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Engels: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato

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<strong>Engels</strong>: <strong>L'origine</strong> <strong>della</strong> <strong>famiglia</strong>, <strong>della</strong> <strong>proprietà</strong> <strong>privata</strong> e <strong>dello</strong> <strong>Stato</strong> – VILivio da noi citato). Se questa ipotesi è giusta, il passo non prova assolutamente nulla circa le condizioni delle Romane pienamente libere,e perciò non si può assolutamente parlare di un loro obbligo di sposarsi all'interno <strong>della</strong> gens.L'espressione enuptio gentis appare in questo solo passo, e al di fuori di questo passo mai più in tutta la letteratura romana; il vocaboloenubere, sposarsi fuori, ricorre solo tre volte, sempre in Livio (8) e poi non in relazione alla gens. L'idea fantastica secondo cui le Romanepotevano sposarsi solo all'interno <strong>della</strong> loro gens deve a questo unico passo la sua esistenza. Ma essa non può essere sostenuta in alcunmodo. Infatti, o il passo si riferisce a specifiche limitazioni particolari per le liberte, ma non prova nulla per le donne libere (ingenuae),oppure vale anche per queste ultime, e allora prova che la donna si sposava, di regola, fuori <strong>della</strong> sua gens, ma passava con le nozze nellagens del marito. Quindi prova contro Mommsen e a favore di Morgan.Ancora quasi 300 anni dopo la fondazione di Roma i vincoli gentilizi erano così forti che una gens patrizia, quella dei Fabi, con il consensodel senato, poté intraprendere di propria iniziativa una spedizione militare contro la vicina città di Vein. Si sarebbero messi in marcia, aquel che si dice, 306 Fabi, e in un'imboscata furono tutti uccisi, tranne un solo giovinetto rimasto indietro, il quale avrebbe perpetuato lagens (9).Dieci gentes formavano, come dicemmo, una fratria, che a Roma si chiamava curia ed aveva pubbliche attribuzioni più importanti di quelle<strong>della</strong> fratria greca. Ogni curia aveva proprie pratiche religiose, propri luoghi sacri, propri sacerdoti. Questi ultimi, nella loro totalità,formavano uno dei collegi sacerdotali romani. Dieci curie formavano una tribù, che verosimilmente, come le altre tribù latine, aveva inorigine un capo elettivo, insieme capo militare e sommo sacerdote. La totalità delle tre tribù formava il popolo romano, populus romanus.Al popolo romano poteva dunque appartenere solo chi fosse membro di una gens, e per mezzo di essa di una curia e di una tribù. La primacostituzione di questo popolo fu la seguente: i pubblici affari venivano all'inizio curati dal senato, che, come il Niebuhr giustamente videper primo, era composto dai capi delle 300 gentes; proprio per questo, essendo i più anziani delle gentes, si chiamavano padri, patres, etutti insieme, senato (consiglio degli anziani, da senex = vecchio). La consuetudine di eleggere sempre dalla stessa <strong>famiglia</strong> di ogni gensdiede origine anche qui alla prima nobiltà ereditaria; queste famiglie si chiamarono patrizie e pretesero il diritto esclusivo di entrare nelsenato e di occupare tutti gli uffici. Che il popolo col tempo abbia accettato questa pretesa e che essa si sia mutata in un vero diritto, laleggenda lo esprime narrando come Romolo abbia conferito ai primi senatori ed ai loro discendenti il patriziato con i suoi privilegi.Il senato, come la bulè ateniese, aveva voto decisivo in molti affari, e preparava la deliberazione degli affari più importanti, specie aproposito di nuove leggi. Queste venivano decise dall'assemblea popolare, i cosiddetti comitia curiata (assemblea delle curie). II popolo siriuniva raggruppato in curie, in ogni curia verosimilmente raggruppato per gentes. Per la deliberazione ognuna delle trenta curie aveva unvoto. L'assemblea delle curie accettava o respingeva tutte le leggi, eleggeva tutti gli alti funzionari incluso il rex (il cosiddetto re),dichiarava la guerra (ma il senato conchiudeva la pace) e decideva, in qualità di tribunale supremo su appello degli interessati, in tutti i casiin cui si trattava <strong>della</strong> condanna a morte di un cittadino romano.Infine, accanto al senato e all'assemblea del popolo, vi era il rex che corrispondeva precisamente al basilèus dei Greci e non era affatto unre quasi assoluto come ce lo presenta il Mommsen (10). Anch'egli era capo militare, sommo sacerdote e presiedeva certi tribunali. Nonaveva alcuna competenza civile o potere sulla vita, la libertà o la <strong>proprietà</strong> dei cittadini, nella misura in cui questi poteri non sorgevano dalpotere giudiziario ed esecutivo di chi presiedeva il tribunale. La carica di rex non era ereditaria; al contrario, il re, probabilmente dietroproposta del suo predecessore, veniva in un primo tempo eletto dalla assemblea delle curie e poi, in una seconda assemblea, solennementeinsediato. Che egli potesse anche essere deposto lo testimonia la sorte di Tarquinio il Superbo.Come i Greci dell'età eroica, i Romani dei tempi dei cosiddetti re vivevano in una democrazia militare fondata su gentes, fratrie e tribú, esviluppatasi da queste. Anche se le curie e le tribù erano in parte creazioni artificiose, esse però erano formate secondo il genuino mo<strong>dello</strong>naturale <strong>della</strong> società dalla quale provenivano e che le circondava ancora da tutti i lati. Anche se la nobiltà patrizia originaria aveva giàguadagnato terreno, ed i reges, piano piano, cercavano di ampliare le loro competenze, tutto ciò non cambia l'originario caratterefondamentale <strong>della</strong> costituzione, ed è questa la sola cosa che conta.Intanto la popolazione <strong>della</strong> città di Roma e del territorio romano, ampliato dalle conquiste, aumentava parte per immigrazioni, parte perl'inclusione degli abitanti dei distretti sottomessi, per lo più latini. Tutti questi nuovi cittadini (la questione dei clienti lasciamola, per ora,da parte) vivevano al di fuori delle antiche gentes, curie e tribù e non formavano, quindi, una parte del populus romanus, del popoloromano vero e proprio. Erano personalmente uomini liberi, potevano possedere <strong>proprietà</strong> fondiaria, dovevano pagare le imposte e prestarservizio militare. Ma non potevano rivestire uffici né prender parte all'assemblea delle curie, e neppure alla distribuzione delle terre di <strong>Stato</strong>conquistate. Essi formavano la plebe, esclusa da tutti i pubblici diritti. Per il costante aumento del loro numero, la loro formazione militaree il loro armamento divennero una potenza minacciosa di fronte al vecchio popolo, chiuso ormai ad ogni possibilità di accrescimentodall'esterno. A ciò si aggiunse il fatto che il possesso fondiario era, sembra, distribuito abbastanza uniformemente tra populus e plebs,mentre la ricchezza mercantile ed industriale, d'altronde non ancora molto sviluppata, era prevalentemente in mano <strong>della</strong> plebe.Date le tenebre in cui è avvolta tutta la leggendaria storia delle origini di Roma, tenebre molto infittite dai tentativi di spiegazionerazionalistico-pragmatici e dai resoconti dei più tardi studiosi di fonti dalla mentalità giuridica, è impossibile dire qualcosa di preciso sultempo, sul corso o l'occasione <strong>della</strong> rivoluzione che pose fine all'antica costituzione gentilizia. È solo certo che la sua causa risiede nellelotte tra plebs e populus.La nuova costituzione, attribuita al rex Servio Tullio (11) e poggiante su modelli greci e specialmente su Solone, creò una assembleapopolare che, senza distinzione, includeva o escludeva popolo e plebe, a seconda che prestavano o no servizio militare. L'insieme degliuomini che dovevano prestare servizio militare fu diviso secondo il censo in sei classi. In cinque di queste classi, il possesso minimo perognuna era il seguente: 1) 100.000 assi; 2) 75.000; 3) 50.000; 4) 25.000; 5) 11.000; pari, secondo Dureau de la Malle (12), all'incirca a14.000, 10.500, 7.000, 3.600 e 1.570 marchi. La sesta classe, quella dei proletari, era composta dai meno abbienti, esenti dal serviziohttp://www.resistenze.org/sito/ma/di/ce/mdce5n29f.htm (3 di 4)14/10/2010 13.24.06

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