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Engels: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato

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<strong>Engels</strong>: <strong>L'origine</strong> <strong>della</strong> <strong>famiglia</strong>, <strong>della</strong> <strong>proprietà</strong> <strong>privata</strong> e <strong>dello</strong> <strong>Stato</strong> – VIdei diritti e doveri di una gens irochese; anche in questo caso «fa capolino in maniera inequivocabile l'Irochese» (5).Sulla confusione che domina oggi, anche tra i nostri storici più qualificati, circa l'ordinamento <strong>della</strong> gens romana, citiamo un solo esempio.Nella dissertazione del Mommsen sui nomi propri romani dell'età repubblicana e augustea (Römische Forschungen, Ricerche romane,Berlino, 1864, I vol.) si legge:«Oltre alla totalità dei membri di sesso maschile <strong>della</strong> stirpe, eccezione fatta naturalmente per gli schiavi, ma con l'inclusione degli adottatie dei clienti, il nome gentilizio spetta anche alle donne... La tribù (così Mommsen traduce qui gens) è... una comunità, risultante dadiscendenza comune, sia essa reale o supposta, o anche fittizia, unita dalla comunanza di feste, di sepoltura e di eredità, e nella qualepotevano e dovevano essere annoverati tutti gli individui personalmente liberi, quindi anche le donne. Ma la difficoltà sorgeva neldeterminare il nome gentilizio delle donne sposate. Anche questa difficoltà però non esistette finché la donna poté sposarsi soltanto con unmembro <strong>della</strong> sua gens: ed è provato che, per lungo tempo, le donne hanno trovato maggiore difficoltà a contrarre nozze all'esterno <strong>della</strong>loro gens anziché all'interno di essa, come poi, quel diritto, la gentis enuptio, ancora nel sesto secolo, veniva accordato, a titolo diricompensa, come privilegio personale... ma, dove siffatti matrimoni esogamici avevano luogo, la donna, nei tempi più antichi, dovevaconseguentemente passare alla tribù del marito. Non vi è nulla di più certo del fatto che la donna, con l'antico matrimonio religioso, entravaa far parte completamente <strong>della</strong> comunità legale e sacrale del marito e usciva dalla propria. Chi non sa che la donna sposata perde il dirittodi successione attivo e passivo nei confronti dei membri <strong>della</strong> sua gens, ma che per contro entra in legame successorio col marito, coi figlied in generale coi membri <strong>della</strong> loro gens? E se essa è adottata dal proprio marito ed entra nella <strong>famiglia</strong> di costui, come può restar estraneaalla gens del marito? (pp. 911).»Il Mommsen afferma dunque che le donne romane appartenenti ad una gens avrebbero originariamente potuto sposarsi solo all'interno <strong>della</strong>loro gens; sicché la gens romana sarebbe stata endogama, non esogama. Questo punto di vista, che contraddice ogni esperienza fatta su altripopoli, si fonda soprattutto, per non dire unicamente, su un solo passo assai controverso di Livio (libro XXXIX, cap. 19), secondo il qualeil senato, nell'anno 568 dalla fondazione di Roma, 186 anni prima dell'era volgare, stabilì «uti Feceniae Hispalae datio, deminutio, gentisenuptio, tutoris optio item esset quasi ei vir testamento dedisset; utique ei ingenuo nubere liceret, neu quid ei qui eam duxisset, ob id fraudiignominiaeve esset». Fecenia Hispala cioè, poteva avere il diritto di disporre del suo patrimonio, di intaccarlo, di sposarsi al di fuori <strong>della</strong>gens, di scegliersi un tutore, proprio come se il (defunto) marito le avesse lasciato questo diritto per testamento; essa poteva sposare unuomo libero, e per colui che l'avesse presa in moglie, il matrimonio non sarebbe stato considerato né un'azione riprovevole né un'infamia.Senza dubbio a Fecenia, una liberta, viene attribuito il diritto di sposarsi all'esterno <strong>della</strong> gens. E così pure, senza dubbio, secondo quantoabbiamo detto, il marito aveva il diritto di trasmettere alla moglie per testamento il diritto di sposarsi, dopo la sua morte, all'esterno <strong>della</strong>gens. Ma all'esterno di quale gens?Se la donna doveva contrarre matrimonio all'interno <strong>della</strong> sua gens, come suppone il Mommsen, essa rimaneva in questa gens anche dopole nozze. In primo luogo, però, è da provare proprio questa asserita endogamia <strong>della</strong> gens. In secondo luogo, se la donna doveva sposarsinella gens, lo stesso doveva fare anche l'uomo, il quale certamente non avrebbe altrimenti mai trovato moglie. E allora veniamo a questaconclusione: che l'uomo poteva trasmettere per testamento alla moglie un diritto che egli stesso non possedeva per sé; cadiamo in unassurdo giuridico. Mommsen se ne accorge, e suppone perciò che «per il matrimonio esterno alla schiatta era necessario, secondo il diritto,non solo il consenso di chi aveva l'autorità di darlo, ma anche di tutti insieme i membri <strong>della</strong> gens». Questa è in primo luogo unasupposizione molto ardita, e in secondo luogo è in contraddizione col chiaro significato letterale del passo. Invece del marito, questo dirittoglielo dà il senato, e glielo dà espressamente, né più né meno come avrebbe potuto darglielo suo marito, ma quello che il senato le offre èun diritto assoluto che non dipende da nessun'altra limitazione; cosicché se lei ne fa uso, neanche il suo nuovo marito deve patirne danno; ilsenato conferisce persino ai consoli e ai pretori, in carica e futuri, il mandato di prendersi cura che la donna non ne venga in nessun mododanneggiata. L'ipotesi di Mommsen appare perciò del tutto inammissibile.Oppure: la donna sposava un uomo di un'altra gens, rimanendo pero, essa stessa, nella gens in cui era nata. Allora, secondo il passo di cuisopra, il marito avrebbe avuto il diritto di permetterle di contrarre nozze fuori <strong>della</strong> gens in cui era nata; cioè, egli avrebbe avuto il diritto didisporre degli affari di una gens a cui non apparteneva. La cosa è talmente assurda che non è il caso di perdervi altre parole.Rimane perciò soltanto l'ipotesi che la donna abbia sposato in prime nozze un uomo di un'altra gens e sia entrata, con le nozze, senz'altronella gens del marito, come anche Mommsen effettivamente ammette per tali casi. Allora l'intero nesso si spiega chiaramente. La donna,tolta dal matrimonio alla sua antica gens e accolta nella nuova unione gentilizia del marito, ha in questa unione una posizione del tuttoparticolare. È membro <strong>della</strong> gens, ma non ne è consanguinea; il modo stesso <strong>della</strong> sua ammissione la esclude a priori da ogni divieto dinozze all'interno <strong>della</strong> gens <strong>della</strong> quale, col matrimonio, è venuta precisamente a far parte. Essa inoltre è accolta nella gens in virtù del suomatrimonio, eredita alla morte del marito dal patrimonio di questo, e quindi dal patrimonio di un membro <strong>della</strong> gens. Che cosa vi è di piùnaturale del fatto che questo patrimonio rimanga nella gens e che quindi essa abbia il dovere di sposare in seconde nozze un membro <strong>della</strong>stessa gens del suo primo marito e nessun altro? E se una eccezione può esser fatta, chi può autorizzarla più di colui che le ha lasciatoquesto patrimonio, cioè il suo primo marito? Nell'istante in cui egli le lascia una parte del suo patrimonio e le consentecontemporaneamente di trasferirla, mediante matrimonio, o in seguito a matrimonio, in una gens straniera, il patrimonio appartiene ancoraa lui; egli dispone dunque, letteralmente, solo <strong>della</strong> sua <strong>proprietà</strong>. Per quel che riguarda la moglie stessa e i suoi rapporti con la gens delmarito, è stato lui ad introdurla in questa gens con un atto di libera volontà: il matrimonio. Appare quindi egualmente naturale che egli siala persona adatta ad autorizzarla ad uscirne contraendo seconde nozze. In breve, la cosa appare semplice e intuitiva, non appena lasciamocadere l'idea strana dell'endogamia <strong>della</strong> gens romana e, d'accordo con Morgan, la concepiamo come originariamente esogama.Rimane ancora un'ultima ipotesi che ha trovato anch'essa i suoi sostenitori e certo i più numerosi. Il passo di Livio proverebbe solo che:«serve affrancate (libertae) non potevano, senza autorizzazione specifica, e gente enubere (sposarsi al di fuori <strong>della</strong> gens) o altrimentiintraprendere atto alcuno che, legato alla capitis deminutio minima (6), avrebbe avuto come risultato l'uscita <strong>della</strong> liberta dall'unionegentilizia» (Lange, Römische Altertümer (7), Berlino, 1856, I, p. 195), dove vien fatto riferimento allo Huschke a proposito del passo dihttp://www.resistenze.org/sito/ma/di/ce/mdce5n29f.htm (2 di 4)14/10/2010 13.24.06

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