è stataMalamocco che ha offerto la sua incantevole Piazza Maggioreper un ensemble di clarinetti, così come Murano con un coro di vocibianche nella splendida e di recente restaurata Chiesa di SanPietro Martire e naturalmente l’immancabile Burano con un concertocostituito principalmente da sonate per clavicembalo, strumentoper il quale Galuppi scrisse moltissimo. Si può affermareche questo breve ciclo di quattro uscite nelle isole della laguna abbiacostituito una piccola rassegna all’interno della rassegna stessa,aggiungendo un motivo di interesse alla musica nella scopertadi luoghi raramente visitati e raccogliendo un pubblico entusiastae particolarmente attento a questo abbinamento di stimoli culturalidiversi.Non è mancata una forte presenza di Mozart con concerti chehanno portato avanti il percorso di avvicinamento, iniziato tre annifa, verso il duecentocinquantenario della nascita del grande diSalisburgo che si celebrerà nel 2006. Di spicco è stata la conclusione,in due serate, del ciclo integrale delle sonate per pianoforte eseguitedal pianista veneziano Massimo Somenzi, grande interpretemozartiano, che ha fatto scoprire aspetti interpretativi inediti, scavandoall’interno di una sensibilità già preromantica e gettandouna luce nuova sulla musica dell’ultimo Mozart. Somenzi è statoapplauditissimo e l’Associazione ha voluto ricordare l’evento con la42


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>consegna di un premio speciale.A Mozart sono stati inoltre interamentededicati altri dueconcerti, l’uno con le serenateper ottetto di fiati su strumentioriginali e l’altro con i trii perfortepiano, violino e violoncelloeseguiti anch’essi alla maniera[203-204] La sezione Opera del Festival hapresentato quest’anno L’inimico delle donne diBaldassare Galuppi al Teatro Goldoni.[201-202] La consegna nel Salone daBallo di Ca’ Rezzonico del premiospeciale al maestro Massimo Somenziche, nel corso di cinque concerti svolti intre edizioni del Festival, ha eseguitol’integrale delle sonate per pianoforte diMozart. A sinistra, il concerto del TrioStradivari.barocca dal celeberrimo Trio Stradivari che ha fra i suoi obiettiviinterpretativi esecuzioni “storicamente informate”.La conclusione del Festival, costituita dalla sezione opera, havisto la presentazione di un’opera inedita e mai finora eseguita intempi moderni di Baldassare Galuppi: L’inimico delle donne, appositamenterivista e trascritta dal musicologo Franco Rossi. L’opera,che si svolge in ambienteorientale, inaccordo con i gustidell’epoca, costituiscel’anticipo dellecelebrazioni per iltrecentesimo dellanascita del Buranello(<strong>17</strong>06), in coincidenzaanche con iltrecentesimo dellanascita di un altrogrande cittadino veneziano,Carlo Goldoni,che si celebrerànel 2007. Lacoincidenza ricopreparticolare importanzadato che il sodaliziofra i due fulungo e fruttuoso eda esso videro la luceuna trentina di opere. Proprio nel 2007 il Festival ha in programmadi mettere in scena una di queste: La calamita de’ cuori.Per il 2006 invece è Ifigenia in Tauride, sempre naturalmente diBaldassare Galuppi, l’opera scelta per il Festival in quanto risvegliaparticolare interesse essendo anch’essa inedita e scritta nel periodoin cui Galuppi soggiornò a San Pietroburgo, chiamato dallazarina Caterina di Russia, data la grande fama di cui il compositoresi circondava in patria e fuori.Dunque ancora una volta si chiude una rassegna che non dimenticadi tendere la mano al futuro, prefissandosi, come sempre,di fornire al pubblico proposte nuove e stimolanti, e cercando di arricchireculturalmente divertendo allo stesso tempo, senza isterilirsinella ripetitività e nella stucchevolezza.A T T I V I T ÀScuole & Famiglie al Museo: attivitàsostenute da <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Anche quest’anno la <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> ha rinnovato il proprioimpegno a sostegno delle iniziative che l’Ufficio AttivitàDidattiche dei Musei Civici Veneziani ha ideato eorganizzato sia per le scuole che per le famiglie.Come afferma il Professor Giandomenico Romanelli – Direttoredei Musei Civici Veneziani – in questi ultimi anni il rapportoscuola-museo si è intensificato e si è registrato un sensibile incremento,in termini quantitativi e qualitativi, della domanda di servizididattici da parte delle istituzioni scolastiche. Proprio in questadelicata fase in cui la scuola è spinta a ridefinire il proprio ruoloe a ricercare nuove metodologie per confrontarsi con i mutamentie le nuove esigenze della società, i musei assumono una valenzaeducativa straordinaria.La didattica museale, intesa non solo come fonte di conoscenzama anche come insieme di strumenti e stimoli per processi di crescitaindividuale e sociale, si pone come sistema integrato con le diversestrategie di insegnamento attraverso un’offerta multidisciplinareche armonizza i differenti approcci culturali e supera la divisionetra le discipline scolastiche.Le proposte didattiche offrono uno specifico programma in gradodi interagire con un’offerta formativa pluridisciplinare che si articolain sei principali filonid’intervento: Itinerari Tematici,Percorsi Attivi, Laboratori, Attivitàper esposizioni temporanee,Servizio di consulenza eCorsi di aggiornamento per insegnanti.[205-206] Attività didattiche neimusei per famiglie e scuole.Parallelamente l’Ufficio AttivitàDidattiche ha progettatoanche per quest’anno il programmaFAMIGLIE AL MUSEO rivoltoai genitori che voglionoavvicinarsi al museo durante iltempo libero e condividere esperienzeculturali ed estetiche resepiacevoli grazie a giochi mirati ead attività di animazione. Ancorauna volta sarà quindi prevista una pluralità di iniziative attivatesimultaneamente in più sedi museali in modo da accogliere e contemplarele esigenze diverse. I genitori potranno scegliere se “giocare”assieme ai loro figli o, quando previsti, seguire itinerari a lororiservati.Tutte le attività hanno carattere ludico ma sono mirate a stimolarela conoscenza dell’opera d’arte, la capacità di osservazione eanalisi, interesse e rispetto per il bene culturale; un modo per viverequesti luoghi così famosi in tutto il mondo, ricchi di stimoli esuggestioni, attraverso esperienze originali che offrono un’immaginenuova del museo come luogo di divertimento e aggregazione. Leproposte, che negli ultimi anni hanno riscosso un grosso successodi pubblico, sono organizzate a rotazione nei vari Musei Civici prevalentementedi domenica e hanno come spunto sia le collezionipermanenti che le esposizioni temporanee.43


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Un’opera della Biennaledonata a <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>dall’Istituto Italo-Latino AmericanoC O M U N I C A Z I O N IUna delle caratteristiche fondamentali di <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>è aver sempre e costantemente cercato di instauraree stimolare rapporti di scambio culturale con le più diverseistituzioni veneziane, italiane e comunque internazionali.Rapporti e scambi basati sul presupposto che unire le forze significadare il meglio e ampliare non solo il proprio raggio di azione maanche le proprie conoscenze, le proprie esperienze, il proprio pensiero.Con questo concetto, la scorsa primavera <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>ha favorevolmente accolto la proposta di patrocinare il PadiglioneUfficiale dell’Istituto Italo-Latino Americano alla 51. EsposizioneInternazionale d’Arte di Venezia.Il Padiglione – che ha ospitato i più noti artisti di dodici deiventuno paesi membri dell’Istituto: Bolivia, Cile, Colombia, CostaRica, Cuba, El Salvador, Guatemala, Haiti, Panama, Paraguay,Perù e Repubblica Domenicana – presentava opere ispirate al temade La trama e l’ordito nei suggestivi spazi di Palazzo Cavalli Franchettiappena restaurato. Una delle opere maggiormente ammiratee che più ha attratto la curiosità dei visitatori del Padiglione è stataOvillos (gomitoli) del giovane artista Joaquín Sánchez, un’installazionecomposta da tre grandi gomitoli, dalle dimensioni variabilida un 1,5 a 2 metridi diametro, realizzaticon grossi filidi lana di lama e alpacae realizzata appositamenteperquesta edizione dellaBiennale.Per generosa decisionedell’Istituto Ita-[207] L’opera di Joaquín Sánchez sul pianerottolodello scalone di Palazzo Franchetti.lo-Latino Americano(IILA) e di JoaquínSánchez, Ovillos è stata donata a <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> grazie anche allavoro di relazioni esterne condotto dalla nostra associata CarlaD’Orazi con il coordinatore culturale dell’IILA, Alessandra Bonanni.L’opera entra nel piccolo patrimonio che la nostra associazioneha iniziato a collezionare dallo scorso anno: tre dipinti di PompeoMolmenti e una scultura di Lello Esposito.Ma conosciamo meglio questo nuovo artista e la sua opera recentementeacquisita leggendo i testi di Irma Arestizábal e CeciliaBayá Botti nel catalogo della mostra La trama e l’ordito. JoaquínSánchez, nato in Paraguay nel 1975, da sei anni ha scelto di viverein Bolivia, dove ha trovato terra fertile per le sue creazioni intimamentelegate alla produzione dei popoli autoctoni, con il loro tessutoumano, con le espressioni vive della regione.Consapevole del fatto che la Bolivia è uno dei paesi che più haconservato la tradizione ispanica e coloniale del tessuto, l’artistavolge lo sguardo verso la tradizione popolare, ancora legata a unmondo rurale in via di smantellamento, e realizza una proposta plasticarinnovata: Ovillos. L’opera di Sánchez ci ricorda infatti la riccatradizione dei tessuti andini. Con i monumentali gomitoli di lanadi vigogna e lama, l’artista propone contenuti culturali locali offrendouna nuova interpretazionedi unarealtà ancora validanell’anima meticciadel continente. Lasua opera rivela l’intensodesiderio di recuperarele arti deltessuto e inserirlonell’arte boliviana.Interrando i fili dei [208] Ovillos (gomitoli) di Joaquín Sánchez.gomitoli nel suolo,ci parla della “Madre Terra”, dell’unione delle arti con la parte piùprofonda dell’essere, della creazione. La sfera può essere interpretata,simbolicamente, da molteplici punti di vista: come rappresentazionedell’eternità e della ciclicità, come totalità delle possibilitàin un mondo limitato, come un elemento primordiale che dà luogoalla costruzione di un tessuto culturale, a un’identità. Questi“gomitoli” sono sfere di materia pronte a essere svolte per tesserenuove storie, per intrecciare realtà, per stabilire rapporti, per metterein comunicazione. Tali sfere conficcano i loro bandoli nella terrao nel pavimento in un tentativo di ricerca: sono lì pronte percombinare il loro ordito con una nuova trama. I colori vivaci dellalana, usati nei vestiti e nei tessuti degli indigeni delle Ande, conferisconovitalità alla scena e contrastano con l’ambiente di un freddoe arido paesaggio dai toni di terracotta. La stessa cosa succedequando i gomitoli vengono installati in mezzo a una città, sul pavimento,in mezzo a edifici resi opachi dall’inquinamento.L’opera di Joaquín Sánchez è un felice risultato di ibridazionetra le tendenze artistiche e le nuove tecnologie, che aprono agli artistilatinoamericani nuove finestre attraverso le quali questi lascianopassare con particolare orgoglio la forza delle loro radici.I nostri Soci al 3 novembre 2005Anna AddarioTommaso AddarioGiovanni AlliataFiorella AlvinoMaria Pia AntonelloFrancesco e Annette ArcucciAriston CaviBianca ArrivabeneNatalia AspesiAssicurazioni GeneraliMaria Gabriella AttardiLuigi e Maddalena BacialliPaola BagnascoBanca LombardaBanca MediolanumAldo BarbieriPiergiorgio BaroldiGiuseppe BarrancoReginald BartholomewAnnabella BassaniTony e Maria Pia BassaniMonica BedeschiBellini/CanellaGilberto e Maria Laura BenettonGabriella BerardiMiranda BergamoAntoine e Francine BernheimEdoardo BerniniFranca Bertagnin BenettonPatrizio e Miuccia BertelliAdriana BertiGiovanni BettaninAnnalisa BissonFranco e Carla BonelliAnna BoschettiMaria Laura BoselliAlberto BovoMario BovoBracco SpAAlvise Braga IllaLino BrentanEnnio e Giorgia Brion44


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>BulgariTonino CacaceOreste CagnatoGiovanni CaizziFrancesco CaltagironeAntonella CameranaSergio CamerinoLorenzo CanellaLino CannavacciuoloPaolo CantarellaMaria Carmen Carpinelli FredellaLella CavaggionGiacomo CavallucciImma CavallucciAlessandro Cecchi PaoneRoberto CelliJacques CharmelotRomeo ChiarottoGlorianda CipollaMargherita Cirino GabrieleMassimo CodaGiuliana Coen CamerinoPiergiorgio e Franca CoinConsorzio Venezia NuovaCarlalberto CornelianiSerena Corvi MoraMaria CriscuoloMaurizio e Carla D’OraziGiuliana Dall’OraMita De BenedettiAldo Mauro De LiperiMariuccia de LordDiana De Silva BraccoNereo e Giustina DestroIgnazio DisanoRiccardo DonadonPaola DoriaEnnio DorisRoberta DroulersJohn e Silvana Dunbar RoakeMarina EliadesLello EspositoFlavia FaccioliGiuseppe FaggiottoInge FeltrinelliFondazione VeronesiAlessandra FornariPaola Forni TonelliEnnio FortunaCorrado FratiniRoberto GabeyMary GaggiaGalleria Bernier EliadesGalleria ForniGalleria Lehman-MaupinGalleria SonnabendGalleria Thaddeus RopacGalleria White CubeOrestina GardellaAnne Giscard d’EstaingMauro GiustoMarino GolinelliGrafiche QuattroGrand Hotel et de MilanGiorgio GratiMarina GregottiRandolph H. GuthrieMirella HaggiagHausbrandt TriesteHotel Caesar AugustusHotel CiprianiHotel Europa PalaceHotel GrittiIILA Istituto Italo-LatinoAmericanoIrca SpAMaria Luisa JaegerPiergiusto JaegerPeter e Danielle KarlsonEdward M. KennedyKrizia SpAAleramo LanzaRiccardo LanzaLanza & BaucinaGloria LevoniPompeo LocatelliVanda LocatelliLarry LovettGino e Francesca LunelliAntonella MagaraggiaAmalia MaggioliJames Maitland-SmithAnnamaria Malato RanucciFranca ManciniAlissia MancinoFilippo MancinoRocco MancinoMariuccia MandelliAndriana Marcello del MajnoAlessandra MarcoraMaria Luisa Marsala LupoCecilia Matteucci LavariniAldo MaugeriGiovanni MazzacuratiChantal MerieuxFrancesco MerloniAndrea MitchellNadia MoldovanFrancesco MolinariGianni MontiLuigi MoscheriGianfranco MossettoHerbert MuschampAntonella NoninoC O M U N I C A Z I O N IMarco NovellaRenato PagnanAuro PalombaGiovanni PandiniGiulia ParenteIsabella Parodi DelfinoCorrado PasseraGuido PennisiPier Paolo PiccinelliRiccardo PittisMassimo PonzelliniPradaSamaritana RattazziGiancarlo RendaJuan RibasRichard e Carole RifkindCesare RiminiGuido RoncaliDodie RosekransPierre RosenbergNatale RusconiRossana Sacchi ZeiAugusta SadaSan Marco Consorzio CostruttoriVenetiJoaquín SánchezPatrizia Sandretto Re RebaudengoGiancarlo e Diana SantalmassiCarlo SarassoMaria Silvia ScapinelloRenato ScapinelloShel ShapiroSimona SignoracciPaolo e Patrizia SignoriniSimonetta SimoniPaolo SinigagliaKiki SmithSocietà Autostrade Venezia ePadovaSylvia SodiLina SotisGiuseppe e Titti StefanelStarwood Hotels & Resorts –VeneziaTatiana TabacchiVittorio TabacchiGuido e Letizia TaidelliLeonardo TricaricoSalvatore e Paola TrifiròTriumph CongressiGino e Franca TrombiCarolina ValmaranaMassimiliano VentimigliaGuido VenturiniUmberto VeronesiSandra VezzaFrancesco VezzoliLaura VillaniGraziano VisentinEnrico VitaliMaria Alberta Viviani CorradiCerviVivien Weissman HowardMartino ZanettiAngelo e Marisa Zegna diMonterubelloMariuccia Zerilli MarimòGiovanni Zillo Monte XilloGianfranco ZoppasAlessandro e Alessandra ZoppiConsigli per la lettura• JOHN BERENDT, Dove cadono gli angeli. Venezia e altri misteri, Milano,Rizzoli, 2005, € <strong>17</strong>,00.Venezia, città di maschere ed enigmi, dove calli e sottoportici formano un gigantescolabirinto che confonde i profani e aumenta il senso di mistero. Accattivantequanto elusiva, la città vacilla in un precario equilibrio tra resistenzae decadenza. Tesori architettonici si sbriciolano – le fondamentaslittano, le decorazioni cadono – anche se gli sforzi per salvarli sono tanti.La storia raccontata da Berendt inizia il 29 gennaio 1996 quando unospaventoso incendio distrugge lo storico Teatro La Fenice. La perdita dellaFenice, dove debuttarono ben cinque opere di Verdi, è una catastrofe per i veneziani,resa ancor più tragica dalla notizia che l’incendio è di natura dolosa.Berendt arriva tre giorni dopo l’incendio e, come una sorta di detective,indaga sulla natura della vita in questa straordinaria città mentre cercala verità sull’incendio. Nel corso delle sue indagini Berendt incontra unavasta gamma di personaggi: un agguerrito procuratore che diventa paonazzoquando si arrabbia; un importante poeta veneziano il cui sconvolgente“suicidio” spinge gli amici a sospettare che sia un omicidio; la prima fami-45


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>glia di espatriati americani alle prese con la perdita del loro palazzo sulCanal Grande dopo quattro generazioni; un’organizzazione di altolocatiamericani, attivamente impegnati nella raccolta fondi per salvaguardarel’arte e l’architettura di Venezia; un pittore surrealista veneziano noto localmenteper essere un irriguardoso burlone e provocatore; la ventunesima generazionedi maestri vetrai; e molto altro ancora: intrappolatori di piccioni,capri espiatori, prostitute, sonnambuli, l’Uomo dei Topi di Treviso eHenry James. Berendt ci presenta un racconto pieno di atmosfera e sorpresache le storie stesse contribuiscono a formare; una dopo l’altra, alla fine dipingonoun mondo che sembra finemente ritratto da un pittore di naturemorte. L’incendio e le sue conseguenze non sono altro che il filo conduttore ditutto il volume che contribuisce a far crescere la tensione e a svelare la cittàdi Venezia in tutto il suo mistero, la sua magia e la sua decadenza.• SERGIO CAMERINO, C’era una volta Broadway, Milano, Bompiani,2005, € 13,00 cofanetto con libro e cd.“Night and day, Cheek to cheek, Blue moon, My funny Valentine,White Christmas, Ol’man river, Smoke gets in your eyes: la mia generazioneha amato queste canzoni più dei versi della Cavallina storna edi altri testi d’antologia da mandare a memoria. Gli americani le chiamanoevergreen, per significare che non invecchiano, non hanno rughe.Nella dimensione dell’immortalità non contano i titoli di nobiltà né la provenienzapiù o meno plebea e neppure la distinzione tra arte colta e arte popolare.Il segno di Zorro ha la stessa legittimazione della lettera scarlattacucita sul petto di Hester Prynne. Jerome Kern, Irving Berlin, Cole Portere Richard Rodgers, gli autori di queste stesse canzoni, sono considerati ifondatori di quel genere di spettacolo, composto di musica, danza e recitazione,che va sotto il nome di musical, abbreviazione per musical comedy,un genere che taluni considerano l’unica forma originale di teatroal di là dell’oceano. Secondo altri, il musical non sarebbe che la vecchia operettaeuropea rivestita di panni americani”. Comincia così questo libro,scintillante come una delle favole più belle che l’America abbia mai raccontato:c’era una volta Broadway...• ALBERTO TOSO FEI, Misteri della laguna e racconti di streghe. Guidaai luoghi arcani tra le isole di Venezia, con fotografie di ManfrediBellati, Treviso, Elzeviro, 2005, € 15,00.Un viaggio per scoprire i luoghi misteriosi della laguna di Venezia, sospintidal flusso di una narrazione che conduce lontano nel tempo, in una dimensioneancestrale popolata da figure mitiche e divine, ma anche da creaturemostruose, demoni e streghe, incarnazione di una natura ambigua, temuta– pur nell’apparente e placida quiete millenaria – dalle proprie antichegenti. Una guida insolita che, tracciando un ideale percorso tra le isole, rivelai leggendari segreti e le curiosità di un paesaggio arcano e indefinitoin cui storie di santi, di anime dannate e di comuni mortali si intreccianonella magia incontrastata delle acque dalle quali sorse e attinse linfa vitaleuna grande civiltà.C O M U N I C A Z I O N I• Mitoraj. Sculture e disegnifino al 18 dicembre: da martedì a domenica 10-<strong>17</strong>Ca’ Pesaro, Santa Croce 2076, tel. 041-5241075Approfondimento a p. 3• La Svizzera paese di fumettifino al 23 dicembre: da lunedì a sabato 14-18ISR Spazio Culturale Svizzero, Dorsoduro 810, tel. 041-2411810La mostra offre uno spaccato della storia e della produzione contemporaneain un piccolo Paese con una ricca e variegata creazione fumettistica. La retrospettivastorica prende avvio con il ginevrino Rodolphe Töpffer, “inventore”del fumetto nella prima metà del XIX secolo, e termina con i fumettistipiù giovani contemporanei che seguono nuovi, personali percorsi eosano inediti esperimenti artistici in riviste ed edizioni proprie nei centridi Ginevra e Zurigo.• Le vesti del poterefino al 31 dicembre: da martedì a domenica 10-16chiuso 25 dicembre e 1° gennaioPalazzo Mocenigo, Santa Croce 1992, tel. 041-72<strong>17</strong>98La mostra presenta un centinaio tra capi d’abbigliamento, tessuti e merlettioltre a dipinti e incisioni. Tra i capi più significativi una toga senatorialedi damasco del XVIII secolo, completa di stola di velluto rosso e cremisi,un corno dogale completo di camauro (la cuffietta di batista di linoportata sotto il simbolico copricapo), un paliotto del XV-XVI secolo, un pivialedel XVI secolo, oltre ad antichi, sontuosi tessuti, preziosi merletti ericami. Tra le incisioni, preziose opere cinquecentesche capaci di documentareil fasto e il significato dei costumi dogali. L’allestimento è contestualizzatonella sede del museo che espone permanentemente preziosi capi d’abbigliamentoe accessori per lo più di provenienza veneziana, realizzati intessuti operati, spesso impreziositi da ricami e merletti che ben documentanole capacità di una folta schiera di artigiani che hanno contribuito allacreazione di quell’eleganza raffinata e lussuosa per la quale i Venezianierano famosi.• La natura morta alle Gallerie dell’Accademiafino all’8 gennaio: da martedì a domenica 8.15-19; lunedì 8.15-14Gallerie dell’Accademia, Dorsoduro 1023, tel. 041-5200345Approfondimento a p. 4• Candida Höfer fotografa l’opera di Carlo Scarpadal 29 novembre all’8 gennaio: da martedì a domenica 10-18venerdì e sabato 10-22Fondazione Querini Stampalia, Castello 5252, tel. 041-2711411Approfondimento a p. 7Mostre & Esposizioni a Venezia• La cheba dei mati [La gabbia dei matti]fino al 4 dicembre: tutti i giorni 10-18Isola di San Servolo, tel. 041-2765001L’incantevole isola della laguna, un tempo manicomio provinciale e oggicentro culturale e di studi avanzati, è la sede di Art Lab, prima residenzaartistica a Venezia. Un gruppo di artisti è stato invitato lo scorso agosto avivere e lavorare in isola per produrre un’opera ispirata al tema della follia.La mostra presenta i progetti artistici realizzati durante la residenza.• Il diaframma di Lanfranco ColomboI maestri della fotografiafino all’8 gennaio: da mercoledì a lunedì 10-18chiuso 25 dicembrePeggy Guggenheim Collection, Dorsoduro 701, tel. 041-2405404La mostra è un’occasione per analizzare da vicino una sorta di breve storiadella fotografia dagli anni sessanta a oggi che spazia dal reportagealla ricerca, dal ritratto alla fotografia naturalistica, dalla moda allostill life. Accanto agli autori italiani compaiono anche molti esponenti dispicco della fotografia francese, americana, inglese, giapponese, spagnola etedesca.46


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>• Quixote/Chisciotte. 1605-2005Mostra di edizioni rare e di pregio, traduzioni italiane estraniere nelle biblioteche venezianefino al 18 gennaio: tutti i giorni 10-<strong>17</strong>chiuso 25 dicembre e 1° gennaioBiblioteca Nazionale Marciana, San Marco 13/a, tel. 041-2407211Approfondimento a p. 4.L’atelier dell’artista riapre con un allestimento che da un lato ne propone eriprende l’ambiente e la temperie, dall’altro indaga gli esiti espressivi dellosguardo di Fortuny su Venezia, nei suoi primi anni in città, all’iniziodel Novecento, attraverso più di cento immagini fotografiche, tra cui sessantastraordinarie vedute, affiancate a interni, a ritratti in cui il medesimosoggetto è dipinto e ripreso in fotografia, e poi abiti, tessuti, testimonianzedi viaggio e altro ancora.• Un Gauguin a Ca’ PesaroLe cheval blanc dal Museo d’Orsay di Parigifino al 22 gennaio: da martedì a domenica 10-<strong>17</strong>chiuso 25 dicembre e 1° gennaioCa’ Pesaro, Santa Croce 2076, tel. 041-5241075Approfondimento a p. 6• Da Bellini a TiepoloLa grande pittura veneta della Fondazione Sorlinifino al 26 febbraio: tutti i giorni 10-<strong>17</strong>Museo Correr, Piazza San Marco, tel. 041-2405211chiuso 25 dicembre e 1° gennaioApprofondimento a p. 2• Emanuele Luzzati. Il Milione di Marco Polodal 10 dicembre al 2 aprile: tutti i giorni 9-<strong>17</strong>; dal 1° aprile 9-19Museo Correr, Piazza San Marco, tel. 041-2405211chiuso 25 dicembre e 1° gennaioApprofondimento a p. 8• Omaggio ad Alberto Gianquintodal <strong>17</strong> dicembre al 26 febbraio: tutti i giorni 9-<strong>17</strong>Museo Correr, Piazza San Marco, tel. 041-2405211chiuso 25 dicembre e 1° gennaioApprofondimento a p. 7• Mariano FortunySguardo su Venezia all’inizio del Novecentodal 18 dicembre al 2 luglio: da martedì a domenica 10-<strong>17</strong>Palazzo Fortuny, San Marco 3780, tel. 041-5200995chiuso 25 dicembre e 1° gennaioC O M U N I C A Z I O N I• Tintoretto, il ciclo di Santa Caterina e la quadreria delPalazzo Patriarcalefino al 30 luglio: tutti i giorni 10-18Museo Diocesano, Castello 4312, tel. 041-5229166Approfondimento a p. 6Anticipazioni• Venezia. La scena dell’arte 1948-1986Peggy Guggenheim Collection, dal 5 febbraio al 21 maggioFotografie in bianco e nero di ritratti di artisti, le cui opere sono presentinella Collezione Guggenheim, per ricostruire il clima artistico del Novecentotra contestazione e arte impegnata. Tra gli altri, Giacometti, Picasso,Miró, Ernst, de Chirico, Braque, Dalí, Chagall fino ai contemporaneiPascali, Kounellis, De Dominicis, Beuys.• Hans Jean Arp e Sophie Täuber ArpCa’ Pesaro, dall’8 aprile al 18 giugnoLa mostra indaga i rapporti professionali e personali tra i due artisti e leloro affinità elettive. Hans Jean Arp, scultore astrattista-surrealista, eSophie Täuber Arp, pittrice astrattista e scultrice, hanno contribuito, conmodalità diverse ma parallele a modificare il percorso dell’arte del Novecento.Un affascinante itinerario attraverso cinquanta opere provenienti daimportanti musei e da prestigiose collezioni private che presentano efficacementegli esiti espressivi di due grandi artisti e l’intreccio dei loro rapporti.• Tintoretto. I Bozzetto per il ParadisoPalazzo Ducale, settembre / novembreLa mostra presenterà alcuni bozzetti preparatori, provenienti dalle collezionidel Louvre e del Museo del Prado, della più grande tela mai realizzata.<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Ca’ RezzonicoDorsoduro 313630123 Veneziatel. & fax 041-2774840e-mail veniceinter@tin.itwww.venicefoundation.orgRedazione, impaginazione e ricerca iconograficaCinzia Boscolo con Elena ColellaAssistentiCarla D’Orazi, Marzia StorelliStampaGrafiche QuattroSanta Maria di Sala (VE)© Copyright 2005 <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Tutti i diritti riservati.Per i contributi, la <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> ringraziaFrancesco Amendolagine, Manlio Brusatin, Franca Coin,Giovanna Dal Bon, Franco Del Zotto, Antonio Foscari,Franco Gazzarri, Marina Gregotti, Francesco Monicelli,Clizia Nalin, Elisabetta Pasqualin Vespignani,Paola Pavanini, Filippo Pedrocco, Iris C. Pezzali,Giandomenico Romanelli, Tudy Sammartini,Alessandro Scarsella, Francesca Tonini, Giovanni Valentini,Carolina Valmarana, Cino Zucchi.Per la collaborazione si ringrazianoIrma Arestizábal, Elisabetta Ballarin, Francesco Barasciutti,Roberto Barbalich, Riccardo Bon, Alessandra Bonanni,Alexia Boro, Sara Bossi, Anna Bravetti, Annalisa Bruni,Elisa Chiorino, Piera Condorelli, Giusi Conti, MonicaDonaglio, Laura Hierche, Istituto Veneto di Scienze Lettere edArti, Elisa Longo, Eleonora Menadeo, Lorenzo Muner,Eleonora Pagnottella, Alessandro Paolinelli, Filippo Pedrocco,Sofia Rinaldi, Sandra Rossi, Flavia Scotton, Stefano Stocco,Annalisa Tonicello, Alessandro Zangrandoe gli Uffici Stampa di Arthemisia, Peggy GuggenheimCollection, Fondazione Querini Stampalia, Marsilio Editore,Musei Civici Veneziani, Studio Esseci.Referenze fotografiche:Archivio fotografico Sophie Kailensky, Venezia, di Iris Pezzalie Fausto Valente (n. <strong>17</strong>1); Archivio Storico del Comune diVenezia (nn. 116, 121-122, 130-131, 133, 162-165,<strong>17</strong>9); Archivio <strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong> (nn. 1, 153, 158-159,207-208); Arthemisia (nn. 28-29); Assessorato ai LavoriPubblici del Comune di Venezia (nn. 180-183); AssociazioneScientifica Palazzo Cappello (nn. 128, 132, 136-139);Francesco Barasciutti (nn. 199-204); Charta (22-26);Fondazione Querini Stampalia (nn. 30-32); Musei CiviciVeneziani (nn. 4-13, 27, 184-193, 194, 205-206); RCAdi Franco Del Zotto e Francesca Tonini (nn. 195-198);Soprintenza per il Polo Speciale Veneziano (nn. <strong>17</strong>-21);Studio Esseci (nn. 14-16); <strong>The</strong> Solomon R. Guggenheim<strong>Foundation</strong>, foto dell’Archivio Cameraphoto Epoche, donodella Cassa di Risparmio di Venezia (108-110); Cino ZucchiArchitetti (nn. 1<strong>17</strong>-120, 123-126).Le altre immagini sono tratte da pubblicazioni in commercio oda siti internet.Chiuso redazionalmente il 3 novembre 2005.La redazione non è responsabile di eventuali variazioni nelleprogrammazioni annunciate.47


<strong>Venice</strong> <strong>Foundation</strong>Scheda di adesioneDesidero aderire a VENICE FOUNDATION come:SOCIO € 600,00SOCIO SOSTENITORE € 3.000,00SOCIO BENEMERITO € 6.000,00Nome: _____________________________________Personale: __________________________________Cognome: __________________________________Azienda: ___________________________________Indirizzo: _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________Telefono: ___________________________________Fax: _______________________________________Assegno/Bonifico : _____________________________________________________________________________Banca: ______________________________________________________________________________________intestato aTHE VENICE INTERNATIONAL FOUNDATIONversamento sul conto corrente numero07400646510Cassa di Risparmio di Venezia(cin F – abi 06345 – cab 02000)Sede Centrale – San Marco 4216 – 30124 VeneziaSOCIO ORDINARIO€ 600,00• art pass di libero accesso ai Musei Civici Veneziani:i Musei di Piazza San Marco (PalazzoDucale, Museo Correr, Torre dell’Orologio, BibliotecaMarciana, Museo Archeologico), Ca’ Rezzonico,Museo Vetrario di Murano, PalazzoMocenigo, Casa Goldoni, Ca’ Pesaro, MuseoFortuny, Museo di Storia Naturale, Museodel Merletto di Burano• pre-view esclusive alle mostre organizzate dalComune di Venezia• invio note informative sui servizi e sulle attivitàculturali organizzate dal Comune di Veneziae su quelle a esso gemellate• invio note informative su eventi speciali eviaggi organizzati per eventi culturali gemellati• partecipazione agli eventi associativi esclusiviSOCIO SOSTENITORE€ 3.000,00• stesse prerogative dei Soci Ordinari• libera circolazione ai musei con tre ospiti accompagnatidal socio• catalogo delle mostre organizzate dal Comunedi Venezia• possibilità di utilizzo esclusivo, su richiesta,dei locali e dei servizi di caffetteria*• possibilità di visite guidate esclusive durantel’orario di apertura dei musei e delle mostre* i costi, calcolati sulla base degli spazi e dei servizirichiesti, saranno di volta in volta comunicati.®SOCIO BENEMERITO€ 6.000,00• stesse prerogative dei Soci Sostenitori• studio di programmi di utilizzo dell’immaginedei Musei a fini aziendali• possibilità di inserimento di marchio e messagginelle linee di marketing dei Musei• uso esclusivo, su richiesta, degli spazi* nonadibiti a mostre temporanee per eventi aziendali• apertura esclusiva e utilizzo, su richiesta, deglispazi museali al di fuori dell’orario diapertura*• invito alle cerimonie inaugurali delle grandimostre• prelazione sulla sponsorizzazione di mostreed eventi* i costi, calcolati sulla base degli spazi e dei servizirichiesti, saranno di volta in volta comunicati.Ca’ Rezzonico, Dorsoduro 3136 – 30123 Venezia tel./fax +39 041 2774840 veniceinter@tin.it www.venicefoundation.org

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