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Il consultorio familiare pubblico [pdf - 1,46 MB] - Friuli Occidentale

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i quaderni diIL CONSULTORIO FAMILIAREPUBBLICO


I quaderni di Janus


© Zadig editoreVia Ravenna 34, 00161 Romatel. 06 8175 644e-mail: segreteria@zadigroma.itwww.mhjanus.itsupervisione testi e coordinamento editoriale: Paolo Gangemiprogetto grafico e impaginazione: Corinna Guercini


IL CONSULTORIO FAMILIARE PUBBLICOUn “ponte” tra sanitario e sociale al servizio della famigliaQuesto volume raccoglie gli interventi del convegno sui consultori familiaridella Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia a 30 anni dalla Legge regionale81 del 22 luglio 1978 che ne ha deliberato la creazione (TeatroPasolini, Casarsa della Delizia (PN) – 17 e 18 ottobre 2008)


Responsabile scientificaTiziana MartuscelliDirezione scientificaSilvano Ceccotti, Patrizia Cicuto, Elodia Del Pup, Annamaria Dolcet,Lorena Fornasir, Fulvia Loik, <strong>Il</strong>ia Martellini, Laura Nadalini,Massimo Sigon, Maria VantoSi ringraziano Enrica Cappellari, Elena Tajariol, Monica Vanzella, EnzaScarpino, Giuliano Bidoli per la trascrizione di alcune relazioni,Eleonora Gobbo per le illustrazioni presenti nella pubblicazione.


indicePresentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11Venerdì 17 ottobrePrima parte. <strong>Il</strong> perché di un incontroChairman: Paolo Piergentili<strong>Il</strong> perché di un incontro e di questa pubblicazioneNicola Delli Quadri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14I consultori familiari in Italia:normativa e progettazione in corsoGianni Ascone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17Lo stato dell’arte dei consultori familiari-funzionicaratterizzantiTiziana Martuscelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25Seconda parte. Consultorio <strong>familiare</strong>:tra il sostegno alla funzione genitoriale e la tutela del minoreChairman: Luisa MenegonIntroduzione al temaLuisa Menegon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40Diritti in conflitto?Marinella Malacrea. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43Indice 5


Tavola rotondaProgettualità e percorsi di integrazione.Tra diritto e sostegno alla genitorialitàChairman: Luisa MenegonCome affrontare le nuove complessità della famigliae la multiproblematicità. Un esempio di integrazionetra Ass e ambito: il protocollo minoriGabriella Bozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53<strong>Il</strong> difensore di parte nel rapporto con i servizi consultoriali:fra opportunità e criticitàMaria Antonia Pili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56Gli orientamenti del tribunale per i minorenni in meritoalla strategia d’interazione con i servizi consultorialiper il recupero e sostegno delle funzioni genitorialiLuisa Onofrio, Lucio Prodam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68Gli orientamenti del tribunale ordinario in meritoalla strategia d’interazione con i servizi consultorialinella separazione in coppie conflittualiGaetano Appierto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71La gestione integrata con i servizi consultoriali:quale evoluzione?Maura Clementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74Esperienze di collaborazione in riferimento alla tuteladei minori con i servizi pubblici (<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> e ambito)dalla richiesta spontanea al mandatoMaria José Mores. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77La solidarietà <strong>familiare</strong> come risorsa in rete con i serviziRenata Maddalena. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 826 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Discussione, sintesi e proposteLuisa Menegon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88Sabato 18 ottobreTerza parte.<strong>Il</strong> percorso nascita nella regione <strong>Friuli</strong> Venezia GiuliaChairman: Silvano CeccottiIntroduzione al temaSilvano Ceccotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90Progetto obiettivo materno infantile nazionalee <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>: il percorso nascitaMichele Grandolfo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91<strong>Il</strong> percorso nascita nei consultori familiaridella Regione <strong>Friuli</strong> Venezia GiuliaAnnamaria Dolcet, Elodia Del Pup . . . . . . . . . . . . . . . . . 110Monitoraggio di gravidanza integrazionecon i punti nascita ed equipe consultorialeLuciana Ramon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120L’assistenza alla gravidanza e al puerperioAnnamaria Cortese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126L’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologiae patologiaMaria Virginia Fabbro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132Come si partorisce in <strong>Friuli</strong> Venezia GiuliaGiovanni Del Frate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147Indice7


<strong>Il</strong> punto nascita: quali linee guida di integrazionecon il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>Franco Colonna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155Ruolo del pediatra di famiglia nel percorso nascita:quale integrazioneFlavia Ceschin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161Discussione, sintesi e proposteSilvano Ceccotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167Quarta parte. Interruzione volontaria di gravidanzaChairman: <strong>Il</strong>ia MartelliniIntroduzione al tema<strong>Il</strong>ia Martellini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172L’interruzione volontaria di gravidanza:esempi di approccio metodologicoLaura De Gregori, Adriana Monzani . . . . . . . . . . . . . . . . 175L’obiezione di coscienza tra diritti e doveriLuigi Conte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183Discussione, sintesi e proposte<strong>Il</strong>ia Martellini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187Quinta parte. La promozione della salute della donnaChairman: Massimo SigonIntroduzione al temaMassimo Sigon. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1928 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> privato: quale integrazione possibile?Mario Puiatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193Le donne immigrate come promotrici di saluteSilvia Genovese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197Sesta parte. Incontro con chi decideChairman: Nicola Delli QuadriQuale il futuro dei consultori familiaria cura di Tiziana Martuscelli, Silvano Ceccotti, Patrizia Cicuto,Elodia Del Pup, Annamaria Dolcet, Lorena Fornasir, Fulvia Loik,<strong>Il</strong>ia Martellini, Laura Nadalini, Massimo Sigon, Maria VantoRelatore: Silvano Ceccotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202<strong>Il</strong> carattere educativo del lavoro sociale nelle reti socialie istituzionaliGiovanni Zanolin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205ConclusioniVladimir Kosic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209Indice9


PresentazioneIconsultori familiari pubblici sono strutture sociosanitarie nate perrispondere ai vari bisogni della popolazione, della donna, dellafamiglia, della coppia, del singolo, dell’infanzia e dell’adolescenza. Leattività e i servizi dei consultori sono organizzati attraverso il lavoro diequipe di professionisti specializzati in vari settori che collaborano traloro.<strong>Il</strong> convegno intende evidenziare come queste strutture costituiscanoun vero e proprio “ponte” tra sanitario e sociale e siano imprescindibilial fine di aiutare tutti i cittadini a far fronte ai loro bisogni garantendonela tutela della salute. <strong>Il</strong> programma dei lavori è di particolareinteresse e si articola in due giornate.La prima, venerdì 17 ottobre, è rivolta, oltre che agli operatori di <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong>, a psicologi, assistenti sociali, medici, avvocati, giudici,educatori e alle altre figure professionali di tutti gli altri enti eassociazioni che lavorano in rete con il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, compresoil privato sociale.Questa sessione è dedicata al riconoscimento delle problematicheemergenti tra il sostegno alla funzione genitoriale e la tutela del minore;vengono poste in luce le nuove complessità della famiglia, le problematicheemergenti e i nuovi compiti richiesti al <strong>consultorio</strong>.Durante i lavori vengono formulate ipotesi di strategie di integrazionetra i vari soggetti pubblici e privati e i servizi consultoriali, dando evidenzaall’evoluzione attesa per la gestione integrata con questi ultimi.La seconda giornata, sabato 18 ottobre, è focalizzata sul tema dellamaternità e paternità responsabile, quindi sulla tutela della salute


della donna, sul percorso nascita e sull’interruzione volontaria dellagravidanza (Ivg) anche alla luce delle nuove problematiche collegatealla presenza, nella nostra Regione, di un’alta percentuale di popolazionestraniera.La sessione è rivolta, oltre che agli operatori dei consultori, anche aimedici di famiglia, ai pediatri di libera scelta, al personale medico esanitario dei punti nascita e a tutti gli operatori dei servizi territorialiche, integrandosi con l’offerta consultoriale, possono offrire un migliorservizio ai cittadini. Particolare attenzione sarà posta allo “stato dell’arte”nell’applicazione del Progetto obiettivo materno infantile e allapossibilità di integrazione tra i consultori della Regione nella presa incarico multidisciplinare della promozione della salute della donna, delmonitoraggio di gravidanza e nell’assistenza al puerperio.<strong>Il</strong> convegno costituisce una rilevante occasione di confronto tra tecnicie amministratori affinché, in un’ottica regionale, si possa tracciareil percorso futuro dei consultori familiari, primo servizio ancoraoggi pionieristico nell’ambito dell’interazione tra il sociale e il sanitarioa trenta anni dalla sua istituzione nella nostra Regione (Leggi 18 e81 del 1978).L’incontro è stato organizzato dall’Azienda per i servizi sanitari n. 6“<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>” con la collaborazione di tutte le aziende sanitariedella Regione, del Centro regionale di formazione per l’area delle cureprimarie e con il patrocinio della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia e delComune di Pordenone.Tiziana Martuscelli12 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Prima parte.<strong>Il</strong> perché di un incontroChairman: Paolo Piergentili


Nicola Delli Quadri<strong>Il</strong> perché di un incontro e di questa pubblicazioneSono trent’anni che ricordiamo la legge regionale di istituzione deiconsultori familiari, la legge nazionale sulla nascita del Serviziosanitario, la legge sulla psichiatria, la 180. C’è un filo rosso che legatutte queste vicende: l’affermarsi prepotente nella storia di questoPaese del movimento delle donne, delle ragioni delle donne. Se non cifossero state queste ragioni, che si sono espresse nei versanti più varie nei modi più diversi, certamente la società non sarebbe statacostretta a prendere coscienza di alcune sue profonde difficoltà, contraddizioni,ingiustizie e non sarebbe stata costretta a produrre leggiche hanno fatto fare passi avanti alla storia civile di questo Paese.Adesso sono passati trent’anni. La domanda che ci poniamo è se quelsenso che la storia ha dato rimane, se quelle ragioni persistono. Lamia opinione è che non solo persistono ma che sono ancora più pressanti.Spesso temiamo di perdere i riferimenti, di perdere punti diappoggio, di perdere un senso del cammino e allora abbiamo lanecessità di riaffermare tutti insieme i motivi per i quali il <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong>, <strong>pubblico</strong>, privato, tutte queste organizzazioni che si sonomesse a servizio della famiglia, dei minori, dei deboli, hanno ancorauna radice etica e umana nel rispondere ai bisogni di chi è esposto, dichi è più debole. Ma più che ai bisogni, rispondono ai diritti di questepersone. Se c’è un punto sul quale possiamo essere tutti d’accordo èche le motivazioni persistono ancora di più nell’obbligo di rispondereai diritti del più debole, che è il bambino, il minore, la famiglia indifficoltà, la donna in difficoltà, la persona che arriva e che non sacosa fare. La storia del <strong>consultorio</strong> mi fa dire che siamo attrezzati peraffrontare queste nuove sfide. Siamo nella condizione di riprenderlecon grande slancio, ovviamente per la parte che ci riguarda come14 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


azienda sanitaria. C’è la necessità forse di ripensare ad alcuni modelliorganizzativi, alcuni percorsi, alcune modalità operative. Peròessendo qui a Casarsa della Delizia, al Teatro Pasolini, non ho potutoresistere alla tentazione. Pierpaolo Pasolini va ricordato e io lo ricordocon quattro versi, che secondo me testimoniano la sua disperata fedenegli esigenti privilegi della ragione dell’anima: «Io non so cosa siaquesta non ragione, questa poca ragione: Vico, o Croce, o Freud misoccorrono: ma con la sola suggestione del mito, della scienza, dellamia abulia».<strong>Il</strong> perché di un incontro e di questa pubblicazione15


I consultori familiariin Italia: normativa eprogettazione in corsodi Giovan Battista Ascone


La normativa sui consultori familiari parte dal 1975 con la Legge405 di istituzione dei consultori familiari, che definisce gli scopi diquesto servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità: l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione allamaternità e alla paternità responsabile e per i problemi dellacoppia e della famiglia, anche in ordine alla problematicaminorile la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalitàliberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine allaprocreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etichee dell’integrità fisica degli utenti la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovveroa prevenire la gravidanza consigliando i metodi e i farmaci adattia ciascun caso.Questi temi sono ancora attualissimi e la missione del <strong>consultorio</strong> conil passare del tempo si è sempre più ampliata. Successivamente allaLegge 405 sono state emanate, negli anni a seguire, tutte le leggi regionalidi applicazione della legge madre.Nel 1978 la Legge 194 “Norme per la tutela sociale della maternità esull’interruzione volontaria della gravidanza” ha stabilito che i consultorifamiliari assistano la donna in stato di gravidanza: informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazionestatale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenzialiconcretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto dellenorme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante18 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


attuando direttamente o proponendo all’ente locale competenteo alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi,quando la gravidanza o la maternità creino problemi perrisolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alprimo punto contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre ladonna all’interruzione della gravidanza.I consultori, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, possonoavvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontariadi idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato,che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.La legge ha stabilito anche la somministrazione su prescrizione medica,nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari perconseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazioneresponsabile anche ai minori.Infine, nel 1996, la Legge 34 ha stabilito una corrispondenza fra consultorie territorio, indicando come idonea una corrispondenza di un<strong>consultorio</strong> ogni 20.000 abitanti nelle aree urbane e uno ogni 10.000nelle aree rurali, e destinando una quota pari a 200 miliardi di lireanche per la realizzazione degli interventi di completamento dellarete consultoriale.Nell’anno 2000 è stato poi adottato il Progetto obiettivo maternoinfantile. <strong>Il</strong> Progetto obiettivo non ha avuto poi una completa applicazione.È stato recepito in alcune Regioni sì e in altre o solo parzialmenteo per nulla, anche perché subito a ridosso del Progetto obiettivoc’è stata, nel 2001, la modifica del titolo V della Costituzione che hastabilito ancora più nettamente le competenze dello Stato e delleRegioni. Poiché il Progetto obiettivo si basa molto sugli aspetti organizzativi,le Regioni hanno avocato a sé gli aspetti organizzativi. Unmese dopo la modifica del titolo V è stato emanato il Decreto del presidentedel Consiglio dei ministri sulla definizione dei livelli essenzialidi assistenza (Lea) in cui, nell’assistenza territoriale, vengono ribaditetutte le attività assistenziali del <strong>consultorio</strong>, dell’assistenza sociosanitariaalle donne, alle coppie, alle famiglie. Andando a vedere lefonti normative che regolano i Lea in questo settore ritroviamo laLegge 405/75, la 194/78, il Progetto obiettivo materno infantile, l’attivitàsociosanitaria con il Decreto del presidente del Consiglio deiI consultori familiari in Italia: normativa e progettazione in corso19


ministri del 2001 e ancora viene ribadita la presenza di un <strong>consultorio</strong>ogni 20.000 abitanti. Quando andiamo poi a vedere la lista delle prestazionipresenti nei Lea, ritroviamo tutte quelle presenti nel Progettoobiettivo materno infantile.Si vive quindi questo doppio senso: da una parte una discrezionalitàda parte delle Regioni di adottare la norma, dall’altra quanto presentenel Progetto obiettivo viene sempre richiamato in una normativadella massima importanza quale i Lea.Nel Progetto obiettivo, per quanto riguardava i consultori, in sintesi, siprevede che questo servizio costituisca un importante strumento,all’interno del distretto sanitario di base, per attuare gli interventi previstia tutela della salute della donna, dell’età evolutiva, delle relazionidi coppia e familiari. Si evidenzia l’esigenza di integrazione nelmodello dipartimentale, e soprattutto la messa in rete dei consultorifamiliari con gli altri servizi sia sanitari sia socioassistenziali degli entilocali, prevedendo un loro adeguamento nel numero, nelle modalitàorganizzative e nell’organico, privilegiando l’offerta attiva di interventidi promozione della salute attraverso la realizzazione di strategieoperative finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di salute da perseguirenel settore materno infantile.Si prevede, inoltre, che l’attività consultoriale dovrà privilegiare la globalitàe l’unitarietà delle risposte ai bisogni emergenti nei vari ambitidi azione (tutela dell’età riproduttiva ed evolutiva, tutela della famiglia,delle fasce socialmente deboli, dell’handicap) e l’integrazionecon le unità operative territoriali e le ospedaliere afferenti alDipartimento della prevenzione e al Dipartimento materno infantile.<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> mantiene la propria connotazione di serviziodi base fortemente orientato alla prevenzione, informazione ed educazionesanitaria, riservando all’attività di diagnosi e cura una competenzadi “prima istanza”, integrata con l’attività esercitata al medesimolivello, sul territorio di appartenenza, dalle unità operativedistrettuali e ospedaliere e dai servizi degli enti locali.Sul piano organizzativo, l’integrazione deve essere completamenteattivata da una parte all’interno del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> stesso, trafigure a competenza prevalentemente sanitaria e quelle a competenzapsicosociale e socioassistenziale sviluppando il lavoro di equipe, edall’altra con gli altri servizi e unità operative territoriali nonché conle unità operative ospedaliere.20 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


La realizzazione di un proficuo e serio rapporto fra territorio e ospedale,che deve essere configurato nell’ambito dell’organizzazionedipartimentale dell’area materno infantile, deve basarsi sulla complementaritàdei diversi servizi nel rispetto delle reciproche autonomie especificità, da realizzare attraverso ben definiti progetti che vedanocoinvolti diversi ambiti operativi e attraverso lo sviluppo di programmidi aggiornamento permanente, alla luce degli indicatori di esito edi processo.È necessario identificare un responsabile del <strong>consultorio</strong> (o dei consultori,qualora siano più di uno nel territorio del dipartimento) checoordini l’attività del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> e monitorizzi il conseguimentodegli obiettivi, fungendo da garante nei confronti dell’organizzazionedipartimentale all’interno del distretto sanitario. Questo èimportante perché le attività territoriali fanno capo al distretto, e aldistretto fanno capo anche i medici di medicina generale e i pediatridi libera scelta. Quindi in questo modo la medicina del territorio vienecoordinata e integrata in un modello dipartimentale con funzione dicoordinamento (a livello di Asl) fra territorio e strutture di secondo eterzo livello, presenti a livello di struttura sanitaria o struttura ospedaliera.I consultori dovevano essere adeguati nel numero, nelle modalitàorganizzative, nell’organico e soprattutto si sottolineava la necessitàdi privilegiare l’offerta di interventi e l’integrazione con le altre strutturegià presenti sul territorio.Se andiamo a vedere nel percorso nascita i corsi di accompagnamentoalla nascita, vediamo che non c’è una grossa percentuale di utenzache viene coperta: la cifra è un 30%, e con una grossa diversificazionefra il Nord, il Centro e il sud. Al Nord e al Centro siamo su un 40%, mail Sud tra un 10 e un 15%. All’interno della stessa Regione c’è poi unagrande variabilità fra struttura e struttura. A rischio di non frequentarei corsi di accompagnamento alla nascita sono poi le donne che neavrebbero più bisogno. La gravidanza nella maggior parte dei casi èseguita dal medico privato. La caratteristica principale del <strong>consultorio</strong>è il lavoro di equipe, che con il tempo sta andando forse a perdersi:con la carenza di personale, con la distrettualizzazione dei consultori,spesso non c’è più quel riferimento di un Consultorio ogni 20.000 abitanti,ma il distretto è mediamente più popoloso (50.000 e più abitanti)e non sempre l’organico del <strong>consultorio</strong> è stato rapportato a quellaI consultori familiari in Italia: normativa e progettazione in corso21


che è diventata poi la popolazione di riferimento. In più le personeche prima erano di ruolo vengono pian piano sostituite o affiancatecon persone a contratto, persone che stanno poche ore nel <strong>consultorio</strong>:spesso quel lavoro di equipe può andare perso, perché le differentifigure possono essere presenti in orari differenti.Nel Progetto obiettivo sono ben rappresentate le aree di competenzadel <strong>consultorio</strong> che vanno dagli adolescenti, alle relazioni di coppia efamiglia e al disagio <strong>familiare</strong>, al controllo della fertilità e della procreazioneresponsabile, all’assistenza di gravidanza, la prevenzionedell’aborto, dei tumori femminili.Sono competenze sulle quali si possono costruire progetti, individuareobiettivi, sviluppare azioni, avere indicatori per misurare come staprocedendo quel progetto ed eventualmente come modificarlo permigliorarlo.La Legge del 27 dicembre 2006 (finanziaria 2007) all’articolo 1 prevedela riorganizzazione dei consultori familiari per potenziare gli interventisociali a favore delle famiglie (in base a quanto sancitodall’Intesa in Conferenza unificata il 20 settembre 2007).Con la finanziaria 2007 è stato istituito il fondo per la famiglia (97milioni di euro per l’anno 2007), finanziamento ripetuto per l’anno2008. A carico del fondo sono previsti 3 punti: l’abbattimento dei costiper le famiglie che hanno più di 4 figli, la riorganizzazione dei consultoriper potenziare gli interventi sociali a favore delle famiglie, l’attivitàdi formazione per gli assistenti domiciliari per le badanti.Tutte le Regioni hanno presentato le progettualità e ottenuto i finanziamentirelativi all’anno 2007 e, una volta effettuato il monitoraggiodi queste attività, dovranno presentare le progettualità per potervedere assegnati anche i fondi relativi all’anno 2008.In conclusione si può dire che in molte realtà i consultori presentanouna carenza di risorse, sia umane sia economiche, a volte ilConsultorio è poco conosciuto, a volte scarsamente frequentato.Molti di questi servizi hanno continuato a lavorare e aggiornare gliinterventi lavorando su specifici programmi, altri hanno sviluppatoun ambito prettamente “prestazionale”, non aderente alla cultura delcambiamento. L’ambito esclusivamente prestazionale non è il piùadatto per il <strong>consultorio</strong>. <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> deve svolgere un’attività sociosanitariaintegrata dove il sociale non può essere distinto dal sanitario.Molti consultori lavorano bene, rappresentando degli esempi, e22 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


nel portale del Ministero (www.ministerosalute.it), nell’area salutedelle donne, sono state riportate, nel rapporto “Lo stato di salute delledonne in Italia”, e precisamente nel capitolo dedicato alla “Salute sessualee riproduttiva”, alcune buone pratiche. A Torino sono state sperimentatel’assistenza al percorso nascita con la presenza dell’ostetricanel rapporto “one to one”, la collaborazione fra strutture territorialie ospedaliere e la possibilità della donna di essere seguita sempre dauna persona dalla gravidanza fino alla sala parto. A Roma è stata attivatauna buona integrazione fra territorio e ospedale nell’assistenzaalla gravidanza (attività sul territorio per quanto riguarda la gravidanzafisiologica e negli ambulatori ospedalieri per la patologia ostetrica)e ci sono buone esperienze riguardo alla mediazione culturale verso lecittadine straniere. In Toscana è stato sviluppato l’allattamento alseno e in Calabria, a Trebisacce, è stato utilizzato l’invito per lo screeningdel cervicocarcinoma per accreditare il servizio presso la popolazione.Si segnalano poi ancora le linee guida sulla contraccezionenell’Asl 2 dell’Umbria, la presa in carico per la donna che effettua l’interruzionedi gravidanza a Matera, la partecipazione dei maschi nel<strong>consultorio</strong> adolescenti per la prevenzione delle malattie a trasmissionesessuale fino all’attività di collaborazione dei consultori controla violenza sessuale.Giovan Battista AsconeI consultori familiari in Italia: normativa e progettazione in corso23


Lo stato dell’artedei consultori familiarifunzionicaratterizzantidi Tiziana Martuscelli


Iconsultori nascono negli anni Settanta, anni delle grandi riforme.Nascono sulla spinta delle donne che in quegli anni sostengono ilpotente messaggio del cambiamento del concetto di salute: da unmodello biomedico che intendeva la salute come assenza di malattia,a un modello sociale. Salute, quindi, intesa come stato di benesseregenerale sul piano fisico, psichico e sociale. Da questo momento storicoin poi la produzione legislativa seguirà questo modello sociale.<strong>Il</strong> modello sociale, diversamente dal modello biomedico, richiede aglioperatori della sanità di aumentare nelle persone le capacità di controllodella propria salute, promuovendo competenza e consapevolezza.<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> è il servizio che per primo ha rivoluzionatola relazione tra operatori e cittadini improntandola alla partecipazionee all’interlocuzione. La valenza sanitaria e psicosociale delservizio consultoriale determina la nascita del primo vero modellomultidiscilpinare e interdisciplinare di lavoro nella realtà italiana(precedente alla Legge nazionale 833, già di per se stessa innovativa).La Legge nazionale 405 del 29 luglio 1975 ha istituito il <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> definendolo come servizio di assistenza alla famiglia e allamaternità avente come scopi: assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternitàe alla paternità responsabile, e per i problemi della coppia e della famiglia somministrazione dei mezzi per la procreazione responsabile tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento divulgazione delle informazioni idonee a promuovere o a prevenirela gravidanza consigliando i metodi e i farmaci adatti aciascun caso.La Legge nazionale ha definito i titoli professionali necessari alla composizionedell’equipe: «Deve essere in possesso di titoli in medicina,26 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


psicologia, pedagogia e assistenza sociale, nonché dell’abilitazione,ove prescritta all’esercizio professionale».Come si evidenzia dagli stessi scopi la Legge 405 è una legge “rivoluzionaria”perché pone l’accento sulla prevenzione piuttosto che sulla cura.La Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia ha recepito la Legge nazionale istitutivadei consultori familiari con due leggi: la 81 del 1978 e la 18 del1979. Queste leggi definiscono tra le altre cose che «ogni <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> deve disporre di almeno uno psicologo, un sociologo, un’ostetrica,un ginecologo, un pediatra, un assistente sociale, un’assistentesanitario»: di fatto definisce che la presenza di competenzemultidisciplinari è fondamentale per riconoscere i determinantisociali della salute.Affermano, inoltre, che «il servizio è gratuito» e «dotato di budget finalizzato».Ogni <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> disponeva di una quota che laRegione stabiliva e distribuiva annualmente, prima attraverso iComuni poi attraverso le Usl, e che veniva utilizzato per favorire lasopravvivenza stessa del servizio attraverso convenzioni con personalespecializzato, acquisto di materiali, strumentazioni, ecc. <strong>Il</strong> finanziamentodei consultori familiari con fondi autonomi e finalizzati daparte della Regione, come previsto dalla legge, si è concluso con l’istituzionedelle aziende per i servizi sanitari nel 1995.Al fine di comprendere la caratterizzazione che i consultori hannoassunto nella Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia, è necessario comprenderela loro evoluzione in relazione all’evoluzione storica della famigliae della società e alle leggi nazionali e regionali che ne hanno decretatii cambiamenti.Evoluzione della famiglia e della societàLa famiglia è cambiata sia culturalmente sia economicamente, sianella struttura dei nuclei familiari sia nei rapporti interni. Questemodificazioni sono state molto rapide e hanno determinato deiprofondi cambiamenti nell’organizzazione sia sociale sia <strong>familiare</strong>,negli stili di vita delle persone e nei rapporti tra partner. In modo sinteticosi può dire che le persone attraversano le fasi del ciclo di vitacon molta più difficoltà e che se si verifica un arresto importante leconseguenze sull’individuo possono dare esiti di malattie fisiche, psicopatologieo disturbi del comportamento, anche con conseguenzepenali. È evidente come tutto ciò abbia una ricaduta negli ambulato-Lo stato dell’arte dei consultori familiari-funzioni caratterizzanti27


i e negli ospedali con ovvie conseguenze sulla spesa sanitaria.Parallelamente al cambiamento della famiglia c’è stato un grossocambio della società. Ci sono state delle accelerate trasformazionitecnologiche, oltre che economiche e culturali; ciò ha portato a fragilità,squilibrio, contraddizioni, nuove forme di povertà, di devianzaanche in strati sociali benestanti, microcriminalità, nuove forme diesclusione. Soprattutto è aumentata la percezione del disagio: le personefanno più fatica a gestirlo, a gestire la frustrazione e richiedonointerventi professionali atti a risolvere tensioni e contraddizioni concernentila propria sfera personale e relazionale.Inoltre a livello sociosanitario tutti i servizi, avendo fatto proprio l’approccioriferito al “modello sociale”, hanno di conseguenza acquisitouna maggiore attenzione ai segnali precoci di disagio per poter intervenireil più precocemente possibile, al fine di evitare che la “forbice”del disagio si allarghi troppo: ovviamente, più tardi si interviene piùdrastici possono essere gli interventi necessari, soprattutto nel casodei bambini. Si assiste pertanto a un forte aumento della richiesta“coatta”, attraverso i tribunali, o spontanea, perché i cittadini hannoacquisito maggiore consapevolezza dell’importanza di affrontare iproblemi, le situazioni di disagio socio<strong>familiare</strong> e socioambientale, diabbandono scolastico, di difficoltà nelle reti psicosociali. C’è unaumento di fenomeni di abuso e maltrattamento con un alto indice dioccultamento (per ogni caso segnalato ce ne sono almeno dieciocculti), di violenza sessuale, di criminalità minorile e un forteaumento di intercettazione precoce di situazioni multiproblematiche.La multiproblematicità si riferisce a famiglie che presentano unoo entrambi i genitori portatori di patologie fisiche o psichiche, e configli che necessitano di interventi di protezione per poter crescere inmodo equilibrato ed evitare la trasmissione del danno che si puòripercuotere in un soggetto in età evolutiva. In proposito, la Regione<strong>Friuli</strong> Venezia Giulia alcuni anni fa ha promosso una ricerca-interventoche ha coinvolto l’attività dei consultori familiari, dei servizi di neuropsichiatriainfantile o dell’età evolutiva e i servizi degli ambitisocioassistenziali dei Comuni, servizi che in Regione collaborano, sepur con organizzazioni e modalità diverse, nei casi di famiglie multiproblematiche.Questi servizi si avvalgono anche dell’intervento deiDipartimenti di salute mentale, dei servizi per le tossicodipendenze edi altri servizi specialistici in relazione alle problematiche presentate28 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


dalla famiglia. La ricerca-intervento, organizzata e supervisionatadalla Fondazione Emanuela Zancan di Padova, per due anni ha verificatola qualità e la metodologia di approccio ai casi multiproblematici.La conclusione della ricerca, tra l’altro, ha evidenziato che «circal’11% della popolazione minorile può considerarsi in situazione multiproblematica»e che la capacità dei servizi della Regione <strong>Friuli</strong>Venezia Giulia di intercettare e affrontare le situazioni multiproblematicheè elevata: si attesta infatti intorno al 4-5%.Cambiamenti e criticità hanno sollecitato una ridefinizionedei compiti e degli assetti organizzativi del servizio consultorialeNegli anni, di conseguenza, il legislatore ha integrato le leggi istitutivedel servizio sia a livello nazionale sia a livello regionale.Alcune leggi aggiungono competenze ai consultori familiari, altrerichiedono un lavoro integrato:Legge Nazionale 184/1983 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” eL.N. 476/1998 “Ratifica ed esecuzione della convenzione per la tutela dei minori e lacooperazione in materia di adozione internazionale – Aja 1993 – modifiche alla legge184 in tema di adozione di minori stranieri”L.N. 285/1997 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanziae l’adolescenza”D.R. del 1995 “Indirizzi per il completamento e stabilizzazione dei Consultori familiari”L.N. 328/2000 “Per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizisociali” e al Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003Progetto Obiettivo Materno Infantile NazionalePiani Sanitari RegionaliPiano Obiettivo Materno Infantile Regionale 2000L.R. 6/2006 “Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tuteladei diritti di cittadinanza sociale”L.N. 40/2004 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”infine, a completamento culturale e legislativo coerenteL.R. 11/2006 “Interventi a sostegno della famiglia e della genitorialità”<strong>Il</strong> Piano sanitario regionale 2006-2008 ribadisce la necessità di «rendereomogenei su tutto il territorio regionale i consultori familiari perquanto attiene la tipologia di interventi, le prestazioni, i modelli orga-Lo stato dell’arte dei consultori familiari-funzioni caratterizzanti29


nizzativi, anche in considerazione dei nuovi compiti, in particolaredella prevenzione e nell’area dei minori». A questo scopo prevede«l’attivazione di un coordinamento regionale dell’attività dei consultorifamiliari che garantisca l’omogeneità del servizio e il conseguimentodei risultati previsti».<strong>Il</strong> Piano obiettivo materno infantile regionale, facendo proprioquanto proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità che haindividuato nel miglioramento della qualità della vita della madre edel bambino uno degli obiettivi sanitari prioritari a livello mondiale,definisce «la tutela della salute in ambito materno un impegno divalenza strategica dei sistemi sociosanitari per il riflesso sulla qualitàdel benessere psicofisico nella popolazione generale attuale efutura».Relativamente ai consultori familiari, il Progetto obiettivo maternoinfantile afferma che il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> deve garantire quattroambiti di attività: area ostetrica area ginecologica area pediatrica area psicosociale.Inoltre l’organizzazione deve garantire: accessibilità e fruibilità diretta da parte dell’utenza stabilità della dotazione organica dell’equipe lavoro di equipe superamento dell’ottica di tipo prestazionale, ambulatoriale einserimento nella rete dei servizi.A seguito di recenti innovazioni normative, ai consultori sono statiassegnati nuovi compiti in particolare nell’area della prevenzione etutela dei minori: abbandono grave trascuratezza adozioni nazionali e internazionali nuclei familiari a rischio30 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


presa in carico precoce delle situazioni di disagio psicosociale garantire la continuità assistenziale della coppia madre-bambino deve inoltre svolgere un’attività di proiezione sul territorio a cuinon ha fatto seguito una loro adeguata riorganizzazione.La Legge regionale 11 del 7 luglio 2006 “Interventi regionali a sostegnodella famiglia e della genitorialità” all’articolo 5 sostituisce l’articolo 3della Legge regionale 81/1978 istitutiva dei consultori familiari relativamenteai compiti del servizio.1. <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, nel rispetto dei principi etici e culturalidegli utenti e delle loro convinzioni personali, tenendo contodella loro appartenenza etnico-linguistica, in collaborazione coni servizi e le strutture sanitarie e sociali del territorio, al fine digarantire l’integrazione degli interventi e la continuità assistenziale,opera per assicurare:a.l’informazione sui diritti spettanti alla donna e all’uomo in basealla normativa vigente in materia di tutela sociale della maternitàe della paternità, nonché interventi riguardanti la procreazioneresponsabile, garantendo la diffusione dell’informazionesulle deliberazioni dei comitati di bioetica nazionale e localeb. la collaborazione con le strutture preposte delle aziende per iservizi sanitari, delle aziende ospedaliere e delle aziendeospedaliere universitarie, con il Policlinico universitario diUdine e con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico,per la prevenzione e riduzione delle cause di infertilità eabortività spontanea e lavorativa, nonché delle cause dipotenziale danno per il nascituro, in relazione alle condizioniambientali, ai luoghi di lavoro e agli stili di vitac. l’assistenza sanitaria, psicologica e sociale per le donne e lecoppie in caso di interruzione volontaria della gravidanza,con particolare attenzione alle minorenni, ai sensi degli articoli1, 2, 4, 5 e 12 della legge 194 del 22 maggio 1978 (“Normeper la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontariadella gravidanza”)d. l’assistenza sanitaria, psicologica e sociale, anche domiciliare,alle donne e alle famiglie in situazione di rischio sanitario eLo stato dell’arte dei consultori familiari-funzioni caratterizzanti31


psicosociale, prima del parto e nel periodo immediatamentesuccessivo, anche su segnalazione dei punti nascita, nonchéattraverso la promozione di reti di autoaiutoe. l’informazione riguardo ai problemi della sterilità e dell’infertilità,nonché l’informazione alle coppie che ricorrono alletecniche di riproduzione medicalmente assistita, l’attività diorientamento verso i centri che la praticano e il raccordo operativocon gli stessif. la consulenza e l’assistenza psicologica e sociale nelle situazionidi disagio <strong>familiare</strong> derivante da nuovi assetti familiari,da separazioni e da divorzio, anche attraverso la predisposizionedi percorsi di mediazione <strong>familiare</strong>, adeguatamente certificatisecondo standard europei e internazionalig. l’informazione e lo studio psicosociale di coppia rivolto allecoppie disponibili all’adozione nazionale e internazionale,nonché il sostegno nel periodo di affido preadottivoh. l’assistenza psicologica e sociale e gli interventi sociosanitari alsingolo e alla coppia in riferimento a difficoltà di ordine relazionale,sessuale e affettivo nelle diverse fasi del ciclo vitalei. le prestazioni sanitarie e psicologiche, anche riabilitative epostraumatiche, alle vittime di violenza sessuale intra ed etero<strong>familiare</strong>e ai minori vittime di grave trascuratezza e maltrattamento,in collaborazione con i servizi sociosanitari perl’età evolutiva preposti, all’interno dei progetti personalizzatielaborati dai Comunij. la collaborazione con il servizio sociale dei Comuni per le prestazionidi carattere sociosanitario relative agli affidamentifamiliarik. la realizzazione di programmi di educazione e promozionedella salute, con particolare riguardo ai temi dell’identità sessuale,dei rapporti tra i generi e della sessualità responsabileper gli adolescenti e i giovani, in attuazione dei programmiaziendali di prevenzione e in concorso con la scuola, con icentri e i luoghi di aggregazione e con l’associazionismol. la somministrazione, anche ai minori, previa prescrizionemedica, qualora prevista, dei mezzi necessari per conseguirele finalità liberamente scelte in ordine alla procreazioneresponsabile32 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


m. l’assistenza psicologica, sociale e sanitaria relativa alle problematichesessuali, relazionali e affettive degli adolescenti.2. La Regione, le aziende per i servizi sanitari e i Comuni attuanogli interventi di cui al comma 1 attraverso gli strumenti di programmazioneprevisti dalla Legge regionale 23 del 17 agosto2004 (“Disposizioni sulla partecipazione degli enti locali ai processiprogrammatori e di verifica in materia sanitaria, sociale esociosanitaria e disciplina dei relativi strumenti di programmazione,nonché altre disposizioni urgenti in materia sanitaria esociale”), e dalla Legge regionale 6 del 31 marzo 2006 (“Sistemaintegrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela deidiritti di cittadinanza sociale”).3. L’avvenuta programmazione a livello locale delle azioni previstedal presente articolo è condizione per il consolidamento, aisensi della Legge regionale 49 del 19 dicembre 1996 (“Norme inmateria di programmazione, contabilità e controllo del Serviziosanitario regionale e disposizioni urgenti per l’integrazionesociosanitaria”), dei Piani attuativi locali di cui alla Legge regionale23/04.Come si può notare, in linea con i cambiamenti dell’assetto <strong>familiare</strong>e sociale, la Legge ha definito nuovi compiti quali: prevenire le causedi infertilità in collegamento con tutti gli ospedali della Regione; assistere,sia dal punto di vista sanitario sia psicosociale, anche a domicilio,le donne e le famiglie a rischio psicosociale, prima del parto esubito dopo; fornire informazioni alle coppie che ricorrono alle tecnichedi riproduzione medicalmente assistita; dare consulenza e assistenzapsicologica e sociale nelle situazioni di disagio <strong>familiare</strong>, derivantidai nuovi assetti familiari, da separazione e da divorzio, attraversopercorsi di mediazione <strong>familiare</strong>; dare prestazioni psicologichesociali, anche riabilitative e post traumatiche alle vittime di violenzasessuale e ai minori vittime di grave trascuratezza e maltrattamento.L’evoluzione dei consultoriAvviati nel 1979 dai Comuni o dai consorzi, sono stati gestiti daglistessi fino al 1982 quando sono state istituite le Unità sanitarie locali.I consultori familiari sono diventate delle unità operative all’internoLo stato dell’arte dei consultori familiari-funzioni caratterizzanti33


del settore materno infantile, che ha iniziato una politica di collegamentotra i suoi servizi (all’epoca anche il Sert era inserito in questosettore) e gli alti servizi ospedalieri (ostetricia e pediatria) e territoriali(Centro di salute mentale, consorzio per l’assistenza specializzata).Nel 1995 sono state istituite le aziende per i servizi sanitari e i consultorifamiliari sono stati inseriti nei distretti sanitari, assumendo diversemodalità organizzative.Dal 1979 al 1995 c’è stata una forte presenza della Regione per l’avvioe il consolidamento iniziale dei consultori. Un funzionario regionaleera stato preposto al loro coordinamento; aveva costituito e ovviamentecoordinato un gruppo di operatori in rappresentanza dellevarie realtà territoriali (coordinamento regionale) con il quale ha lavoratoper il consolidamento iniziale dei consultori, la loro omogeneitànel territorio regionale, la formazione omogenea di tutti gli operatorisulle diverse tematiche di competenza del servizio.Localizzazione e struttura organizzativa dei consultori nellaRegioneLa Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giuliaè organizzata in 6 aziende per iservizi sanitari e conta 21sedi principali e 14 sediperiferiche di consultorifamiliari. A differenzadelle sedi principali,dove vengono erogatetutte le attività previstedalla legge, nelle sediperiferiche vengono svoltealcune attività peculiarmentestrategiche per quel territorio.L’Azienda per i servizi sanitari n. 1 è organizzata in 4 distretti, conta 4sedi di <strong>consultorio</strong> a cui si aggiungono 3 sedi periferiche.Con il nuovo atto aziendale, in ogni distretto sanitario è inserita un’unitàoperativa complessa “Bambini adolescenti donne famiglie”.Ogni unità operativa complessa ha al suo interno 2 o 3 unità operati-34 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


ve semplici, il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>e l’unità operativa “Bambini adolescenti”.Ogni unità operativa semplice, equindi il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, haun responsabile.L’Azienda per i servizi sanitari n. 2 è organizzata in2 distretti sanitari; in ogni distretto c’è una sede di<strong>consultorio</strong>. Entrambe le sedi appartengono aun’unica unità operativa: Consultorio <strong>familiare</strong>di Gorizia e Monfalcone, con un responsabile.Con il nuovo atto aziendale le due sedi diventerannosingole unità operative semplici, ognunacon un responsabile, e saranno inserite all’internodella Struttura operativa complessa “Areadella famiglia e dell’età evolutiva”.L’Azienda per i servizi sanitari n. 3 è organizzatain 2 sedi principali di <strong>consultorio</strong> e 4 periferiche. Con il nuovo attoaziendale ogni distretto sanitario avrà al suo interno una strutturaoperativa semplice “Area maternoinfantile e dell’età evolutiva”,in cui sonoaccorpate le funzionidei consultorifamiliari:età evolutiva,neuropsichiatriainfantile, equipe multidisciplinare,handicap. L’areamaterno infantile per la tutelaminori si integra con l’area minori dell’ambito sociale, la cui gestioneviene esercitata dall’Azienda su delega dei Comuni.L’Azienda per i servizi sanitari n. 4 è organizzata in 5 distretti, con 5sedi di <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, a cui se ne aggiungono 2 periferiche. ConLo stato dell’arte dei consultori familiari-funzioni caratterizzanti35


il nuovo atto aziendale in ognidistretto sanitario sarà presenteun’unità operativa semplice“Area materno infantile e dell’etàevolutiva e della disabilità”,all’interno della qualesi trova il <strong>consultorio</strong>, senzastrutturazione organizzativaautonoma, e senzaresponsabile.L’Azienda per i servizi sanitari n. 5 èorganizzata in 2 distretti con 3 sedi di<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, ora con ununico responsabile. Con il nuovo attoaziendale in ogni distretto ci saràun’unità operativa complessa “Areamaterno infantile” comprendente lastruttura operativa semplice Consultorio <strong>familiare</strong> e lastruttura operativa semplice Equipe multidisciplinare perl’handicap, entrambe con responsabile.L’Azienda per i servizi sanitari n. 6 èorganizzata in 5 distretti, conta 5sedi di <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, a cuise ne aggiungono 5 periferiche.Ora i consultori sono organizzati intre strutture operative semplici con treresponsabili. Una struttura operativasemplice è nel Distretto Nord, la secondasi occupa dei Distretti Urbano eOvest, la terza dei Distretti Est e Sud.Con il nuovo atto aziendale ci sono trestrutture operative semplici “Area maternoinfantile e dell’età evolutiva” con treresponsabili.36 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Da quanto sopra si evince l’eterogeneità relativa alla struttura organizzativadei consultori familiari e la necessità di un’omogeneizzazionecome indicato, peraltro, nel Progetto obiettivo materno infantileregionale.Le equipeIn tutte le equipe della Regione sono presenti: lo psicologo, l’assistentesociale, il ginecologo, l’ostetrica, l’assistente sanitaria. Inoltre, aseconda delle diverse realtà troviamo la presenza di altri operatori:l’infermiere professionale, l’operatore sociosanitario, la puericultrice,l’infermiere pediatrico, il legale, il pediatra.L’accessoIn tutti i consultori si accede con quattro diversi canali:1. accesso spontaneo, sia telefonico sia di persona2. tramite proposta attiva. Qui ritroviamo tutte la attività propostenel percorso nascita che avremo occasione di approfondire, iprogrammi di educazione e promozione della salute, con particolareriguardo ai temi della sessualità, per gli adolescenti e igiovani, i corsi e gli incontri su tematiche varie relative al ciclo divita. In particolare sono attivi in diverse realtà della Regionegruppi di sostegno alla funzione genitoriale. La proposta attivadello screening tramite pap test, attività deputata ai consultorifamiliari in quasi tutte le aziende, permette di incontrare tutta lapopolazione femminile ogni tre anni3. su richiesta dei magistrati del Tribunale per i minorenni, delTribunale ordinario4. su richiesta dei servizi territoriali e ospedalieri, nonché delmedico di famiglia.In questi 30 anni di storia i consultori hanno spostato molto le loroattività dalla richiesta spontanea alla proposta attiva e alla richiestadella magistratura e dei servizi territoriali e ospedalieri con cui lavorain rete. Vengono garantite da tutti i consultori familiari della Regione: la continuità delle cure (percorso nascita): infatti nel caso diproblematiche complesse (a valenza sanitaria o sociosanitaria)Lo stato dell’arte dei consultori familiari-funzioni caratterizzanti37


c’è la segnalazione della situazione da parte del punto nascita al<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> la presa in carico delle situazioni multiproblematiche: in tutta laRegione avviene attraverso l’Unità di valutazione distrettualeminori; solo nell’Azienda n. 6 c’è l’Unità di valutazione minoriorganizzata nei Comuni.L’accesso è gratuito e si è garantiti nell’anonimato e nella riservatezza.Le attivitàIn tutta la Regione i consultori familiari intervengono, con varie attività,nella popolazione sana perché salvaguardi la propria salute.Come richiesto dalle ultime leggi e che approfondiremo nelle diversesessioni di questo convegno, intervengono, se pur con modalità eorganizzazioni diverse, insieme agli ambiti socioassistenziali, ai serviziterritoriali e ospedalieri, con persone che presentano problematicitàgenerazionali stabilizzate, gravi disagi conclamati o che hannopoche risorse personali e familiari e delegano passivamente le loroscelte di vita. Intervengono, inoltre, con persone che vengono inviatedai magistrati, dai servizi e che prese dai loro conflitti non hannoalcuna intenzione di collaborare.<strong>Il</strong> sistema informativo<strong>Il</strong> Progetto di informatizzazione regionale dei consultori familiari,coordinato dall’Agenzia regionale salute, ha permesso: un confronto sui servizi erogati una verifica delle diversità determinate dalle singole realtà territorialie dalle scelte distrettuali la consapevolezza della necessità di un’unica definizione deiservizi fondamentali da erogare in modo uniforme la definizione concordata della mission del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>concretizzata in un elenco articolato di aree di interventocondivise.Tiziana Martuscelli


Seconda parte.Consultorio <strong>familiare</strong>:tra il sostegnoalla funzione genitorialee la tutela del minoreChairman: Luisa Menegon


Luisa MenegonIntroduzione al temaQuesta seconda parte della mattinata, che si svilupperà poi anchenel pomeriggio, apre all’area più prettamente psicosociale del<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> che chiama in causa la famiglia fatta di bambinie adulti. Quest’area rappresenta peraltro una corposa parte di lavoroattinente al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>.Come assistente sociale sono stata invitata a destreggiarmi tra le variee diverse relazioni che il programma prevede, e in questo sensoriprendo la metafora del titolo del convegno, dove rispetto al “ponte”mi trovo sull’argine del sociale, e sempre questo “ponte” collega ilsostegno alla tutela.E vado quindi a introdurre la relazione magistrale della dottoressaMarinella Malacrea, un’autorità nel campo della neuropsichiatriainfantile, nella psicoterapia con le figure genitoriali, nello studio enella pubblicazione di letteratura scientifica. Lavora nel centro specialistico“Ti ama” di Milano, che opera e studia nell’ambito del maltrattamentoe abuso. È unanimemente conosciuta dagli operatori quipresenti attraverso la sua partecipazione in qualità di esperta ai molteplicicorsi di formazione che tutte le aziende sanitarie e i consultorifamiliari della Regione hanno negli anni organizzato, e che hannoportato alla definizione di linee metodologiche comuni per la valutazionedella recuperabilità e capacità genitoriali nell’ambito degliinterventi prettamente consultoriali rivolti agli adulti.A lei e ai professionisti come Stefano Cirillo e Dante Ghezzi va il meritodi aver tracciato una nuova modalità di lavoro nel campo dellatutela, aiutando gli operatori a rileggere l’annoso dilemma che ci sipone fra “intervento spontaneo” e “intervento coatto”, dando valore edignità agli interventi di valutazione e recupero dei genitori trascu-40 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


anti e maltrattanti. <strong>Il</strong> diritto del bambino fa da faro all’operato dell’equipepsicosociale, ma perché non resti solo un mero enunciato ènecessaria una traduzione pratica: in questo caso intervenendo suigenitori per aiutarli a riconoscere il bisogno dei figli possiamo rendereesigibile questo diritto del figlio.Prima di passare la parola mi permetto anch’io una citazione inomaggio alla sede intitolata a Pasolini riportando l’attenzione a un’altragrande figura di studioso eclettico di origini carniche e friulane:Giorgio Ferigo, medico, letterato, storico. In questo caso richiamo unsuo monito alla genitorialità attuale e a una sottolineatura del dirittodel bambino alla libertà.<strong>Il</strong> testo si intitola Elogio ragionato dei papins (termine carnico dialettaleche può essere tradotto in “scappellotti”):«Ormai, una sorta di idolatria soffocante circonda tutta l’esistenza deibambini, irretiti in una fitta maglia di pediatri, maestri di nuoto e disci, psicologi infantili e adolescenziali, logopedisti per la “corretta”pronuncia e docenti per la “corretta” alimentazione, catechisti e organizzatoridi centri vacanze, insegnanti di ogni ordine e grado e specialistidi ogni materia e disciplina, nell’incertezza delle parole d’ordinee nella perentorietà moltiplicata dei divieti: un carico di adulti perbambino, insopportabile da ogni bambino; e un carico di impegni perbambino, intollerabile perfino da un adulto».Introduzione al tema41


Diritti in conflitto?di Marinella Malacrea


Nell’intervento precedente della dottoressa Martuscelli ho trovatoalcuni spunti che vorrei approfondire. Si è notato come progressivamenteall’interno dei consultori familiari si sono ampliate le areepsicosociali, l’assistenza postraumatica, anche con trattamenti dipresa in carico, ed è aumentata la percezione del disagio, cambiandola panoramica dei bisogni a cui dare risposta. I consultori familiarisono nati come servizi rivolti alla maggioranza della popolazione normale,non per gruppi patologici. Eppure lo spazio di intervento vienesempre più invaso da aree di disagio. Per quanto riguarda l’aumentodella percezione del disagio forse sta accadendo che ci sono deglistadi quando si attraversa la società civile nelle sue fasce deboli, e chequindi la società civile sta naturalmente progredendo in questi stadi.Per tutti gli altri fattori diamo la parola ai dati. Finalmente il <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> sta assumendo le proporzioni che ha e che aveva anchequaranta anni fa. Le esperienze sfavorevoli infantili rendono il mondodel bambino malsicuro e violento, imprevedibile e malvagio.Ritroviamo esperienze che possono essere vissute direttamente dalbambino oppure indirettamente, come la violenza assistita, l’alcolismo,le malattie psichiatriche di genitori o altri familiari, le gravimalattie fisiche invalidanti, i tracolli finanziari. Tutte queste situazionifanno parte di quello che può rendere il mondo imprevedibile emalsicuro, che dà rotture, che dà esiti di funzionamenti postraumatici.Vediamo cosa può derivare dalle esperienze sfavorevoli infantili(per maggiori informazioni: www.centrotiama.it). Le esperienze sfavorevoliinfantili provocano numerosi guai fisici che pesano sullaspesa sanitaria negli ospedali, negli ambulatori e danno tutta unaserie di esiti psicopatologici e comportamentali.Per far comprendere quante sono queste esperienze sfavorevoli infantili,faccio riferimento alla ricerca “Vita in bilico”: una ricerca retrospettiva,finanziata su iniziativa dell’Osservatorio nazionale sull’infanziae l’adolescenza, che ci fornisce dati italiani statisticamente affida-44 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


ili relativamente alla rilevazione delle esperienze di abuso sessualesia nella popolazione infantile sia in quella adulta, ovviamente perquest’ultima nel ricordo di quanto era avvenuto nell’infanzia. In realtàsi è successivamente estesa ai maltrattamenti vari, comprendendomaltrattamento fisico, psicologico, trascuratezza e violenza assistita.Per le aree di indagine sono state fatte delle interviste sia telefonichesia di persona a donne e uomini. Quando dovevamo elaborare questidati i soldi erano terminati, perciò abbiamo un numero elevato di datinon ancora elaborati. La parte delle interviste fatte di persona è statainvece elaborata con metodi statistici, scegliendo alcune Regioni. Eccoi dati relativi alla popolazione femminile italiana:Nessun abuso sessuale né maltrattamenti 26,4%Abuso sessuale (sommando le forme pure e miste) 24%Maltrattamenti (sommando le forme pure e miste) 67%Forme miste di abuso sessuale e altre forme di maltrattamento 18%L’età delle donne intervistate variava dai 19 ai 55 anni: abbiamo quindiraggiunto almeno tre generazioni; per questo motivo posso affermareche questi problemi esistevano ben prima della nascita dei consultorifamiliari, ma non si riteneva fossero così diffusi, non si connettevanoin modo preciso le conseguenze psicopatologiche o lemalattie fisiche e nessuno se ne faceva carico.È stata fatta una suddivisione nell’analisi dei dati in tre fasce d’età. Siè visto che mentre le esperienze riguardanti le altre forme di abusodiminuiscono con l’età, la fascia della gravità rimane inalterata con ilcambio degli stili educativi, dell’età, della società: nelle tre fasce èuguale. Tutte le altre indagini fatte negli Stati Uniti, in Nuova Zelandae in altri Paesi occidentali danno gli stessi risultati. Abbiamo poi fattouna distinzione fra situazioni lievi, medie e gravi, dal punto di vistadella previsione dell’impatto.Tra le esperienze ad alto impatto traumatico quelle gravi sono il 7%(un target accessibile), moderate il 20% (target di intervento più rassicurante).Le condizioni di salute sia psichica sia fisica di tutte le persone chehanno subito importanti esperienze sfavorevoli infantili sono peggio-Diritti in conflitto?45


i di coloro che non l’hanno subita; a volte la sproporzione è moltoampia, altre meno. A seguito di esperienze traumatiche nell’area dellasessualità ci possono essere due reazioni: disagio o fastidio verso lasessualità oppure utilizzo del sesso come unico modo per avere relazioni.<strong>Il</strong> 65% delle donne ha parlato delle proprie esperienze con qualcuno;di queste un terzo ha visto delle conseguenze concrete, il 5% ha vistouna mobilitazione delle istituzioni.In conclusione, le ricerche retrospettive si confermano come metododi ricerca più sensibile di altri approssimati per difetto. Abbiamo unacertezza, in linea con i dati nazionali: le esperienze sfavorevoli infantiligravi sono un dato sostenibile di intervento, danno patologiaimportante in età adulta sul piano fisico e psichico, gravando sullaspesa sanitaria. Intervenire sui funzionamenti postraumatici puòridurre molti tipi di patologie correlate.Vi illustrerò un caso che presenta molti aspetti generalizzabili.<strong>Il</strong> caso è di Maria. Ha 40 anni, laureata, sensibile, di aspetto gradevole;per contro nella sua vita non è riuscita a combinare nulla di buono.È rimasta ad abitare in un appartamento attiguo a quello dei suoigenitori: da loro dipende economicamente (ha avuto solo lavori precari)e per la cura dei figli. <strong>Il</strong> conflitto con i suoi genitori, i quali la consideranopazza e “puttana”, è molto aspro. Ha due figli: la primogenitaAlessandra è nata da un matrimonio con un uomo politico sudamericano,alcolista e violento che la picchiava da quando era incinta.L’unione si è conclusa perché Maria è fuggita nella casa dei genitoriche avevano sempre disapprovato il matrimonio. Lui è sparito nel suoPaese d’origine e non ha avuto più alcun rapporto con la figlia, che havissuto con i nonni materni; in particolare con il nonno ha instauratoun rapporto intenso costituito anche da toccamenti fisici, in bagno, inoccasione di giochi ambigui. Maria è stata eliminata come figuragenitoriale, tanto che la figlia non la riconosceva come madre, comefigura di attaccamento. La bambina ha abitato nella casa dei nonni e,pur vivendo nell’abitazione attigua, ha frequentato la madre in rareoccasioni. Maria ha molto sofferto della situazione, ma si sentivaimpotente, in quanto rifiutata dalla figlia e dai genitori. <strong>Il</strong> secondofiglio, Blado, ha 5 anni ed è figlio di un uomo albanese, conosciutocasualmente. Maria rimane incinta al primo rapporto sessuale e decidedi non abortire. L’unione è strumentale, non c’è alcuna affinità fra<strong>46</strong> <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


i due, lui è incolto e grezzo. Quando Blado ha 1 anno, la convivenzafinisce. Lui continua a occuparsi del bambino, con metodi educativipoco tolleranti e a volte violenti. Di questo bambino i genitori diMaria non si occupano: è un maschio, quindi non interessante per ilnonno materno che continua il suo rapporto esclusivo conAlessandra. Scarso è il rapporto della nonna con entrambi i nipoti.Anche i rapporti tra i due fratelli sono occasionali, nonostante la vicinanzadi abitazione. Mentre Alessandra è una bambina tendenzialmentedepressa, facile al pianto, brava a scuola e dai comportamentitendenzialmente controllati, Blado è un bambino problematico, irrequieto.La scuola materna segnala alla madre queste difficoltà delfiglio, motivo che spinge Maria a mettere fine al groviglio relazionaleche ha caratterizzato fino ad allora la sua esistenza. Ritenendo impossibileconvincere il padre a lasciarle avvicinare Alessandra, Mariaricorre al Tribunale dei minorenni. Ne nasce una battaglia legale franonni e figlia per il collocamento dei bambini. <strong>Il</strong> nonno materno va ingrande allarme perché teme che la figlia voglia allontanare da lui lanipote. <strong>Il</strong> Tribunale incarica i servizi per la tutela dei minori che chiedonoe ottengono l’allontanamento in comunità di Alessandra comeper una sorta di camera di decompressione. I rapporti sia con lamamma sia con i nonni sono all’inizio molto limitati e controllati.Iniziano una serie di interventi valutativi su Alessandra, Blado, Mariae i nonni materni. Maria è molto diffidente, ma paradossalmente questoallontanamento tanto sofferto non le sembra un passo tanto sbagliato.Almeno la bambina è al sicuro. Nell’ultimo periodo ha coltoatteggiamenti del nonno con Alessandra non più solo ambigui, mafrancamente erotizzati. Ricorda che quella di Alessandra è propriol’età in cui anche lei ha cominciato a diventare interessante per ilpadre, e poco più tardi erano iniziati i toccamenti sul seno, sui glutei,la gelosia violenta per ogni rapporto che non fosse con lui; il tutto nell’indifferenzae nel disprezzo della madre. Maria è consapevole che lasua quotidianità sarà tutt’altro che facile: i suoi genitori l’hanno sempre“avuta vinta” con lei, ha una figlia “contro” e un bambino con difficoltà.Guardando la sua vita attraverso gli avvenimenti accaduti,pensa sia stata un disastro e che come madre non ha dato il meglio disé. Ma è decisa a lottare. Pur credendo di non essere ascoltata e credutaparla dei suoi ricordi del padre con la psicologa incaricata per lavalutazione. Non solo viene creduta, ma viene inviata al nostro centroDiritti in conflitto?47


per una terapia personale che le permetta di affrontare il suo passato,dandole in questo modo la possibilità di rivederlo con occhi diversi e,quindi, di guardare anche al futuro. Maria arriva diffidente anche alcentro, si chiede come possa aiutarla la psicologia e se vale la penacambiare e non utilizzare più lo stile dissociativo per fuggire dalle suedifficoltà. Ha già cercato però di staccarsi dai genitori. In modo precarioha trovato un piccolo appartamento dove va a vivere con Blado,che dopo meno di un anno diventa meno inquieto. Si aprono nuovepossibilità di lavoro e di collaborazione. La stima di sé un po’ risale.Maria si ingaggia in terapia. <strong>Il</strong> lavoro su di sé le dà nuovo benessere.Progressivamente conquista anche la fiducia di Alessandra. <strong>Il</strong> percorsocontinua.<strong>Il</strong> rischio per Maria e i suoi figli era molto alto. Che cosa ha potutoscongiurarlo? le conoscenze scientifiche sull’importanza delle esperienzeinfantili nello sviluppo della personalità la conoscenza scientifica e la consapevolezza della diffusionedelle esperienze sfavorevoli infantili e delle loro conseguenze la consapevolezza dell’alta frequenza della trasmissione intergenerazionaledelle esperienze sfavorevoli infantili non fermarsi ai mezzi giuridici di tutela, ma basarsi sulla propriamission mantenere una salda visione integrata delle sofferenze dellamadre e dei bambini la gestione delle esperienze sfavorevoli infantili con tecnicheprecise centrate sul trauma la nozione di finestra di plasticità, gli eventi turbativi negativi epositivi ad alto investimento emotivo che contengono in sé unalto potenziale di cambiamento.Qualsiasi trigger, situazione ad alto investimento emotivo positivo onegativo, apre una finestra di plasticità in comportamenti, in sistemidifensivi spesso arrugginiti dall’esperienza. È qui che abbiamo la possibilitàdi inserirci per fare “lo scambio dei binari”. Se invece agiamoin modo giustizialista, non interventista, autoreferenziale, facilmentela finestra di plasticità produrrà una riattivazione traumatica, riattivandole stesse difese. Se si chiude la finestra di plasticità, ritorna la48 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


pietra. Se invece ci inseriamo “dentro” come agenti, capaci di trasformarequel trigger in stress moderato, attraverso l’ascolto, l’accompagnamento,l’intervento specifico e competente, si può andare versouna strada di contenimento del lutto e quindi di guarigione anche diquel pregresso.Marinella MalacreaDiritti in conflitto?49


Progettualità e percorsi diintegrazione. Tra diritto esostegno alla genitorialitàTavola rotondaChairman: Luisa Menegon


Luisa MenegonDiamo inizio alla tavola rotonda che richiama ai diversi progetti diintegrazione nell’area della genitorialità e della tutela dei minori inquanto nelle intenzioni del comitato scientifico, come sottolineatonella mattinata, potrà dar voce alle diverse aree di lavoro dei consultorifamiliari che richiamano all’integrazione e che rappresentano lavariegata attività regionale.La collaborazione di tanti colleghi nella preparazione di questo convegnoci permetterà di fare il punto della situazione dei servizi e di andarea conoscere alcune realtà interessanti anche per poter riflettere sui 30anni di attività dei consultori familiari. Intervengono alla tavolarotonda operatori dei servizi consultoriali pubblici e privati, dei servizisociali degli ambiti con i quali i consultori familiari collaboranocostantemente, rappresentanti dei magistrati e del Tribunale per iminorenni, giudici del Tribunale ordinario e un rappresentantedell’Ordine degli avvocati.<strong>Il</strong> punto della riflessione di questo pomeriggio riguarda la famiglia e ilbambino e attorno a questo focus si orienteranno gli interventi dei varirelatori.Una Regione come la nostra con un panorama territoriale fatto didiverse realtà ha portato a configurare diversi assetti organizzatividove il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> è comunque parte attiva e dove si sono sviluppatinel tempo aspetti e prassi metodologiche comuni che hannoanche espresso scambi e progettualità originali.Passerei alla prima relazione della dottoressa Gabriella Bozzi, psicologae psicoterapeuta. Dal 1998 opera presso il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> diGorizia-zona isontina, con precedente esperienza dal 1993 presso il serviziodi neuropsichiatria infantile isontina.Parlerà di come favorire l’integrazione fra i diversi operatori, servizi52 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


esponsabili di un intervento, anche attraverso la costituzione di equipeintegrate e gruppi trasversali di lavoro.La prospettiva dovrà quindi essere multidisciplinare, dove la diversitàdei servizi sia esclusivamente funzionale organizzativa, mentre l’integrazionenella presa a carico sia progettuale, unitaria e tanto specializzatada superare gli specialisti. Gabriella BozziCome affrontare le nuove complessità della famiglia e lamultiproblematicità. Un esempio di integrazione traAss e ambito: il protocollo minoriDa molti anni gli operatori del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> e del servizioper l’età evolutiva hanno iniziato a lavorare per affrontare i problemidei minori attivando interventi di rete. Era infatti evidentecome in passato molto spesso nei programmi d’intervento predispostisui casi alcuni operatori si inserissero con azioni decise autonomamentesenza accordarsi o coordinarsi con colleghi anche di agenziediverse.Questa mancanza di condivisione del problema e l’attivazione di strategied’intervento, a volte anche in contraddizione tra loro, in alcunicasi diventava un importante elemento che contribuiva spesso al fallimentodegli interventi e al non raggiungimento degli obiettivi. Tuttociò comportava una ricaduta negativa sugli utenti e una contemporaneafrustrazione degli operatori. <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> si è sempreattivato promuovendo iniziative di sensibilizzazione e formazionecoinvolgendo via via un numero sempre maggiore di operatori e diagenzie. La principale difficoltà nel processo di integrazione dei serviziconsisteva prevalentemente nel fatto che ogni iniziativa dipendevadalla disponibilità individuale di ogni operatore e dei singoli servizi.Alcuni operatori del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> hanno quindi progettatouno strumento che vincolasse i servizi alla partecipazione e alla condivisionenelle situazioni di minori a rischio e, in particolare, in quel-Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità53


le su cui era intervenuta in qualche modo l’autorità giudiziaria. Si ècosì iniziato un lavoro congiunto del <strong>consultorio</strong> e del servizio perl’età evolutiva, che ha portato nel 1998 alla stesura del protocollo sottoscrittodal direttore generale dell’Azienda sanitaria e dei sindaci deiComuni capofila dell’ambito.<strong>Il</strong> Protocollo minori ha come obiettivo generale l’attivazione di risposteintegrate alla problematica minorile, sia a livello individuale siaprogrammatorio.In quest’ottica sono stati definiti due livelli d’intervento con obiettivispecifici:a. costituzione di un gruppo integrato composto dai referenti del<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, l’Unità operativa per l’età evolutiva e laprevenzione dell’handicap, il Dipartimento di salute mentale, ilSert e il servizio sociale dei Comuni, con compito di promuovereuna ricerca metodologica, elaborare procedure condivise egarantire la congruità degli interventib. attivazione di gruppi operativi integrati composti da operatoridel servizio sociale dei Comuni, del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>,dell’Unità operativa per l’età evolutiva e la prevenzione dell’handicape, se necessario, degli altri servizi specialistici dell’aziendasanitaria (Centro di salute mentale e Sert) per la presa incarico congiunta attraverso una prassi definitiva.Ci soffermeremo in particolare sul secondo obiettivo e cioè sui gruppioperativi integrati.Azioni relative all’obiettivo b)<strong>Il</strong> gruppo operativo attua la presa in carico congiunta attraverso: la valutazione delle situazioni di minori in situazioni di pregiudizio la valutazione della necessità di segnalare al Tribunale deiminori l’accoglimento delle situazioni segnalate con decreto dalTribunale dei minori e dal Tribunale ordinario ipotesi diagnostica programma d’intervento con le diverse componenti d’azione54 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


trattamento del caso verifiche periodiche relazioni per il Tribunale dei minori o per il Tribunale ordinarioconcordate e sottoscritte da tutti i servizi coinvolti (ogni serviziopredispone la relazione del proprio intervento).Struttura organizzativa<strong>Il</strong> gruppo operativo è composto da operatori del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>,dell’Unità operativa per l’età evolutiva e la prevenzione dell’handicape del servizio sociale dei Comuni che valuteranno la situazione e,di volta in volta, qualora ne ravvisino la necessità, richiederanno l’interventodel Sert e del Centro di salute mentale.Tenendo conto delle competenze di ogni servizio si predisporrà unprogramma d’intervento sul caso e si valuterà l’opportunità di integrareil gruppo convocando anche altri servizi dell’Ass ed eventualiagenzie del territorio.<strong>Il</strong> gruppo operativo potrà essere convocato indifferentemente da unodei servizi (servizio sociale dei Comuni, <strong>consultorio</strong>, Unità operativaper l’età evolutiva e la prevenzione dell’handicap, Centro di salutementale, Sert) che incontra situazioni e casi per i quali ritiene utileuna valutazione congiunta.L’attivazione avviene attraverso una convocazione scritta usando unapposito modello prestabilito.La documentazione del lavoro integrato sul caso avviene attraverso lastesura di un verbale sottoscritto da tutti gli operatori presenti, cheviene fatto pervenire a ogni servizio coinvolto.<strong>Il</strong> progetto concordato all’interno del gruppo operativo vincola iresponsabili dei servizi e non solo gli operatori stessi.Gli interventi degli operatori coinvolti nel progetto sono garantiti dalresponsabili dei rispettivi servizi.Al momento, pur essendo ancora in attesa della stipula di un nuovoprotocollo tra Azienda sanitaria e ambiti, spontaneamente gli operatoricontinuano ad attivarsi secondo il modello che abbiamo descritto.A ognuno di noi infatti risulta ormai pressoché impossibile pensaredi affrontare situazioni complesse senza attivare queste modalitàoperative. L’importanza di questo protocollo nel tempo si è andata viavia evidenziando, tenendo conto anche del fatto che le situazioni diminori sui quali intervengono il Tribunale per i minori e il TribunaleProgettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità55


ordinario costituiscono la maggioranza dei casi su cui intervengonogli operatori dell’area psicosociale del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>. Luisa Menegon<strong>Il</strong> dottor Lazzaro, assente per malattia, è stato sostituito dal dottorAppierto che ci raggiungerà più tardi. Passiamo quindi all’interventodella dottoressa Maria Antonia Pili, avvocato del Foro di Pordenone eUdine, ideatrice e presidente del Laboratorio forense di Pordenone:esperienza pilota partita da un lavoro congiunto tra magistratura, servizie avvocati. Questa esperienza, che si può definire unica in Regionee forse anche a livello nazionale, è stata possibile proprio perché ha trovatoil supporto dei vertici della magistratura del Tribunale, della cancelleriae degli operatori dei servizi. La collaborazione trasversale tramondi istituzionali diversi ha permesso anche un’integrazione diconoscenze e di linguaggi facilitanti il dialogo.È interessante in questo caso poter interagire con il difensore di parte,figura con la quale gli operatori di <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> che si occupanodi separazioni o mediazione si muovono sempre con una certa cautelaproprio per preservare quella posizione di neutralità assunta conla coppia. Maria Antonia Pili<strong>Il</strong> difensore di parte nel rapporto con i servizi consultoriali:fra opportunità e criticitàMi rendo conto di essere in un’“arena” – quella dei consultori –non propriamente favorevole alla categoria che rappresento,ma le sfide, o meglio in questo caso il confronto, non mi preoccupano56 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


e oltretutto il dibattito sul punto mi sembra aver preso avvio già congli altri interventi precedenti!Sono infatti stata invitata a partecipare a questo interessante incontroin qualità di presidente di un’associazione di avvocati pordenonesi, il“Laboratorio forense”, costituita da circa 10 anni principalmente conl’intenzione di affrontare nella pratica e in un’ottica propositiva quellesituazioni problematiche e conflittuali relative al diritto di famiglia,dei minori e della personalità in genere che riscontravamo già da allorasempre più frequenti.L’iniziativa, almeno per tutti quelli fra noi che si occupano già datempo di questo settore del diritto, si era resa per così dire quasi obbligatoria,poiché le allarmanti conflittualità familiari – alcune delle piùgravi forse all’epoca erano ancora in nuce – ci facevano presagire l’aggravarsidel problema tanto da rischiare di assumere rilevanza sociale,cosa che in effetti è poi avvenuta.Si trattava, a nostro parere, di individuare una sorta di linguaggiocomune fra i vari operatori coinvolti nel settore: avvocati, magistrati,servizi consultoriali e sociali, psichiatri, psicologi, assistenti sociali,insomma tutti coloro che, seppur in forma, misura e funzioni diverse,sono chiamati a impiegare le rispettive risorse e competenze specificheper cercare di risolvere o quantomeno contenere e arginare le crescenti“patologie” del settore.In quest’ultimo decennio la conflittualità si è in effetti acuita inmaniera preoccupante e in questi ultimi tempi, per così dire, staandando proprio a briglie sciolte.L’attività del Laboratorio forense si è posta in primo luogo come fondamentola necessità di un comune modus operandi proprio fra gliavvocati – ora vengono definiti “familiaristi” – i quali devono necessariamenterispettare la priorità deontologica volta a privilegiare i diritti,gli interessi e le aspettative dei minori e dei soggetti più deboli ingenere. Non sempre è un obiettivo semplice da raggiungere, poichénon tutti i colleghi, in prima battuta, sono disponibili ad accettare ilprincipio che per l’avvocato familiarista valga la regola che “il clientenon ha sempre ragione”. Spesso ci sono fra di noi confronti ancheaspri sul punto, come cercherò di specificare in seguito, ma a onor delvero devo dire che alla fine, nella maggior parte dei casi, stiamo riuscendoa parlare lo stesso linguaggio; chi, dopo non facile approccio,alla fine si appassiona alla materia e alla risoluzione delle inevitabiliProgettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità57


problematiche che comporta, si ritrova concorde con la nostra operadi sensibilizzazione e mediazione che in primis è culturale. Per esempiodiscipline come la psicologia, la psicanalisi, la sociologia e lamediazione <strong>familiare</strong> e interpersonale in genere fino a qualche tempofa non facevano assolutamente parte del patrimonio del sapere forensese non in misura minima, e anzi molti colleghi erano soliti affermarequasi con aria di sufficienza, che loro non erano assistenti socialima avvocati. Ora, grazie alle prassi comuni che si sono attivate unpo’ ovunque, tutti convengono che in effetti molti problemi non sipossono risolvere se non attraverso la sinergia di varie discipline eprofessionalità.Non è stato un caso che la prima iniziativa di prassi comune organizzatadal Laboratorio forense presso il Tribunale di Pordenone sia stataquella relativa alle consulenze tecniche d’ufficio richieste dalTribunale nei casi più problematici, e in particolare sulla “formulazionedei quesiti” da sottoporre agli esperti, pubblici e privati.Devo dire che gli innumerevoli incontri succedutisi, che hanno vistoanche l’interessata partecipazione di tutti i consultori e i servizi socialidella Provincia, e lo scambio tecnico culturale che ne è sortito fra glistessi e gli avvocati e i magistrati del Tribunale di Pordenone, hannoportato quanto meno alla formulazione unitaria di un quesito standardal quale grosso modo tutti ci stiamo ancora attenendo, nell’otticadi arrivare alla decisione – che in ultima analisi spetta sempre almagistrato – di adottare i provvedimenti migliori possibili nell’interesseprioritario dei minori.Addirittura nell’ambito di quei confronti è emersa l’ipotesi condivisadi richiedere al Tribunale, da parte dell’avvocato, di incaricare i servizidi redigere, in vista della prima comparizione dei coniugi, una breverelazione preliminare indicativa delle migliori modalità possibili – allostato – di affidamento dei figli, dopo aver sentito seppur sommariamentele parti e aver verificato le condizioni di vita della famiglia.<strong>Il</strong> beneficio di questa prassi, che il Tribunale di Pordenone ha pienamenteaccolto e approvato, è che fin da subito il magistrato ha un’indicazioneperlomeno di massima in ordine ai provvedimenti provvisoriche deve adottare relativamente ai figli, e quindi il margine dierrore viene considerevolmente ridotto. Succedeva infatti per lo piùche in sede di udienza presidenziale si verificasse una sorta di pantomimadove un coniuge rendeva una versione della realtà <strong>familiare</strong>58 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


diametralmente opposta a quella dell’altro. Ovviamente ciascuno erasupportato dal proprio avvocato (il quale tante volte non sapeva secredere al proprio cliente o meno). Sicché il giudice, il più delle volte“preso fra due fuochi”, assumeva i provvedimenti provvisori secondoil suo libero convincimento o addirittura – come qualche magistratoha avuto modo ironicamente e tristemente di dire – “tirando a sorte”nella speranza di decidere per il meglio (salvo poi doversi ricredere nelprosieguo del giudizio, allorché però il danno, a volte anche irreparabile,si era ormai prodotto).Ed ecco allora che poter contare su un’indicazione di massima obiettiva(basata cioè su verifiche realmente effettuate) può avere un’importanzaenorme e a volte addirittura immediatamente risolutivadelle controversie (basate spesso inizialmente sul puro pretesto dell’unoo dell’altro coniuge). A seguito di verifiche anche sommarie,infatti, ciascuno potrebbe sentirsi “scoperto” e potrebbe anche arrivaread accettare spontaneamente – magari attraverso un percorso dimediazione – delle soluzioni condivise per il bene dei figli.Posso dire che usando gli accorgimenti appena illustrati, cioè la formulazionedi un quesito omogeneo e condiviso e l’ingresso di unaverifica seppur sommaria in vista dell’udienza presidenziale, nell’80-85% dei casi si riesce a risolvere il problema e addirittura a trasformarela separazione da giudiziale a consensuale.Grande contributo, come ho già sopra accennato, è ovviamente quellodegli avvocati familiaristi, che fin dal primo approccio con il clientedovrebbero adottare modelli comunicativi basati sulla lealtà ed evitaredi prestarsi a rafforzare la convinzione (a volte fuorviate) del propriocliente di avere ragione tout court. Si evitano così anche situazionicome «voler rovinare l’altro che gli ha rovinato la vita», «volerlomorto», «non voler nemmeno ipotizzare che i figli stiano con lui o lei»,«non dargli nemmeno un soldo per vederlo morire di fame o finalmentevederlo strisciare ai miei piedi» e altre amenità del genere, progettateil più delle volte a totale discapito dei figli, sempre e comunquevittime “privilegiate” dei conflitti coniugali.Tuttavia, anche e nonostante la buona volontà e l’impegno di tutti isoggetti coinvolti, avvocati in primis, succede che una percentualepari al 10-15% di casi sia veramente di difficile se non impossibilesoluzione. Magari perché si è partiti con il piede sbagliato o perché iconiugi sono affetti da gravi patologie psichiche o perché il conflitto siProgettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità59


è talmente incancrenito negli anni che le parti sognano ora soltanto lavendetta o perché ci sono violenze psicofisiche o sessuali nei confrontidei minori o del coniuge molto difficili da “stanare”. In quei casi,almeno per quanto riguarda la nostra esperienza locale, la collaborazionedi cui sopra purtroppo è quasi sempre naufragata miseramente,o addirittura non ha nemmeno potuto avere inizio.Nella maggior parte di quelle situazioni purtroppo, e qui mi si concedadi spezzare una lancia a favore di noi avvocati, l’intervento dei serviziè per lo più veramente modesto, in quanto difficilmente riesce asuggerire ai magistrati una soluzione adattabile ai casi. Inoltre, poichégli operatori si rendono conto di non riuscire a portare adeguatamentea termine il loro compito, il più delle volte rischiano di erigere unvero e proprio muro di incomunicabilità fra le parti e con i loro avvocati,che finisce addirittura per aumentare la conflittualità.È per questo motivo che noi avvocati, appena avvertiamo che i servizi“girano a vuoto” attorno al problema, che via via va peggiorando con ilrischio di non risolvere nulla, chiediamo che venga dato ingresso nellacausa a una vera propria consulenza tecnica d’ufficio. In questo modosi ha la possibilità di nominare i consulenti di parte, che in qualchemodo interagiscano con quello del giudice in una corretta dialetticaprocessuale che tenga comunque prioritariamente conto dei diritti edegli interessi superiori dei minori e dei soggetti più deboli.Dico ciò poiché, non avendo l’avvocato nessuna facoltà di interveniresull’operato dei servizi sociali, se non su loro esplicito invito, èovvio che si crea una sorta di rapporto mentale di subordinazione difficilmenterecuperabile allorquando la relazione viene depositata e ilgiudice quasi sempre si attiene a essa, proprio per mancanza di suedirette conoscenze tecniche. E purtroppo diverse volte le soluzioniproposte dai servizi si rivelano inadeguate o addirittura non vieneproposta nessuna soluzione: ci si barcamena fra una richiesta di “ulterioremonitoraggio” e l’altra, e così possono passare anche anni e glianimi si esasperano sempre di più.A volte addirittura sono i magistrati stessi che si spazientiscono perl’inconcludenza dei servizi consultoriali e allora possono nascereulteriori diversi problemi.Non si dimentichi che di norma le parti sono molto ostili e diffidentinei confronti del servizio <strong>pubblico</strong> che ritengono un “nemico” o un“controllore” piuttosto che un aiuto alla risoluzione di problemi.60 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Tante volte noi avvocati dobbiamo mediare anche sotto questo profilocon i clienti. Non sempre ciò è facile per tutti i miei colleghi, poichéspesso i clienti riferiscono di commenti e giudizi che alcuni addetti aiservizi rivolgono anche verso il nostro operato. Ecco spiegato perchéall’inizio del mio intervento ho esordito dicendo di essere inun’“arena” non proprio favorevole alla categoria che rappresento. Mala mia critica viene svolta in termini, se si vuole anche crudi, ma sicuramentepropositivi poiché dal riconoscimento dei rispettivi errorisono certa si possa raggiungere il giusto equilibrio che viene richiestoai nostri rispettivi interventi.Per fortuna, quelli a cui mi sono da ultimo riferita sono casi abbastanzalimitati e facilmente individuabili, la cui percentuale si assestaintorno al 10%, massimo 15%. E non è detto che un impegno e a volteuna professionalità più accurati e dialettici non possano ridurreanche questa percentuale: noi lo auspichiamo.Al proposito, e per focalizzare la casistica più allarmante, vorrei sottolineareche una problematica emergente in questi ultimissimi anni,purtroppo anche presso i nostri Tribunali, è rappresentata dalla cosiddetta“sindrome da alienazione genitoriale”. Vale a dire: un genitoredenigra l’altro davanti ai figli minori per raggiungere propri scopi specificiche possono riguardare o profili economici o di pura e semplicevendetta o di desiderio di distruggere l’altro.Ebbene, una delle strategie preferite dal genitore alienante è rappresentatadall’adoperarsi in ogni modo, lecito o illecito che sia, per convincereil mondo intero (e soprattutto il figlio minore interessato) che il genitorealienato abusa o ha abusato sessualmente di lui. Le nostre Procuresono state letteralmente intasate da queste ipotesi di reato che in buonaparte si sono poi rivelate infondate, con ulteriore danno nonché abusoanche giudiziario nei confronti dei minori – abuso secondario così definitodalla “Convenzione dei diritti del fanciullo” di New York.In queste situazioni è necessario che gli interventi – soprattutto quellidi prime cure – degli esperti siano assolutamente prudenti eapprofonditi e che le interpretazioni che vengono fornite alle condotte“reattive” dei minori in questione siano assolutamente formulatesulla base di criteri scientifici a partire dagli elementi forniti nel corsodelle audizioni.Se infatti l’interpretazione di ciò che emerge dalle dichiarazioni deiminori sono inesatte o addirittura improprie, si rischia di innescareProgettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità61


una serie di reazioni a catena in cui il danno finale viene comunqueprodotto ancora una volta e ancora di più nei confronti del minore.Con i colleghi del Laboratorio forense abbiamo promosso un’iniziativavolta ad allestire all’interno del Tribunale di Pordenone dei localipredisposti specificatamente per l’audizione dei minori, perché possaavvenire in sede di procedimenti sia civili sia penali, alla presenzadelle parti che ne hanno diritto (che ovviamente staranno dietro lospecchio unidirezionale senza alcuna possibilità di essere viste o percepitedai minori). Questa corretta modalità a nostro parere può sicuramenteaiutare a risolvere molti problemi fin dall’origine: se ci sonosituazioni di pericolo, di disagio o addirittura di abuso verso i minori,potranno essere immediatamente percepite anche dalle parti conl’aiuto di consulenti, e ci si potrà muovere quindi all’unisono semprenell’interesse prioritario dei minori.Oltretutto è parere della sottoscritta, non condiviso però da diversimiei colleghi soprattutto penalisti, che quando ci si trova in presenzadi abusi gravi verso i minori, benché provenienti dai propri assistiti, cisia l’“obbligo” comunque di denunciarli senza per questo incorrerenella violazione del segreto professionale.La gravità dei reati di questo genere e l’impossibilità delle vittime diautodifendersi possono senz’altro costituire la giustificazione per unasegnalazione da parte di chiunque, quindi anche dell’avvocato difensoredella parte che delinque. L’interesse da tutelare è <strong>pubblico</strong> perchériguarda soggetti minori indifesi per loro natura.So che i colleghi penalisti, anche quelli che mi stanno ascoltando inquesto momento, avrebbero molto da ridire ed eventualmente lopotranno fare dopo nel dibattito, anche perché l’argomento in questiultimi tempi è piuttosto vivace nonché sulla cresta dell’onda nell’ambitodei molti corsi di formazione psicogiuridici che sono stati promossiproprio in questi ultimi tempi.Per tornare ai locali per l’audizione dei minori, volevo solo informareche il progetto è in dirittura d’arrivo: il Tribunale ha riservato dueampi locali al piano terra con accesso autonomo rispetto a quello peril <strong>pubblico</strong>; la Procura ha dato il suo consenso e anzi ne auspica la realizzazionein tempi brevi data la crescente necessità; il Comune diPordenone ha dato la disponibilità alla realizzazione delle opere strutturalinecessarie; alcuni sponsor privati hanno assicurato il loro contributoper gli arredi e l’impianto di videoregistrazione.62 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Insomma l’iniziativa ha incontrato il favore di tutti e ciò è segno che laproposta nei termini da noi formulati di intervenire nell’interesse eper il benessere dei minori è più che sentita a livello sociale e percepitacome un problema di <strong>pubblico</strong> interesse da seguire con grandecura, sensibilità e competenza professionale, sempre nel rispetto dialetticodei ruoli di ciascuno.Per concludere il mio intervento vorrei parlarvi di un recente caso giudiziarioavvenuto nel nostro territorio e che ha visto coinvolto ilTribunale civile e penale di Pordenone, la Procura della Repubblica diPordenone, il Tribunale per i minorenni di Trieste e la Procura dellaRepubblica presso il Tribunale per i minorenni di Trieste.È un caso molto triste e di una gravità inaudita, che ha causato unpesante abuso giudiziario su due fratellini, con danni probabilmenteirreparabili che nessuno potrà adeguatamente risarcire, quantomenosotto il profilo psichico dell’irreversibilità. Quel che è peggio, si trattadi una situazione che avrebbe potuto e dovuto essere arginata già sulnascere, solo che si fossero usati maggiori professionalità, accuratezzanelle verifiche, sapere scientifico e soprattutto una dose media dibuonsenso da parte di tutti i soggetti intervenuti.Ho deciso di chiudere il mio intervento con questo caso, che rappresentaun vero e proprio fallimento di tutti i soggetti intervenuti a tuteladei minori, non per mera provocazione ma per dare un messaggioa tutti noi: se ci fosse maggior comunicazione e interdisciplinarità,ciascuno nel rispetto del proprio ruolo con una dialettica leale erispettosa dell’altro, casi simili non si verificherebbero, e non vogliamoche ciò avvenga per il futuro.Con i miei colleghi del Laboratorio forense cerchiamo di farlo e speriamoche l’opera di sensibilizzazione possa coinvolgere noi tutti perevitare gli errori passati proiettandosi verso un modo nuovo di analizzaree risolvere i conflitti familiari sempre più frequenti, sottolineandoneadeguatamente e approfonditamente sia le cause principali sia imodi più adeguati per eliminarle.Noi avvocati familiaristi stiamo tra l’altro aspettando da tempo che ilLegislatore giunga alla formulazione di un corpus omogeneo cheriguardi il diritto di famiglia, dei minori e della personalità. Così sipotranno evitare inutili e a volte dannose sovrapposizioni di giudicatie di interpretazioni. <strong>Il</strong> corpus deve prevedere una formazione permanenteanche de iure condendo e multidisciplinare – fra avvocati,Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità63


magistrati e tutti gli operatori del settore, siano forze dell’ordine, serviziconsultoriali e sociali – con l’unico fine comune di rendere unadeguato servizio alla società proprio negli aspetti più importanti ecoinvolgenti che riguardano i rapporti familiari e interpersonali.Quindi nessuna censura e nessun rimprovero per nessuno, ma unasperanza che anche noi, insieme, possiamo cambiare alcune regole,malamente consolidate, con buone prassi comuni. Oltretutto nellanostra realtà locale, in una Regione tutto sommato piccola e dunquequantitativamente più facile anche sotto i profili delle emergenze,sarebbe bello riuscire a lavorare insieme nell’ottica di un modellosociale in questo settore da esportare anche in altre realtà più vaste,così come è già avvenuto con alcune piccole ma utili prassi ormaiconsolidate nel nostro Tribunale di Pordenone.Concludo illustrandovi il caso augurandoci che non si ripeta più nulladi analogo.Tizio e Caia si separano consensualmente tre anni fa optando per l’affidamentocondiviso dei due figli minori X e Y rispettivamente di 8 edi 6 anni. Concordano altresì che i bambini rimangano collocati prevalentementepresso la madre e stabiliscono le modalità di permanenzacon il padre.Subito dopo la separazione Caia intraprende una relazione con unaltro uomo che nel giro di pochi mesi va a vivere con lei insieme ai figliminori. Da quel momento inizia una vera e propria opera di demolizionedi Caia e del suo nuovo compagno nei confronti di Tizio, chesfocia nella presentazione di un ricorso per modifica delle condizionidi separazione (oltretutto dopo appena un anno dall’accordo consensuale)con il quale Caia chiede l’affidamento esclusivo dei figli X e Yper una generica inadeguatezza del padre. Contestualmente Caia presentaformale denuncia penale presso la Questura nei confronti diTizio asserendo che la figlia minore, da rivelazioni fornite alle maestrenonché al suo convivente, avrebbe subito degli abusi sessuali da partedel padre nelle occasioni di sua permanenza presso di lui durante ifine settimana a lui assegnati. A seguito di questi episodi la bambinasarebbe molto scossa e non vorrebbe più andare dal papà.Ovviamente di questa denuncia viene data subito comunicazione alTribunale per i minorenni e alla Procura della Repubblica di Trieste.Da quel momento inizia un lungo calvario giudiziario che vede inprimo luogo i due figli minori vittime inconsapevoli dei difficili rap-64 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


porti tra adulti, e in secondo luogo mette Tizio in una posizione veramenteinfamante dalla quale si deve difendere in svariate sedi giudiziarieper proclamare e vedere riconosciuta la sua estraneità ai fattiche gli contesta la moglie Caia.Ciascuna delle autorità giudiziarie adite prende contemporaneamente(e l’una all’insaputa dell’altra) posizione:1. il Tribunale per i minorenni sospende inaudita altera parte lapotestà genitoriale al padre Tizio e affida entrambi i minori, invia provvisoria e urgente, al Comune di residenza con collocazionepresso la madre2. il Tribunale ordinario conferisce incarico a un consulente tecnicod’ufficio per esaminare la situazione, e questi pare suggerirel’affidamento dei minori al padre in quanto sarebbe in atto unavera e propria sindrome da alienazione genitoriale posta inessere dalla madre a danno sia del padre sia dei minori3. la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario avviaun procedimento penale nei confronti del padre Tizio per violenzacarnale nei confronti della figlia minore Y, con coinvolgimentopsicologico, pare, anche del figlio minore X.Risultato più eclatante di questi “pasticci giudiziari” è che il padre nonè più riuscito a vedere i figli: gli è sempre stato sistematicamente impeditodi farlo sia, in primis, dalla moglie, sia dai servizi sociali che parevanodecisamente propendere per la versione di Caia, forse “spaventati”dal procedimento penale in corso che di fatto paralizzava tutto.Le lungaggini processuali e la contraddittorietà fra un’autorità giudiziariae l’altra sono facilmente immaginabili, così come è facilmenteintuibile la condizione psicofisica dei minori e del padre. Oltretuttoanche il Tribunale ordinario, che in un primo momento a seguito dellaconsulenza tecnica d’ufficio si era addirittura orientato per l’affidamentoesclusivo al padre, prendeva successivamente posizione assaidecisa contro di lui, visto il procedimento penale in corso. Dichiaravapoi estinto il procedimento civile di modifica delle condizioni di separazione,in quanto della vicenda se ne stava occupando il Tribunaleper i Minorenni, ricalcando nel provvedimento di estinzione esattamentele posizioni adottate da quest’ultimo a danno del padre Tizio.Quindi nessun contatto, nemmeno protetto, è stato più ristabilito fraProgettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità65


padre e figli, nemmeno dopo l’indicazione del Tribunale per i minorenniche aveva in un primo tempo incaricato i servizi quanto menodi sondare se ci fosse una possibilità di loro ripresa.<strong>Il</strong> procedimento penale, dopo numerose perizie e consulenze, è statoarchiviato riconoscendo il giudice penale sia l’inattendibilità a testimoniaredei minori, sia l’esclusione presso gli stessi di qualsiasi indicedi violenza subìta.Conseguentemente la sentenza di proscioglimento è stata portata allaconoscenza del Tribunale per i minorenni che, presone atto, ha revocatoil proprio decreto di sospensione della potestà genitoriale alpadre nonché di affidamento dei minori al Comune di residenza.Questa sua ultima decisione è stata motivata col fatto che il Tribunaleordinario aveva statuito, in sede di estinzione del procedimento permodifica delle condizioni di separazione, di far proprie le posizionidel Tribunale per i minorenni. Dire che è il solito “gatto che si mordela coda” è un eufemismo.In definitiva quindi: il Tribunale ordinario non era più competente inquanto aveva delegato la soluzione del problema al Tribunale per iminorenni; il Tribunale per i minorenni, una volta avuta contezza dell’assoluzionedi Tizio in sede penale, aveva a sua volta revocato ogniprovvedimento limitativo della sua potestà genitoriale, dichiarandosialtresì incompetente a decidere sul resto visto il provvedimento adottatodal Tribunale ordinario.Risultato: a tutt’oggi il padre Tizio non ha ancora potuto rivedere isuoi figli e pare valga ancora per lui il divieto, impartitogli all’epocadai servizi sociali, perfino di telefonare ai bambini. Tempo trascorsodall’inizio dell’inquietante caso giudiziario: due anni.I danni provocati ai minori e al loro padre sono incommensurabili epurtroppo in buona parte anche irreparabili: i responsabili di tuttoquanto è accaduto forse non se ne sono resi nemmeno conto, ma stadi fatto che, se ci fosse una maggiore sinergia fra tutti i soggetti chiamatia intervenire e se il linguaggio psicogiuridico fosse comune, condivisoe senza pregiudizi reciproci, probabilmente storie come questanon si verificherebbero in quanto bloccate sul nascere se dovute acondotte pretestuose e strumentali, o portate a rapida definizione conpunizione dei colpevoli se effettivamente rispondenti a verità. 66 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Luisa MenegonLa dottoressa Bottan, presidente del Tribunale per i minorenni diTrieste, ha delegato come sostituti ben due giudici onorari: in questocaso la dottoressa Luisa Onofrio, giudice onorario dal 1998, assistentesociale presso la Prefettura e che presta attività come formatrice, peraltrocoautrice del testo La comunicazione scritta tra servizi e autoritàgiudiziaria; e il dottor Lucio Prodram, giudice onorario dal 2002, laureatoin sociologia, assistente sociale presso la Prefettura.Per introdurre queste relazioni e rendere visibile l’entità del lavoro chei servizi curano rispetto ai decreti emessi dal Tribunale per i minorenni,vi sottopongo questa tabella che riassume alcuni dati raccolti inprevisione del convegno grazie alla collaborazione fattiva di tutti i colleghidei consultori della Regione.Tipologia dei mandati pervenuti da Tribunale per i minorenniIntervento prescritto ai servizi di C.F. o specialisticiIndirizzo/sostegno alla genitorialità 127Valutazione capacità genitoriali 39Presa in carico dei servizi specialist. del M/e, dei gg. e dei nonni 95Rapportarsi servizi specialistici 17Mediazione fam. per indirizzo e sostegno alle funzioni genitoriali 48Studi di coppia per adozione 98Sostegno postadottivo/affido (8) 78Aggiornamento situazione personale e <strong>familiare</strong> del minore 3Continuare gli interventi al M/e e ai gg. disponendo l’archiviazione 8TOT. +76 ASS - TS - 513TotSi osservi che il maggior numero di decreti è orientato al «sostegno eindirizzo della funzione genitoriale», aspetto che richiama alla responsabilitàgenitoriale e al diritto del minore secondo la Convenzione del1989, stella polare di riferimento per operatori e giudici.<strong>Il</strong> Tribunale per i minorenni si occupa di proteggere i minori come soggettideboli e questo giustifica l’intervento dei giudici e servizi, ma nedetermina anche il limite. L’intervento diventa illegittimo se non perse-Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità67


gue questo scopo. L’interesse del minore non va inteso come formulaastratta ma come elemento relazionale di un rapporto tra figlio e genitoreorientato all’esigenza di crescita del figlio stesso.<strong>Il</strong> Tribunale per i minorenni, va quindi inteso come luogo dove la giustiziapuò essere sensibile e dove il diritto che “non è mite” può esseremitigato nell’applicazione dei magistrati. Luisa Onofrio, Lucio ProdamGli orientamenti del tribunale per i minorenni in meritoalla strategia d’interazione con i servizi consultorialiper il recupero e sostegno delle funzioni genitorialiInterveniamo e questa tavola rotonda come giudici onorari in rappresentanzadel Tribunale per i minorenni di Trieste. I giudici onorarinel contesto minorile, come è noto, entrano a pieno titolo nel collegiodel Tribunale ma non hanno una professionalità di tipo giuridico:il requisito necessario è essere «cittadino benemerito dell’assistenzasociale» e «cultore di biologia, psichiatria, antropologia criminale,pedagogia o psicologia», come recita l’articolo 2 del regioDecreto legge 1404 del 20 luglio 1934 e successive modifiche. La terminologiaè senza dubbio un po’ arcaica, ma l’idea di funzione è esplicitatachiaramente: sono stati concepiti, già nel regio Decreto del1934, proprio per portare all’interno del Tribunale un sapere diversoda quello giuridico, con lo scopo di facilitare e integrare una visione ilpiù completa possibile del minore e della sua situazione.Attualmente, in considerazione del rilevante carico di lavoro e inlinea con le direttive ministeriali, alcuni giudici onorari, tra i quali ipresenti, sono stati delegati tra l’altro a seguire in maniera piùapprofondita la materia relativa alla volontaria giurisdizione anchenella fase istruttoria.È da questa esperienza che possiamo trarre alcune considerazioni,che sono il prodotto di un costante confronto con i giudici togati enecessitano di un dialogo coerente con i sevizi del territorio.68 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Obbligatoriamente il Tribunale per i minorenni pone al centro del suointervento il soggetto minore di età che per mandato istituzionaledeve tutelare. È importante però chiarire che cosa significhi la tutelaper il Tribunale, quali sono le azioni che può o non può mettere inatto, quali sono gli elementi conoscitivi essenziali sulla situazioneaffinché il giudice si trovi nelle condizioni di orientarsi rispetto alladecisione da prendere. <strong>Il</strong> giudice conosce la condizione del minoreprevalentemente attraverso comunicazioni scritte. <strong>Il</strong> fascicolo a suonome si apre su segnalazione delle forze dell’ordine, della scuola,degli stessi servizi, per ricorso di uno o di entrambi i genitori. In ognicaso, da subito, la situazione viene rappresentata a chi in seguitodovrà decidere attraverso una comunicazione di tipo scritto. <strong>Il</strong> giudiceallora cerca di raccogliere più elementi possibili, con richieste emandati precisi, sulla storia di quel bambino, sulla sua rete <strong>familiare</strong>e sociale, sui suoi bisogni e sulle sue risorse. Per fare ciò si avvale deiservizi territoriali, di base e specialistici. È evidente che la situazionedel minore è imprescindibile dalla sua situazione <strong>familiare</strong>, che si trattidi disagio dovuto a conflittualità genitoriale, a inadeguatezza genitoriale,a abbandono o mancanza genitoriale o a temporanea difficoltàdei genitori. Per questo motivo spesso l’interlocutore privilegiatoè proprio il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> (senza nulla togliere, ovviamente,agli altri servizi di base e specialistici che sono essenziali per la conoscenzae il sostegno del minore in disagio). <strong>Il</strong> Tribunale deve comporre,quasi come un puzzle, un quadro integro con “pezzi” diversi, ognunodei quali è importante, “pezzi”che devono alla fine convergerenella stessa direzione per poter applicare, o avere chiare indicazioni anon farlo, provvedimenti a tutela del minore.La valutazione del Tribunale rispetto alla situazione è sempre in terminidi diritto leso e diritto da tutelare. Può emettere provvedimentidi tipo autoritativo nei confronti del minore, di tipo prescrittivo neiconfronti dei genitori e può limitare la potestà genitoriale. Deve esserechiaro, soprattutto ai cittadini, che il Tribunale per i minorenninon si occupa del contenzioso e non assume la funzione di arbitriotra le parti.E qui si apre un versante che presenta indubbie criticità. Nella situazione“ideale” le notizie che arrivano sono esaustive, chiare, argomentate,coerenti tra servizi e uffici diversi. Possono esserci delle diversitàrelative al punto dal quale si osserva o all’aspetto specifico che si osser-Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità69


va, e queste diventano un momento di ricchezza e di completezza peril Tribunale. Non dovrebbero esserci, cosa che invece a volte avviene,analisi contrastanti in merito alla valutazione della stessa situazione.Questo disorienta il Tribunale, che ha a sua disposizione solamentestrumenti giuridici per valutare e intervenire. Va assolutamente chiaritoe condiviso con i servizi anche il concetto di tutela giuridica, al finedi rendere gli interventi incisivi, non pleonastici e realmente integratitra servizi e Tribunale. C’è una corrispondenza tra diritti e bisogni. Peresempio al “diritto di crescere nella propria famiglia” corrisponde un“bisogno psicoaffetivo, educativo, di protezione”, ecc.Tuttavia è necessario tener presente che la qualità della vita (i dirittidella “quotidianità”) non è codificata nel diritto e che i servizi territorialie specialistici hanno la possibilità di gestire molte situazioni su cuiil Tribunale dei minorenni non ha competenza: conflittualità, disagio,relazioni affettive ed educative non valide non sempre possono trovareuna tutela giuridica. Qui a volte si ingenerano incomprensioni: l’organogiudiziario può intervenire sui diritti giuridicamente tutelabili enon sempre le situazioni che pure implicano sofferenza e disagio presentanoqueste caratteristiche. Viceversa una comunicazione pocochiara, contraddittoria tra servizi, priva di elementi propositivi puòindurre il Tribunale a individuare situazioni di tutela giuridica, laddovequesta non è necessaria o diviene addirittura controproducente.Allora l’integrazione sta proprio nell’assumersi, secondo le propriecompetenze, quella parte di responsabilità nel farsi carico della situazione,e nel condividere, attraverso l’implementazione dello scambiocomunicativo e nel reciproco riconoscimento, la soluzione più adeguataper quel minore. Luisa MenegonIn sostituzione del presidente del Tribunale ordinario di Pordenone,dottor Antonio Lazzaro, interviene il dottor Appierto, magistrato giudicee attuale presidente della Sezione civile del Tribunale ordinario diPordenone.70 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


L’attività comune tra il Tribunale ordinario e il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>richiama all’area della separazione e del divorzio, e introduce il terminedi “mediazione <strong>familiare</strong>”, definibile come “modalità per ristabilireun dialogo”, che va a sostituire il termine “conciliazione”, più restrittivoe limitato a un semplice accordo tra le parti in conflitto.Negli ultimi anni i servizi consultoriali hanno incrementato l’utilizzodella mediazione <strong>familiare</strong> quale strumento più idoneo a favorire ilsuperamento del conflitto.Esistono due scuole di pensiero dove la mediazione viene intesa comelibera scelta della coppia e in un secondo caso prescritta per decreto daalcuni tribunali alle coppie altamente conflittuali. Rispetto allamediazione, secondo alcuni giuristi, la recente Legge 54/06 sull’affidocondiviso è stata un’occasione mancata. Gaetano AppiertoGli orientamenti del tribunale ordinario in merito allastrategia d’interazione con i servizi consultoriali nellaseparazione in coppie conflittualiBuongiorno a tutti, sono il presidente della Sezione civile presso ilTribunale di Pordenone, in sostituzione del presidente delTribunale, dottor Lazzaro, oggi impedito.<strong>Il</strong> Tribunale di Pordenone, in tema di diritto della famiglia, si occupadei momenti di crisi: non solo quindi dei casi di separazione e divorzio,ma anche delle fattispecie di abusi e violenza, per poi intervenirein ambito civile e penale.Appare utile ricordare, preliminarmente, che il magistrato non è unafigura ideale e asettica, ma è anche e soprattutto una persona con ilsuo bagaglio professionale e di esperienza.Nell’ambito del diritto di famiglia forte è la componente di merito, nelsenso che pur nel rispetto degli istituti giuridici e dei precedenti, preminenterisultano la vicenda umana, il dolore delle persone, i rancori,le necessità materiali e morali che regolano la gestione dei minori.Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità71


In questo contesto si inserisce l’attività del giudice, che interviene edecide in base alle sue conoscenze e all’interpretazione dei fatti edelle norme, convergendo necessariamente in detto processo l’aspettoprofessionale e le altre componenti della persona del magistrato.I provvedimenti dei magistrati, quindi, non devono essere letti comepronunciamenti “divini” o al contrario come viziose espressioni dipotere. Si tratta di atti della giurisdizione, pronunciati nel nome delpopolo italiano, frutto di un processo interpretativo condivisibile omeno. Non a caso, quindi, sono impugnabili e lo Stato garantisce ilpatrocinio gratuito.Orbene, dagli interventi degli operatori che mi hanno precedutoappare evidente come, in materia di diritto di famiglia, plurimi sianogli uffici e le competenze che si occupano della materia, magari conottiche diverse. Tuttavia, poiché l’obiettivo primario è la corretta eordinata gestione della crisi coniugale o <strong>familiare</strong>, appare necessariocoordinare gli interventi, nel reciproco rispetto degli ambiti di riferimento,tutti animati dalla consapevolezza che il risultato finale, attesala delicatezza della materia trattata, dovrebbe essere tendenzialmentecoerente e completo.Io penso che per ottenere questo risultato sia necessario un duplicenuovo atteggiamento: da un punto di vista istituzionale bisogna lavorare per la costituzionedi procedure semplificate e snelle, idonee a garantireinterventi tempestivi e puntuali. A questo scopo appare necessariala comunicazione tra gli uffici diversamente competenti inmateria di famiglia, onde evitare sovrapposizioni e contrasti nonvoluti, in un contesto che è già caratterizzato dalla forte opposizionedelle parti. È auspicabile l’istituzione di un Tribunale dellafamiglia che compendi tutte le competenze attualmente frazionatee sovrintenda all’attività anche degli operatori territoriali,monitorando le situazioni a rischio e aggiornando i provvedimentiin atto a seconda dell’evoluzione degli eventi da un punto di vista comportamentale, appare opportunoabbandonare una logica di frazionamento e di stretti ambiti dicompetenza, valorizzando il contenuto umano e sociale dellamateria che attiene le crisi familiari. Ciascun soggetto interessatoalla gestione e alla soluzione delle vicende non dovrebbe72 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


atteggiarsi a “monade” autoreferenziale, senza comunicazionecon l’esterno, ma dovrebbe sviluppare uno spirito collaborativoe una visione completa e coerente dei fenomeni, che coniughigli aspetti giurisprudenziali con la natura personale e sostanzialedelle fattispecie trattate. Luisa MenegonMaura Clementi è assistente sociale dal 1987, responsabile dell’ambitodistrettuale Alto Isontino, già responsabile dell’ambito di Gorizia e dapoco trasferita.Nel primo intervento della dottoressa Bozzi si è affrontato il tema dell’integrazionetra Azienda per i servizi sanitari e ambiti; con la relazionea seguire il punto di vista si sposta dall’ambito al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>.Si affronterà quindi il tema della relazione fra servizi socioassistenziali(che si interfacciano con i Comuni) e quelli dell’area sociosanitariadel <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> e del distretto. <strong>Il</strong> riferimento immediato vaalla Legge regionale 6/06 “Sistema integrato di interventi e servizi per lapromozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”, perché questalegge richiama proprio all’integrazione e non solo fra i principali eclassici servizi sociali e sanitari, ma l’estende a tutti i possibili attori del<strong>pubblico</strong> e del privato, finalizzata quindi a rendere le persone semprepiù soggetti attivi. Ambiti e consultori familiari sono inoltre chiamatiin causa quale ulteriore impegno di interrelazione nella Legge regionale11/06 sulla famiglia e genitorialità. Emerge quale considerazione chei consultori familiari partiti negli anni Ottanta come centri per la promozionedella salute della popolazione, con particolare riferimentoalla donna e ai minori e all’ambito della famiglia, si ritrovano in questiultimi anni a rispondere a una crescente richiesta di interventi nell’ambitodella tutela e della genitorialità per minori e famiglie congravi difficoltà, confermati dai dati relativi al numero di mandati attivipervenuti da parte del Tribunale per i minorenni. Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità73


Maura ClementiLa gestione integrata con i servizi consultoriali: qualeevoluzione?Per affrontare il tema dell’integrazione sociosanitaria mi pareopportuno ricordare gli inquadramenti normativi specifici e generaliche permettono di delineare il circuito di regolazione per il perseguimentodella modalità di intervento sociosanitaria integrata.A questo scopo ricordo le indicazioni regionali: la Legge regionale 41/96 in materia di disabilità che definiscel’equipe multidisciplinare per l’handicap quale sede di integrazionefunzionale e gestionale la Legge regionale 10/98 in materia di interventi nell’area dellanon autosufficienza che prevede l’istituzione delle Unità divalutazione distrettuali la Legge regionale 23/04 che delinea i livelli di programmazionesociosanitaria territoriale e i rapporti funzionali tra i diversilivelli di governo del territorio regionale, aziendale e degli ambitidistrettuali la Delibera della Giunta regionale 3236 del 29 novembre 2004che definisce le linee guida per la programmazione territorialeattraverso l’utilizzo degli strumenti del Piano di zona e delProgramma delle attività territoriali la Legge regionale 6/06 che delinea il sistema intergrato di interventi,prestazioni e servizi regionali la Legge regionale 11/06 quale norma specifica in tema di interventirivolti alla fascia minorile della popolazione, alla genitorialitàe alla famiglia con specifici richiami alle funzioni dei servizisociali dei Comuni e ai consultori familiari.Nell’arco temporale che comprende le diverse produzioni legislativesi è andato configurando un modello ben delineato di processi diintegrazione sociosanitaria che ha visto i diversi territori regionali svilupparevarie e ricche esperienze nelle diverse aree: nell’area della disabilità: la Legge regionale 41/96 con l’istitu-74 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


zione di equipe multidisciplinari per l’handicap che rappresentanouno dei settori in cui l’operatività integrata è maggiormenteconsolidata nell’area dei minori e famiglia, di cui un esempio di modalitàintegrate è quello riportato nella relazione della dottoressaGabriella Bozzi e riferito all’area isontina nell’area degli anziani e della non autosufficienza, con l’utilizzodello strumento dell’Unità di valutazione distrettuale, il cui funzionamentoè disciplinato da specifici atti normativi (a partiredalla Legge regionale 10/98). Su questi si innestano regolamentazionirelative all’utilizzo di precise risorse o servizi messi adisposizione della progettualità di quell’organismo, che hannoinvestito l’Unità di valutazione distrettuale dell’obiettivo di transitareda una funzione operativa di intervento sulle singole situazioniproblematiche complesse a quella di assumere una dimensionegestionale delle risorse messe a dispostone per la realizzazionedi servizi e interventi rivolti alla non autosufficienza nell’area della salute mentale con le Unità di valutazione adultiestese in alcuni territori all’area delle dipendenze e dell’emarginazionegrave, in cui si sta anche consolidando la realizzazionedi una programmazione sociosanitaria integrata grazie anchealla messa in atto di una misura regionale di intervento in particolarenella salute mentale con l’utilizzo del Fondo per l’autonomiapossibile per la salute mentale.La programmazione nelle aree sociosanitarie prevede che vi sia un’elaborazionecongiunta sociosanitarie che deve riguardare: la prevenzione e l’assistenza materno infantile l’assistenza, riabilitazione e integrazione sociale delle personedisabili la cura e il recupero dei soggetti tossicodipendenti la cura e il recupero dei soggetti malati di mente le situazioni di non autosufficienza, temporanea o permanente,derivanti da patologie diverse.Le linee guida ci riportano alla necessità di operare in un contesto diprogrammazione e definizione del sistema di integrazione sociosani-Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità75


taria territoriale e superando le eventuali criticità definitorie degliorganismi in cui si realizzano gli interventi sociosanitari integrati. Lelinee guida, infatti, prevedono che gli obiettivi strategici del sistemasociosanitario integrato riguardino il perseguimento di azioni congiuntefra Piano di zona e Programma delle attività territoriali per: sviluppo e riqualificazione delle unità multiprofessionali in tuttele aree di integrazione sociosanitaria. L’unità multiprofessionalediviene il luogo dell’integrazione professionale e gestionale utilizzo diffuso del progetto personalizzato sviluppo della funzione di coordinatore del caso (case manager) diffusione di punti unici di accesso ai servizi integrati. Luisa MenegonLa dottoressa Maria José Mores, psicologa, con master in psicologiaforense, dirige il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> privato Noncello, in cui opera daormai 30 anni, anniversario festeggiato proprio nell’anno 2008. <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> fa parte della rete dell’Unione consultori italiani prematrimonialie matrimoniali presenti a Pordenone, Udine e Trieste.<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> di Pordenone è convenzionato con l’Aziendaper i servizi sanitari “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>” dall’anno 1980 (allora era unConsorzio sociosanitario).Infatti la Legge regionale 81 del 1978, che all’epoca prevedeva l’istituzionedei consultori familiari sia pubblici sia, privati ha anticipato difatto l’attuale assetto del welfare che si è aperto anche alle realtà delterzo settore, delle imprese, del no profit in una logica di offerta plurimaai cittadini e alla sussidiarietà.L’esperienza di collaborazione in atto tra soggetti pubblici e privati èresa possibile dalla cultura della comunicazione sviluppata attraversoteorie comuni, prassi condivise, abilità professionali orientate auno stesso obiettivo: il benessere delle persone e delle famiglie. 76 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Maria José MoresEsperienze di collaborazione in riferimento alla tuteladei minori con i servizi pubblici (<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> eambito) dalla richiesta spontanea al mandatoInizio con la storia di Lucia: sono passati 28 anni, Lucia è decedutagià da anni, la figlia Eleonora invece è una felice moglie e madre equando ci incontra ci saluta cordialmente.Lucia viene al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello di Pordenone quasi portataa peso dalla signora dove faceva in nero qualche ora di stiratura,ormai solo al mattino perché Lucia il pomeriggio arrivava brilla.Sposata con una figlia di 7 anni, il marito operaio, la casa in affitto. Ifamigliari di lei lontani; i famigliari di lui sono un fratello etilista e unacognata disponibile, preoccupata ma con quattro figli da crescere.Lucia nega il bere, è preoccupata per la figlia perché il marito «se laporta a letto» e manda lei a dormire nel letto della figlia. Sospetto diabuso? Tutela del padre sulla figlia perché la madre beve?Lucia accetta di venire in <strong>consultorio</strong> perché è sola a Pordenone. Le liticon il marito sono frequenti; forse una caduta dichiarata accidentale èinvece provocata da una sberla del marito. Dopo alcuni colloqui lasignora arriva con una busta verde: «Devo andare in Tribunale, miomarito vuole separarsi e vuole mandarmi fuori casa… sono caduta conla bicicletta, ero ubriaca… vuole tenersi la bambina… io non mi fido dilui… ma è vero, io bevo». <strong>Il</strong> ricorso è per separazione giudiziale conaddebito di colpa. La signora non ha reddito, non ha rete. È piacevolequando è sobria, diventa molto aggressiva quando ha assunto alcool.<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> chiede alla signora di poter contattare l’assistente socialedel Comune, ma la signora è restia, si vergogna. Infine accetta e iniziaun percorso in collaborazione tra <strong>consultorio</strong> e servizio sociale, conl’obiettivo di supportare la signora nella ricerca di un lavoro, valutarele sue capacità genitoriali e la sua azione di difesa legale dal marito.In poco si evince che anche il marito un po’ beve, ma soprattutto vada un bar all’altro tutto il pomeriggio e spesso porta con sé la bambinache così non riesce a fare i compiti.All’udienza presidenziale il giudice nomina una consulente tecnicad’ufficio presso il <strong>consultorio</strong> che è citato dalla signora come servizioal quale si è riferita.Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità77


La gravità della dipendenza della signora emerge in modo più netto,ma anche il buon legame con la figlia.<strong>Il</strong> marito è esasperato dalla situazione; non abusa della figlia ma sicuramentenell’ottica di proteggerla dalla madre ha imboccato la via disottrarre la figlia, senza peraltro avere un’adeguata capacità né di curané di attenzione alle reali esigenze della minore.L’affido della minore è ai servizi sociali del Comune che trovano subito,attraverso la parrocchia, una valida famiglia affidataria. Alla madreè richiesto un percorso di disintossicazione e al padre di valutare lasue capacità genitoriale.La signora accetta, per non perdere la figlia, un ricovero a Castellerio(Provincia di Udine), un impianto sottocutaneo di antabuse, poi l’inserimentoin un club di alcolisti in trattamento.<strong>Il</strong> marito per protesta del non affido esclusivo della figlia si licenziaimmediatamente e il Tribunale blocca la sua liquidazione a tuteladella minore. Le verifiche con il servizio sociale dell’ospedale, il serviziosociale del Comune, il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> sono frequenti e lerelazioni al Tribunale sono trimestrali.Eleonora ritorna a vivere con la madre dopo un anno e riprende gliincontri con il padre dopo tre anni, per sua iniziativa, dopo alcune letterealla quali il padre finalmente risponde.È un caso seguito dal <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello e dal serviziosociale per ben cinque anni.C’erano allora meno casi rispetto ai tanti che oggi arrivano ai consultorifamiliari e ai servizi sociali.È stato il caso che ha insegnato a noi giovani operatori del <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> Noncello a lavorare in collaborazione con il serviziosociale e il Tribunale. È stato il caso che ci ha fatto acquisire competenzeadeguate partecipando ai primi seminari organizzati negli anniOttanta dal professor Quadrio e dal Giudice Pajardi del Tribunale diMilano in ordine alla tutela dei minori coinvolti nelle separazioni deigenitori. Da allora il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello ha sempre operatoconvinto che spetta ai consultori familiari accogliere le richieste diconsulenza psicologica, di valutazione della capacità genitoriali, diconsulenza legale e di accompagnamento durante l’iter della separazionedei coniugi-genitori nell’ottica di una tutela dei minori.Le richieste di consulenza psicologica in materia di conflittualitàgenitoriale giunte in <strong>consultorio</strong> negli anni sono state centinaia e78 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


aumentano ogni anno a conseguenza della crescente fragilità dei rapportidi coppia. Gli incarichi di consulenza tecnica d’ufficio delTribunale ordinario sono andati a selezionare per il <strong>consultorio</strong> lesituazioni di particolare complessità o di difficile valutazione.La consulenza in materia di tutela dei minori, che rappresentava 11%dell’attività del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello, si è raddoppiata, rappresentandoora il 22%.L’esperienza ci ha insegnato che è diverso operare quando il genitoreviene di sua iniziativa rispetto a quando è invece inviato dalTribunale: contesti operativi diversi che richiedono abilità e strategiediverse. La richiesta spontanea è spesso caratterizzata, oltre che daun’adeguata preoccupazione per sé e per i figli, anche da molte richiestedi alleanza («io sono il buon genitore e la vittima, fuori c’è un cattivoche non verrà mai in <strong>consultorio</strong>»).<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello opera nel tentativo di coinvolgereanche l’altro genitore, in coppia se il livello di conflitto è ancoramodesto, individualmente e con un altro operatore se la conflittualitàè molto alta o le resistenze sono molto forti.Questa richiesta dell’operatore è motivata dall’esclusivo interesse deifigli: se entrambi i genitori entrano in un percorso di consulenza psicologica,ancorché individuale, le rotture, le battaglie di cui i figlipagano in genere il conto più salato possono diminuire.Spesso durante la consulenza psicologica abbiamo osservato comesiano fondamentali e importanti consulenze legali adeguate e competenti,perché tra i genitori prevale il sentito dire circa diritti e doveri,a volte anche con generalizzazioni superficiali.Periodicamente arrivano al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello richiesteapparentemente spontanee di un percorso di consulenza psicologicadurante o dopo una difficile separazione coniugale. Emerge poidurante il colloquio che di fatto la coppia è già stata inviata a un <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> dell’Azienda sanitaria o ad altri consulenti tecnicid’ufficio incaricati dal Tribunale. È allora prassi normale approfondirela vera domanda del genitore: accoglierla se è orientata ad avereprecisazioni e informazioni su un iter che a volte sembra troppo difficilee genera ansia o paura; contenerla e chiarirla quando è un tentativodi boicottare, sottrarsi, opporsi a percorsi iniziati spontaneamenteo ordinati presso altri servizi o professionisti.Negli anni il Tribunale ordinario ha inviato al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità79


Noncello per una consulenza o per una valutazione nuclei familiari osingoli soggetti già noti e a volte ancora in carico ad altri servizi operantinel territorio. Questa situazione a volte si evidenzia dal fascicolo,altre volte dall’anamnesi. Viene allora puntualmente avvisato l’utenteo l’intero nucleo <strong>familiare</strong> che il <strong>consultorio</strong> si metterà in contattocon il servizio già operante al fine di avere una breve illustrazionedel caso, conoscere il progetto in atto e valutare tra operatori leeventuali collaborazioni e integrazioni.La prassi consolidata va anche nella direzione inversa: quando ilTribunale ordinario o dei minori richiede una valutazione su genitorio minori che sono stati in consulenza al <strong>consultorio</strong> Noncello, gli operatoridei consultori del territorio chiedono di potersi confrontare supercorsi fatti o in essere.Negli anni abbiamo così collaborato con numerosi consultori familiarie servizi vari della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia, del Veneto e anchedi altre Regioni, perché al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Noncello affluisconopersone di diversi territori. È stata interessante e proficua la collaborazionecon il servizio di consulenza <strong>familiare</strong> della base aeronauticaamericana di Aviano. Dall’esperienza maturata si avverte l’assenza diprotocolli di intervento condivisi anche sulle modalità operative piùsemplici (solo colloqui individuali, solo colloqui di coppia, visitedomiciliari, comunicazione diretta con gli avvocati).Nelle collaborazioni emergono le diverse formazioni professionaliche possono avere una prospettiva di armonizzazione attraverso l’allenamentoa lavorare assieme, dopo una puntuale precisazione delproprio iter formativo e degli obiettivi che il singolo servizio persegue.La collaborazione tra servizi avviene mantenendo il rispetto della privacye la tutela del segreto d’ufficio. Non sempre per l’utente questegaranzie sono chiare e a volte servono precisazioni in merito.La recente introduzione della mediazione <strong>familiare</strong> ha messo in lucecome ci siano dei quadri di riferimento teorici diversi sia nell’interpretazionedelle dinamiche familiari, sia nell’organizzazione del lavorotra operatori di diversi servizi.Per esempio: audizione del minore sì o no? Scuole diverse hanno datovita a modelli di intervento diversi tanto che di fatto, adesso, la prassidei Tribunali ordinari in ordine all’audizione del minore, resa più possibiledalla Legge 54 sull’affido condiviso, trova diverse attuazioni inTribunali di città diverse. <strong>Il</strong> confronto permette arricchimento, richie-80 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


de il tempo di più operatori, permette l’esplicitazione delle modalitàdi intervento, degli obiettivi perseguiti, dei progetti realizzati.Servizi pubblici e servizi privati, in ordine alla tutela dei minori, nonhanno di fatto compiti e mandati diversi: hanno piuttosto la Leggeistitutiva dei consultori familiari (405/75) che orienta gli interventi.Possibili protocolli di collaborazione sono sicuramente auspicabili,ma ancora poco diffusi e sperimentati.Le unità di valutazione distrettuali e le unità di valutazione multidisciplinaristanno diventando un nuovo strumento operativo utileanche nell’ottica dell’integrazione dei servizi pubblici e privati.L’interesse e la tutela del minore diventano il punto di condivisioneanche se questo può non essere subito così evidente. Purtroppo lapratica di 30 anni di lavoro ci fa dire che spesso i bambini sono i soggettipiù deboli sia nelle liti dei genitori, sia nell’iter legale che conseguealle separazioni giudiziali molto conflittuali, soprattutto quandodurano anni. La durata dell’iter legale delle separazioni spesso èmolto lontana dalle esigenze di tutela nel qui e nell’ora del minore.È vero che ci sono i provvedimenti provvisori e i ricorsi al giudice tutelare,ma è altrettanto vero che rinvii di un trimestre e anche di più peresigenze legali non tengono in debita considerazione il rapporto tra iltempo del rinvio e l’età del minore.Conta poco un trimestre per un adulto, è assolutamente significativoper un minore, soprattutto nei primi anni di vita. Una buona integrazionetra ambito e servizi privati potrà evitare ulteriori perdite ditempo e dispersione di energie operative. Luisa MenegonLa dottoressa Renata Maddalena è assistente sociale e lavora dal 1991nel <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> di Latisana, occupandosi del servizio affidi.La collaborazione con la rete sociale, con i soggetti privati, con le famiglieè parte della concezione moderna delle organizzazioni di aiuto:famiglie come risorsa sociale, che si attivano e si mettono a disposizione,che collaborano con i servizi.Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità81


Per usare un termine tecnico, si opera per l’empowerment dei gruppi dimutuo aiuto con modalità di lavoro orientate anche a stimolare lerisorse informali della comunità in una sorta di sostegno e motivazioneche mantenga efficienti queste risorse considerando proprio il loroelevato grado di mortalità. Renata MaddalenaLa solidarietà <strong>familiare</strong> come risorsa in rete con i serviziCon il mio intervento andrò a illustrare un’esperienza di collaborazionetra ambito socioassistenziale, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> e reti difamiglie affidatarie.Verrà presentata l’esperienza del servizio affidi operante nel territoriodel distretto sanitario Ovest dell’Ass 5 “Bassa Friulana”. L’esperienzanasce nel 1998 su impulso dell’ambito socioassistenziale del distrettodi Latisana-San Giorgio di Nogaro, che ha richiesto formalmente lacollaborazione del servizio consultoriale per costituire un’equipe dilavoro integrata e multidisciplinare che si occupasse di affidi familiari.Si è così costituito un gruppo di lavoro composto da due psicologi eun’assistente sociale del <strong>consultorio</strong> di Latisana e due psicologi e treassistenti sociali afferenti all’ambito di Latisana-San Giorgio.Questo gruppo è giunto alla stesura di un regolamento, accolto dallerispettive amministrazioni, che ha consentito di dare un’organizzazionedefinendo competenze e ruoli di ciascun servizio. L’assetto organizzativo,nel corso degli anni, ha subito modifiche dovendo prevederel’integrazione con un nuovo servizio: l’Equipe integrata per la tuteladei minori e delle famiglie, che si occupa della presa in carico dellesituazioni di grave trascuratezza, maltrattamento e abuso sessuale.In sintesi il sistema organizzativo comprende: il servizio sociale del Comune che ha la responsabilità della tuteladel minore e svolge compiti di regia e coordinamento dell’interoprogetto di tutela e dell’affido82 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


l’equipe tutela minori che svolge il lavoro di valutazione e trattamentodel minore e della sua famiglia il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> che svolge il lavoro di valutazione esostegno della famiglia affidataria e che cura e aggiorna labanca dati delle famiglie affidatarie l’ambito socioassistenziale che svolge, in collaborazione con il<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, tutti gli interventi di sensibilizzazione ereperimento delle famiglie affidatarie e gestisce il gruppo dellefamiglie affidatarie.Accanto all’assetto organizzativo ci si è dati una metodologia, che neltempo ha subito modifiche grazie ai contributi portati dalle esperienzeformative svolte.<strong>Il</strong> percorso inizia con la segnalazione al <strong>consultorio</strong> della situazionedel minore per cui si ipotizza di avviare un affido <strong>familiare</strong>, segnalazioneche viene preceduta dall’intervento di valutazione delle competenzegenitoriali della famiglia d’origine da parte dell’Equipe tutelaminori. La valutazione positiva della recuperabilità della famiglia d’originerappresenta la premessa fondamentale per pensare e organizzareun affido.La fase successiva è rappresentata dall’abbinamento tra il minore e lafamiglia affidataria; in questa fase le informazioni sul bambino e lasua famiglia, fornite dal servizio sociale e dall’Equipe tutela minori, siincrociano con quelle messe a disposizione dal <strong>consultorio</strong> sullafamiglia affidataria, precedentemente valutata, con la finalità di trovarel’abbinamento migliore, reciprocamente vantaggioso, tra lecaratteristiche del minore e quelle del nucleo che lo accoglierà.La costruzione del progetto di affido avviene con il contributo dei servizicompetenti (il servizio sociale, l’Equipe tutela minori, il <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong>) e di tutti gli altri servizi eventualmente coinvolti sul caso(Sert, Centro di salute mentale, equipe multidisciplinare territoriale).<strong>Il</strong> progetto deve contenere gli obiettivi dell’affido, la durata prevista, latipologia di affido (tempo pieno, diurno) e le sue caratteristiche (affidoeducativo, nutritivo o riparativo), le modalità di rapporto tra ilminore e la sua famiglia e tra le due famiglie nel corso dell’affido, illavoro previsto per recuperare la famiglia naturale, gli interventi disupporto a favore del bambino e della famiglia affidataria, modalità etempi per le verifiche del progetto.Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità83


<strong>Il</strong> progetto viene poi presentato dal <strong>consultorio</strong> alla famiglia affidatariaindividuata nella fase di abbinamento. Se questa accetta, si passaalla fase di conoscenza tra le due famiglie e tra la famiglia affidatarie eil bambino attraverso specifici incontri gestiti dagli operatori del <strong>consultorio</strong>,del servizio sociale e dell’Equipe tutela minori. Questomomento diventa l’occasione per illustrare i contenuti del progetto atutti gli attori coinvolti. L’incontro di conoscenza tra le due famiglie,secondo la nostra esperienza, assume un significato importante poichéconsente di allentare le reciproche diffidenze e paure e permettequindi di facilitare l’inserimento del bambino nel nuovo contesto<strong>familiare</strong>, potendo ricevere dai suoi genitori messaggi di rassicurazionee non di opposizione.<strong>Il</strong> momento successivo è rappresentato dal primo incontro tra il bambinoe la famiglia affidataria. <strong>Il</strong> bambino ci arriva già preparato dallapsicologa dell’Equipe tutela minori, che lo ha informato sugli obiettividel progetto, sulla sua durata prevista, sui tempi e le modalità deirapporti con la sua famiglia d’origine e su chi si occuperà della suafamiglia affinché possa riaccoglierlo, superando le difficoltà chehanno determinato l’affido.Dal momento di avvio graduale del progetto e per tutta la sua durata,sono previsti i seguenti interventi coordinati e integrati: accompagnamentopsicologico del bambino da parte della psicologa dell’Equipetutela minori; sostegno alla famiglia affidataria da parte del <strong>consultorio</strong>(attraverso colloqui e il sostegno del gruppo delle famiglie affidatarie);trattamento della famiglia d’origine (fase successiva alla valutazionedella capacità genitoriali) da parte dell’Equipe tutela minori;mantenimento dei rapporti tra il bambino e la sua famiglia che insituazioni di pregiudizio prevedono l’organizzazione di incontri protettialla presenza dell’educatore dell’Equipe tutela minori.La fase conclusiva dell’affido prevede la preparazione psicologica delbambino e della famiglia d’origine al rientro. Quest’ultima deve essereadeguatamente sostenuta, anche con interventi sociali ed educativi,affinché possa riaccogliere il figlio dopo un periodo più o menolungo di distacco. In questa fase appare utile prevedere anche unlavoro di supporto alla famiglia affidataria per aiutarla a elaborare ivissuti connessi alla separazione, affinché possa assumere, per ilbambino, una funzione di aiuto e rassicurazione in questo delicatopassaggio.84 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Alcuni sintetici dati ci consentono di delineare l’esperienza.I minori in affido, dal 1998 al 2008 (primo semestre), sono stati 34, dicui 19 femmine e 15 maschi. Abbiamo avuto una prevalenza di affidigiudiziali (21) rispetto agli affidi consensuali (13),27 sono stati gli affidi a tempo pieno e solo 7 gli affidi diurni.29 sono stati gli affidi eterofamiliari e solo 5 parentali.Dei 26 affidamenti conclusi, la prevalenza (16) sono rientrati in famigliain condizioni di sufficiente tutela. In 3 casi l’affido si è conclusocon il passaggio in comunità, per altri 3 casi con l’inserimento in famigliaadottiva e per un caso con il passaggio da una famiglia affidatariaad altra famiglia affidataria. Si sono avuti 3 casi di affido sine die.In numero degli affidi conclusi con il rientro in famiglia appare undato confortante poiché ci indica la reale possibilità di un recuperodella famiglia d’origine del bambino, rispondendo in questo modoallo spirito dell’affido e alle finalità della legge.Arrivando poi ad alcune considerazioni metodologiche acquisite inquesti dieci anni di lavoro, si può affermare che non esistono affidifacili: a nostro avviso anche gli affidi consensuali presentano dei livellidi complessità e difficoltà. L’affido è infatti un progetto complessoche coinvolge molti attori, sistemi di servizi e sistema giudiziario concomplessità emotiva, operativa e organizzativa che chiaramente vagestita e presuppone capacità di interconnessione e di integrazionetra i diversi soggetti coinvolti.In linea con le indicazioni metodologiche ampiamente teorizzate, cisentiamo di condividere l’affermazione secondo cui «l’affido mal si conciliacon l’urgenza», poiché richiede dei tempi di preparazione del bambino,dei tempi di valutazione sulla recuperabilità della sua famiglia e deitempi di valutazione e preparazione del nucleo affidatario. È quindi preferibile,nei casi di allontanamento urgente, privilegiare l’inserimento inuna struttura comunitaria, in modo da consentire una sufficiente conoscenzadel bambino, del suo funzionamento ed eventualmente deidanni che ha subito. In questo ambito il bambino può allentare le tensionilegate all’allontanamento in un contesto protetto e contenitivo esperimentare un rapporto di fiducia verso figure adulte significative,primo passo per potersi affidare alla nuova famiglia.Si ribadisce, quale presupposto per la predisposizione del progetto diaffido, un lavoro di valutazione delle competenze genitoriali delnucleo d’origine che consenta di fare un’ipotesi di recuperabilità sullaProgettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità85


ase della quale si possono prevedere la durata del progetto e le realiprospettive di rientro del bambino nella sua famiglia.Riteniamo, inoltre, che non tutte le famiglie valutate idonee sianoadatte a tutti i minori. Ciò implica un attento lavoro di abbinamentobambino-famiglia affidataria secondo i criteri di compatibilità tra lecaratteristiche del bambino e il nucleo affidatario e di reciproca utilitàevolutiva, intesa come processo di crescita e arricchimento per tutti isoggetti coinvolti.L’esperienza di lavoro ci ha confermato la necessità di predisporre unpercorso di sostegno alla famiglia affidataria strutturato (prevedendoattività cadenziate: colloqui, gruppo, visite domiciliari) ma anche flessibilein grado di garantire una risposta anche per esigenze di consulenzaurgente nei momenti critici (reperibilità telefonica).La complessità del progetto richiede costanti momenti di scambiostrutturati tra i servizi coinvolti (incontri di rete). Ciò si rende opportunoper tenere sempre aperti ed efficienti i flussi comunicativi tra ivari attori, al fine di evitare interpretazioni divergenti che rischiano diattivare pericolose alleanze o coalizioni tra chi si occupa del bambino,chi ha in carico la famiglia d’origine e chi segue il nucleo affidatario.Infine, facendo un breve accenno agli affidi parentali, riteniamo cheper le peculiarità di questi progetti sia necessario prevedere percorsispecifici soprattutto in relazione alla valutazione sull’opportunità diattivazione di un affido parentale, analizzando, caso per caso, i rischie i vantaggi per il bambino.In conclusione, facendo una sintetica analisi dei punti di forza e dicriticità dell’esperienza, si sono individuati i seguenti aspetti: punti di forza:• formalizzazione del servizio affidi (regolamento)• formazione congiunta che ci ha consentito di raggiungere unabuona condivisione del percorso metodologico• collaborazione con l’Equipe tutela minori• gruppo delle famiglie affidatarie che negli anni si è dimostratoun valido riferimento e occasione di confronto e sostegno perle famiglie Punti di debolezza:• difficoltà nel reperimento di nuove famiglie disponibili a un’esperienzadi accoglienza86 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


• difficoltà conseguente a fare abbinamenti mirati• necessità di reperire e formare famiglie affidatarie “esperte” inparticolare per gli affidi più complessi a valenza “terapeutica”.Pensando a possibili prospettive future ci sembra utile sperimentare: nuove forme di collaborazione con le realtà del privato socialeche si occupano di affidi (per esempio associazioni e gruppi diauto-aiuto di famiglie affidatarie) più efficaci percorsi di sensibilizzazione sul territorio finalizzatia reperire nuove famiglie nuovi percorsi operativi per migliorare le capacità di integrazioneall’interno della rete dei servizi coinvolti.Bibliografia Centro ausiliario per i problemi minorili (a cura di), L’affido <strong>familiare</strong>: unmodello di intervento. Manuale per gli operatori dei servizi. FrancoAngeli,Milano, 1988. S. Cirillo, P. Di Blasio, La famiglia maltrattante. Diagnosi e terapia. RaffaelloCortina, Milano, 1989. D. Ghezzi, “La protezione e oltre. Tutela del minore e allontanamento”. In:Prospettive sociali e sanitarie 4, 1994. D. Ghezzi, numero monotematico della rivista Maltrattamento e abusoall’infanzia vol. 1, n. 2, giugno 1999. FrancoAngeli, Milano, 1999. D. Ghezzi, F. Vadilonga (a cura di), La tutela del minore. Raffaello Cortina,Milano, 1996. F. Sbattella (a cura di), Quale famiglia per quale minore: Una ricerca sull’abbinamentonell’affido <strong>familiare</strong>. FrancoAngeli, Milano, 1999. Progettualità e percorsi di integrazione. Tra diritto e sostegno alla genitorialità87


Luisa MenegonDiscussione, sintesi e proposteGli interventi della tavola rotonda, attraverso le approfondite relazioni,hanno in parte occupato l’intero spazio, comprimendo laparte di dibattito previsto.Sono comunque emersi come aspetti significativi rilevati dall’interazionefra i relatori e il <strong>pubblico</strong> in sala: l’importante ruolo del Tribunale per i minorenni e il rapportocon le altre istituzioni della giustizia: si sottolinea che esisteun’importante distinzione culturale dove per il primo si parla di“diritto da tutelare” e non di “diritto leso” vengono segnalati come aspetti critici i tempi lunghi per idecreti da parte del Tribunale dei minorenni e l’evidenza didecreti a volte in contrasto emessi dal Tribunale dei minorennie dal Tribunale ordinario sulla stessa situazione la complessità che permea tutta quest’area rende quanto maiimpegnativo anche l’aspetto valutativo assegnato ai servizi.Peraltro l’emissione di un provvedimento da parte del Tribunaledei minorenni diventa a volte difficile se le relazioni valutativedei servizi si presentano in forma discordante il ruolo dei difensori di parte nella collaborazioni con i serviziha introdotto delle sollecitazioni importanti orientate a prassicondivise anche con gli operatori utilizzabili nell’area dellamediazione <strong>familiare</strong>, ascolto del minore, grossa conflittualità<strong>familiare</strong> sono stati sottolineati da più parti l’aumentato ruolo del <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> e la necessità di potenziare i livelli di integrazionecon le altre istituzioni del <strong>pubblico</strong> e del privato. 88 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Terza parte. <strong>Il</strong> percorsonascita nella Regione<strong>Friuli</strong> Venezia GiuliaChairman: Silvano Ceccotti


Silvano CeccottiIntroduzione al temaSono stato giustamente sollecitato a dare inizio ai lavori, anche perchéil programma è molto ricco e rischiamo veramente di sforareben più di com’è successo ieri.Questa sessione, che è il percorso nascita, è molto ricca e molto interessante.Alcuni temi sono già stati anticipati ieri, fra cui è stato interessantissimol’intervento della Dottoressa Malacrea; oggi abbiamo il piaceredi avere qui il dottor Grandolfo, dell’Istituto superiore di sanità. Perchi, come me, da molti anni lavora nei consultori, il dottor Grandolfo èuna persona molto conosciuta: è una persona che ha sostenuto inmodo forte la nascita e la crescita dei consultori familiari ed è inoltrel’artefice principale del progetto Obiettivo materno infantile a livellonazionale. Sicuramente ci darà degli spunti forti e farà anche una propostaestremamente interessante, della quale abbiamo parlato primadel convegno. Riguarderà tutte le aziende sanitarie e potrebbe diventareuno strumento corrente, per quanto riguarda la valutazione dellerisorse di cui i consultori familiari hanno bisogno, soprattutto nell’ambitodel percorso nascita. Questo della valutazione è uno dei temi presentinel Progetto obiettivo materno infantile nazionale, mentre nelProgetto materno infantile regionale è poco accennato. È però una funzioneche va portata avanti dagli stessi operatori proprio per non esseretacciati di autoreferenzialità, com’è stato accennato nel Progettoobiettivo materno infantile regionale. Oltre a questo, altri temi importantisaranno quelli della formazione, dei Dipartimenti materno infantiliintegrati, dove la nostra Regione ha segnato un po’ al passo, alla luceanche di quanto è stato detto ieri, dove l’integrazione tra primo, secondoe terzo livello non sempre funziona in modo adeguato.Cedo la parola al dottor Grandolfo, grazie.90 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Progetto obiettivo maternoinfantile nazionalee <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>:il percorso nascitadi Michele Grandolfo


Iconsultori familiari sono stati istituiti nel 1975 sull’onda della pressionedel movimento delle donne, che ne anticipò l’esistenza istituzionalecon la realizzazione di servizi autogestiti.Venivano concepiti come servizi innovativi, nello scenario della sanitàpubblica del tempo, anticipando le linee di indirizzo della riformasanitaria che subito dopo è stata varata (Legge 833/78).Basi epistemologiche<strong>Il</strong> tradizionale modello di stato sociale paternalistico direttivo avevacaratterizzato la sanità pubblica della fine dell’Ottocento. La LeggeCrispi-Paliani del 1888 recitava che l’igiene pubblica va comandata enon solo raccomandata. L’istituzione prima dei medici condotti esuccessivamente degli ufficiali sanitari rifletteva un’impostazione“militare”, tanto che il Commissariato della sanità era un dipartimentodel ministero degli Interni: la sanità pubblica veniva consideratanella prospettiva dell’ordine <strong>pubblico</strong>. Questo modello era statomesso pesantemente in discussione all’inizio degli anni Settanta delNovecento dal movimento dei gruppi omogenei operai (Maccacaro),da Basaglia con la liberazione dall’inferno concentrazionario deimalati di mente e, soprattutto, dal movimento delle donne, che con laproposizione del punto di vista di genere ponevano potentementeall’ordine del giorno la soggettività e l’autodeterminazione.La questione di fondo posta all’ordine del giorno era il rifiuto di unmodello di salute biomedico nella convinzione che i determinantisociali, storicamente determinati, sono le cause dietro le cause biologichedello stato di salute. E i determinanti sociali sono anche espressionedelle relazioni di potere tra le persone.Per questo il movimento delle donne ha avuto un ruolo così determinantenel proporre la messa in discussione delle relazioni di poterebasate sul genere. Di qui la proposizione del punto di vista di generee la contestazione del patriarcato come espressione di dominio.92 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


La prospettazione di un modello sociale di salute si accompagnava auna nuova visione di stato sociale, a partire dalla convinzione che ideterminanti sociali sono dicibili e modificabili solo dalle persone edalle comunità. Ciò implicando un approccio relazionale basato sullapartecipazione e sulla capacitazione (empowerment), a partire dalsostegno, con l’arte socratica della maieutica, alla persona nella capacitazionea parlare di sé e riflettere sulla propria condizione.Oggi si parla di medicina narrativa, ma se la medicina non è narrativache cos’è?I consultori familiari sono stati fondati nella prospettiva di sostenerele persone nello sviluppo della consapevolezza e delle competenze(empowerment), a partire dal riconoscimento del punto di vista digenere. Per fare ciò si presentavano come servizi sociosanitari, concompetenze multidisciplinari, per cogliere in modo integrato i determinantidella salute e, a partire dalla loro conoscenza, agire in terminidi promozione della salute.Si dimostrava così chiaramente la connessione tra il paradigma epistemologicodel modello sociale di salute con quello del modello distato sociale (welfare) della partecipazione e dell’empowerment.La finalità della promozione della salute ha rappresentato la sceltainnovativa per l’attività dei consultori familiari.Ma che cos’è la promozione della salute? La Carta di Ottawa ne dà unasintesi: l’insieme delle attività che hanno come obiettivo l’aumentodella capacità delle persone e delle comunità di avere controllo sulproprio stato di salute.La promozione della salute, secondo questa definizione, rappresentail suggello dei due paradigmi epistemologici.Basi epidemiologicheSe la promozione della salute ha come obiettivo l’aumento della capacitàdi controllo delle persone e delle comunità sul proprio stato disalute, come si misura l’efficacia di questo insieme di attività, tenendoconto che nessuna azione svolta con la singola persona è valutabile alivello individuale per la non disponibilità della prova controfattuale?E se ciò è vero nell’attività di cura, in cui comunque usualmente siosserva una transizione di stato che però può avvenire grazie, nonostanteo indipendentemente dalle cure, è a maggior ragione vero nellapromozione della salute.Progetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>93


L’azione deve essere in grado di coinvolgere la persona, con l’artesocratica della maieutica, in un processo di riflessione sul proprio vissutoquotidiano, sulla memoria storica della comunità di appartenenzaal fine di promuovere, alla luce delle nuove conoscenze, dellepossibili soluzioni, con consapevolezza e competenza per scelteresponsabili e autonome. Si tratta quindi di un vero e proprio processodi empowerment.La promozione della salute determina una riduzione del rischio dieventi sfavorevoli (per il maggior controllo del proprio stato di salute),produce “non eventi” e, quindi, determina una riduzione del tasso diincidenza degli eventi o del tasso di prevalenza delle condizioni di“sofferenza” che si avrebbero senza l’intervento stesso nella popolazionedi riferimento.Ma la popolazione di riferimento non è omogenea rispetto al rischioe, assumendo un modello sociale di salute, non è una sorpresa riconoscereche il rischio è maggiore nelle sezioni di popolazione maggiormenteesposte a condizioni di deprivazione sociale, caratterizzatein primo luogo da scarsa capacità di “cercare salute” (lack of healthseeking behaviour). <strong>Il</strong> coinvolgimento di tutte le sezioni sociali dellapopolazione, soprattutto quelle a maggior rischio, nel processo dipromozione della salute è fondamentale.La conoscenza delle articolazioni sociali della popolazione rispetto alrischio è il cardine epidemiologico delle strategie di promozione dellasalute. Infatti, se non vengono coinvolte efficacemente tutte le personein tutte le articolazioni, soprattutto in quelle a maggiore deprivazionesociale, non si osserveranno modificazioni significative degliindicatori di esito.La non omogeneità della distribuzione del rischio fa sì che non c’èrelazione lineare tra livello di coinvolgimento della popolazione(tasso di rispondenza) e livello di riduzione dell’indicatore di esito:ipotizzando una popolazione di 10.000 unità, di cui il 20% (2000) conrischio 5% e l’80% a rischio 0,5%, nelle due sezioni verranno prodotti100 + 40 casi (tasso 14/1000= 0,014). Se l’intervento di promozione,efficace nell’annullare il rischio, coinvolge efficacemente il 10% dellasezione più a rischio e il 90% di quella meno a rischio, dalla primasezione si produrranno 90 casi residui (5% di 1800) e dalla secondasezione 4 casi (0,5% di 800), per un totale di 94 casi. <strong>Il</strong> tasso di rispondenzatotale è in questo caso 200 + 7200 = 7400 su 10.000, pari al 74%,94 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


mentre il numero di eventi residui è 94, con un tasso di 94 su 10.000,cioè 0,0094, con una riduzione del tasso di incidenza pari a [(0,0094–0,014) / 0,014] x 100 = –32,9%. A un tasso di rispondenza del 74% corrispondeuna riduzione del tasso di incidenza di poco meno del 33%.Se il cardine epidemiologico delle strategie di promozione della salutesono l’identificazione della popolazione bersaglio e le sue articolazionirispetto al rischio, il cardine operativo è l’offerta attiva.Offerta: ci si rivolge alla persona, sia perché accetti di farsi coinvolgere,sia per attivare il processo di empowerment (arte socratica dellamaieutica), con rispetto, gentilezza, empatia, compassione (intesa nelsenso etimologico del termine e non nel senso miserabile di commiserazione)e umiltà.Attiva: se la persona non accetta di farsi coinvolgere o il processo dicoinvolgimento non è efficace, è responsabilità del professionista investigaresugli errori commessi nella comunicazione o nella relazione. Loscopo è identificare le barriere della comunicazione nelle dimensionifisiche, psicologiche, sociali, culturali, etiche e antropologiche, cercandosoluzioni anche innovative, raccogliendo gli stimoli, i segnali e isuggerimenti che la persona o la sua comunità di appartenenza possonopiù o meno esplicitamente inviare. Di qui l’importanza dell’umiltàcome competenza professionale fondamentale e primaria.Risulta quindi decisivo rifuggire da messaggi standardizzati (ogni personaè diversa) e, a maggior ragione, da informazioni veicolate con itradizionali mezzi di comunicazione di massa. Questi, di scarsa utilità,al più sono utili come sostegno e sfondo alla comunicazione individuale.Parlare di popolazione bersaglio questo significa: è responsabilità dell’arciereraggiungere con la freccia il bersaglio, non è il bersaglio amuoversi per intercettare la traiettoria della freccia stessa.Sono raccomandabili la conoscenza dei modi di vivere sociale dellespecifiche popolazioni con le quali si deve intervenire, l’utilizzo dicanali già dimostratisi praticabili per altri interventi, anche da parte dialtri servizi e istituzioni. Le persone più attive nella popolazione possonorappresentare formidabili aiuti nel fornire suggerimenti perintercettare le persone, soprattutto quelle più difficili da raggiungere.Deve essere costantemente presente la consapevolezza che le personepiù difficili da raggiungere sono anche quelle più a rischio, e si è giàevidenziato come non raggiungerle adeguatamente possa mettere inProgetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>95


discussione il successo della strategia: gli indicatori di esito subisconouna modificazione molto minore di quanto desiderabile per giustificarela ragione dell’impegno di sanità pubblica e la priorità dell’intervento.Se gli indicatori di esito servono per valutare se gli obiettivi sono statiraggiunti e in quale misura, l’indicatore di processo, dato dal tasso dirispondenza, è l’indicatore primario da assumere nel monitoraggio enella valutazione. Per quanto detto questi indicatori devono esseredisponibili per ogni stratificazione sociale della popolazione di riferimento.I loro differenziali per stratificazione sociale rappresentanocomunque un segnale importante di scarsa qualità nell’offerta attivao scarsa qualità nel processo di empowerment.Gli indicatori di risultato descrivono l’efficacia pratica delle azioni neldeterminare i risultati attesi perché gli obiettivi siano raggiunti.In definitiva, si può parlare di strategie di promozione della salutequando vengono definiti obiettivi misurabili attraverso opportuniindicatori di esito o outcome (per esempio la riduzione di incidenza diuna malattia prevenibile mediante vaccinazione, la riduzione di incidenzadel tumore del collo dell’utero, l’aumento della prevalenza dibambini allattati esclusivamente al seno al sesto mese di vita, ecc.),attraverso i quali valutare se siano stati raggiunti gli obiettivi.Questi ultimi possono essere conseguiti solo se sono stati ottenutirisultati significativi, misurabili con altri adeguati indicatori di risultatoo di output (per esempio la percentuale di siero conversione, la percentualedi donne identificate positive dal pap test che completano ilciclo specifico dei trattamenti previsti, la percentuale di donne chesono in grado di risolvere un problema di allattamento o sono ingrado di rivolgersi a chi le aiuta a risolvere efficacemente il problema,sul totale delle donne che hanno problemi nell’allattamento).Lo svolgimento delle attività necessarie per ottenere i risultati attesi èa sua volta misurabile attraverso specifici indicatori di processo (peresempio la percentuale di persone vaccinate sul totale di quelle candidatealla vaccinazione, la percentuale di donne che effettuano unpap test sul totale di quelle invitate, la percentuale di donne cheaccettano una visita domiciliare per ricevere counselling e sostegnoall’allattamento materno, sul totale delle donne che partoriscono).Si deve riflettere attentamente sul fatto che uno scadente tasso dirispondenza è prognostico di scarsa qualità in generale e in ogni stra-96 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


tificazione sociale, soprattutto quando si evidenziano differenziali. Lecompetenze professionali per farsi accettare sono le stesse necessarieper attivare il processo di empowerment: rispetto, gentilezza, empatia,compassione e umiltà. Vale a dire che se queste competenze sonoscarse il primo effetto è la ridotta adesione, soprattutto per le sezionidi popolazione affette da deprivazione sociale rispetto alle quali lebarriere della comunicazione possono essere molto consistenti. Maanche le persone che comunque accettano di farsi coinvolgere possonoessere esposte a un’esperienza meno valida proprio a causa dellaminore qualità di quelle competenze professionali. Usualmente l’approcciodirettivo paternalistico, esplicito o più o meno mascherato,produce i maggiori danni, determinando una minore rispondenza,soprattutto nelle condizioni di deprivazione sociale, a cui si associauna minore qualità dei risultati tra le persone raggiunte, con conseguentescarso miglioramento degli indicatori di esito.Come si è detto, la promozione della salute ha come obiettivo l’aumentodella capacità di controllo da parte delle persone sul propriostato di salute. Poiché ciò comporta una maggiore competenza aridurre l’esposizione ai rischi, la valutazione dell’efficacia (megliosarebbe dire l’impatto) di una strategia di promozione della salute sieffettua osservando una significativa modificazione degli indicatori diesito (tassi di incidenza o di prevalenza), non altrimenti giustificata.Ma proprio perché si tratta di un processo di empowerment si valutal’efficacia della strategia anche osservando con indicatori adeguatil’aumentata capacità delle persone di cercare salute. Aumenta larichiesta di aiuto per problemi che prima non si pensava potesserotrovare soluzione, o per i quali non si aveva idea a chi rivolgersi o, edè il caso più interessante, perché di quei problemi si provava vergognae non si aveva il coraggio di confidarli, anche perché vissuti comeesperienza di fallimento di vita: basti pensare all’iceberg del disagio<strong>familiare</strong>, soprattutto quando sostenuto da manifestazioni di violenza.Avere consapevolezza di questa opportunità è fondamentale pernon cedere alla tentazione di organizzare “sportelli” per le condizionidi disagio (disagio <strong>familiare</strong>, violenza sulle donne, disagio adolescenziale,ecc.) sempre esposti al rischio di stigmatizzazione delle vittime,comunque in grado di avere a che fare con la punta dell’iceberg, inogni caso con il problema esploso e non in fase prodromica. A quelpunto non servono più servizi di primo livello ma servizi terapeuticiProgetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>97


almeno di secondo livello, per esempio per il recupero di un bambinomaltrattato e per la terapia <strong>familiare</strong> per una famiglia maltrattante oper interventi psicoterapeutici. Anche da queste considerazioni derival’importanza che nei servizi consultoriali, di primo livello perchédedicati prioritariamente alla promozione della salute, siano previstefigure professionali esperte di patologia (ginecologo, psicologo,pediatra), in grado quindi di effettuare la presa in carico ed eventualmente,quando il problema richiede un intervento complesso, di riferirea servizi di secondo livello. Gli esperti di patologia sono ovviamentenecessari anche per accogliere l’eventuale richiesta di aiutospontanea, sempre per interventi di prima istanza e di filtro.Un’ulteriore manifestazione, preziosissima, di un’efficace azione diempowerment, sempre apprezzabile con opportuni indicatori, è ildesiderio delle persone che hanno acquisito consapevolezza e competenzedi farsi parte dirigente verso altre persone, sia nel facilitare ilsuperamento delle barriere testimoniando la credibilità dei servizi, siasvolgendo un’attività di aiuto tra pari, costituendo gruppi di autoaiuto,attivando momenti di coinvolgimento della comunità per la presadi coscienza sui diritti di salute e sulle possibilità di intervento.Questo aspetto può rappresentare una possibilità straordinariamenteimportante quando si ha a che fare con adolescenti, coinvolti primariamentenel contesto scolastico con gli incontri di educazione sessuale.A partire da questi incontri possono essere stimolati in piccoligruppi a sviluppare approfondimenti nel contesto della didattica curricolaree interessantissime connessioni tra i vissuti e la memoria storicadella comunità di appartenenza, recuperati con interviste nellacomunità, e l’esperienza umana globale espressa nella storia, nellaletteratura, nell’arte, confrontando culture nella loro evoluzione neltempo e nelle espressioni geografiche delle diverse civiltà.<strong>Il</strong> corpo docente, opportunamente supportato, può svolgere un ruoloprezioso, nell’esercizio professionale della didattica, nel guidare igruppi. La disponibilità di internet moltiplica le potenzialità di questisviluppi, con conseguenze straordinarie di fidelizzazione alla scuola.Lo spazio adolescenti (per esempio un pomeriggio a settimana a loroesclusivamente dedicato) nel <strong>consultorio</strong> o in altro luogo fisico puòessere l’occasione per gli approfondimenti delle riflessioni e delleconoscenze acquisite con gli operatori consultoriali. Così si creanocondizioni non stigmatizzanti perché una condizione di disagio trovi98 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


un canale facilitato e schermato di espressione e di conseguente presain carico (altro che sportelli di ascolto nelle scuole!). Appaiono evidentialtre straordinarie potenzialità nel momento in cui i prodottidelle ricerche e degli approfondimenti, espressi sul piano letterario,drammatico o artistico, vengono proposti alla comunità connettendovissuti e memoria storica locale con l’esperienza umana globale. È lascuola (e l’età evolutiva) che si fa promotrice di salute nella comunità.Si pensi al contributo formidabile delle persone in formazione cheacquisiscono e diffondono gli strumenti per la rappresentazione dellostato di salute della comunità con validi indicatori, perché la comunitàabbia una più adeguata consapevolezza del proprio stato di salutee dei conseguenti diritti esigibili. Centri anziani, associazioni culturali,centri sociali e altri luoghi di aggregazione possono essere le sediprivilegiate, anche con il supporto logistico delle autorità comunali eil possibile sostegno finanziario delle forze produttive locali.Basi operativeInterventi individuali sporadici di promozione della salute non hannosignificato di sanità pubblica perché non valutabili. Si devono considerarestrategie di promozione della salute.Una strategia di prevenzione e promozione della salute deve prevedereun modello organizzativo che tenga conto delle caratteristichedella popolazione e delle risorse disponibili e di quelle potenzialmenteattivabili (anche provenienti dalla popolazione stessa). <strong>Il</strong> modellodeve prevedere poi che ogni singola persona sia raggiunta da operatorimotivati e addestrati in grado di farsi accettare con modalità dicomunicazione modulate sulle caratteristiche della persona e quindicapaci di tener conto degli aspetti culturali, relazionali, psicologici,etici, sociali e antropologici. L’espressione del rifiuto individuale deveessere considerata dall’operatore un formidabile stimolo a rifletteresu potenziali errori di comunicazione su uno o più degli aspetti citati.Questo impone l’obbligo, che la strategia operativa deve prevedere, disvolgere periodicamente una valutazione epidemiologica dei fattoridi rischio associati al rifiuto e dell’entità della persistenza del problemanelle persone non raggiunte. Di qui l’importanza strategica dell’indicatorecostituito dal tasso di rispondenza.Per la progettazione operativa di una strategia di promozione dellasalute si deve partire da:Progetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>99


una chiara definizione di obiettivi di salute specifici una descrizione dei sistemi e degli indicatori di valutazione (diesito, di risultato e di processo che si sviluppano nel corso dellaprogettazione operativa stessa) l’identificazione della popolazione bersaglio (frazione dellapopolazione generale a rischio di produrre eventi o condizioninegativi che il programma di promozione della salute intendeprevenire) e le sue articolazioni per livello di rischio l’identificazione di adeguate e articolate modalità di offerta attiva,con conseguente identificazione degli indicatori di processo la caratterizzazione delle modalità di esecuzione di attività efficacinella pratica, con conseguenti momenti di aggiornamentoe addestramento professionale la ricerca e l’attivazione delle sinergie tra i servizi e le professionalità la descrizione dei risultati attesi associati alle attività previste eagli obiettivi posti, e la conseguente identificazione degli indicatoridi risultato.La progettazione deve anche prevedere indagini: sui fattori di rischio della non rispondenza sull’incidenza dei problemi, che la strategia intendeva prevenire,nella sezione della popolazione bersaglio non raggiunta.Dall’attività prevista per l’offerta attiva e per l’intervento è possibile calcolarei carichi di lavoro per ogni singola figura professionale, articolatinello spazio (bacini di riferimento consultoriale e di distretto) e neltempo, anche al fine di caratterizzare i carichi di lavoro settimanale.Nella valutazione dei carichi di lavoro è necessario calcolare i tempianche tenendo conto che scegliendo aree strategiche di intervento èpossibile innestare programmi satellite e tener conto delle necessitàdi presa in carico di problematiche per le quali si esprime la richiestadi aiuto, stimolata dall’attività di promozione della salute. Se il percorsonascita, l’educazione sessuale nelle scuole e lo screening per iltumore del collo dell’utero sono certamente aree strategiche di interventodi promozione della salute, appaiono evidenti le possibilità diinnestare programmi satellite.100 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Per esempio nel percorso nascita possono (devono) essere sviluppatela promozione della corretta alimentazione, a partire dalla promozionedell’allattamento al seno, la promozione della procreazione responsabile,tenendo conto che dopo la nascita la ripresa dei rapporti sessualinella generalità dei casi avviene nella prospettiva di non averesubito dopo una nuova gravidanza, e così via. Dei possibili sviluppi si ègià accennato nel caso dell’educazione sessuale nelle scuole e nel casodello screening con il pap test. Sarebbe assurdo organizzare i tempioperativi alla stretta esecuzione della manovra, senza cogliere l’enormeopportunità, favorita da un’accoglienza adeguata, di esplorare conla donna la dimensione della procreazione responsabile, del desideriodi fecondità, della prevenzione dell’obesità, della prevenzione deltumore del seno, della menopausa, tanto per citare aree di interesse disanità pubblica riguardo la promozione della salute. Si tratta di donnedi età compresa tra 25 e 64 anni, cioè donne attive, prevalentementecon responsabilità di cura familiari, veri pilastri della famiglia, in gradodi irradiare alla stessa consapevolezze e competenze. Se si vuole arrivarealle famiglie è necessario farlo a partire dalle donne: se si vuolearrivare agli uomini bisogna partire dalle loro compagne di vita.Come si è accennato prima, l’instaurarsi di una relazione valida favoriscel’espressione di un eventuale disagio <strong>familiare</strong>, soprattutto quelloin fase prodromica, permettendo all’equipe consultoriale l’offertadi aiuto e presa in carico.È determinante per la crescita della professionalità nel campo dellapromozione della salute valutare continuamente i risultati acquisiti egli obiettivi raggiunti, rispetto a quelli programmati. Diventa inoltreessenziale porsi la domanda sul perché del non raggiungimento equanto pesa la sua estensione nel non perseguimento degli obiettiviprogrammati. <strong>Il</strong> fallimento nel raggiungere le persone e nel loro coinvolgimentodeve stimolare il professionista della promozione dellasalute a rimettere in discussione i modelli interpretativi e i paradigmiepistemologici assunti (la propria visione del mondo), rifuggendo dall’autoreferenzialità(cioè non biasimando le vittime, che appaionobrutte, sporche e cattive). Solo in questo modo si determinano le condizioniper trovare modalità innovative di comunicazione e di coinvolgimento.Quindi come la programmazione, scientificamente intesa, anche lavalutazione è parte integrante, non opzionale, dell’attività lavorativa,Progetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>101


e deve rappresentare un carico di lavoro definito e programmato. Lavalutazione è l’attività senza la quale non si può parlare di attività professionale;senza valutazione non c’è stimolo alla crescita professionale.La valutazione quindi è nel processo della formazione continua.Programmazione, valutazione e formazione continua o stanno assiemeo, se considerate separatamente, sono esercizi sterili.La valutazione consiste:1. nel verificare la distanza tra gli obiettivi raggiunti e quelli previstiutilizzando gli indicatori di esito, di output e di processo(valutazione a lunga, media e breve distanza) e le ragioni di questadistanza (controllo di qualità interno)2. nel confrontare la propria esperienza, rappresentata dagli indicatori,con quella dei servizi analoghi dislocati in altri ambititerritoriali (controllo di qualità esterno).Nel Progetto obiettivo materno infantile si possono individuare treprogetti strategici: percorso nascita, adolescenti e prevenzione deitumori femminili. Tre priorità non tanto per la gravità e la frequenzadei problemi che possono essere prevenuti, quanto soprattutto perl’alta possibilità di intervento e per la straordinaria esemplarità pedagogica(quanto aumenta la competenza dei professionisti, quanto sisviluppa l’empowerment delle persone e delle comunità).Basti pensare alle relative popolazioni bersaglio: donne e coppie nellarealizzazione concreta del desiderio di maternità e genitorialità, adolescentiin via di formazione, donne di età compresa tra 25 e 64 anni.Sono le donne nella massima potenza della loro attività di cura esostegno della famiglia e quindi veri e propri pilastri della società, e gliadolescenti nel massimo della potenza formativa e quindi a più altaresa di investimento. Sono soggetti forti (tutt’altro che deboli e vulnerabili)su cui l’approccio nei termini di empowerment può avere ilmassimo di efficacia, non solo per le persone coinvolte, ma anche pertutte quelle con cui sono in relazione affettiva e sociale.Quindi parliamo di un’offerta attiva di: consulenza prematrimoniale consulenza in gravidanza (sarebbe opportuno che il certificatodi esenzione dal ticket venisse rilasciato dai consultori familiari)102 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


corsi di preparazione alla nascita visite domiciliari o in <strong>consultorio</strong> dopo il parto corsi di educazione sessuale nelle scuole spazi adolescenti dentro e fuori i consultori pap test e mammografia, in un contesto di integrazione negoziatadei servizi distrettuali e di Asl.<strong>Il</strong> tasso di rispondenza (indicatore primario di processo) testimonieràla qualità comunicativa e la sua efficacia nell’avviare il processo diempowerment. Quanta opportunità, se la qualità comunicativa fossebuona, verrebbe data perché problematiche ancora in fase prodromicarelative al disagio <strong>familiare</strong> delle donne, della coppia, dei bambini,degli adolescenti vengano a essere proposte a interlocutori sensibili erispettosi e non stigmatizzanti! Quante problematiche in atto potrannoessere evidenziate e quante relative richieste di aiuto verrannoesplicitate con fiducia a interlocutrori accreditati per la qualità dellacomunicazione! Quante occasioni di integrazione si verranno a porre!Basti solo pensare, in occasione dell’offerta attiva del pap test, all’offertadi counseling per la menopausa per le donne oltre i 45 anni, perla gravidanza programmata o per la procreazione consapevole per ledonne in età feconda.In questi tre programmi strategici è essenziale promuovere lo sviluppodelle consapevolezze sulla procreazione consapevole; nel far ciò siproduce la migliore azione per la prevenzione delle gravidanze indesiderate,come è stato ripetutamente raccomandato (anche nelle relazionidei ministri della sanità al Parlamento sull’applicazione dellaLegge 194/78) dalla seconda metà degli anni Ottanta.Le proposizioni del Progetto obiettivo materno infantile, soprattuttoper quanto attiene ai progetti strategici, implicano una disponibilitàdi risorse che non è detto sia garantita. Opportunamente il Progettoobiettivo materno infantile fa riferimento alla Legge 34/96, che definiscela necessità di un <strong>consultorio</strong> ogni 20.000 abitanti ed esplicitanel dettaglio figure professionali e orario di lavoro minimo per ogniservizio consultoriale.Ogni progetto strategico può essere tradotto in ore di lavoro per figureprofessionali per unità di popolazione bersaglio.Per avere un’idea di prima approssimazione dei carichi di lavoro perfigura professionale, in relazione alla realizzazione dei tre progettiProgetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>103


strategici, si riporta un calcolo orientativo nell’ipotesi di un <strong>consultorio</strong>che opera in un bacino territoriale di 20.000 abitanti:Popolazioni bersaglioNumerositàNascite (1% della popolazione totale)200 (di cui 100prime nascite)Adolescenti in una fascia di età annuale (1% della popolazione totale) 200Donne di età 25-64 anni (30% della popolazione totale) 6000L’offerta attiva di corsi di accompagnamento alla nascita, ha comeobiettivo l’80% delle primipare (80 donne). Ipotizzando quali operatorivengono coinvolti in ogni singolo incontro e per quanto tempo,sommando su tutti gli incontri previsti per ogni corso, si ricava perogni singolo operatore il tempo totale impegnato e quanta parte (inpercentuale) è del tempo totale.% del tempo totalein cui si presumecoinvolto lospecifico operatoreOstetrica Ginecologo AssistentesocialeOre 108 50Psicologo Pediatra Assistentesanitario75 35 20 30 30 2028 e 48minuti43 e 12minuti43 e 12minuti28 e 48minutiPer le visite in puerperio, l’obiettivo è l’80% di tutte le donne che partorisconoin un anno: 160 puerpere in totale, di cui 50% in <strong>consultorio</strong>e 50% a domicilio.% del tempo totalein cui si presumecoinvolto lospecifico operatoreOstetrica Ginecologo AssistentesocialePsicologo Pediatra Assistentesanitario80 30 60 30 20 80Ore 376 141 282 141 94 376104 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Per gli adolescenti, una fascia di età (per esempio la terza media) ècostituita da 200 adolescenti, ai quali rivolgersi con corsi di educazionesessuale a scuola e spazio giovani in <strong>consultorio</strong>.Ostetrica Ginecologo AssistentesocialePsicologo Pediatra Assistentesanitario% del tempo totalein cui si presumecoinvolto lo25 50 30 50 10 25specifico operatoreOre 108 213 108 215 43 108Per la prevenzione del tumore del collo dell’utero si considera lapopolazione femminile tra 25 e 64 anni, pari a circa il 30% della popolazionegenerale. Si assume che il 30% faccia regolarmente il pap testspontaneamente, per cui sui 2000 pap test all’anno (uno ogni 3 anni)sono da coinvolgere 1400 donne; ipotizzando un tasso di accettazionedell’80% si devono effettuare 1120 pap test.Ostetrica Ginecologo AssistentesocialePsicologo Pediatra Assistentesanitario% del tempo totalein cui si presumecoinvolto lo50 15 20 15 10 40specifico operatoreOre 500 150 200 150 100 400Nella tabella seguente si riportano le ore all’anno totali per ogni progetto,per ogni figura professionale e il carico di lavoro settimanale.Progetto Ostetrica Ginecologo AssistentesocialePsicologo PediatraAssistentesanitarioPercorso nascita 1 108 50 29 43 43 29Percorso nascita 2 376 141 282 141 94 376Adolescenti 108 215 108 215 43 108Pap test 500 150 200 150 100 400Ore all’anno 1092 556 619 549 280 913Ore settimanali(su 40 settimane)27 e 18minuti13 e 54minuti15 e 30minuti13 e 42minuti722 e 48minutiProgetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>105


Tenendo conto del livello di approssimazione, è ragionevole ipotizzareche una stima dei carichi di lavoro effettuata con un’analisi più dettagliatanon modifichi sostanzialmente il quadro ottenuto. L’ordine digrandezza dell’impegno fa comprendere perché la legge richiede un<strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> ogni 20.000 abitanti e perché il Progetto obiettivomaterno infantile raccomandi un organico adeguato.Come già accennato, ogni progetto strategico può supportare progettisatelliti sfruttando fino in fondo le sinergie, cioè mettendo in comuneil tempo necessario per il raggiungimento della popolazione bersaglioe sfruttando l’accreditamento conseguente al successo del programmastrategico. Per esempio, nel caso della prevenzione del tumoredel collo dell’utero, il tempo dedicato al colloquio serve per svilupparecon la donna riflessioni su temi che, in relazione al suo stato,meritano di essere presi in considerazione (procreazione consapevole,desiderio di fecondità da realizzare, menopausa, arruolamento perscreening senologico, disagio <strong>familiare</strong>, ecc.).Anche per i programmi satelliti si possono calcolare i carichi di lavoronecessari in relazione al quadro logico corrispondente (obiettivi,risultati, attività e relativi indicatori).La realizzazione di progetti strategici basati sull’offerta attiva faràemergere una serie di bisogni di salute insoddisfatti che potrannoessere presi in carico per l’intervento di prima istanza e riferiti alsecondo livello, se necessario. Sulla base dell’esperienza si può valutarequanta domanda viene così prodotta e quali carichi di lavorodevono essere calcolati, in relazione alle prevedibili attività che si rendononecessarie.Permane in ogni caso l’accesso libero, senza vincoli, che anche inquesto caso, opportunamente vagliato, costituisce un carico di lavorola cui stima può essere calcolata.È evidente che il calcolo dei carichi di lavoro è pregiudiziale a qualunquealtra valutazione di risorse necessarie (presidi, infrastrutture estrumentazione, materiale di consumo), che pure si deve fare pervalutare la compatibilità tra progetti dimensionati sugli obiettivi esulla popolazione bersaglio e le risorse necessarie per svolgere le attivitàpreviste per ottenere i risultati necessari al raggiungimento degliobiettivi. Come si è visto, i carichi di lavoro nei programmi di promozionedella salute si calcolano a partire dagli obiettivi, e quindi daquanta popolazione bersaglio si intende raggiungere (tasso di rispon-106 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


denza): non si calcolano, come solitamente si fa in analogia con i servizidi cura a partire dalle utenze spontanee per unità di tempo.Nel Progetto obiettivo materno infantile è chiaramente raccomandatal’integrazione dei servizi sia nell’ambito distrettuale (secondo livello)sia sovradistrettuale (terzo livello); se a livello dipartimentale sicolloca la progettazione operativa, soprattutto per quanto attiene lafase decisionale, è nell’organizzazione distrettuale che si realizzanol’allocazione delle risorse e l’integrazione dei servizi, alla luce dellaprogettazione operativa. È molto ragionevole pensare che nella presentetemperie grandi miglioramenti nella disponibilità di risorse nonci saranno (anche se, come si è detto, sarebbe utile verificare comesono state impiegate le risorse messe a disposizione dalla Legge34/96, e sarebbe interessante analizzare quante risorse vengono consumateper realizzare attività non organizzate secondo le raccomandazionidel Progetto obiettivo materno infantile). Per quanto attiene ilruolo e i compiti dei consultori familiari però si può fare molto per ilriorientamento delle attività.Non è percorribile la strada dell’assumere le responsabilità altruicome alibi a non riqualificare l’attività consultoriale, volta alla promozionedella salute, nel senso scientificamente fondato e quindi disanità pubblica. Certo è che le risorse disponibili potranno permettereprogrammi con obiettivi commisurati a esse, e non voli pindarici.È necessario sviluppare capacità negoziali per vincere le resistenze adassumere responsabilità nel processo decisionale e nell’integrazionedei servizi, come è necessario sviluppare capacità negoziali per coinvolgerela comunità sia nelle istanze istituzionali sia in quelle non istituzionali.Questo non solo per il coinvolgimento nel processo decisionale(in fondo si tratta di garantire diritti di salute ai cittadini), maanche per verificare la possibilità di liberare risorse aggiuntive.Sarebbe auspicabile un impegno organizzato da parte delle istituzioniper promuovere l’implementazione dei progetti strategici, il loromonitoraggio e la loro valutazione, su cui incardinare la formazionecontinua. Sarebbe auspicabile anche che le organizzazioni professionalipromuovessero di concerto, oltre all’attività istituzionale organizzatain conferenze di servizio, il confronto e la valorizzazione delleesperienze migliori, soprattutto se frutto di una sperimentazione prototipale.In conclusione si può dire che i consultori familiari rappresentano unProgetto obiettivo materno infantile nazionale e <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>107


patrimonio prezioso sia per l’esperienza accumulata sia per le ragionidi fondo della loro esistenza, che non sono residui del passato ma fondamentiper sistemi sanitari del futuro, volti a tutelare e promuoverela salute pubblica. <strong>Il</strong> Progetto obiettivo materno infantile è un buonpunto di partenza per un processo di riqualificazione.Michele Grandolfo108 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


<strong>Il</strong> percorso nascitanei consultori familiaridella Regione <strong>Friuli</strong>Venezia Giuliadi Annamaria Dolcet, Elodia Del Pup


Come ampiamente illustrato dal dottor Grandolfo nella relazioneprecedente, è ormai da tutti riconosciuto che, «la tutela della salutematerno infantile costituisce un impegno di valenza strategica deisistemi sanitari per i significativi riflessi sulla salute della popolazioneattuale e futura».A questa consapevolezza corrisponde un’importante produzione legislativa(Progetto obiettivo materno infantile nazionale e regionale,Carta dei diritti sessuali e riproduttivi della partoriente, ecc.) chehanno riconfermato gli obiettivi del percorso nascita, e cioè: tutelare la salute fisica della madre e del neonato aiutare la donna e la coppia ad affrontare il parto nel migliormodo possibile favorire la capacità di prendersi cura del figlio, sia sul piano fisicosia affettivo relazionale, individuando precocemente situazionidi fragilità personale e <strong>familiare</strong>.La traduzione di questi obiettivi nella realtà dei servizi consultorialiha implicato una continua rivisitazione dei modelli di intervento perrenderli più rispondenti ai rapidi mutamenti dovuti alle dinamichesociali e demografiche nell’ultimo decennio. Anche nella nostraRegione si è assistito infatti a un deciso aumento delle famiglie immigratee delle situazioni di disagio socioambientale (famiglie monoparentalie madri con carenza di reti di supporto).<strong>Il</strong> lavoro degli operatori perciò è diventato più complesso, sia nellarelazione diretta con l’utente, sia nell’accompagnarlo nel percorsoall’interno della rete dei servizi.Infatti questi cambiamenti veloci e consistenti della struttura socialehanno posto a tutti gli operatori nuovi problemi di conoscenza, dicomunicazione e di mediazione in merito alle pratiche mediche e alleconcezioni del corpo, della femminilità, dei rapporti tra i sessi e tra110 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


genitori e figli. Avviando questa verifica circa le modalità attraverso lequali il percorso nascita si declina nella nostra Regione, si è partiti dall’ipotesiche nel rispondere a queste nuove sfide siano state elaboratedelle soluzioni organizzative a livello locale, ma che sia giunto ilmomento per un salto di qualità al sistema complessivo dei servizicoinvolti; riteniamo che le osservazioni raccolte abbiano confermatoquesta ipotesi.In attesa dell’implementazione del nuovo sistema informativo regionaledi raccolta dati che consentirà un’analisi precisa, completa eorganica, per avere almeno un quadro della realtà si è proposto a tuttii consultori un questionario con l’intento di esplorare le seguentiaree: il monitoraggio della gravidanza i corsi o incontri di accompagnamento prima della nascita gli incontri dopo la nascita l’assistenza al puerperio.<strong>Il</strong> percorso nascita è stato attivato in tutti i distretti e rappresenta unarealtà consolidata.Pur con delle significative oscillazioni, quasi tutti i consultori sigarantiscono il monitoraggio della gravidanza, i corsi preparto, i corsipost parto e delle forme di assistenza al puerperio: le prime due sonoattività “storiche”, le altre sono state promosse più di recente daglioperatori.<strong>Il</strong> monitoraggio della gravidanzaNella nostra Regione, nelle primipare l’età media è di 30-34 anni; negliultimi anni stanno aumentando, seppur leggermente, le fasce estreme(14-19 e 40-44): un dato che sarebbe utile monitorare in quanto puòinfluire sul numero di visite e di controlli necessari.Come mostra la tabella nella pagina seguente, la percentuale dellegestanti seguite nei consultori rispetto al totale dei parti è molto variabile:in media risulta del 16,8%, ma si passa dallo 0,7% dell’Ass 3 al39,5% dell’Ass 1.Queste differenze sono correlate sia all’insufficiente monte ore perginecologo presente in alcune sedi, sia alle modalità attraverso lequali è organizzata l’offerta presente sul territorio.<strong>Il</strong> percorso nascita nei consultori familiari della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia111


Per esempio si è notato che l’esistenza di un ambulatorio ostetricoginecologico di primo livello nella struttura ospedaliera costituisceuna variabile importante e rende più difficile investire nell’offerta territoriale:sarebbe quindi necessario chiarire obiettivi e compiti deldistretto in rapporto all’ospedale anche per evitare delle sovrapposizioni.AssPartiSeguite in <strong>consultorio</strong>(totale)Seguite in<strong>consultorio</strong> (%)Straniere in <strong>consultorio</strong>(totale)Straniere in<strong>consultorio</strong> (%)Ass 1 792 313 39,5 91 29,07Ass 2 529 21 4 9 42,85Ass 3 289 2 0,7 / /Ass 4 1384 124 9,2 69 55,64Ass 5 383 27 7 7 25,92Ass 6 1312 352 26,8 198 56,25Totale 5007 839 16,8 374 44,57Dati generali relativi al primo semestre del 2008Nell’ultimo decennio si è registrato un significativo incremento dellegestanti immigrate, che mediamente rappresentano circa la metà deltotale delle gestanti, e cioè ben il 44,57%.Pur in attesa di dati più completi, si può quindi ritenere che il serviziorappresenti un valido riferimento per questa parte della popolazionefemminile che, in genere, instaura così il primo significativo contattocon il sistema sanitario <strong>pubblico</strong>.Anche le donne italiane che si rivolgevano al ginecologo privato siavvalgono sempre più del servizio consultoriale in quanto offre continuitàe pluralità di servizi.Negli ultimi anni, però, tutto ciò ha determinato un forte incrementodelle richieste, tanto che alcuni consultori si sono trovati nell’impossibilitàdi garantire il monitoraggio della gravidanza a tutte le utentiche ne facevano richiesta, anche nella misura del 30% (è il casodell’Ass 6).In mancanza di nuove risorse, si sono riviste le loro priorità e, dovepossibile, si sono stipulate delle convenzioni con alcune strutture privateoppure si sono dovute rinviare le utenti agli ambulatori ospedalieri.112 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


<strong>Il</strong> questionario ha permesso di constatare che la dotazione strumentalepresente nel servizio in genere non è adeguata: manca quasiovunque uno strumento indispensabile come l’ecografo e per questole donne vengono inviate ad altre strutture.Si rileva tuttavia che il 30% delle utenti ha difficoltà per poter fare leecografie di base previste dal protocollo ministeriale nei tempi previsti,in particolare per quanto riguarda l’ecografia del secondo trimestre.È auspicabile che i consultori riescano a garantire il monitoraggioecografico a esclusione dell’ecografia morfologica, per la quale sarebbeutile prevedere delle corsie preferenziali fra <strong>consultorio</strong>, repartiospedalieri e strutture convenzionate nell’ottica della continuità assistenziale.Al momento, invece, le forme di collaborazione con la strutturaospedaliera sono varie, non costituiscono una prassi consolidatae riguardano meno della metà del campione. Tutti comunque concordanosul fatto che la completezza dell’assistenza fornita è un fattoredeterminante per la qualità del servizio offerto e che quindi, anchenell’area materno infantile, è necessario garantire all’utenza dei percorsianziché delle singole prestazioni.<strong>Il</strong> modello di presa in carico prevede che la gravidanza sia seguitadallo specialista ginecologo. Alcuni consultori però sarebbero interessatia sperimentare dei modelli innovativi: per esempio, la gravidanzafisiologica potrebbe essere seguita dall’ostetrica con momenti di verificapuntuale con il ginecologo.Gli operatori maggiormente coinvolti nel percorso nascita ritengonoche «l’assistenza ostetrica a tutte le gravidanze ha lo scopo di individuarequella piccola quota di gravidanze a rischio in modo da predisporreper esse interventi appropriati, ma non deve far sì che tutte legestazioni vengano trattate come eventi patologici».Si tratta cioè di «recuperare la fisiologia dell’evento nascita, senzanegare quei benefici in termini di riduzione della mortalità e morbilitàmaterna e neonatale che la migliorata assistenza ostetrica neglianni ha portato». In sintesi, si può quindi affermare che occorre monitorarel’appropriatezza degli interventi per evitare la medicalizzazione:in questo senso, a livello regionale, sarebbe opportuno ridefinire leLinee guida per l’assistenza alla gravidanza attraverso il coinvolgimentosia delle strutture pubbliche sia dei professionisti e delle struttureprivate.<strong>Il</strong> percorso nascita nei consultori familiari della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia113


I corsi di accompagnamento alla nascitaLa partecipazione ai corsi mostra notevole variabilità: si oscilla da un15% a un 40% sul totale dei nati, e ciò sembra correlato alla varietà diofferta dei singoli distretti (piscine, ospedale, palestre).L’età media delle donne varia dai 30 ai 35 anni e sono per lo più primipare.Le donne immigrate accedono con difficoltà ai corsi (da 0% al 20%),anche se in alcune sedi si comincia a vedere qualche cambiamento aseguito di un’offerta di incontri più mirata a sostenere la donna nell’orientarsiin un contesto sociale diverso. Quando invece le gestantistraniere sono residenti da più tempo e conoscono bene la lingua,partecipano ai corsi “tradizionali”.Questi in genere iniziano il settimo mese, in corrispondenza con l’astensionedal lavoro, ma in alcune sedi l’avvio è anticipato al quartoquintomese: al momento, non si è in grado di fornire ulteriori informazioniin merito a obiettivi per fare un confronto sugli obiettivi chehanno certamente delle peculiarità.In tutti i consultori i gruppi sono stabili: non sono previste significativerotazioni delle utenti e degli operatori, per favorire il costituirsi diun sentimento di reciproca fiducia nel comunicare vissuti ed esperienze.L’ostetrica è la figura professionale di riferimento: organizza i corsi, èsempre presente agli incontri e può condurre il gruppo da sola o conlo psicologo. In alcuni casi, possono inserirsi altre figure (vigilatricid’infanzia, assistenti sanitari, assistenti sociali, ginecologo).Si fa ricorso a tecniche corporee come il training autogeno respiratorioe lo stretching.Trattandosi quasi esclusivamente di primipare, sarebbe importanteinterrogarsi sull’obiettivo dei corsi, che non consiste solo nel dareinformazioni sul travaglio, il parto, le prime cure rivolte al neonato,quanto nell’accompagnare la donna nel passaggio da figlia a madre,dal bambino immaginato al bambino reale, dall’essere coppia aldiventare famiglia.Per favorire queste elaborazioni, in molti operatori esiste la consapevolezzache è opportuno partire dai saperi delle gestanti e utilizzaremodalità di comunicazione che favoriscano lo scambio, la discussionee il sostegno reciproco. Fare richiede delle abilità precise e quindiva prevista un’adeguata formazione degli operatori.114 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Nei corsi è da tempo consolidata l’attenzione al mutato ruolo deipadri nei confronti dell’evento nascita, e ovunque è prevista la loropartecipazione da uno a più incontri.Infine, dai dati raccolti è emerso che l’attività è conosciuta e apprezzatadai punti nascita in quanto viene notato che al momento del travaglioe del parto le gestanti appaiono più padrone della situazione.Gli incontri dopo il partoSi tratta di un’attività recente, sviluppata a seguito di bisogni di aiutoe sostegno espressi dalle neomadri che hanno scarse reti familiari osociali.Questi incontri vengono organizzati pressoché ovunque e hanno unastruttura variabile: in genere iniziano il primo mese, considerato il piùcritico dalle madri, e si protraggono per 4-5 volte. In genere, gli incontrisono condotti dagli stessi operatori del corso “pre” che, su questionispecifiche, possono integrarsi con fisioterapiste, educatrici dei nidi, ecc.L’obiettivo consiste nel fornire ascolto e supporto su temi come: le cure al neonato l’allattamento, lo svezzamento il massaggio al neonato il rapporto madre-bambino i cambiamenti nella coppia.La percentuale di madri che frequentano questi incontri si aggiraattorno al 20%, ma non mancano sedi in cui è molto elevata (80%)perché chiedono di farvi parte anche donne che non hanno seguito ilcorso preparto.Le madri immigrate invece sono ancora poche: solo in un <strong>consultorio</strong>si organizzano incontri specifici per loro a partire dai particolari tipi dimaternage. Per gli operatori, in genere, è indispensabile acquisireulteriori conoscenze circa il modo di vivere la maternità delle donnestraniere, soprattutto se in condizione di vulnerabilità o di isolamentosociale, per poi ipotizzare gli interventi più efficaci in collaborazionecon i servizi sociali, il volontariato, ecc.In questo senso, la visita domiciliare in puerperio è risultata uno strumentosensibile capace di fornire elementi molto interessanti nellecondizioni più disagiate.<strong>Il</strong> percorso nascita nei consultori familiari della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia115


PuerperioNegli ultimi anni i punti nascita hanno organizzato la dimissione precoce,cioè entro 48-72 di vita del neonato.In mancanza di un progetto regionale specifico circa l’assistenza inpuerperio, i consultori hanno messo in campo iniziative di vario tipoe, quindi, oggi siamo di fronte a un panorama alquanto variegato. Inqualche Asl l’offerta è rivolta a tutte le madri anche attraverso il consensoinformato alla visita domiciliare o al contatto da parte del <strong>consultorio</strong>subito dopo il parto. In altre a coloro che fanno un’esplicitarichiesta o prevalentemente alle madri immigrate perché ritenute piùa rischio. In alcuni casi, si privilegia la visita domiciliare, in altri si invitala donna presso il servizio.Gli operatori coinvolti sono le ostetriche, le puericultrici o le assistentisanitarie secondo le possibilità del servizio.<strong>Il</strong> numero di madri a cui viene rivolta l’offerta e di madri effettivamenteraggiunte è estremamente vario: da15% al 90%.Sarebbe importante avere informazioni più specifiche circa il servizioofferto, come il tipo di controlli effettuati sulla madre e sul bambino,il collegamento con i pediatri di libera scelta e i tempi di intervento. Aquesto proposito, è noto che solo l’intervento precoce, entro 10-15giorni, è in grado di evitare che si abbandoni l’allattamento al senoalle prime difficoltà.In sintesi, attraverso i questionari, si è verificato che in tutti i consultoriesiste l’assistenza nella fase del puerperio; è però necessario giungere,in analogia ad altri progetti regionali, a una ridefinizione condivisadegli obiettivi, delle modalità di lavoro e di raccordo sia con ipunti nascita sia soprattutto con i pediatri.L’importanza di sviluppare una buona assistenza dopo la nascita derivaanche dalla notevole produzione scientifica che ha individuato nelpuerperio un momento di fragilità per il nuovo nucleo <strong>familiare</strong> e inparticolare per la neomamma che deve affrontare il delicato adattamentoche la maternità comporta.Risulta infatti che il 20% delle puerpere attraversa una fase depressivache, in alcuni casi, può raggiungere connotazioni di rilevanza clinicacon importanti conseguenze sulla madre e sul bambino.Gli operatori dei consultori hanno da tempo dedicato la massimaattenzione al problema cercando di sperimentare modelli di interventoche coinvolgano più attori. Per poter rendere più efficace la116 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


isposta, in alcune realtà, si sta tentando di sviluppare un lavoro direte con la presenza del servizio sociale dei Comuni e delDipartimento di salute mentale: accanto agli indispensabili interventimedici e psicologici vanno infatti previsti anche supporti domiciliarie sociali.Alle madri e ai familiari riesce ancora difficile esprimere e chiedereaiuto in relazione a questa sofferenza: è quindi necessario diffonderela conoscenza dei servizi e dei percorsi di aiuto prevedendo le risorsenecessarie.Per concludere, alla luce delle informazioni cortesemente fornitedagli operatori, per l’immediato futuro riteniamo importante proporrele seguenti piste di lavoro: migliorare l’integrazione fra territorio e ospedale per garantirepercorsi chiari e certi promuovere la deospedalizzazione delle attività ostetrichemediante il potenziamento della rete consultoriale, secondo ilPiano sanitario nazionale del 2004 predisporre un protocollo tecnico scientifico per il monitoraggiodella gravidanza e una cartella unica per controllarla colmare «il vuoto assistenziale dopo il parto», secondo leRaccomandazioni per l’assistenza alla madre in puerperio e alneonato del 2000.Annamaria Dolcet, Elodia Del Pup<strong>Il</strong> percorso nascita nei consultori familiari della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia117


Monitoraggio di gravidanzaintegrazione con i puntinascita ed equipeconsultorialedi Luciana Ramon


<strong>Il</strong> Progetto obiettivo materno infantile del 2000 assegna al <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> un ruolo centrale tra i servizi di primo livello per attuaregli interventi previsti a tutela della salute delle donne, lo individuacome luogo per la continuità dell’assistenza della puerpera e del neonatoe sottolinea come il percorso nascita sia un’area di interventostrategica.Non serve ricordare come nel <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> sia prioritariol’impegno alla difesa e promozione della salute con particolare attenzionealle fasce deboli, svolgendo attività che privilegiano la prevenzione,l’informazione e l’educazione sanitaria e avendo come puntodi forza il lavoro di equipe.Dal Progetto obiettivo materno infantile emerge anche l’indicazione arealizzare un sistema fortemente integrato tra servizi territoriali,ospedalieri e gli altri servizi attivi nell’ambito dell’area materno infantile,al fine di garantire, come recita il Decreto ministeriale del 24 aprile2000, «unità, efficienza e coerenza degli interventi», per una maggioreumanizzazione dell’evento nascita garantendo però la sicurezzadi madre e bambino.Dall’analisi dell’evoluzione dell’evento nascita attraverso le statisticheufficiali, ultima delle quali il rapporto della Commissione salutedelle donne del ministero della Salute pubblicato nel marzo 2008 eattraverso le indagini epidemiologiche emerge che il 99% delle donneche hanno avuto figli negli ultimi 5 anni sono state seguite da un operatoresanitario durante la gravidanza.Secondo l’“Indagine conoscitiva sul percorso nascita 2002. Aspettimetodologici e risultati nazionali”, la figura preferita dalle gravide èquella del ginecologo privato (75%), e la percentuale di gravide seguitadal <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> varia dal 2,3% al 17,3%.La percentuale di gravide straniere assistite nella nostre realtà consultorialiè del 35,6%. Nonostante il miglioramento dell’assistenza in gravidanzanel nostro Paese, il rapporto “Gravidanza e parto: una nuova120 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


coscienza femminile, un nuovo protagonismo maschile” riferisce cheancora un 4% di donne straniere non ha ricevuto nessuna assistenzain gravidanza e il 17% di loro hanno dichiarato di aver avuto difficoltàa essere assistite. Anche gli esiti alla nascita continuano a essere peggioririspetto alle italiane, con un 8,8% di parti pretermine tra le immigraterispetto al 4,6% tra le italiane.<strong>Il</strong> numero di visite durante la gravidanza nella Regione <strong>Friuli</strong> VeneziaGiulia è di oltre 4 nell’88,7% dei casi e minore o uguale a 4 nell’11% deicasi. È normalmente ritenuto importante avviare i controlli entro iprimi tre mesi della gravidanza, ma secondo lo stesso rapporto il18,6% delle donne straniere effettua la prima visita oltre la dodicesimasettimana gestazionale. I controlli prenatali tardivi sono associatialla bassa età della donna, al basso livello di istruzione e al basso livellosocioeconomico.Le donne immigrate hanno spesso difficoltà di accesso alle informazioni,non conoscono la diagnosi prenatale, partecipano poco ai corsidi preparazione al parto, hanno maggiori difficoltà a rapportarsi con imedici e le strutture sanitarie.<strong>Il</strong> numero di ecografie è fra 1 e 4 nel 14% dei casi, fra 4 e 6 nel 72,6%dei casi e di 7 o più nel 13,4% dei casi, con un numero medio di 4,3.Questa percentuale sale al 54,4% nella Liguria e al 47% in Abruzzo eBasilicata. Per il rapporto della Commissione salute delle donne ilnumero di ecografie non sembra avere nessuna correlazione con ildecorso della gravidanza.Quale assistenza in gravidanza?In quasi tutti i Paesi con sistemi sanitari sviluppati si assiste a unaforte medicalizzazione della gravidanza e a un consumismo di procedurediagnostiche e terapeutiche complesse nella totalità dellegravidanze. Osserviamo però come sia aumentata anche in questistessi Paesi l’attenzione agli aspetti relazionali e affettivi della nascita,che costituisce occasione di grande cambiamento e crescita perl’individuo.Nella nostra realtà, la gravidanza fisiologica può essere assistita indifferentementenella struttura consultoriale, ambulatoriale o ospedaliera;questo comporta la dispersione di risorse economiche, oltreche professionali e strutturali, in tre rivoli diversi per la stessa funzione.Monitoraggio di gravidanza integrazione con i punti nascita ed equipe consultoriale121


Quale assistenza si presta alla gravida in <strong>consultorio</strong>? <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> offre: assistenza medica con garanzia di continuità delle cure, privilegiandola gravidanza fisiologica e inviando ai livelli superiori legravidanze a rischio. Valorizza anche le capacità e la consapevolezzadella donna contribuendo, attraverso il lavoro multidisciplinare(che è il punto di forza del <strong>consultorio</strong>, con strettaconnessione tra sociale, psicologico e sanitario), alla creazionedelle condizioni ambientali e relazionali affinché queste possanoesprimersi assistenza psicologica alla donna o alla coppia in gravidanza edopo il parto nelle situazioni di difficoltà interventi di supporto sociale con attività di sostegno allematernità difficili attraverso formulazioni di progetti individualisia in gravidanza sia dopo il parto nelle situazioni di disagiosociale.Cosa significa continuità assistenziale? La gravida ha diritto a sceglierela figura professionale o la struttura territoriale o ospedaliera a cuiaffidarsi nel percorso nascita.Strumenti essenziali per dare continuità alle cure sono: condivisione tra figure professionali diverse del medesimomodello di assistenza alla gravidanza operare utilizzando protocolli condivisi tra ospedale e territorio,per rendere il più possibile uniforme e omogenea l’assistenzaprestata utilizzo della cartella ostetrica ambulatoriale della gravida cheriporti le informazioni fondamentali relative allo stato di salutee sociale.Le criticità nella nostra realtà sono: mancanza di numero e di organico dei consultori familiari.Conseguenza di questo è un sottoutilizzo delle strutture consultorialie territoriali, che potrebbero invece offrire un opportunofiltro tra fisiologia e patologia rimandando a strutture specializ-122 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


zate le gravidanze ad alto rischio. Oltre a essere poco presentisul territorio, i consultori sono spesso poco conosciuti: anche ledonne che partecipano ai corsi di preparazione al parto afferisconopoco al <strong>consultorio</strong> per l’assistenza in gravidanza o nelpuerperio mancanza di omogeneità e coerenza nel percorso di assistenzaalla nascita: servizi diversi, spesso non collegati tra loro, offronoassistenza alla gravidanza, al parto e al puerperio. I passaggi traun servizio e l’altro possono essere a volte difficoltosi e le informazionifornite alla donna diverse e a volte contraddittorie mancanza di momenti di incontro tra tutti gli operatori coinvoltinel percorso nascita. Ci devono essere contatti permanenticon i reparti con uno scopo comune condiviso: bisogna cioèmigliorare la salute della donna in tutte le fasi della vita.Per il futuro l’obiettivo deve essere realizzare un percorso nascita chefornisca alla gravida una presa in carico completa, fatta di collaborazione,interazione e scambio proficuo tra i servizi.La presenza di donne straniere provenienti da aree povere del mondorappresenta ormai una realtà nel nostro Paese. <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>può diventare luogo privilegiato per la costruzione di un futuromodello di assistenza alla nascita che ponga particolare attenzionealle diverse condizioni di vita, di cultura e di costumi: un “ponte” trala donna immigrata e le altre strutture. Deve cercare in queste utentidi utilizzare la gravidanza come momento privilegiato per gettare lebasi dell’attività preventiva che rappresenta uno degli scopi del servizioconsultoriale.Bisogna evitare la frammentazione del percorso nascita. La collaborazionee il collegamento tra <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> e ospedale sono irrinunciabiliper fornire una buona assistenza e garantire sicurezza allagravida. <strong>Il</strong> percorso nascita può rappresentare il punto di partenza diun continuum che va dal <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> al punto nascita perpoi concludersi con l’assistenza domiciliare integrata, dopo la dimissioneprecoce concordata tra gli operatori dell’ospedale e quelli dellastruttura territoriale.Sarà necessario condividere linee guida di assistenza alla gravidanzatra ospedale e territorio: la continuità assistenziale si attua ancheattraverso l’omogeneità degli interventi e la coerenza dei messaggi.Monitoraggio di gravidanza integrazione con i punti nascita ed equipe consultoriale123


Questo dà alla gravida la certezza di essersi affidata a un gruppo chelavora in modo sinergico.Luciana RamonBibliografia G.B. Ascone, “Rapporto della Commissione salute delle donne del ministerodella Salute. Percorso nascita”. Roma, 2008. M. Grandolfo, S. Donati, A. Giusti, “Indagine conoscitiva sul percorso nascita2002. Aspetti metodologici e risultati nazionali”. Roma, 2002. L.L. Sabbadini, “Gravidanza e parto: una nuova coscienza femminile, unnuovo protagonismo maschile”. Roma, 2001.124 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


L’assistenzaalla gravidanzae al puerperiodi Annamaria Cortese


Vorrei ridefinire il titolo e quindi il contenuto del mio intervento. Seinfatti parliamo di assistenza alla gravidanza e al puerperio utilizziamodei termini astratti che ci fanno perdere di vista i soggetti coinvoltiin questo discorso: innanzitutto le donne che vivono in primapersona la gravidanza e il puerperio, e poi gli operatori con cui entranoin relazione in questo periodo della loro vita. Se pensiamo a unmodello sociale di salute dobbiamo innanzitutto affrontare un processodi personalizzazione. Per questa relazione un titolo più adattosarebbe “<strong>Il</strong> sostegno alla donna in gravidanza e dopo il parto”.<strong>Il</strong> concetto di sostegno comprende diversi aspetti. Ci sono i consigli ele informazioni. C’è l’assistenza concreta e tangibile che può essererappresentata tanto dalla misura della pressione quanto dalla prescrizionedi un farmaco, o dall’insegnare i movimenti corretti per la spremituradel latte dal seno. Sono tutte le azioni, mediche o ostetriche,che costituiscono aiuti pratici che diamo alle donne. C’è infine l’appoggioemotivo, fatto di presenza, ascolto, rassicurazione, conferme,che rappresenta una parte fondamentale del nostro lavoro con ledonne che entrano nel percorso nascita del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>.Questo punto di vista ci permette di uscire da una logica basata susingole prestazioni fatte da specifici operatori e di pensare piuttosto auna continuità dell’assistenza da immaginare nel tempo ma anche traoperatori e servizi diversi. Nel nostro servizio l’obiettivo della continuitànell’assistenza è stato perseguito cercando la condivisione nellafilosofia di assistenza, nell’operare con protocolli comuni attraversola gravidanza, il parto e il puerperio, anche grazie a una cartella dellagravidanza unica concordata, anche se con fatica, fra gli operatori deiconsultori e con il punto nascita della nostra città, nella dimissionedall’ospedale accompagnata dall’offerta attiva dei servizi territoriali.Quindi la continuità è rappresentata non tanto da un operatore unicoche fornisce tutta l’assistenza, ma piuttosto da una coerenza nelle iniziative,nelle proposte, nei messaggi che riguardano le donne.126 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


<strong>Il</strong> progetto che costituisce il primo nucleo del percorso nascita dei consultorifamiliari è nato a Trieste nel 1998. Tre momenti formativi fondamentalihanno determinato la struttura del servizio. <strong>Il</strong> primo era dedicatoall’organizzazione e alla gestione dei gruppi (che sono un momentoimportantissimo dell’assistenza alla gravidanza e nel dopo parto, manon l’unico). <strong>Il</strong> secondo ha riguardato l’assistenza nella gravidanza fisiologicada parte delle ostetriche. È un punto sensibilissimo, che determinail sottofondo culturale di gran parte dei progetti passati e più recenti.È stato infine fondamentale un approfondito lavoro di formazione sulcampo sui temi che riguardano il sostegno dell’allattamento al seno.Questa è stata la piattaforma da cui siamo partiti. <strong>Il</strong> tutto è stato affiancatodall’estrema attenzione, che caratterizza l’Ass 1, di garantirequanto più possibile l’equità nell’accesso ai servizi. Se la piattaformad’azione della quarta Conferenza mondiale sulle donne del 1995 diPechino è stato il primo punto di ispirazione per la filosofia del nostroprogetto, poco dopo il Progetto obiettivo materno infantile nazionale ela progettazione regionale in materia si sono mostrati in sintonia conle nostre iniziative. È quindi possibile rappresentare la nostra attivitàalla luce degli obiettivi del Progetto obiettivo materno infantile.Esistono delle differenze nell’attuazione all’interno delle diverse realtànei quattro distretti dell’Ass 1, legate soprattutto a necessità contingentipiù che a differenti filosofie. Ogni <strong>consultorio</strong>, avendo presente l’obiettivo,cerca di volta in volta di utilizzare le risorse di cui dispone.Questo a volte è stato uno stimolo per immaginare proposte innovative.La prima di queste proposte è migliorare l’informazione e l’educazionealla salute delle donne sulla gravidanza e sulla sua gestione.È stato fatto uno sforzo per passare da un modello informativo a unmodello educativo. Questo vuol dire innanzi tutto sbilanciarsi sull’enunciazionedi alcuni principi, ma fornire al tempo stesso strumenticritici che ne consentano la messa in discussione.Accanto a questo c’è però anche un discorso che si riallaccia a quantodetto prima sull’equità di accesso e sull’attenzione alle iniziative diofferta attiva. La nostra offerta attiva riguarda infatti soprattutto ledonne straniere e le donne seguite in gravidanza dal <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>,in particolare quando esistono problemi psicologici o sociali chele espongono al rischio dell’esclusione sociale.Pensiamo agli interventi di sostegno alla gravidanza come a unacostellazione di azioni che si organizzano attorno ai bisogni rilevati daL’assistenza alla gravidanza e al puerperio127


qualsiasi operatore si trovi a costituire il punto di ingresso nel sistema.Capiamo così come ogni operatore dell’equipe possa essere fonte diofferta attiva per interventi contigui. Per esempio, non è stato fatto unprogetto specifico per le gravidanza delle donne straniere. Esiste peròun progetto rivolto a facilitare l’accesso dei cittadini stranieri ai servizisanitari. Una delle azioni di questo progetto riguarda la prevenzionedell’interruzione volontaria di gravidanza. Sappiamo che, sevogliamo prevenirla, dobbiamo agire nei momenti in cui è possibilesensibilizzare le donne sull’importanza della pianificazione <strong>familiare</strong>.<strong>Il</strong> puerperio è riconosciuto come uno di questi momenti. Alla donnache si rivolge al <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> unicamente per il monitoraggioclinico della gravidanza, se lo desidera, possono essere offerte altreforme di sostegno, di cui abbiamo parlato all’inizio, per esempioall’interno dei corsi di accompagnamento alla nascita. Le donne condifficoltà sociali o psicologiche possono essere indirizzate in questosenso e tutto questo è facilitato dall’esistenza di un gruppo di personeche lavorano a stretto contatto, negli stessi spazi, e possono quindicomunicare con una certa facilità.Abbiamo spesso sentito l’esigenza di valutare la nostra attività; primaancora che venisse avviato il programma di rilevazione regionale abbiamoprovato a elaborare degli indicatori sulla base delle fonti di datidisponibili: registri delle iscrizioni e frequenze ai corsi di accompagnamentoalla nascita, certificati di assistenza al parto e, nell’ultimo anno,primi dati disponibili con il sistema regionale di raccolta dati sui consultorifamiliari. È importante vedere che molte delle donne che partorisconoa Trieste hanno avuto contatti in gravidanza con i consultori familiari,e ben il 56% si è iscritto a un corso di accompagnamento alla nascita.Percorso nascita nei C.F. - 1° semestre 2008800700600500400 79230020010047259%44856%01° semestre 2008partigravidanza in CFpartecipanti CAN128 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Persistenza dell’allattamento esclusivo al seno a Trieste e nellaRegione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia (2008)80%70%74,87%60%50%40%30%64,89%52,34%37,<strong>46</strong>%TSFVG20%10%0%dimissioneII vaccinoUna seconda proposta è l’offerta attiva di visite domiciliari, con particolareriferimento al caso di dimissioni precoci o in situazioni dirischio sociale. Le azioni dell’Ass 1 sono rappresentate dall’offertaattiva a tutte le donne del sevizio di accoglienza alla coppia mammabambinopresso i distretti al momento della dimissione dall’ospedale,ed eventualmente dalla visita domiciliare, con particolare riferimentoal caso di dimissioni precoci o in situazioni di rischio sociale o psicologico.Gli incontri di gruppo proseguono, senza soluzione di continuità,attraverso gravidanza, puerperio e post parto, e sono aperti anuovi ingressi nel post parto.L’allattamento al seno e la sua persistenza nei primi mesi di vita delbambino può essere considerato un indicatore complessivo dellaqualità delle cure perinatali. Abbiamo quindi utilizzato come indicatorele percentuali di allattamento esclusivo alla dimissione e alsecondo appuntamento vaccinale fornite dal programma di rilevazioneregionale.Annamaria CorteseL’assistenza alla gravidanza e al puerperio129


L’accompagnamentoalla genitorialitàtra fisiologia e patologiadi Maria Virginia Fabbro


Non esiste un bambino senza relazioni di accudimentoDonald Woods WinnicottDall’assunto di Winnicott possiamo desumere che il nostro essercicome soggetti dipende dalle nostre relazioni significative: dalbambino che siamo stati, dall’accudimento che abbiamo ricevuto, daldesiderio dei nostri genitori per noi è derivata la nostra storia di adulti.Nell’interrogarci su cosa significa diventare genitori, sicuramente unpassaggio complesso nel ciclo vitale di ogni soggetto, e cosa significadiventare una madre o un padre, è inevitabile fare i conti con la nostrastoria.Come può il <strong>consultorio</strong> accompagnare alla genitorialità, sia negliaspetti relativi alla cura sia in quelli di prevenzione/promozione dellasalute? Cosa significa diventare genitori oggi? Le questioni in giocorimandano a diversi aspetti: biologici antropologici sociali soggettivi di genere.I dati statistici riguardanti le visite e gli esami medici in gravidanzahanno a più riprese aperto un dibattito mettendo in discussione lanecessità di interventi sanitari ritenuti eccessivi o ridondanti nellagravidanza fisiologica, in quanto ciò pare indurre nelle donne dipendenza,scarsa autostima, riduzione della percezione di competenzarispetto alle proprie scelte e alla propria salute.Per quanto riguarda la fase del post parto questo dibattito è stato parziale;infatti, i dati pubblicati su vari documenti fanno riferimento,132 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


ispetto alle patologie psicologiche e psichiatriche, alle seguenti percentuali: oltre il 75% delle donne riguardo al baby blues dal 20% al 25% per la depressione post parto dallo 0,1% allo 0,2% per la psicosi puerperale.Tralasciando il baby blues e la psicosi puerperale, il dato sulla depressionepost parto può far pensare che per quasi una donna su quattrola nascita di un bambino provoca una situazione emotiva patologica,inserita anche nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentaliDsm IV. Siamo di fronte a una vera epidemia?Altre fasi evolutive femminili sono state, e sono tutt’ora, connotate datermini patologici, come per esempio la menopausa. Anche in questocaso il dibattito si sta aprendo criticamente e dalla nota introduttiva aldocumento della Conferenza di consenso di Torino nel maggio 2008,emerge come la necessità di proporre la «terapia ormonale sostitutivaimplica una concezione della menopausa come sindrome da carenzad’ormoni e suggerisce una costruzione di senso in termini di patologia.Mentre la menopausa non è una malattia, ma una tappa evolutivadella vita della donna».Per certi aspetti questi esempi ci portano a una visione storico antropologica,a un modello che vede incarnati nel corpo della donna lamagia e il maleficio, il potere sia in senso positivo e curativo sia malefico,un corpo capace di dare la vita così come di procurare morte.La potenza del corpo femminile, del ventre femminile, e dal corpo agliannessi (capelli, placenta, mestruo) e dei loro effetti, ha lasciato traccefino a oggi. Di fatto il corpo femminile era considerato una matrice– così veniva definito l’utero – per la riproduzione, era inteso soltantocome un principio passivo, mentre la generazione umana dipendevadal seme maschile (che portava la vita, l’identità umana, l’anima).La gravida aveva tutta una serie di interdizioni (come il divieto disostare ai crocicchi infestati da streghe e spettri, di vegliare i defunti),per non parlare dei pronostici sul nascituro (dalla forma del ventre,dall’umore della gravida). Oggi è la scienza che decide e definisce,categorizzando l’evento nascita e i vissuti dei soggetti.L’interrogativo allora potrebbe essere: la transizione alla genitorialità,per gli aspetti emotivi associati, ha a che fare con la patologia, la psi-L’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia133


chiatria, o con una fase evolutiva normalmente, inevitabilmente pregnadi eventi perturbanti?Utilizzare termini medici può favorire lo spostamento verso motivazionimediche anche degli aspetti evolutivi e relazionali in gioco. Peresempio la giustificazione della fatica, della criticità nel post parto,viene ricondotta alla presenza degli ormoni, piuttosto che associataad altri aspetti, al punto che le stesse neomadri (e i neopadri) quandosi raccontano si identificano spesso nella definizione biomedica.Winnicott afferma che l’instabilità psicoemotiva nella genitorialitànascente deriva dal trovarsi ad affrontare sentimenti e stati d’animoche non trovano immediato riconoscimento e conseguente collocazioneall’interno dei propri personali riferimenti, dalla paura di nonessere all’altezza del compito, dal riferimento alla propria esperienzadi figlia, di neonata accudita ed educata, la cui memoria aiuta o ostacolala propria esperienza genitoriale, estendendo la considerazioneanche al padre.Per Monique Bydlowski, neuropsichiatra e psicanalista che da annilavora in Francia all’interno di un reparto ostetrico ginecologico, «lacreazione di un bambino risulta dall’unione da parte di due adulti delloro capitale genetico e delle loro rappresentazioni inconsce e singolari»e «in materia di filiazione umana un debito di vita inconscio legain una catena transgenerazionale i soggetti ai loro genitori, ai loroantenati». In questo modo «per i futuri padri e madri il riconoscimentodi questo dovere di gratitudine, di questo debito di esistenza, è ilperno della capacità di trasmettere la vita».Le rappresentazioni psichiche inconsce, nella loro ambivalenza, guidanoe regolano prima la relazione tra i genitori e il desiderio, e poi gliscambi successivi tra loro e il bambino.Questi concetti rimandano alla peculiarità di ogni singolo individuo.Rimandano cioè al neonato, non solo come prodotto biologico, maanche come luogo di trasmissione psichica, che viene al mondo giàdotato di una sua competenza psichica, seppur rudimentale, che sisvilupperà nell’interazione con l’adulto significativo. In questo modo ilbambino sarà anche il testimone delle disavventure dei suoi genitori.Questa fase del ciclo vitale comporta quindi, oggigiorno, una vera epropria rivoluzione, mentre in passato era considerata una semplicefase della vita, supportata da un sapere tramandato grazie a un’intensarete di scambi familiari e sociali.134 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Rispetto alle questioni psicologiche e sociali possiamo aggiungere chel’inevitabile crisi d’identità che accompagna la transizione all’eserciziodella funzione genitoriale si esplica su più fronti: <strong>Il</strong> passaggio alla condizione adulta non coincide più con ilmatrimonio e l’abbandono della casa di origine come accadevain passato. In questo contesto, avere un figlio e dunque diventaregenitori, coincideva con il diventare adulti, con una delle piùimportanti crisi evolutive dell’adultità il protrarsi del tempo dello svincolo dalla famiglia d’origine puòdeterminare, quando arriva il primo figlio, un’opposizione adolescenzialetardiva rispetto ai propri genitori che non rappresentanocome un tempo, nell’immagine dei neogenitori, unarisorsa nell’affrontare le problematiche legate alla vita con unbambino la nascita di un bambino comporta un salto generazionale nelleparentele: i coniugi diventano genitori, i genitori dei coniugidiventano nonni, e accettare il figlio significa accettare di invecchiare,acquisire una visione diversa dello scorrere del tempo,della vita e soprattutto della morte l’età tardiva con cui arriva il primo figlio è accompagnata dauna maggiore consapevolezza nella scelta di diventare genitori;comporta alcuni vantaggi, ma anche un notevole aumento diansie e paure, che spesso non trovano un adeguato contenimentoin ambito sociale la nascita della genitorialità, intesa come assunzione di un nuovoruolo nella vita, a volte può essere accompagnata da un profondostato di smarrimento e ansietà, in particolare quando l’esperienzainfantile con i propri genitori è stata il frutto di modalitàrelazionali distorte, che hanno lasciato cicatrici emotive anche la modernità, il bisogno di dare costantemente un’immaginedi efficientismo, rischia di trasformare l’esperienza dellamaternità e della paternità in un periodo di grande frustrazione un altro elemento frutto della modernità è legato alla percezionedi poter controllare tutti gli aspetti dell’esistenza, compresoquello della nascita e della genitorialità scelta e programmata,che pare incidere con un livello di aspettative onnipotenti e salvifichedi fronte alla nuova identità genitoriale, con scarsa oL’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia135


nulla tolleranza per i livelli di sofferenza, frustrazione o difficoltàche normalmente emergono nel difficile processo di genitorializzazione un segnale della forte incertezza e ansia con cui molti genitorivivono l’esperienza della genitorialità è rappresentato dalladelega di un sapere alle istituzioni mediche che si esplica, peresempio, nell’eccessivo e improprio ricorso alle strutture sanitarie,ginecologiche o pediatriche, per falsi problemi, nellaricerca di una sorta di paternage simbolico.Come abbiamo potuto vedere il passaggio del soggetto alla funzionegenitoriale è composto da più fattori che influenzano la personalitàdell’individuo e ne sono a loro volta influenzati. I cambiamenti legatialle fasi del ciclo vitale a volte avvengono con un disagio che puòdiventare vera patologia, sia soggettiva sia relazionale, come peresempio quella materno infantile nel post parto o nella relazionegenitoriale successiva.Diventare madre è una fondamentale esperienza psicologica: vengonoriattivati conflitti e fantasie dell’infanzia ed è tramite la procreazioneche una donna regola il suo debito di vita verso la madre.Diversi autori considerano l’importanza che la donna si identifichicon una buona immagine materna, il che significa che la donna hasperimentato una buona relazione infantile con la propria madre, maanche che è stata capace di riconoscerla come tale, di sentirsi da leiriconosciuta e di riferirsi a lei nella sua esperienza attuale, senza esseresopraffatta da elementi conflittuali.Alcuni autori hanno distinto due differenti tipologie con cui si puòmanifestare l’identificazione materna. La prima è una modalità tipicamente“imitativa”, caratterizzata dall’illusione di “essere come lapropria madre”. La seconda deriva invece da un’introiezione chelascia aperta la possibilità di un’elaborazione personale e creativadella figura materna che implica la necessità di privilegiare l’identitàdi madre rispetto a quella di figlia. Come conseguenza di questo passaggio,che avrà tempi molto brevi, sarà possibile vivere una sensazioneo di perdita o di conquista, responsabile del complesso d’emozioniche la maggioranza delle donne vive subito dopo il parto: capita,infatti, che a volte si sentano contemporaneamente tristi e felici.Bydlowski, ha effettuato numerosi studi per comprendere gli albori136 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


della relazione madre-bambino e il particolare processo psichico cheaccompagna una donna incinta dalla fase del progetto-bambino, allafase del bambino immaginato fino alla maternità reale vissuta colbebè dopo la sua nascita.Bydlowski descrive con l’espressione “trasparenza psichica” un funzionamentopsichico particolare in gravidanza, caratterizzato da unabbassamento delle resistenze abituali che la giovane donna opponedi fronte all’inconscio rimosso, e marcato da un iperinvestimentodella sua storia personale e dai suoi conflitti infantili. È una particolaresituazione emotiva caratterizzata da una maggiore sensibilità.Questo concetto tiene conto di due aspetti: che la donna, come all’epoca della sua adolescenza, è in unasituazione relazionale speciale, di capacità di transfert, dirichiesta d’aiuto che c’è un’autenticità particolare: lo stato di coscienza e i ricordirimossi affiorano alla coscienza con più facilità.Winnicott ha denominato questo stato «preoccupazione materna primaria»,paragonabile alla definizione data nell’intervento della dottoressaMalacrea in questo convegno, cioè come «una finestra di plasticità».Nella donna in gravidanza, frammenti di inconscio arrivano al conscioe il figlio rappresenta per la futura madre un oggetto attuale rappresentabileunicamente con gli elementi del passato. Le rappresentazionimentali sono centrate su un’innegabile polarizzazione narcisistica.Le ragioni della trasparenza psichica paiono avere origine nell’iperinvestimentonel figlio che però appartiene alla propria persona –non è distinto da sé – e questo permette un disinvestimento delletematiche psichiche estranee a questa invasione narcisistica. In questomodo, fantasmi regressivi affluiscono dall’inconscio senza incontrarela barriera abituale della rimozione. Può essere interessante peril personale che accompagna la gravida cercare di comprendere ildispiegarsi di questa maternità interiore, premonitrice del modo incui si stabilirà la relazione con il bebè e anche indicativa dell’esistenzadi equilibri destinati comunque a modificarsi.Comprenderne il senso, prima che questo accada, può essere utile inmateria di prevenzione.L’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia137


L’esistenza di questo processo in atto, per esempio, si può notare nelmodo con cui sono affrontati il travaglio e il parto. Ci sono donne chefaticano a separarsi dal loro bambino, bloccando il travaglio o non iniziandolonemmeno, in un’angoscia di separazione, segnata dalla presenzadi insonnia e paura di partorire, che può sottendere un luttomai elaborato e un’illusione di ritrovare l’oggetto perduto attraverso ilbambino atteso.La frustrazione presente nel post parto può essere ricondotta all’impossibilitàdi riconoscere nel bambino concreto il desiderio, ricercatoin modo illusorio, di avere sostituito attraverso di lui quanto perso,così da determinare sintomi depressivi.Nell’interazione tra il neonato e la madre, quest’ultima mette in attodelle rappresentazioni attraverso i suoi gesti e la loro ripetizione. Leitraduce così le sue emozioni e i suoi mutamenti d’umore. Questoinsieme è decifrabile dal bebè che, senza comprendere il senso delleparole, ha la capacità di cogliere il linguaggio del corpo e dei sentimenti.I segni sono legati a un senso nascosto, a un significante, a unsignificato sepolto nella memoria del soggetto.L’inconscio di ognuno dei due genitori prenderà corpo nello spaziopsicocorporeo del piccolo. <strong>Il</strong> bambino atteso è, nel suo corpo e nellasua psiche, luogo di proiezione. <strong>Il</strong> bimbo parla anche dell’ambivalenzaa volte presente dietro alla sua origine; l’amore e l’odio sono sentimentipresenti in ognuno di noi. La madre “gioca” con il suo bimbo iconflitti e le angosce che hanno fondato la sua prima relazione e ilbambino può diventare luogo di espressione privilegiato di questiconflitti agiti, in quanto fantasmi rimossi dalla madre, in particolarenel primo anno di vita del figlio.Una vera prevenzione in materia di psicopatologia infantile deve prevederela necessità di arrivare a una mobilizzazione delle rappresentazionimaterne prenatali, al loro disinnesco eventuale, alla loromobilizzazione dopo la nascita.Cito una ricerca realizzata presso il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> di Gemonanel 2004, pubblicata sulla rivista Psicologia clinica dello sviluppo dell’agosto2008. È stata effettuata, su un campione di gravide afferenti alnostro servizio consultoriale, da una specializzanda del master“Genitorialità” presso l’Università di Padova con la supervisione delladottoressa Graziella Fava Vizziello. Questo lavoro aveva l’obiettivo diindagare il ruolo di una serie di fattori personali, relazionali e conte-138 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


stuali nella transizione dalla gravidanza al terzo-quarto mese di vitadel bambino. <strong>Il</strong> presupposto teorico si rifà, oltre che alla teoria dell’attaccamento,al modello processuale di Belsky, che presuppone comedeterminanti e influenti nella transizione alla genitorialità i fattoridescritti. <strong>Il</strong> bambino è visto come risultato di una serie di fattori: lastoria evolutiva dei suoi genitori, la loro personalità, la relazione dicoppia, il tipo di supporto sociale, il lavoro. I risultati emersi rimandanoad alcune evidenti criticità, nella transizione alla genitorialità.La cura e la prevenzioneCosa può fare il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong> per accompagnarequesto percorso nella cura, nel sostegno e nella prevenzione?La presa in carico della salute psicofisica delle persone nell’otticadella continuità, con un approccio di genere, la prevenzione delledistorsioni relazionali precoci, il sostegno alla genitorialità nascente esuccessivamente nelle criticità, il sostegno alla famiglia, sono tra gliobiettivi di salute perseguiti prioritariamente dal <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>e ribaditi anche dalla più recente legislazione in materia. Oltre allapresa in carico multiprofessionale delle singole situazioni per problematichegià evidenti, è la prevenzione che connota in modo specificol’attività consultoriale nell’area materno infantile, riprendendo dallaCarta di Ottawa il concetto di prevenzione e promozione della saluteinteso come «il processo che permette alle persone e alle comunità disviluppare un’autonoma capacità di controllo sul proprio stato disalute».Nella nostra Ass è ormai consolidata una modalità di gestione dellecure e in particolare della multiproblematicità in forma integrata fraospedale e territorio, in particolare tra i servizi dell’area maternoinfantile del Distretto 1, nella quale è inserito il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>,e le unità operative di pediatria e di ostetricia e ginecologia delDipartimento materno infantile, ma anche come integrazione sanitariacon il servizio sociale dell’area età evolutiva e famiglia. Nel caso diproblematiche complesse (a valenza sanitaria o sociosanitaria) infatti,c’è la tempestiva segnalazione da parte del punto nascita al <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong>.Per quanto riguarda la prevenzione, entrambi i distretti hanno attuatoprogetti dedicati alla genitorialità. Descrivo di seguito le attivitàattuate nel Distretto 1.L’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia139


In sintesi, come viene descritto all’interno di un opuscolo informativoplurilingue da noi realizzato per potenziare l’offerta attiva in materiadi genitorialità, le attività attuate sono le seguenti: incontri di accompagnamento alla nascita (con successivoapprofondimento di seguito) incontri nel post parto visite domiciliari da parte di un’ostetrica alla puerpera e al neonato massaggio al bambino corsi per una comunicazione efficace in famiglia.Caratteristica di tutti i progetti descritti è la programmazione di interventidi prevenzione e promozione della salute con l’obiettivo prioritariodi accompagnare i futuri e i neogenitori nel complesso percorsodi costruzione della famiglia.La condivisione dell’esperienza della genitorialità in spazi finalizzati adare un senso ai propri vissuti è favorita attraverso attività individualie di gruppo gestite da un’equipe multiprofessionale, che utilizzametodologie comunicative condivise, facilitanti i percorsi soggettivi,con un approccio centrato sulla persona-coppia, l’empowerment,l’attenzione alle diversità di genere e culturali.Nel nostro modello di offerta consultoriale di servizi a supporto dellagravidanza, nascita e post parto – una delle fasi più importanti delciclo vitale delle persone – si è cercato, attraverso un attento approcciometodologico, di evitare che la presenza degli operatori possa rappresentareun “saccheggio” dell’esperienza soggettiva e della possibilitàdi crescita della nuova funzione genitoriale. La preoccupazionedel gruppo di progetto quindi è stata di evitare di interferire nel naturaleprocesso evolutivo e di cambiamento in atto, generalizzando unmodello teorico che faccia riferimento a processi patologici anchequando si è nell’area di una “normale sofferenza evolutiva”, con l’indubbioeffetto di distrarre risorse necessarie quando la malattia èreale.Le attività predisposte per accompagnare i futuri e neogenitori, dallagravidanza al terzo anno di vita del bambino, permettono di filtrare lesituazioni maggiormente a rischio, con lo scopo di una precoce presain carico.140 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Gli incontri di accompagnamento alla nascitaPur collaborando dagli anni Ottanta ai corsi di psicoprofilassi al partoorganizzati dalla struttura ospedaliera, è dagli anni Novanta che il<strong>consultorio</strong> si è assunto progressivamente la titolarità dei corsi. Nel2001 ha avuto il sostegno della Legge 285/97 e le indicazioni contenutenel Progetto obiettivo materno infantile nazionale. <strong>Il</strong> Decreto ministerialedel 24 aprile 2000 recita:1. offrire attivamente i corsi di preparazione al parto, alla nascita,al ruolo genitoriale e all’assistenza post parto, con particolareriferimento alla promozione dell’allattamento al seno2. offrire sostegno psicologico individuale e di coppia alle gestanti3. perseguire e mantenere contatti permanenti con i reparti ospedalieriin cui le donne andranno a partorire, privilegiando l’integrazionedegli operatori dei consultori familiari e ospedalieriper quanto attiene il percorso nascita4. offrire attivamente visite domiciliari, con particolare riferimentoal caso di dimissioni precoci o in situazioni di rischiosociale.Per attuare queste indicazioni si è formata un’equipe progettualemultiprofessionale e integrata, formata da operatori afferenti al <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong>, alle unità operative di pediatria e ostetricia e ginecologiae alla pediatria di libera scelta. L’obiettivo è stato riorganizzaremetodologicamente l’attività grazie all’apporto delle specifichecompetenze professionali, competenze multidisciplinari indispensabilianche per poter comprendere i determinanti sociali in gioco nelcampo della salute, alla luce delle complessità presenti nelle nuovefamiglie.Indicazioni preziose sono stati i documenti prodotti dal dottorGrandolfo e i riferimenti contenuti nel primo rapporto sui lavoridella Commissione salute delle donne prodotto dal ministero dellaSalute nel marzo 2008, nei quali i corsi di accompagnamento allanascita sono associati a minori esiti negativi per la salute della donnae del neonato, riduzione dei cesarei e aumento dell’allattamento alseno.L’equipe, attiva operativamente nei corsi, è rappresentata da questeprofessionalità aziendali: ostetrica, psicologo, assistente sociale, pue-L’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia141


icultrice, vigilatrice d’infanzia, pediatra di libera scelta e ospedaliero,ginecologo. Inoltre comprende gli stessi operatori presenti nelle attivitàistituzionali di rispettiva competenza che, tra l’altro, l’utenzaritrova nelle sedi di lavoro dell’Ass 3, in un’ottica di continuità dellecure.Dalle prime riflessioni si è giunti a condividere che: i genitori hanno in sé le competenze per affrontare i propribisogni gli operatori devono essere “facilitatori” della loro crescita personale,favorendo, attraverso strumenti comunicativi efficaci, lamaieutica, il processo di empowerment i servizi devono svolgere azioni di sostegno in una logica di continuitàe di condivisione.La progettualità ha tenuto conto della complessità del contestoambientale e territoriale, in cui in particolare: è presente la più bassa densità abitativa della Regione il contesto territoriale è fortemente decentrato e per gran partemontano, dove l’accesso ai servizi non sempre è agevole è presente, in particolare per le giovani coppie, una situazionedi incertezza e precarietà economica e lavorativa il disagio personale si manifesta spesso in assenza di richiested’aiuto espresse nel “passaggio all’atto suicidarlo” in misuramaggiore alla media nazionale, in particolare da parte dellefigure maschili.L’attenzione maggiore, nella riorganizzazione metodologica, è statadata alla funzione del conduttore-facilitatore presente nelle attività,che deve: saper accogliere (un modello di ascolto) accompagnare le persone a mettersi in contatto col bebè “pensato”e con i bisogni del bebè reale “tollerare di non sapere” per favorire l’emergere delle risorsedelle persone lasciare che si “accenda” la curiosità142 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


favorire lo scambio essere professionalmente competente (anche sulla relazione) ein formazione permanente sentirsi parte di un’equipe multiprofessionale con cui condividerele esperienze.Nel Distretto 1 della nostra Azienda il <strong>consultorio</strong> organizza mediamente,in base alle richieste, 6 corsi all’anno presso la sede di Gemonae 3 corsi all’anno nel punto salute di Tarvisio. Ogni corso prevede 13incontri, che si tengono in orario serale per favorire la presenza deipadri, prevista a tutti gli incontri. L’inizio è dal quinto mese di gravidanza.L’utenza complessiva media va dalle 150 alle 200 persone all’anno.L’iscrizione al corso avviene contestualmente a un colloquio informativodi accoglienza di coppia, che ha l’obiettivo di fornire, in uno spazioriservato, informazioni rispetto al programma e accogliere eventualiproblematiche.Gli obiettivi prioritari dei corsi di accompagnamento alla nascitasono: favorire l’acquisizione nella coppia di una maggiore consapevolezzadel futuro ruolo, con attenzione particolare alla funzionepaterna sostenere i genitori favorendo la rimozione di eventuali problemicorrelati a questa fase genitoriale (depressione post parto,fughe dei neopadri, conflitti con famiglie allargate) e prevenirelo strutturarsi di distorsioni relazionali patologiche tra madre,padre e bambino favorire la riduzione dell’isolamento sociale in contesti territorialidecentrati e in situazione di multiculturalità grazie anchealla rete di supporto che si crea tra i partecipanti ai corsi sostenere il puerperio.I risultati raggiunti sono stati: maggiore consapevolezza dei genitori della propria situazionein termini di difficoltà e di risorse consolidata presenza dei padri in tutte le attività proposteL’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia143


aumento delle richieste d’aiuto ai servizi da parte dei genitori,per disagi e patologie correlate sia a questa fase del ciclo vitale,sia come “aggancio” per successive problematiche (depressionipost parto, difficoltà di coppia e familiari, ecc.) buon livello d’integrazione e condivisione raggiunti nell’equipemultiprofessionale, utile anche nella presa in carico di situazionipatologiche.Rimangono però alcune criticità: mancata stabilizzazione del personale nelle attività assenza di uno spazio dedicato per attività di gruppo carenza di opportunità di formazione specifica discontinuità nell’offerta, anche a causa di un’insufficiente culturadell’efficacia delle attività di prevenzione e promozionealla salute.Maria Virginia FabbroBibliografia F. Ansermet, Clinica dell’origine. <strong>Il</strong> bambino tra medicina e psicanalisi.FrancoAngeli, Milano, 2004. G.B. Ascone, “Rapporto della Commissione salute delle donne del ministerodella Salute. Percorso nascita”. Roma, 2008. M. Bydlowski, <strong>Il</strong> debito di vita. I segreti della filiazione. Quattroventi, Urbino,2000. M. Bydlowski, Sognare un figlio. L’esperienza interiore della maternità.Pendragon, Bologna, 2004. Conferenza di consenso “Quale informazione per la donna in menopausasulla terapia ormonale sostitutiva”. Torino, 16-17 maggio 2008. Direzione salute e protezione sociale, servizio programmazione interventisociali, “Piano regionale di azione per la tutela dei minori nel sistema integratodei servizi 2008-2009”. M. Grandolfo, “Basi epistemologiche ed epidemiologiche e progettazioneoperativa, implementazione e valutazione dei corsi di accompagnamentoalla nascita”. Roma, 2005.144 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


A. Oliverio Ferraris, P. Sarti, Sarò padre. Giunti, Firenze, 2005. Organizzazione mondiale della sanità, “Politiche e piani d’azione per lasalute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza”, 2005. Organizzazione mondiale della sanità, “Mental health aspects of women’sreproductive health. A global review of the literature”, 2009. A. Simonelli, E. Driussi, G. Caprara, “Dalla gravidanza alla maternità.Indagine esplorativa sui fattori di influenza sulla qualità dell’interazionemadre-bambino nei primi mesi di vita”. In: Psicologia clinica dello sviluppo2, agosto 2008. S. Veggetti Finzi, Volere un figlio. Mondadori, Milano, 1998. D.W. Winnicott, La famiglia e lo sviluppo dell’individuo. Armando, Roma,2002. D.W. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente. Armando, Roma, 2005.L’accompagnamento alla genitorialità tra fisiologia e patologia145


Come si partoriscein <strong>Friuli</strong> Venezia Giuliadi Giovanni Del Frate


Vi parlerò di come si partorisce in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia. Non ho lapretesa di esaurire questo argomento, ma semplicemente vorreifornirvi alcuni dati che spero siano utili per una riflessione su come sinasce nella nostra Regione.In <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia partoriscono più di 10.000 persone ogni anno.La natalità in Regione è circa 8 su 1000; ciò significa che negli ultimianni è la natalità è aumentata. Pensate che eravamo arrivati a essereil punto con la maggior denatalità, il punto al mondo in cui si nascevadi meno: avevamo raggiunto un indice di natalità del 7 per 1000;stiamo riprendendo qualcosa.La maggior parte delle gestanti partorisce in ospedale <strong>pubblico</strong>; c’èuna piccola quota che partorisce in clinica privata accreditata. <strong>Il</strong> <strong>Friuli</strong>Venezia Giulia è una delle Regioni che ha il minor numero di clinicheprivate; si può dire che la sanità pubblica in <strong>Friuli</strong> Venezia Giuliaassorbe la maggior parte delle risorse e dà la maggior parte dellerisposte.È interessante osservare che abbiamo l’83% di donne italiane che partorisce,8,7% dell’Est Europa e un 3,8% delle persone di origine africana;anche qui abbiamo una composizione abbastanza variegata.È aumentata l’età materna in cui si partorisce: non si partorisce piùtra i 20 e i 30 anni ma la maggior parte della popolazione partoriscedai 30 ai 40 anni e una quota non banale partorisce oltre i 40 anni. Èinteressante osservare come le donne italiane partoriscono il primofiglio nel terzo decennio della vita; nel 2005 in media nel trentunesimoanno d’età; adesso siamo già oltre i 32 anni.Le donne straniere invece partoriscono il primo figlio intorno ai 25anni, vicino all’età più favorevole per riuscire ad avere una gravidanza.Che tipo di visite vengono fatte? Quante ecografie? Quante delle prestazionisanitarie sono utili? Quante sono invece sovrabbondanti?Che significato hanno?148 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Concentriamoci sulle ecografie: quando si è steso l’ultimo Pianomaterno infantile nazionale, sono state proposte tre ecografie durantela gravidanza; per contro, il numero di ecografie fatte in media dalledonne è invece superiore: per lo più tra 4 a 6 ecografie durante la gravidanza.È interessante specificare che queste ecografie sono di supportoalla visita, di compiacenza alla persona. Ma le tre ecografie indicatedal Piano materno infantile (una al primo trimestre, quella cosiddettamorfologica intorno alla ventesima settimana, e una verso lafine della gravidanza, nel terzo trimestre) in realtà nella nostraRegione non vengono offerte dovunque. L’unica area nella nostraRegione che offre l’ecografia morfologica a tutta la popolazione ingravidanza è l’area triestina; l’area del Pordenonese ha un deficit diofferta significativa, e così pure l’area udinese.Chi lavora nel <strong>consultorio</strong> si trova a mandare le persone disperatamentein una struttura o nell’altra, per poi alla fine constatare che chiha la possibilità è costretto a rivolgersi al privato.Le soluzioni a questo problema sarebbero molto semplici, basta nongiocare sugli equivoci. Di chi è compito? Chi deve offrire? L’ospedale?<strong>Il</strong> territorio? Lasciando queste domande senza risposta, lasciamo lecose come stanno.Vediamo però che c’è un altro problema, ed è un problema di comunicazione:queste ecografie a cosa dovrebbero servire? Devono servire amonitorare la gravidanza, a dare delle risposte, delle informazioni pereseguire eventualmente degli accertamenti ulteriori se necessari.In tutto il resto d’Europa si fa un numero nettamente inferiore diesami di questo genere, non avendo risultati diversi dei nostri. LeCome si partorisce in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia149


Regioni in Italia in cui si fanno più ecografie sono quelle che hanno gliend point peggiori; ne abbiamo conferma se andiamo a vedere sia l’esitofinale dei bimbi nati, sia la percentuale di tagli cesarei.Uno degli esami che è abbastanza diffuso nella nostra Regione è quellache viene chiamata translucenza nucale, cioè un perfezionamentodell’ecografia che si fa nel primo trimestre per valutare qual è il rischiodi avere un problema cromosomico.<strong>Il</strong> risultato qual è stato? Che abbiamo introdotto questa ulteriore prestazione,ma le informazioni che ci ha fornito la translucenza nucale nonhanno assolutamente fatto diminuire il numero delle amniocentesi.Voi vedete che abbiamo un 20% di amniocentesi; la translucenzanucale avrebbe il significato di indurre, nel caso di un basso rischio, anon correre il rischio di un esame invasivo come l’amniocentesi che ègravato di una percentuale tra 1% e 2% di induzione di aborto.Facendo 2000 amniocentesi in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia noi provochiamo30 interruzioni di gravidanza normali, per individuare tra i 7 e 8 bimbidown dei 12 attesi in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia. Invece di andare ad affinareil numero di prestazioni per fare quelle più corrette e ridurre quellepiù invasive non facciamo altro che sommarle, aumentando il consumismosanitario.In <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia le nascite premature sono contenute: nonabbiamo un numero di prematuri significativamente più elevato chenel resto del Paese. Durante il parto c’è la sempre la presenza di figuredi supporto: i punti nascita ormai hanno il pediatra, il ginecologo,l’ostetrica e l’anestesista facilmente attivabile.150 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Per quanto riguarda le modalità di parto, solitamente il parto è ancoraspontaneo: il numero dei tagli cesarei in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia è tra il 23%e il 25%. Per confronto vedete che in alcune Regioni è molto più alto.Qui in Regione c’è l’attenzione a offrire un parto di prova a chi haavuto un cesareo precedente; questo è un segno del livello di assistenzache c’è in quel punto nascita: infatti offrire questo significaessere in condizione di monitorare il travaglio con un’attenzionesignificativa.La maggior parte dei bambini che nascono prematuri in Regionenascono nei due centri di terzo livello a Udine e Trieste.Come si partorisce in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia151


Per quanto riguarda i parti cesarei c’è una certa diversità di percentualetra i vari punti nascita: si va dal 12% al 40% a seconda delle aree.<strong>Il</strong> peso neonatale è distribuito in maniera analoga alla prematuranza:non ci sono scostamenti significativi.La partoanalgesia è un altro problema che è stato molto enfatizzatorecentemente con la proposta dell’ultimo ministro della sanità; nel<strong>Friuli</strong> Venezia Giulia viene offerto in tutti i punti nascita, tranne uno,ed è disponibile 24 ore su 24. In alcuni casi è offerto addirittura in unamodalità attiva; in altri casi invece viene lasciato su richiesta.È interessante vedere che le percentuali sono differenti a seconda deicentri: si passa da un 7,7 % a un 29%.I dati relativi al reparto che dirigo documentano che la domanda dipartoanalgesia, nonostante venga offerta in maniera attiva da più di 5anni (24 ore su 24, fine settimana compresi), quindi senza nessunalimitazione, si ferma al 12%. Questo significa che non bisogna pensareche tutte le donne vogliono avere un catetere nella schiena duranteil travaglio. È giusto offrire questa possibilità a chi desidera la partoanalgesia,ma in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia la maggior parte delle donnepreferisce avere un parto il più naturale possibile.Cerchiamo di avere un atteggiamento di offerta alla richiesta: l’oste-152 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


trica deve fare in modo che la persona esprima i suoi desideri; bisognaoffrire delle modalità e delle tipologie che siano diversificate a secondadelle esigenze delle donne. Da 5 anni offriamo la partoanalgesia ea chi vuole anche il parto in acqua; nonostante quest’offerta c’è solo il3% che chiede il travaglio e il parto in acqua.Rimangono alcuni problemi aperti: rispondiamo effettivamente allerichieste, oppure siamo ancora dirigisti? Ci sono sempre più personestraniere che vengono a partorire nei nostri punti nascita; siamo sufficientementeattenti alle domande espresse e a quelle non espresse?Da questo punto di vista c’è una strada infinita da fare. A mo’ d’esempiovi racconto un’esperienza personale, avendo lavorato per piùperiodi in Africa. Un tardo pomeriggio mi è capitato di vedere che sulciglio della strada c’erano tre persone tra cui una donna in procinto dipartorire. Mi adopero per favorire questa nascita nelle condizioni incui eravamo. Nasce questo bambino; si improvvisano le soluzioni aiproblemi quali come tagliare il funicolo, come legarlo, con un pizzicodi compiacimento. Preso dal mio fare mi sembrava naturale appropriarmidi un pezzo di stoffa di una signora, per avvolgere il bambino.Lo sguardo esterrefatto dei presenti mi ha reso cosciente di aver fattola cosa più disastrosa che potevo fare, perché non avevo tenuto contodel significato che aveva la stoffa che avvolge per prima un bimbo e dichi era compito fornirla. Questo per dirvi che il nostro livello di attenzionenon sarà mai sufficiente.Giovanni Del FrateCome si partorisce in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia153


<strong>Il</strong> punto nascita: qualilinee guida di integrazionecon il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>di Franco Colonna


Iconsultori e i percorsi nascita devono integrarsi, comunicare ecreare cultura e percorsi assistenziali comuni accogliendo tutte leistanze e le proposte, anche innovative, della popolazione e dei tempi.Propongo, seppur schematicamente, alcune considerazioni e proposteoperative.Un problema è che il numero dei servizi che si occupano a qualunquetitolo delle donne, delle famiglie e dei bambini è elevato, fino a generareun “effetto labirinto”. Sussiste il rischio della frammentazionedelle sedi, delle competenze, delle culture.La mia proposta è che i centri dovrebbero essere anche fisicamentevicini, non solo per facilitare l’accessibilità e la riconoscibilità da partedel <strong>pubblico</strong>, ma anche per permettere incontri e frequentazioni traoperatori, sia di lavoro sia informali. Ciò è il miglior presupposto percomunicare, conoscersi, aiutarsi, coordinarsi e prevenire i rischi diisolamento e autoreferenzialità.Un altro problema è che, se da un lato i consultori organizzano molteattività aperte al <strong>pubblico</strong>, tutte interessanti e di solito con buonafflusso, dall’altro la maggioranza delle donne non frequenta corsinascita e altre iniziative preparto e postparto. È dunque prioritarioraggiungere le donne assenti, che di solito sono quelle con maggioriproblemi di accesso e conoscenza dei servizi per problemi linguistici,di trasporti, economici, lavorativi, sociali, culturali, ecc.Le gravidanze fisiologiche sono di solito eccessivamente medicalizzate,ma non è facile programmare i controlli: troppo spesso le donnedevono “arrangiarsi” tramite il centro unificato di prenotazione perprenotare visite, prelievi, ecografie, con conseguente slalom tra variservizi, molte sedi, troppi operatori diversi, o rivolgersi al privato.Propongo che tutte le gravidanze fisiologiche siano seguite in <strong>consultorio</strong>,riservando agli ospedali i casi patologici. Per ottenere ciò i consultoridovrebbero disporre di personale e tempi adeguati e offrire unservizio amichevole e completo (il “filo di Arianna”) fin dall’inizio.156 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


È auspicabile un centro unificato di prenotazione dedicato accessibiledai consultori che consenta la programmazione di tutti i controlli diuna gravidanza fisiologica fin dalla prima visita e possibilmente inuna o poche sedi. È auspicabile anche che una donna anche senzaricorrere al privato sia seguita da una sola ostetrica del <strong>consultorio</strong>. Èauspicabile che il primo approccio di una gravida con il sistema sanitario(medico di famiglia, ospedale, farmacia, ecc.) si risolva da subitocon l’invio in <strong>consultorio</strong>.È auspicabile infine che qualunque professionista segua una donna(per esempio un ginecologo privato) le raccomandi il prima possibileanche di iscriversi a un corso di accompagnamento alla nascita in<strong>consultorio</strong>. Un problema è che alcune donne in gravidanza o nelpuerperio hanno rilevanti problemi di salute, psicologici, socioeconomicinon sempre evidenti o esplicitati. Ogni donna è una storia enon un caso clinico.Per questo ogni servizio del percorso nascita (compresi i ginecologiprivati e il punto nascita) dovrebbe avere capacità di ascolto percogliere tutti i segnali verbali e non verbali di allarme e attivare quindile attività di supporto del caso, sentiti i servizi consultoriali. Neicasi più rilevanti è indicata la segnalazione formale del problema al<strong>consultorio</strong>.A fronte dei numerosi e a volte ridondanti controlli prescritti in gravidanza,il postparto e il puerperio corrono il rischio di vedere la donnaeccessivamente sola e a volte in crisi.Per risolvere questo problema, ogni centro nascita dovrebbe (previoconsenso scritto della donna) segnalare formalmente al <strong>consultorio</strong>tramite fax o email l’avvenuta nascita. <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> potrebbe contattarealmeno telefonicamente tutte le puerpere per informarle di tuttii servizi consultoriali, informarsi di eventuali problemi (come stai? haibisogno di aiuto?) e prevedere visite domiciliari almeno nei casipotenzialmente o manifestamente problematici.Ormai quasi tutti i servizi e gli operatori (medici in primis) “attendono”le persone e quasi nessuno va a domicilio: la conoscenza direttadel contesto abitativo e <strong>familiare</strong> è invece importante e non può esseresostituita da alcun altro metodo indiretto (questionari, anamnesi,numeri verdi, ecc).La vita, la realtà e le persone si vedono, si ascoltano, si toccano, siconoscono di persona.<strong>Il</strong> punto nascita: quali linee guida di integrazione con il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>157


Le donne (come tutti noi) corrono il rischio di delegare tutte le sceltedi salute e di vita agli “esperti” e di diventare sempre più insicure,ansiose e ipocondriache, in balia del marketing sanitario e con crescentericorso a servizi sanitari di ogni tipo. Scopo di un buon percorsonascita dovrebbe essere invece quello di rendere le donne consapevoli,autonome, serene e forti (è questo l’“empowerment”).Sarebbero allora utili corsi parto, un approccio consultoriale e deicentri nascita alle gravidanze tendente a rafforzare le competenze,l’autonomia, la fisiologia e la “potenza” delle donne e delle famiglie.Servirebbero poi progetti multidisciplinari di ampio respiro che“obblighino” a mettere in rete tutti gli attori del percorso nascita, chesiano valutabili e che rappresentino indicatori forti di qualità globaledi processo, delle cure e di una comunità. Pare impossibile, eppureesiste già in tutto il mondo.La mia proposta è di adottare i progetti dell’Unicef e dell’Oms di promozionedell’allattamento naturale in tutti gli ospedali della Regione(finora adottati in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia solo da due ospedali su 10 esolo nella Provincia di Pordenone). Si potrebbe poi ampliare questoprocesso a tutta la Regione, o almeno a distretti pilota tramite progettidell’Unicef e dell’Oms “Comunità amica dei bambini” raccomandatianche dall’Istituto superiore di sanità.La promozione dell’allattamento non è infatti cosa da “ghiandolamammaria”, ma un processo di empowerment delle donne e di qualificazionein senso fisiologico, culturale e perfino etico di tutta lasocietà. I suddetti programmi “obbligano” inoltre tutti i servizi a collaborare,incontrarsi, conoscersi, condividere orizzonti che vannoimplicitamente ben oltre l’allattamento in sé.In sostanza è un programma a costo zero con rilevanti implicazioni disalute a breve e lungo termine e altrettante ricadute positive e virtuose“a cerchi concentrici” dal punto di vista dei servizi.L’Italia è agli ultimi posti nel mondo per la natalità, nonostante uncrescente contributo delle donne immigrate. È ovvio che la spiegazionedi questo dato, che avrà pesantissime implicazioni demografiche,economiche, sociali e familiari nei prossimi decenni, non è principalmentesanitaria ma ha motivazioni molto complesse di tipo economico,sociale, culturale, politico, riguardante qualità e quantità deiservizi e dei supporti alle famiglie, ecc. Tuttavia ritengo che ogni percorsonascita debba porsi questo problema e interrogarsi almeno158 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


sulla quota di responsabilità (per piccola che sia) che il sistema sanitarionel suo complesso può avere nel rendere le nascite un eventoraro e problematico.Potrebbero essere utili un convegno, riflessioni e iniziative ad hoc.Infine, c’è il problema di fare squadra, conoscersi, ascoltarsi, rispettarsi,collaborare, perfino uscire dai propri servizi e ambiti fisici ementali.È ipotizzabile che, oltre a occasioni di incontro, lavoro e aggiornamentocomuni, alcune figure professionali possano a volte “ruotare”di sede: per chiunque di noi lavorare troppo a lungo in un unico ruolopuò generare atteggiamenti di routine e settorialità.Alcune figure (pediatri, ginecologi, ostetriche, ecc.) potrebbero ognitanto scambiarsi i ruoli tra ospedale, consultori e gli altri servizi territoriali.È probabile che ciò indurrebbe in ciascuno di noi una visionepiù ampia e articolata della realtà e dei servizi.Franco Colonna<strong>Il</strong> punto nascita: quali linee guida di integrazione con il <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>159


Ruolo del pediatra difamiglia nel percorsonascita: quale integrazionedi Flavia Ceschin


Si è parlato di domicilio, ora parliamo di quando la mamma torna acasa dopo il parto.Come donne ci possiamo immedesimare in questa mamma che tornanella propria abitazione con il nuovo nato; forse c’è già anche un altropiccolo. Non c’è più la famiglia parentale alle spalle, i nonni sonoancora giovani e lavorano oppure sono lontani.Possiamo pertanto immaginare cosa succede: la neo mamma si sentecentrifugata, presa dallo sconforto, si chiede dove siano lo psicologo,l’ostetrica, il ginecologo, la puericultrice e il pediatra che ha incontratoin <strong>consultorio</strong> o in ospedale al momento del parto: «Prima avevotanti sostegni e adesso dove sono?».L’offerta attiva di visite domiciliari da parte del <strong>consultorio</strong>, nellanostra Regione e in particolare nella nostra Provincia, è strutturata amacchie di leopardo. Le considerazioni presenti nella relazione si riferisconoalla mia esperienza professionale nella città di Pordenone.Nella stessa, con un numero di nati da genitori immigrati pari quasi auno su due, l’offerta attiva non è proposta: sono solo i pediatri difamiglia che si ritrovano, come alla fine di un imbuto, a gestire lamamma con il bambino sano (il bambino pretermine o con patologiafa riferimento anche all’ospedale).<strong>Il</strong> pediatra di famiglia, nel territorio, è l’unico referente certo per lamamma e il bambino: il maternage declinato in più lingue diventaperciò esperienza quotidiana.<strong>Il</strong> pediatra di famiglia si trova da un lato a vivere l’esperienza moltobella del rapporto con gli immigrati, che secondo me sono una granderisorsa (dalle mamme immigrate ho imparato tante cose: per ilbambino piccolo che ha il raffreddore hanno inventato degli aspiratorinasali, ma una mamma del Centro America mi ha mostrato comeaspirare con la bocca il muco dal naso del bimbo e poi sputarlo!); dall’altrolato la provenienza dei genitori dei piccoli da realtà eterogenee,spesso completamente diverse, unite a un’assente conoscenza dell’i-162 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


taliano crea non poche difficoltà: si prova a parlare inglese, francese ela lingua dei segni, che diventa spesso l’unico mezzo di comunicazionequando non c’è il supporto immediato del mediatore culturale.Vi presento alcuni numeri che riguardano i pediatri della nostraRegione. Per gruppo si intende più pediatri che operano nella stessasede; l’associazione comprende più pediatri che operano ciascunonel proprio ambulatorio ma collegati fra di loro: popolazione fra 0 e 14 anni: 149.000 circa pediatri di famiglia: 130 pazienti a carico per pediatra di famiglia: 891 gruppo o associazione: 40% collaboratore: 21%.Questi sono i dati che interessano i pediatri della Provincia diPordenone: 33 pediatri di libera scelta assistono 31.183 bambini da 0 a 14 anni (80% del totale) numero medio di pazienti in carico: 945 numero minimo di pazienti: 300 numero massimo di pazienti: 1500 13 pediatri lavorano in gruppo 2 pediatri sono associati 27 pediatri hanno assunto un collaboratore o un infermiere.C’è molta disparità nel numero dei pazienti in carico e quindi nellamole di lavoro tra un pediatra e l’altro, non certo per scelta: il problemaè che c’è scarsità di pediatri. Ci sono delle zone carenti che nessunpediatra vuol coprire, semplicemente perché manca la materia prima:i pediatri.I dati che ora vi presento fotografano il tipo di lavoro che facciamo; inumeri non hanno molto senso ma ci danno un po’ l’idea di quelloche facciamo: sono 97.000 visite pediatriche all’anno per i 33 pediatridella Provincia. Con un software è stato calcolato il numero di telefonateche arriva nell’ambulatorio di un gruppo di 3 pediatri: sono12.218 all’anno a cui viene fornita una risposta.Fra le criticità, i pediatri che operano in gruppo sono pochi, con per-Ruolo del pediatra di famiglia nel percorso nascita: quale integrazione163


sonale insufficiente sia per la quotidianità sia per le progettualitàfuture. C’è una scarsa integrazione con il <strong>consultorio</strong> e solo per i casia rischio; il <strong>consultorio</strong> è già difficile contattarlo al telefono e a voltenon hanno neanche personale per rispondere al telefono o si trova lalinea occupata.A proposito di personale, cito un dato emerso dal congresso dellaSocietà italiana di pediatria che si è tenuto il 16 ottobre 2009 a Genova:in Italia mancano 5000 infermieri pediatrici e se ne formano solo 500all’anno. Negli altri Paesi (per esempio Germania e Stati Uniti) pochipediatri sono affiancati da un congruo numero di infermieri.I pediatri di famiglia formulano alcune proposte: aumentare il personale del <strong>consultorio</strong> da affiancare ai pediatridi famiglia nel maternage (l’offerta attiva di cui si parlava) favorire l’aggregazione tra pediatri e incentivare l’assunzione dipersonale formare quindi infermieri pediatrici destinati al territorio.Per fare questo è fondamentale un’azione propulsiva forte da partedell’azienda sanitaria, che deve farsi carico di queste criticità oltre alfondamentale impegno da parte della Regione.L’azienda sanitaria dovrebbe promuovere e facilitare l’aggregazione,la formazione di forme associative complesse strutturate.I rapporti non si formano solo se c’è la buona volontà del singolo:come si può telefonare all’assistente sociale o al <strong>consultorio</strong> quandonon si sa neanche qual è la figura professionale di riferimento chesegue il minore? Le forme associative complesse possono favorirel’integrazione fra gli operatori del territorio.Soltanto se ci sono queste premesse, accanto a obiettivi chiari e conuna progettualità condivisa, possiamo pensare a un percorso nascitaveramente forte, un percorso nascita con una forte integrazione fra ilsociale e il sanitario con valenza educativa. Al centro di questo percorsopossiamo mettere il pediatra di famiglia che prende in carico ilbambino, non più come anello secondario della catena ma anelloprincipale che si relaziona con i servizi sociali, con i mediatori culturali,con il medico di medicina generale, con il medico di continuitàassistenziale, con il centro di salute mentale.Penso che tutte queste relazioni siano importanti e che non debbano164 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


essere lasciate alla buona volontà del singolo per favorire una presa incarico globale.A conclusione del processo sarà il bambino, soggetto del progetto, adirci grazie quando sarà diventato adolescente e adulto.Flavia CeschinRuolo del pediatra di famiglia nel percorso nascita: quale integrazione165


Discussione, sintesi epropostedi Silvano Ceccotti


Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare delle relazioni veramentead alto livello, sia per quanto riguarda le esperienze riportate siaper lo spessore tecnico. Credo sia importante poter fere una sintesi ditutto ciò senza perdere di vista il mandato del Progetto obiettivomaterno infantile, che deve rimanere il nostro indirizzo di riferimento.Da una parte abbiamo la proposta del dottor Michele Grandolfo, cheparlandoci di offerta attiva induce operatori e amministrazione a faremente locale sulle esperienze in atto. Infatti non sempre questa indicazioneviene raccolta a partire dal presupposto che il percorso nascitasi misura anche attraverso questo indicatore; lo trovo fondamentale.Bisogna raggiungere almeno l’80% della popolazione delle primipare.Dall’altra parte ci sono le esperienze molto diverse nella nostraRegione, anche per motivi legati alla conformazione del territorio, chein qualche modo rispondono in modo abbastanza adeguato ai bisogni.Di fatto, però, si rende necessario, come per altri temi consultoriali,avere delle linee guida o buone prassi che garantiscano l’interezzadel percorso nascita. È interessante in questo senso la proposta deldottor Colonna, che suggerisce una sorta di “contratto” con la donnain gravidanza che la impegna ad avvalersi di tutti i supporti che vengonoofferti dal quarto mese di gravidanza fino al primo anno di vitadel bambino.C’è poi la richiesta di valorizzare alcune figure professionali, come leostetriche, su dei compiti che tendono a demedicalizzare l’approccionelle gravidanze fisiologiche.In questo senso va pure la proposta degli psicologi, che sollecitanol’implementazione dei gruppi e degli accessi già dal quarto mese digravidanza, quando la donna non è ancora entrata in un percorsomentale fortemente condizionato dalle naturali ansie legate almomento del parto.Facciamo nostro l’assioma dell’Organizzazione mondiale della sanità,che definisce come uno degli elementi di benessere per tutta l’uma-168 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


nità «il modo nel quale viene gestito il momento del parto e il rapportocon il bambino nel primo anno di vita».Un altro dei nostri obiettivi è l’empowerment della donna, ossiagarantirle tutta una serie di strumenti per aumentare in lei le conoscenze,l’autonomia e la sicurezza.Dobbiamo inoltre affrontare il tema della donna immigrata, in unmomento in cui la nostra natalità regionale è fortemente arricchitadalla loro presenza. Ci vogliono i mediatori culturali e trovo estremamenteinteressante la proposta di prevedere un turnover tra operatoridel territorio e dell’ospedale, in modo anche da abbattere quei confiniche impediscono l’alta integrazione su questo tema.Silvano CeccottiDiscussione, sintesi e proposte169


Quarta parte.Interruzione volontaria digravidanzaChairman: <strong>Il</strong>ia Martellini


<strong>Il</strong>ia MartelliniIntroduzione al temaBuongiorno a tutti, incominciamo questa nuova tavola rotondasull’interruzione volontaria di gravidanza.Sono la dottoressa <strong>Il</strong>lia Martellini, psicologa, psicoterapeuta, sessuologa,responsabile dei consultori familiari dell’Ass 5 “Bassa Friulana”,e ho l’incarico di condurre questa tavola rotonda.Negli anni Settanta l’altra metà del cielo ha cercato nuove frontierenel suo determinarsi, scoprendo che poi non era proprio così azzurra.Con un breve flash storico, ricorderemo che: nel 1975 le donne di tutta Italia chiedono l’aborto nel 1978 viene approvata la Legge 194 sull’interruzione volontariadi gravidanza nel 1979 il Movimento per la vita consegna un milione di firmeper abrogare questa legge, ma al referendum del 1981 vincono iNO nel 2006 le donne scendono in piazza per difenderla nel 2008, l’8 marzo le ragazze chiedono venga difesa laLegge194.Un unico articolo, il primo, ci fa capire la finalità di questa legge, perporre fine alle morti di gravide che avendo deciso di abortire eranocostrette ad affidarsi a “praticoni” in una condizione di rischio per lapropria vita e di illegalità perseguita penalmente.La legge esordisce sottolineando nel primo articolo che «lo Statogarantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosceil valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suoinizio. L’interruzione volontaria di gravidanza non è un mezzo per il172 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


controllo delle nascite; lo Stato, le Regioni e i Comuni con le propriefunzioni e competenze promuovono e sviluppano i servizi sociosanitarie altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto venga utilizzatoai fini della limitazione delle nascite».Meritano una particolare attenzione i dati sul percorso e l’uso di questalegge da parte delle donne: rispetto alle 234.800 interruzioni volontariedi gravidanza del 1982, nel 2007 sono praticamente dimezzate.Tra queste interruzioni volontarie di gravidanza sono comprese, e incontinuo aumento, quelle delle donne di cittadinanza straniera.Si evidenzia quindi, come il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanzasia diminuito per le donne italiane e parallelamente inaumento per le straniere.Queste considerazioni di fatto devono influenzare la programmazionedi interventi di prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza.Nel 1998 le donne straniere che richiedevano un’interruzione volontariadi gravidanza erano il 10% del totale; nel 2006 sono salite al 31%.Giorgio Vittori, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia,afferma che questo fenomeno nasconde la diminuzione delricorso all’interruzione volontaria di gravidanza delle donne italiane:vuol dire che la politica preventiva di fatto ha funzionato, e che il problemaè che ora dobbiamo tenere conto di una nuova tipologia diutenza; pertanto i servizi sanitari devono attrezzarsi ad accoglierequesta nuova utenza e a individuare nuove forme di sensibilizzazioneche riescano a modificare l’approccio culturale al problema delle gravidanzeindesiderate.In <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia dal 2002 al 2007 possiamo notare un aumentodel ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, che però vienespiegato dalla tipologia delle richiedenti: donne straniere provenientiprevalentemente dai Paesi dell’Est.È di particolare interesse l’esame delle percentuali di donne recidiverispetto al totale di donne alla prima richieste di interruzione volontariadi gravidanza: il 38% è da ricondurre a donne di altri Paesi europei(prevalenza donne dell’Est) nei quali l’interruzione volontaria digravidanza è un metodo contraccettivo; di questo si dovrà tenereconto nei progetti futuri di prevenzione.Relativamente alle classi d’età, in particolare per le recidive, si puònotare che le donne interessate vanno dai 24-25 anni fino a 40 e oltre.Introduzione al tema173


È interessante l’analisi delle relazioni collaborative tra strutture sanitariee operatori: emerge una particolare difficoltà nel rapporto fra<strong>consultorio</strong> e ospedali; si rileva poi la quasi inesistenza di protocolli e,dove ci sono, nel 71% dei casi sono inapplicati.Relativamente alla scelta dell’utilizzo dell’anestesia totale o locale,solo nel 34% dei centri è garantita la locale.Non si può ignorare il grosso problema dell’applicazione della Legge194 che prevede e permette l’obiezione di coscienza, e quindi contemplala possibilità per gli operatori sanitari di rifiutarsi di applicarequanto previsto per legge: il 72% dei medici sono obiettori, solo il39,5% degli ospedali garantiscono personale non obiettore, mentre il50% degli anestesisti sono obiettori. Ovviamente ne consegue unnotevole allungamento dei tempi di attesa, che sono quasi raddoppiaticon un acuirsi del disagio delle donne che sono condannate a unpellegrinaggio per la ricerca di una struttura che sia in grado di garantireun loro diritto.<strong>Il</strong> primo articolo dice che dobbiamo «imparare a scegliere quandofare un figlio», quindi dobbiamo usare dei metodi contraccettivi adattied efficaci che ci permettano paternità e maternità responsabili.L’Italia è agli ultimi posti, tra i Paesi occidentali, per l’uso di metodicontraccettivi: solo il 53% usano un contraccettivo per scelta, mentreben il 38% trascura l’uso per scarsa conoscenza.C’è comunque da chiedersi se chi lo fa per scelta veramente poi abbiauna buona conoscenza scientifica dell’efficacia e delle conseguenze:passo ora la parola nel primo intervento alla collega dottoressa LauraDe Gregori, ginecologa consultoriale, Azienda sanitaria 6; nel secondointervento alla collega dottoressa Adriana Monzani, psicologa psicoterapeutaconsultoriale, Azienda sanitaria 2.174 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


L’interruzione volontariadi gravidanza: esempi diapproccio metodologicodi Laura De Gregori, Adriana Monzani


Laura De GregoriSono qui a condividere con voi l’esperienza che viene effettuata neiconsultori familiari dell’Ass 6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>” in merito a unaprassi che si è consolidata nel tempo e che ci è sembrata idonea adaffrontare le criticità del passato e quelle emergenti.Innanzitutto ritengo utile ricordare alcuni articoli della Legge 194/78.La Legge 194/78 prevede che qualsiasi donna può richiedere l’interruzionevolontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni per motivi disalute, economici, sociali o familiari.La richiesta di interruzione volontaria di gravidanza è effettuata personalmentedalla donna che può rivolgersi a una struttura consultoriale,a una struttura ospedaliera, al medico di medicina generale o inogni caso a un medico di fiducia; la richiesta è finalizzata al rilasciodel certificato previsto che contiene le generalità della paziente, lapresenza di motivi che non le consentano di proseguire la gravidanzae l’esplicito desiderio di interromperla.Dopo i primi 90 giorni di gravidanza l’interruzione può essere praticatao perché la gravidanza o il parto comportino un grave pericoloper la vita della donna o quando, accertate anomalie o malformazionidel nascituro, comportino un grave pericolo per la salute fisica opsichica della donna.Nel caso di donna di età inferiore ai 18 anni, la legge prevede l’assensodi chi esercita sulla donna la potestà o la tutela; tuttavia nei primi90 giorni, quando non è possibile ottenere l’assenso suddetto, ènecessario l’autorizzazione del giudice tutelare. Qualora il medicoaccerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per lasalute della minore, indipendentemente dall’assenso di chi esercita lapotestà o la tutela e senza adire il giudice tutelare, certifica l’esistenzadelle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza.Nelle strutture consultoriali in cui opero come ginecologa esistonovarie figure professionali (ginecologi, psicologi, ostetriche, assistenti176 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


sanitarie, assistenti sociali, infermiere) che si integrano e, se l’integrazioneprofessionale è uno strumento di lavoro valido, lo è tanto piùquando si affronta una domanda di interruzione volontaria di gravidanza,perché soprattutto questa richiesta vuole che gli aspetti psicosocialie sanitari si affrontino in modo integrato.Colloquio di accoglienza<strong>Il</strong> momento in cui la donna chiede di poter effettuare un’interruzionevolontaria di gravidanza si caratterizza per brevità e contingenza, perchénella maggior parte dei casi la donna è presa dall’ansia di interrompereuna gravidanza a suo giudizio impossibile: le richieste ricorrentisono legate agli aspetti pratici e concreti della procedura (date,scadenze, appuntamenti nella struttura ospedaliera, ecc.).Quando una donna accede presso le strutture consultoriali in cuiopero, viene sempre effettuato un primo colloquio, cosiddetto di “accoglienza”,dall’assistente sanitaria, dall’assistente sociale o dall’ostetrica.La finalità del colloquio è ascoltare la domanda della donna e mostrareanche altre possibilità di soluzione, che però spesso non vengonoconsiderate o accolte (per esempio sostegno economico e sociale).Ma l’obiettivo del colloquio è anche un altro: offrire uno spazio in cuila donna si senta ascoltata e non giudicata, dove possa fermarsi adanalizzare anche altri contenuti oltre a quelli pratici e concreti.In questo primo colloquio però spesso i contenuti emotivi sono negati;gli aspetti pragmatici della richiesta costituiscono una difesa su cuiè giusto non intervenire. Sono queste le situazioni in cui gli operatorisi sentono forse inopportuni e disarmati, esecutori di un atto dovuto,ma sono al tempo stesso molto attenti a cogliere eventuali breccenelle difese, dove sia possibile accedere a contenuti emotivi, su cuiintervenire con una consulenza psicologica concordata con la donna.Sempre e in ogni caso la donna viene invitata a ritornare, sia per unulteriore colloquio, sia per una visita di controllo, sia per la contraccezione.Una volta ritenuto esaurito il colloquio di accoglienza sarà compitodel ginecologo procedere alla valutazione per la certificazione.Colloquio con ginecologoÈ giusto e doveroso che il medico si attenga alle motivazioni dichiaratee consce, con la mente priva di giudizi e pregiudizi, per cercare dientrare nella realtà fisica e psichica di quella specifica donna.L’interruzione volontaria di gravidanza: esempi di approccio metodologico177


Quando la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanzagiunge alla mia osservazione effettuo, come del resto in qualsiasi interventomedico, un colloquio per la raccolta anamnestica, finalizzataanche all’identificazione delle motivazioni addotte dalla paziente.Ritengo sia estremamente importante poter effettuare un’adeguataconsulenza medica e non limitarmi alla frettolosa stesura del certificato,perché a volte, purtroppo nella minoranza dei casi, un’adeguatainformazione sanitaria può chiarire dubbi sulla prosecuzione dellagravidanza e può convincere la donna a tornare per la contraccezionefutura.Mi riferisco soprattutto alle situazioni in cui la donna chiede una consulenzagenetica perché, per esempio, è portatrice di una malattiaereditaria, oppure è affetta da malattia cronica che la rende oltremodovulnerabile nei confronti di una prova da carico così gravosa comeè in realtà una gravidanza.È anche importante, a mio avviso, soffermarsi a parlare con la donnaper stabilire un rapporto emotivo. Per ogni donna, ogni gravidanza haun significato e una storia diversa, motivazioni consapevoli e altreinconsce, conflitti e ambivalenze che se superati permettono di portarea termine la gravidanza. Soprattutto nelle adolescenti che incontronel mio lavoro gli aspetti inconsci che determinano una gravidanzasono in alcuni casi i più potenti. Stabilire quindi un dialogo con ledonne e soprattutto con le adolescenti è importante per poter porre lebasi per la contraccezione futura. E allora per questo motivo è compitoanche del ginecologo aprire una breccia nelle difese della donna eoffrirle un’eventuale consulenza psicologica.Concluso il colloquio ed effettuati gli accertamenti sanitari istituzionali(visita ed eventuale ecografia), rilascio sempre la certificazioneprevista dalla legge, con la quale la donna potrà rivolgersi alle struttureospedaliere preposte.La Legge 194/78 prevede, ove la donna lo consenta, il coinvolgimentodel padre del concepito nella decisione di interrompere la gravidanza.L’esperienza di oltre venti anni di attività di ginecologo consultorialemi ha insegnato che spesso il grande assente è proprio il padre: si presentaai colloqui per l’interruzione volontaria di gravidanza raramente,e anche quando accompagna la donna rimane fuori dall’ambulatorio;invitato dalla donna a entrare, è assalito dall’imbarazzo e spessopronuncia la fatidica frase: «Per me la decisione sull’interruzione178 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


della gravidanza spetta alla donna». Dai racconti delle donne emergonouomini che scoraggiano la contraccezione sicura (per motivi disalute della donna?) e preferiscono il fallimentare “coito interrotto”,per poi spesso mettere in dubbio la paternità; uomini che dicono«arrangiati» se non decisamente «abortisci», altri che dicono «deciditu, a me va bene qualsiasi cosa».Si rende necessaria qualsiasi iniziativa, a livello scolastico e non, chepossa condurre i giovani a una maggiore partecipazione all’eventonascita.Un barlume di speranza sta in realtà nel fatto che sempre più coppiedi giovani vengono in <strong>consultorio</strong>, negli spazi adolescenti a loro dedicati,per la contraccezione; probabilmente un buon lavoro è statofatto dalla scuola e dai genitori al fine di avere giovani più responsabilie più educati al rispetto della donna.La prassi seguita da me e dall’equipe con cui lavoro, che sembravaconsolidata ed efficace nel tempo, mostra attualmente qualche debolezzae la necessità di un ripensamento di fronte a nuove criticità. Miriferisco alle problematiche insorte negli ultimi anni in seguito al crescenteflusso immigratorio da parte di etnie diverse, che ha caratterizzatoil nostro territorio.Le difficoltà emergono soprattutto nella fase del colloquio e sono rappresentateda: incomprensioni linguistiche non sempre risolte dal mediatoreculturale, che spesso anzi rappresenta un’interposizione sfavorevoleal dialogo che potrei instaurare con la donna incomprensioni culturali: in alcune popolazioni l’interruzionevolontaria di gravidanza rappresenta una metodica contraccettiva in alcune culture la donna non ha autonomia decisionale neiconfronti della contraccezione e delega il compagno.Diventano necessarie quindi tutte le iniziative volte ad aprire un dialogocon le donne immigrate, sia in termini linguistici sia culturali,allo scopo di far emergere la consapevolezza di essere donna-madreper una più autonoma contraccezione.L’interruzione volontaria di gravidanza: esempi di approccio metodologico179


Adriana MonzaniAtre decenni dall’istituzione del <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, e con l’intentodi valorizzare le disposizioni previste dalla Legge 194, ilgruppo tecnico di progetto del <strong>consultorio</strong> dell’Ass 2 “Isontina”, compostoda psicologi, ostetriche e assistenti sociali, ha provveduto a predisporreun protocollo d’intervento aziendale sull’interruzione volontariadi gravidanza, concertato con i medici e le ostetriche delle struttureoperative complesse di ginecologia e ostetricia dei presidi ospedalieridi Gorizia e Monfalcone e con gli psichiatri del Dipartimento disalute mentale.L’evidente necessità di dare risposte di salute efficaci alla comunità, dimantenere l’attenzione sui soggetti deboli e di rilanciare la questionedella centralità del paziente rispetto alla continuità assistenziale traospedale e territorio era emersa dall’analisi dettagliata dei disserviziverificatisi nelle situazioni di cui era venuto a conoscenza il <strong>consultorio</strong>.L’analisi degli elementi aveva infatti permesso di evidenziare alcuninodi ricorrenti nelle situazioni che più di altre avevano determinatorisposte inefficaci, frammentate, disorientanti e scarsamente tutelantila donna proprio in un momento di grande impatto emotivo.Risultavano particolarmente evidenti l’assenza di un coordinamentotra le unità operative ospedaliere e il <strong>consultorio</strong>, con la conseguentemancanza di continuità assistenziale, ridondanze e sovrapposizionidi risposte, difficoltà di orientamento da parte della persona all’internodei servizi sanitari, elevati tassi di fuga e non ultimo l’incapacità daparte dell’azienda di censire correttamente il fenomeno.Si era reso pertanto necessario progettare e condividere assieme atutte le professionalità coinvolte uno strumento che garantisse unarisposta di sistema, rafforzasse l’approccio multidisciplinare, integrasseospedale e territorio e mettesse in sicurezza l’intero processo.Attraverso l’adozione del protocollo aziendale “Interruzione volontariadi gravidanza” dell’Ass 2, il <strong>consultorio</strong> mette di fatto a disposizionedelle donne uno spazio qualificato di ascolto e di supporto psicosocialeper l’eventuale attivazione degli interventi socioasssistenzialiche alcune tipologie di utenza rendono necessari e che sono peculiaridel servizio.Questa opportunità facilita lo specifico percorso sanitario verso lastruttura ospedaliera e consente il mantenimento della relazione con180 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


l’utente nell’arco dell’intero processo, favorendo peraltro in prospettival’educazione alla fruibilità del servizio finalizzata alla prevenzionedelle recidive, alla promozione della salute riproduttiva e, non daultimo, al sostegno della maternità e della paternità responsabili.I punti di criticità emersi dall’analisi delle disfunzionalità di processoavevano evidenziato inoltre una maggiore incidenza nelle situazioniriguardanti l’interruzione volontaria di gravidanza delle minorenni edelle maggiorenni oltre termine; questo rilievo ha pertanto orientatol’attenzione dei componenti il gruppo di progetto tecnico aziendaleverso la ricerca delle cause di questa problematica.Le cause più importanti del disservizio e del disagio riferito dalledonne sono: l’offerta dell’organizzazione sanitaria di più punti di accoglienzaper fare richiesta di interruzione volontaria di gravidanza, traloro non coordinati ed eroganti prestazioni articolate in manieranon omogenea la richiesta, da parte del ginecologo che effettuava l’intervento,che la diagnosi sullo stato di salute psichica della donna venisseeffettuata necessariamente da uno psichiatra delDipartimento di salute mentale.A ciò si aggiungeva l’impossibilità di garantire sempre che gli interventioltretermine venissero effettuati all’interno dei reparti ospedalieridell’azienda, creando le condizioni più sfavorevoli per la donnacostretta a essere dirottata verso strutture extraziendali.L’individuazione del <strong>consultorio</strong> quale spazio esclusivo di primaaccoglienza della domanda, di certificazione medica e di invio alleunità operative ospedaliere rappresenta il primo passo utile a garantiretempestività ed efficacia della risposta, intese come obiettivi disalute prioritari.In questa direzione si colloca inoltre il riconoscimento dello psicologodel <strong>consultorio</strong> come professionista qualificato a diagnosticare lostato di salute psichica della donna che chiede l’interruzione volontariadi gravidanza oltretermine, e come interfaccia del medico responsabiledell’intervento nel presidio ospedaliero aziendale deputato afornire la prestazione sanitaria.L’individuazione della struttura operativa complessa dell’Ass 2 depu-L’interruzione volontaria di gravidanza: esempi di approccio metodologico181


tata a effettuare gli interventi oltretermine e la definizione delle prassidi raccordo tra unità ospedaliere e <strong>consultorio</strong> a intervento effettuatoattestano l’intenzionalità nell’assicurare alla persona l’accompagnamentocostante nell’intero percorso assistenziale.<strong>Il</strong> gruppo di progetto ha inoltre definito quali obiettivi di sistema l’implementazionedel modello organizzativo integrato tra ospedale e territorio,il monitoraggio dell’entità del fenomeno e la riduzione perquanto possibile del ricorso a strutture extraziendali.L’aver costruito assieme lo strumento del protocollo, nel rispetto dellespecifiche competenze dei vari profili professionali e dell’expertisedell’organizzazione delle unità operative coinvolte, ha dato modo diconoscersi e confrontarsi su un tema che risuona emotivamente inciascuno e rispetto al quale ognuno ha elaborato il suo sistema didifese e di opinioni.La centralità della persona e dei suoi bisogni di continuità di cura e diassistenza, definiti come riferimento costante al quale riferirsi, hareso possibile superare resistenze, pregiudizi e inefficaci pretese diesclusività.182 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


L’obiezione di coscienzatra diritti e doveridi Luigi Conte


Imedici sono cittadini fra i cittadini, sono depositari di diritti e doverinei confronti dei cittadini che a loro si rivolgono per avere dellecure mediche.Facendo riferimento al Codice di deontologia medica, si è visto comeal medico spetti la sintesi dei diversi linguaggi dei cittadini, per potersiproporre successivamente in modo chiaro con loro.Nell’articolo 22 per la prima volta si fa riferimento al concetto discienza e coscienza, in base al quale il medico può rifiutare la propriaopera se questa va contro la sua coscienza o al proprio convincimentoclinico. <strong>Il</strong> comportamento del medico, contemporaneamente, nondeve in alcun modo nuocere alla salute del cittadino. È di fondamentaleimportanza che il medico fornisca al soggetto informazioni espiegazioni, in quanto oltre ad avere il diritto di obiezione di coscienza,ha la responsabilità del cittadino, il quale non deve essere abbandonatoa se stesso ma destinatario di un supporto informativo e chiarificatore.In base all’articolo 19 delle Legge 883, l’atto medico non dev’esserelimitato da regole, ma va garantita l’autonomia di giudizio di chi prestaopera secondo scienza e coscienza. Ciò non significa che il medicopossa agire come meglio crede senza il rispetto delle leggi giuridichedel Paese o delle norme deontologiche. Occorre ispirarsi allascienza: sono dunque basilari un costante aggiornamento dei medicie la contestualizzazione dell’esercizio alle norme pratiche della condottaprofessionale quotidiana.<strong>Il</strong> medico fonda sulla libertà e l’indipendenza la propria professione,garantendo al cittadino la scelta migliore; i diritti fondamentali dellapersona devono essere tutelati. Oltre a garantire le cure migliori, alpaziente va dato il maggior numero di informazioni.L’associazione medica mondiale, con la Legge 194, attribuisce ildiritto al medico di dirigere la sua opera verso il proprio convincimentoetico religioso; ne consegue che, se in contrasto con la scelta184 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


del paziente, il medico può rifiutare la propria opera. Ciò non devecomportare però un pericolo immediato per la salute e la vita delpaziente.<strong>Il</strong> cittadino gode del diritto alla libertà di autodeterminazione; non vadimenticato però che il medico resta eticamente, deontologicamentee giuridicamente il garante della salute.Secondo il concetto di alleanza terapeutica viene a instaurarsi un rapportoempatico tra medico e cittadino, di cui si condividono problemie scelte. La pratica terapeutica, come sancito dalla Corte costituzionale,si pone tra due diritti: il primo riguarda la cura del soggetto inmaniera efficace, il secondo pone l’attenzione sul rispetto del pazientecome persona.Con il consenso del soggetto, o del suo legale rappresentante, ilmedico può prendere delle decisioni in base alle proprie conoscenze,in continua evoluzione. Fornire spiegazioni e chiarimenti è fondamentale;occorre inoltre garantire l’aiuto necessario a superare l’eventualedisagio psicologico emotivo che può accompagnare unascelta clinica.L’articolo 9 della Legge 194 nasce da esigenze non solo storiche perdelimitare gli interventi di interruzione volontaria di gravidanza surichiesta della donna nei casi previsti dalla legge, ed evita un abusodell’obiezione di coscienza. Dal 1995 in poi, ciascuna edizione dellaLegge fa riferimento al divieto di praticare aborti fuori dalle previsionida essa dettate; prevede una severa condanna a specifici comportamentiprofessionali e un’attenzione verso la possibilità di praticheabortive attuate a scopo di lucro.<strong>Il</strong> medico non può esimersi dai doveri di cura del paziente; la relazioneche con lui viene a instaurarsi riguarda una fase antecedente e unaconseguente l’intervento. La relazione con una donna che chiede l’interruzionedi gravidanza richiede sensibilità e capacità relazionali.Comprese nelle indicazioni deontologiche ci sono per esempio l’articolo20, riguardante il rispetto dei diritti della persona, l’articolo 21,relativo alla competenze professionale del medico e l’articolo 33, chepone l’attenzione sull’importanza di fornire informazioni al cittadino.Non si può ignorare la totale autonomia della donna, ma nemmeno ilruolo attivo e responsabile del medico a supporto di chi liberamenteassume una decisione. Le occasioni di colloquio con la donna risultanofondamentali; anche i medici obiettori devono accogliere le richie-L’obiezione di coscienza tra diritti185


ste d’aiuto e grazie alla loro correttezza e competenza accompagnarechi affronta una decisione drammatica.Per diversi aspetti la Legge 194 non è stata valorizzata a sufficienza enon le è stata data la giusta rilevanza; anche se sono stati riscontratirisultati positivi, come la riduzione del numero di aborti clandestini,non sono invece mancati attacchi alla Legge.Luigi Conte186 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Discussione, sintesi epropostedi <strong>Il</strong>ia Martellini


Ringraziamo il dottor Grandolfo che ci ha di fatto anticipato le conclusioni;credo che ci abbia offerto un ottimo spunto di riflessionesu quali siano le priorità che le aziende sanitarie debbano darsi.Troppo spesso i consultori familiari si sentono dire: «Ma se siete inpochi e non ce la fate, tagliate qualcosa», ma troppo spesso a esseretagliata è la prevenzione.Quindi si dedicano molte ore per esempio per fare i pap test maforse, anzi senz’altro, si dedicano troppe poche ore per educare allasessualità, che è propedeutica alla possibilità di raggiungere unaconsapevolezza che permetta una maternità e una paternità responsabili.Vorrei ora fare alcune considerazioni conclusive.Bisogna tenere presente la consapevolezza che: per nessuna donna il ricorso interruzione volontaria di gravidanzarappresenta una scelta facile e indolore ogni donna che ha scelto di abortire mantiene in sé, indelebile,il segno di quei figli mai nati in questi 30 anni i consultori si sono dimostrati una risorsa adeguatae competente.Perciò nell’accompagnare la donna in questa triste esperienza, in unalogica di recupero del benessere psicofisico, con profondo rispettodell’individuo, evitando atteggiamenti giudicanti e punitivi, si puògiungere a una proposta che tenda: a rafforzare l’approccio multidisciplinare psicosociosanitariodel <strong>consultorio</strong> come risorsa per aiutare le donne a superare ipregiudizi e le resistenze verso l’utilizzo di metodi anticoncezionaliai fini di ridurre sempre più il fallimento contraccettivoe quindi le recidive188 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


a definire, in forma condivisa, protocolli operativi tra operatoriconsultariali, reparti ospedalieri di ostetricia, medici di medicinagenerale, pediatri di libera scelta, che condividano un percorsodi prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza.La diminuzione del ricorso all’interruzione volontaria di gravidanzada parte delle italiane è indice rilevante, come suggerisce il dottorGrandolfo, dell’importanza di continuare a divulgare una correttainformazione contraccettiva e potenziare l’impegno nei progetti dell’educazionealla sessualità, non solo per promuovere un uso consapevoledella contraccezione, ma soprattutto per aiutare i ragazzi acapire che la sessualità non è genitalità, ma è scelta consapevole nelrispetto di se e dell’altro.Inoltre, tenuto conto della provenienza territoriale e della diversitàculturale, si dovrà collaborare, per le donne straniere, con i mediatoriculturali. Da un lato potranno permetterci di aumentare la conoscenzae la comprensione di alcuni aspetti della loro cultura di provenienza;dall’altro dovranno essere loro stessi oggetto di una formazionespecifica che li metta in condizione di comprendere il nostro linguaggioe i concetti da trasmettere per fare un vero accompagnamento alloro concittadino. Così potranno collaborare per rendere sempre piùefficace la comunicazione, garantendo l’efficacia dell’attività informativain merito a una contraccezione condivisa.Forse così anche l’altra metà del cielo potrà essere più azzurra.<strong>Il</strong>ia MartelliniDiscussione, sintesi e proposte189


Quinta parte.La promozionedella salute della donnaChairman: Massimo Sigon


Massimo SigonIntroduzione al tema8,3% delle donne denuncia problemi di salute, mentre negli uominila percentuale scende al 5,3%; anche la disabilità ha una preva-L’lenza maggiore nelle donne (6,1%) rispetto agli uomini (3,1%). Uno studiodel Servizio sanitario inglese evidenzia, inoltre, come la prevalenzadegli accessi agli studi dei medici di medicina generale sia molto maggiorenelle donne. La “medicina di genere” ha quindi assunto un’importanzadeterminante anche ai fini di una corretta e adeguata programmazionesociosanitaria. È infatti noto che le donne si rivolgonoagli ambulatori prevalentemente non per problemi o patologie riguardantil’apparato genitale femminile, ma le comuni patologie dellapopolazione.Un’indagine dell’Istat evidenzia come alcune delle patologie cronichepiù rilevanti dal punto di vista epidemiologico nella società occidentalesono presenti in percentuale maggiore nelle donne rispetto agliuomini. Per esempio c’è una prevalenza maggiore nelle donne di diabete(+9%), di cataratta (+80%), di ipertensione arteriosa (+30%), dicefalea ed emicrania e di osteoporosi. Di conseguenza, rifacendosianche a tutte le definizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità,è sempre più importante parlare di medicina di genere sottolineandole differenze tra maschi e femmine, che non sono semplicemente osolamente di tipo biologico e legate all’apparato riproduttivo, ma sonosoprattutto influenzate e legate al contesto sociale, culturale e politico.La medicina di genere si caratterizza così per un approccio alle problematichedi salute, o anche semplicemente dei disagi, dal versantedelle donne. La prevenzione primaria per la salvaguardia della salutedelle donne, comprese le problematiche relative alla violenza, non èquindi solo un problema di tipo sanitario ma anche, e in alcuni casiforse soprattutto, un problema di tipo sociale e politico.192 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong> privato: qualeintegrazione possibile?di Mario Puiatti


In premessa qualche informazione storica per i giovani.L’Associazione italiana per l’educazione demografica) è stata costituitaa Roma nel 1953 da un gruppo di personalità laiche (scienziati,intellettuali e giornalisti) con lo scopo di promuovere la cultura dellaprocreazione libera e responsabile. Allora il Codice penale vietava la«propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione».Nel 1971, dopo anni di battaglie culturali, politiche e giudiziarie,l’Associazione italiana per l’educazione demografica ha ottenutodalla Corte costituzionale l’abrogazione dell’articolo 553 che vietavala contraccezione, creando le premesse per la legge istitutiva dei consultoripubblici (Legge nazionale nel 1975 e regionale nel 1978).L’Associazione italiana per l’educazione demografica di Pordenone haaperto il <strong>consultorio</strong> nella primavera del 1975.Veniamo al tema: quale integrazione tra <strong>pubblico</strong> e privato?Per quasi 30 anni i consultori pubblici e quelli privati non hannoavuto nessun rapporto: semplicemente si ignoravano. Era una situazioneassurda, visto che in <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia i consultori privatisono convenzionati con le aziende sanitarie e sono in parte finanziaticon soldi pubblici. L’Associazione italiana per l’educazione demograficasi è sempre sentita parte del sistema sanitario.Tre anni fa l’Ass 6, spinta dalla necessità, ha deciso di avviare un processodi collaborazione tra i consultori pubblici e quelli privati. Oggi,pur con molte difficoltà dovute alla tipologia dell’utenza (la maggioranzaè straniera), esiste un buon rapporto di collaborazione. In treanni ci sono state inviate dai consultori pubblici oltre 2000 donne, dicui oltre la metà in gravidanza. Crediamo che, nella nostra Regione,sia l’unico esempio concreto di integrazione tra consultori pubblici eprivati. Speriamo che questo esempio venga imitato anche da altreaziende sanitarie.Nel rispetto reciproco delle storie e delle impostazioni, crediamo chetutti i servizi, pubblici e privati, debbano collaborare e integrarsi reci-194 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


procamente. Sicuramente il privato non deve sostituire il <strong>pubblico</strong>,ma il <strong>pubblico</strong> dovrebbe avvalersi delle opportunità offerte dal privatosociale.Per esempio, noi non ci occupiamo di adozioni e di tutela dei minori(attività che hanno stravolto le finalità previste dalla Legge 405 istitutivadei consultori familiari). Facciamo però anche attività che i consultoripubblici non fanno: per esempio la diagnosi prenatale, l’andrologiae la sterilizzazione maschile (intervento che gli ospedali pubblicinon eseguono). Queste diverse attività dovrebbero integrarsi.<strong>Il</strong> progetto “Percorso nascita” su cui l’Ass 6 sta lavorando sarà sicuramenteun banco di prova verso l’integrazione vera.In conclusione presento alcune proposte:1. è prioritario investire sull’educazione sessuale nelle scuole:oggi le adolescenti, sulla sessualità, non sanno di più di quantosapevano le loro mamme alla stessa età2. vigilare sui medici: ci sono medici del Servizio sanitario nazionaleche fanno terrorismo sulla contraccezione mescolando lascienza con le proprie convinzioni etico religiose (non prescrivonola pillola del giorno dopo, dicono che la pillola fa moltomale e applicano dispositivi intrauterini a ventenni nullipare)3. garantire l’interruzione volontaria di gravidanza: i medicihanno il diritto di esercitare l’obiezione di coscienza ma ledonne hanno il diritto di interrompere la gravidanza non voluta.Entrambi questi diritti devono essere garantiti. Teoricamentetutti i medici potrebbero fare obiezione (garantendo immediatamenteil proprio diritto): in quel caso chi garantisce il dirittodelle donne? C’e una sola strada: indire concorsi ”riservati” amedici non obiettori con clausola di decadenza se cambianoidea4. aborti ripetuti: le donne italiane che ripetono l’aborto nellagrande maggioranza hanno una cultura medio-alta e conosconoi metodi contraccettivi. Non è quindi un problema di conoscenza.Spesso c’è un conflitto tra il desiderio di maternità e larealtà quotidiana (lavoro, carriera, ecc.); queste donne devonoessere aiutate a capire e risolvere i conflitti. Questa attivitàrichiede tempo e specifica professionalità, due cose che spessoi medici di medicina generale non hanno; però rilasciano ugual-<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> privato: quale integrazione possibile?195


mente la stragrande maggioranza dei certificati per l’interruzionevolontaria di gravidanza. Sarebbe opportuno attivare nei loroconfronti una forte azione di sensibilizzazione affinché deleghinoai consultori la gestione della Legge 194/78 che regola l’interruzionevolontaria di gravidanza.Mario Puiatti196 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Le donne immigrate comepromotrici di salutedi Silvia Genovese


Secondo dati del annuario statistico dell’immigrazione in <strong>Friuli</strong>Venezia Giulia nel 2005, queste sono alcune delle provenienze piùrappresentative in Provincia di Pordenone:Provenienza Numero di residenti Percentuale di donneAlbania 5.220 45,8%Romania 3.538 53,2%Ghana 2.384 43,1%Marocco 977 39,4%Ucraina 752 86,3%Moldavia 339 69,3%Colombia 308 72%Popolazione totale 65.338 48%<strong>Il</strong> numero delle donne che affrontano la migrazione è in crescita epossiamo individuare due principali modalità: le donne che migranoda sole e le donne che migrano per raggiungere il marito.In una società multiculturale come ormai è diventata l’Italia, è dacapire che ci troviamo davanti a un panorama complesso: rappresentazionidel mondo diverse, sistema di valori diversi, modelli familiaridiversi, religioni diverse, diversa percezione dei bisogni e dei servizi.<strong>Il</strong> processo migratorio comincia nel Paese di origine e continua nelPaese di accoglienza: andare in un altro Paese, perdere i propri puntidi riferimento e ricostruire la propria vita da capo, a cominciare dall’apprendimentodi un’altra lingua, comporta uno sforzo enorme eimplica un periodo di adattamento; è un processo lento che ogni personapotrà elaborare in maniera diversa secondo le proprie risorse.La donna nella migrazione si trova in una situazione di particolare198 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


vulnerabilità, per la perdita dei propri punti di riferimento e dei proprisistemi di protezione. Mancano la rete famigliare, le strategie e glistrumenti che nel proprio Paese le possono permettere di superareuna crisi; non ci sono i cibi che potrebbero fare bene, non c’è quel“pensare insieme” sulla difficoltà. La donna si trova isolata in unambiente che non conosce, con regole implicite che a lei sfuggono. Lemanca la padronanza della lingua per poter esprimere i suoi bisogni,i suoi dubbi, le sue paure. I servizi italiani sono diversi da quelli delPaese, e i consultori familiari sono strutture inesistenti in molti Paesi.<strong>Il</strong> sistema dell’appuntamento per accedere alle cure è incomprensibileper molte donne. Capire la differenza tra ambulatorio e pronto soccorsonon è automatico (quando andare al pronto soccorso, quandoall’ambulatorio).Le donne dicono speso che il corpo nella migrazione cambia: «Daquando sono arrivata non sento più il mio corpo, non capisco checosa mi succede, mi fa male dappertutto, non so più che cosa mi fabene e che cosa mi fa male, sono sempre stanca faccio fatica a dormire».Quando le parole non possono raccontare l’emozione o non c’ènessuno ad ascoltare è il corpo che si ammala per esprimere il dolore.In base alla definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, lasalute non va concepita solo come assenza di malattia, ma come condizionedi benessere sul piano fisico, psichico e sociale.Le donne immigrate come promotrici di saluteSono le donne immigrate che promuovono i processi di integrazionesociale e culturale in modo più attivo a partire dei loro bisogni di curae della famiglia. Sono le donne che per rispondere ai bisogni dei bambinisono promotrici di un processo di integrazione al di là delle posizionidegli uomini.Le donne portatrici di saperi portano a un’alimentazione più naturale:da qui l’importanza di integrare i saperi.È importante sapere come comunicare, per avvicinare le donneimmigrate ai servizi sociosanitari. <strong>Il</strong> linguaggio dei servizi sociosanitaricoerente con i presupposti culturali della popolazione italiana èvalido nell’ottenere risultati preventivi per quella popolazione masembra non essere compreso dalle donne immigrate. La possibilespiegazione è che il significato attribuito a concetti e valori condivisidalla popolazione italiana può essere diverso tra la popolazione stra-Le donne immigrate come promotrici di salute199


niera. Questo può interferire con la loro possibilità di accedere all’educazionesanitaria e alla prevenzione (contraccezione e interruzionevolontaria di gravidanza): l’identità femminile ha una diversa rappresentazionea seconda della cultura di provenienza.La mediatrice linguistico culturale è importante come ponte tra dueculture, tra due mondi, per facilitare la comunicazione e la comprensione,rendere comprensibile una realtà all’altra.Per questo il Circolo aperto “Lavorando per tutti” offre attività dimediazione, per rendere più facile la vita per tutti, italiani e stranieri.La mediazione nell’ambito sanitario significa lavorare per migliorarela qualità di vita di tutti.Silvia Genovese200 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Sesta parte.Incontro con chi decideChairman: Nicola Delli Quadri


Relatore: Silvano CeccottiQuale il futuro dei consultori familiariA cura di: Tiziana Martuscelli, Silvano Ceccotti, PatriziaCicuto, Elodia Del Pup, Annamaria Dolcet, Lorena Fornasir,Fulvia Loik, <strong>Il</strong>ia Martellini, Laura Nadalini, Massimo Sigon,Maria Vanto<strong>Il</strong>lustrissimo assessore, la sua presenza è per noi estremamentesignificativa e ci fa ben sperare in un suo impegno rispetto al futurodei consultori familiari della Regione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia.Noi abbiamo elaborato un documento, alla fine di questo interessantissimoconvegno, che in qualche modo sintetizza quelle che potrebberoessere delle richieste di intervento da parte sua e della Giunta regionale.A questa presentazione seguirà, con la sua disponibilità, un incontrodove le spiegheremo in modo più dettagliato quanto ora le leggerò, eche necessariamente non può che essere una bozza che grazie ai colleghiè stata prodotta in un tempo estremamente ristretto.Passo a leggerle il documento, che, in modo scherzosamente enfatico,abbiamo chiamato “I cinque punti di Casarsa”.Considerato che «ai consultori familiari sono stati assegnati, a seguitodi recenti innovazioni normative, nuovi compiti in particolare nell’areadella prevenzione, tutela dei minori (abbandono, grave trascuratezza,abuso e maltrattamento, adozioni nazionali e internazionali),a cui non ha fatto seguito una adeguata riorganizzazione degli stessi»(progetto obiettivo materno infantile);preso atto che il Piano sanitario regionale 2006-2008 ribadisce lanecessità di «rendere omogenei, su tutto il territorio regionale, i consultorifamiliari per quanto attiene la tipologia di interventi, le presta-202 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


zioni e i modelli organizzativi, anche in considerazione dei nuovicompiti in particolare della prevenzione, tutela dei minori»;tenuto conto che si è avviata, dal 2005 a oggi, una sperimentazione diun sistema informativo regionale relativo all’attività di tutti i consultorifamiliari pubblici al fine di avere a disposizione dati maggiormenteattendibili per una programmazione sociosanitaria integrata;verificato che questo percorso di fatto ha attivato la prima fase operativadell’omogeneizzazione dei consultori familiari pubblici dellaRegione <strong>Friuli</strong> Venezia Giulia;preso atto che questa esperienza di confronto e collaborazione hapermesso di cogliere l’utilità della costituzione di un gruppo di operatoriconsultoriali, in qualità di referenti aziendali, eterogeneo per professionalità,rappresentativo delle sei aziende sanitarie con l’obiettivodi un’omogeneizzazione dell’attività consultoriale e nel rispetto dellepeculiarità territoriali,proponiamo la formalizzazione di questo gruppo di operatori consultoriali,che abbia le seguenti finalità: contribuire a definire una formazione omogenea su tutto il territorioregionale tenendo conto di tutte le figure professionaliinerenti alle tematiche prettamente consultoriali essere il gruppo di “consulenza tecnica” per il rappresentantedei consultori familiari in seno alla Consulta regionale dellafamiglia garantire la “consulenza tecnica” in ordine alla predisposizionedegli atti di programmazione regionale che riguardino l’organizzazionedei consultori essere l’interlocutore competente per il referente regionale deputatoa seguire le problematiche di competenza consultoriale garantire un monitoraggio regionale del conseguimento degliobiettivi definiti annualmente con riferimento agli atti di programmazioneregionale mettere a disposizione la competenza tecnica delle commissioniconsiliari in merito ai progetti di legge relativi alle politichesociosanitarie, con specifico riferimento alle competenze consultorialie all’integrazione con gli ambiti socioassistenziali collaborare all’elaborazione delle proposte atte all’adeguamentodei servizi consultoriali per quanto attiene le problema-Quale il futuro dei consultori familiari203


tiche emergenti nell’ambito delle relazioni familiari e dell’etàevolutiva essere riferimento, ogniqualvolta sia richiesto, per la Giuntaregionale e per le commissioni consiliari sui risultati della propriaattività.In relazione ai lavori del convegno regionale “<strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong><strong>pubblico</strong>: un ponte tra sanitario e sociale al servizio della famiglia”,tenutosi a Casarsa della Delizia il 17 e 18 ottobre 2008, di seguito siriporta il documento “I cinque punti di Casarsa”:1. predisporre un piano attuativo della Delibera di Giunta regionale3412/1995, del Progetto obiettivo materno infantile nazionalee regionale, nonché delle indicazioni operative dell’Istitutosuperiore di sanità, in particolare per quanto riguarda l’offertaattiva di servizi2. definire linee guida e protocolli a livello regionale, nonché livelliessenziali di assistenza, che consentano un’omogeneità diofferta tra le varie realtà consultoriali3. istituire un coordinamento regionale per garantire l’omogeneizzazionedelle attività consultoriali nel rispetto delle peculiaritàterritoriali, omogeneità che preveda anche una regia unicaformativa degli operatori4. individuare un referente regionale in Direzione regionale o inAgenzia regionale sanitaria con competenze relative ai consultorifamiliari5. adeguare le risorse professionali sul piano sia qualitativo siaquantitativo per far fronte ai cambiamenti in atto nei bisogniche vengono dalla popolazione e dagli altri servizi, determinatida “nuovi” scenari: immigrati, minori in situazione di pregiudizio(Tribunale per i minorenni e Tribunale ordinario), mediazione<strong>familiare</strong>, adozioni.204 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Giovanni Zanolin<strong>Il</strong> carattere educativo del lavoro sociale nelle reti socialie istituzionaliQuesto confronto è particolarmente utile. Da molti anni infattinella Provincia di Pordenone si fa un lavoro straordinario nell’importantecampo della salute delle donne, dei bambini e di tutti iminori. È una questione decisiva per le nostre società, perché ci parladel futuro e interviene su un tema che è indicatore simbolico della trasformazionesociale e culturale in atto nella nostra Provincia. Salutedelle donne, fertilità umana, riproduzione, salute dei piccoli, salutedei minori segnalano anche problematicità profonde: disagio, a voltedolore. Occupandocene, incontriamo anche fenomeni molto pesanti,come il crescente malessere legato alla fragilità delle nostre famiglie,la violenza contro le donne e i bambini, la grande difficoltà a diventareculturalmente e con responsabilità genitori, il conseguente frequenteabbandono insensato dei minori, il diffondersi di stili di vitainadeguati e spesso profondamente sbagliati. Si tratta di temi e questionisulle quali è necessario intervenire, per proporre un contributoa una trasformazione positiva della vita delle persone, che sempre ecomunque dipende dalla loro volontà.<strong>Il</strong> carattere educativo del lavoro sociale è la prima condizione nuovada consolidare nel lavoro a cui partecipano, in una dimensione diintegrazione sociosanitaria e di costruzione e manutenzione di retisociali, anche i consultori. Credo che questa sia una delle chiavi dellavoro che i Comuni, gli ambiti sociali e l’azienda sanitaria con i suoivari strumenti fanno con le reti sociali. In realtà dare questo indirizzoeducativo al nostro lavoro e al nostro impegno nelle reti sociali non èaffatto facile. Sembrerebbe quasi naturale, ma dare a ogni nostrointervento il carattere di qualche cosa di esemplare, tale per cui guardandocifare lavoro sociale le persone imparano a vivere meglio e adaiutare gli altri a vivere meglio, non è affatto facile: mentre si lavora glioperatori devono assumere la forma mentale di chi è disponibile arivedere criticamente il proprio lavoro. Questo richiede un cambiamentoper noi, e soprattutto richiede che il lavoro di cura divengaprioritario rispetto alle dinamiche relazionali all’interno dei servizi efra i servizi. È una questione non semplice da affrontare, come sape-<strong>Il</strong> carattere educativo del lavoro sociale nelle reti sociali e istituzionali205


te, che vale per tutto il lavoro sociale e il lavoro di cura, ma che èimportante particolarmente in questo campo perché abbiamo a chefare con dei minori, persone che sono spugne e imparano in queimomenti cose fondamentali per la loro vita futura. Noi cioè operiamocon soggetti fortemente propensi a imparare, in questo settore piùche altrove. Poi affrontiamo temi decisivi per gli esseri umani, come lafertilità. Dunque chi opera nei consultori è più di altri nella necessitàdi considerare la valenza educativa delle proprie parole e delle proprieazioni, ma non solo per essere molto accorti nel loro uso: anchee soprattutto per comprenderne l’enorme potenzialità in un’ottica diauto e mutuo aiuto. Più in generale, vi propongo di continuare a rifletteresull’impossibilità per noi di affrontare qualsiasi problema vero dipromozione e protezione sociale se non ampliando il carattere educativodei nostri interventi.La seconda condizione nuova per il nostro lavoro è lo sviluppo dellereti sociali. La condizione per sviluppare reti sociali di aiuto è dare uncarattere fortemente educativo al nostro intervento di cura. Badateche la costruzione delle reti sociali è fortemente educativa: serve astringere relazioni d’aiuto ma serve soprattutto ad autoconvincercidell’utilità, della positività di questa relazione d’aiuto. Lavorare sullereti sociali è uno dei compiti principali di fronte a noi. Sono moltedecine, solo nell’area pordenonese, le associazioni che si occupano diminori e di questioni di genere, della scuola, dell’integrazione, insommadel lavoro a favore delle donne e dei minori. Queste associazionisono diventate nel corso degli anni per i Comuni, per i consultori, perl’azienda sanitaria degli snodi straordinari di attività e di impegno.Sono strumenti fondamentali della nostra stessa azione. Dobbiamoriuscire a immaginare una cura particolare delle reti sociali e del lavorodi rete. Dobbiamo riuscire a immaginare nei prossimi anni una promozionedi capitale sociale comunitario tale per cui queste reti si dotinodegli strumenti per rafforzarsi, per consolidarsi sul territorio. Stoparlando di dotazioni strumentali, di sedi, di luoghi per giocare, di formazionee luoghi per l’informazione e l’educazione, di risorse finanziarie,di risorse umane da stimolare, di attenzione e sollecitudine neiloro confronti. Le reti sociali non sono spontanee: nascono dal lavorosociale svolto in direzione educativa e hanno bisogno di un grandelavoro di manutenzione. Serve un serio impegno di rafforzamentodelle reti dell’educazione sociale e per raggiungere questo obiettivo206 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


costruire un forte legame con la scuola. Ascoltandovi, ho appreso dellavoro positivo che si va facendo a Udine verso le scuole. So di unimpegno simile a Pordenone e credo che si stia operando allo stessomodo anche nelle altre Province. Ci interroghiamo se questo lavorobasti, sappiamo che in realtà questo lavoro non è mai finito, sappiamobene per esempio che l’educazione sessuale in senso lato, con le suenecessarie sensibilità, è impegno che percorre tutte le generazioni.L’educazione non termina mai nel percorso di vita di una persona, edè legittimo interrogarsi su quali strumenti possiamo mettere in campoper aiutare i genitori a educare ed essere noi stessi promotori e propagatoridi educazione, posto che davanti a noi stanno straordinari strumentidiseducativi con i quali facciamo i conti ogni momento.Ultimo e importante tema è quello delle relazioni di rete istituzionalee del lavoro nelle reti istituzionali. Abbiamo alle spalle delle esperienzepositive ma anche criticità. I servizi sociali dei Comuni hanno svoltoper un lungo periodo una funzione di puro supporto, anche se i servizidel Comune erano coprotagonisti nei momenti di relazione ec’era un lavoro condiviso con gli operatori sanitari. Ma sono stati anninei quali lo sguardo sanitario, in questo campo, prevaleva. Negli ultimianni c’è stato un rafforzamento delle strutture di cui sono dotati gliambiti e i Comuni. Questo rafforzamento ha voluto dire per tanti annilavorare duro sulla formazione degli operatori dei Comuni, sullemodalità e sulla qualità dei servizi che venivano dati, sull’attenzioneche veniva prestata, sulle relazioni di cura che venivano costruite. <strong>Il</strong>risultato è che oggi tutti noi abbiamo un tessuto significativo di lavorosociale da parte dei Comuni riuniti negli ambiti sociali. Questo tessutosi confronta con la positività, l’intelligenza, la cultura, la forza, ilsignificato profondo del lavoro sanitario: i consultori e la neuropsichiatriainfantile soprattutto.Si tratta di comprendere che una fase nuova è aperta: è la fase di unacollaborazione che non si pone neanche più il problema di essereparitaria, bensì di riuscire a non schiacciare le persone dentro dinamicheistituzionali. Vogliamo valorizzare i percorsi delle persone, conil loro contributo, con la loro intelligenza, con la loro volontà, con laloro cultura e fare in modo che la collaborazione tra istituzioni sia unforte supporto allo sviluppo di queste volontà, di queste capacità. Perfare questo dobbiamo collaborare su un piano che sia quello dell’integrazionedei servizi e della definizione dei metodi di questa integra-<strong>Il</strong> carattere educativo del lavoro sociale nelle reti sociali e istituzionali207


zione. L’integrazione non può avvenire se i vari servizi, sia quellisociali dei Comuni riuniti negli ambiti, sia dei consultori, sia dei servizidi neuropsichiatria, sono per esempio anche fisicamente lontani.C’è quindi un primo problema: avvicinare, tenere vicini i servizi. Sitratta di luoghi da costruire, nei quali collaborare, lavorando fianco afianco. Ma lavorare fianco a fianco probabilmente non basta: servedefinire anche delle metodologie di lavoro fianco a fianco, metodologieche dichiarino per esempio la possibilità di costruire dei budgetunitari, unici, nei quali confluiscano le risorse dei vari Comuni e lerisorse sanitarie, e sui quali si decide assieme. Può voler dire anchelavorare su un case management concordato e unico, per il quale lapresa in carico viene effettuata da un’unica persona, quella che assiemegiudichiamo più pronta, più preparata, più adeguata a quel caso,a quella situazione. Non è detto che sia di profilo necessariamentesanitario o sociale ed educativo, perché queste divisioni non avrannopiù senso d’esistere dentro un servizio pensato unitariamente.Significa insomma lavorare in una dimensione di integrazione cosìforte, così positiva, così rivolta ai diritti dei minori e delle donne, dadeterminare fra di noi, progressivamente, la possibilità di immaginarcicome un unico servizio a favore della famiglia, della donna, deiminori, dei bambini, come un unico servizio che riesce a dare unarisposta a temi che sono così importanti, decisivi per il nostro futuro,perché ci parlano di quello che sarà questa nostra società nei prossimianni, nei prossimi decenni. Sono convinto che il vostro entusiasmo,la vostra intelligenza, la vostra cultura, l’attenzione con cui lavoratee vi prendete cura delle persone siano le condizioni migliori perpoter pensare a un futuro positivo.208 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


Vladimir KosicConclusioniCon piacere chiudo questi due giorni di lavoro per chi ha resistitofino a sabato pomeriggio a quest’ora; credo sia anche legittimoavere sostenuto temi che ho visto elencati sulla questione dei minorioggi trattata più direttamente: significa sicuramente un segno di grandepartecipazione.Quindi prima di tutto ringrazio gli organizzatori che hanno portato acompimento una progettualità, iniziata nei mesi di maggio e giugno,quando ci siamo visti la prima volta, alla quale ho dato adesionesubito. Sembrava una meta lontana e invece ci siamo arrivati; ilprimo risultato è sicuramente questa due giorni: le proposte chesono state fatte saranno patrimonio dell’intera Regione, materialeche risulterà sicuramente utile per i lavori che stiamo per fare.Riassumendo le proposte fatte, a nome del Comitato scientifico, daldottor Ceccotti, credo che ci sia una richiesta di linee guida sulle questionirelative ai minori e al percorso nascita. Questa richiestadovrebbe essere ripresa nel piano sanitario, con indicazioni dalpunto di vista organizzativo che dovrebbero esprimersi in un referenteall’interno della direzione centrale. <strong>Il</strong> coordinamento dei consultoridovrebbe avere un ruolo preciso, registrando il fatto che oltrea ciò che si è fatto e si sta facendo, ci sono nuove attività rispetto allequali ci vorrebbe forse una riflessione. Credo che il lavoro fatto inqueste due giornate ha prodotto anche qualcosa in più: per esempioil progetto illustrato dal dottor Grandolfo, che tra l’altro riprende unpercorso già avviato in questa Regione. Ci sono stati infatti un gruppodi Palmanova, la costituzione di un gruppo tecnico regionale, unadelibera che ha ripreso tutto questo con attenzione. La prima assicurazioneè che non c’è nessuna discontinuità, ma la massima continuitàsu queste questioni, sulle linee, sui contenuti: sicuramentesono contenuti preziosi che devono essere salvaguardati. Anche perciò che riguarda la parte relativa agli aspetti organizzativi, che è stataesposta dal dottor Ceccotti, credo quindi che debba essere presa inconsiderazione; sarà da valutare assieme se con un coordinamentocentralistico e quali ruoli assegnare. In una ricchezza come quellapresentata da questa Regione lasciar fare a chi sa fare può essereConclusioni209


anche una soluzione che produce: sono scelte che dovranno eventualmenteessere condivise.Gli interventi che mi hanno preceduto, fra cui quello di Zanolin, cheapre orizzonti politici importanti di condivisione di scelte importanti,sono anch’essi molto propositivi, molto importanti. Ma i temi trattatiche hanno a che fare con l’affettività credo che abbiano bisogno dialcune riflessioni più grandi. Io mi permetto di farle: non ho paura, Mipiace il termine educazione e condivido con l’assessore Zanolin che sidebba andare oltre l’informazione. Non credo che sia una questionedi scelte ideologiche ma di assunzione di responsabilità, che i servizidevono avere all’interno di problemi che oggi affrontiamo e a cuiabbiamo difficoltà a dare risposte. <strong>Il</strong> tema non è tanto se una tredicennedi oggi abbia informazioni in più o in meno rispetto a una ditrent’anni fa: il tema è che la vita e il mondo di una tredicenne di oggisono molto diversi rispetto a quelli di sua mamma. Le sfide, ma anchei pericoli, ai quali vengono esposti questi ragazzini, sono diversi. <strong>Il</strong>tema della trasgressione, che è un tema fondamentale e ha a che farecon questi aspetti, deve essere necessariamente preso in considerazione.I consultori sono sicuramente il risultato di un bisogno e di un dirittodelle donne, che da protagoniste hanno costruito un servizio; hannoprodotto modelli di servizi, competenze professionali e le hannoaggregate, hanno dato risposte e quindi benessere. Al di là di questonoi non dobbiamo confrontarci più con una storia che ha prodottoquesti risultati importanti: la storia sicuramente conta, ma se ci guardiamotroppo diventiamo nostalgici. Credo che questi non sianotempi della nostalgia ma tempi delle sfide. Rispetto alle sfide dobbiamoguardare gli orizzonti che abbiamo in comune e che sono quelli digarantire i diritti di tutela che altrimenti si rischia di non intercettare.Credo che una riorganizzazione dal punto di vista regionale, e unaripresa all’interno del piano sociale anche di alcune linee guida cheverranno sicuramente indicate, devono necessariamente contenerequeste riflessioni: nelle nuove attività raccogliamo anche nuove sollecitazionidi carattere culturale, professionale, etico.Vorrei concludere questo pomeriggio con alcune riflessioni di carattereetico. <strong>Il</strong> momento della gravidanza, del percorso nascita e dellescelte connesse va aggiornato all’interno di un mondo emotivo cheaccompagna questi aspetti. Mi chiedo quanto nei nostri giorni il con-210 <strong>Il</strong> <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> <strong>pubblico</strong>


cetto di piacere e di felicità sia ancor più confuso di felicità e di benessere,di consapevolezza, di tutela. Mi chiedo quanto debba essereancora rivisto rispetto a 30 anni fa, e se i diritti, i bisogni, gli aspetticonnessi alle libertà sacrosante di emancipazione, che ora si sonocompiuti, debbano essere aggiornati e riportati all’interno di unacategoria di valori nuova, aggiornata anche questa. Non credo che sidebba compiere una valutazione solo delle risorse che vengono dedicatea garantire questi servizi all’interno dei consultori: si deve andareoltre perché il <strong>consultorio</strong> deve diventare momento ulteriore di cultura,in cui il fulcro è proprio quello che ha saputo raccogliere, sedimentare,gestire, dare risposte anche in termini di proposte rispettoalla comunità in cui opera. E qui credo che anche le professioni esercitateall’interno (penso a tutte le professioni che hanno a che fare conla psicologia, con il benessere della persona complessiva) debbanoavere più attenzione nelle scelte che vengono proposte, perché lesfide vanno oltre.Quindi, concludendo questo mio breve intervento, forse dobbiamopensare a come ci raccordiamo agli ambiti, ai servizi sociali deiComuni, a come guardiamo fuori dai consultori. <strong>Il</strong> tema è di aprirlimaggiormente a queste istanze, a queste collaborazioni e a questesfide perché vengono da quella parte, da quello che ci segnalano lagente, gli enti locali, le nuove minoranze con problematiche specificheche vanno affrontate, gestite e quindi portate in quella direzione.Questi sono gli orizzonti senza più nostalgie, senza più guardare a unastoria che, per quanto gloriosa ed eroica, ha raggiunto i suoi risultati enon ha più bisogno di eroi. Di eroi c’è stato bisogno nel passato; orac’è bisogno di protagonisti, che devono saper costruire alleanze sucontenuti e su responsabilità nuove. I protagonisti rimangono sempregli stessi: sono coloro che portano i bisogni che invece sono nuovi.Sono quindi le donne, che nella loro condizione presuppongono sicuramenteinvestimenti migliori per tutti.Conclusioni211


I PARTECIPANTIGaetano Appierto, Presidente Sezione civile, Tribunale ordinario diPordenoneGiovan Battista Ascone, Direttore tutela della salute della donna e dell’etàevolutiva, Direzione generale prevenzione sanitariaGabriella Bozzi, Psicologa e psicoterapeuta, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Ass 2“Isontina”Silvano Ceccotti, Psicologo e psicoterapeuta, responsabile consultorifamiliari Ass 2 “Isontina”Flavia Ceschin, Pediatra di libera sceltaMaura Clementi, Assistente sociale responsabile dell’ambito distrettualeAlto IsontinoFranco Colonna, Medico pediatra, responsabile Dipartimento maternoinfantile, Ospedale San Vito al Tagliamento, Ass 6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”Luigi Conte, Presidente dell’Ordine dei medici di UdineAnnamaria Cortese, Ostetrica, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, Ass 1 “Triestina”Laura De Gregori, Medico ginecologo, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Ass 6 “<strong>Friuli</strong><strong>Occidentale</strong>”Giovanni Del Frate, Medico ginecologo, responsabile Dipartimentomaterno infantile, Ospedale San Daniele del <strong>Friuli</strong>, Ass 4 “Udinese”Nicola Delli Quadri, Direttore generale, Azienda per i servizi sanitari n.6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”Elodia Del Pup, Psicologa e psicoterapeuta, responsabile dei consultorifamiliari, Distretti Urbano e Ovest, Ass 6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”


Annamaria Dolcet, Psicologa e psicoterapeuta, responsabile del <strong>consultorio</strong><strong>familiare</strong>, Distretto Nord, Ass 6 “<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”Maria Virginia Fabbro, Psicologa e psicoterapeuta, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>,area materno infantile, Ass 3 “Alto <strong>Friuli</strong>”Silvia Genovese, Presidente “Circolo aperto”, PordenoneMichele Grandolfo, Epidemiologo, Centro nazionale di epidemiologia,sorveglianza e promozione della salute, Istituto superiore di sanitàVladimir Kosic, Assessore regionale alla salute e protezione sociale,Regione <strong>Friuli</strong> Venezia GiuliaRenata Maddalena, Assistente sociale, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Ass 5 “BassaFriulana”Marinella Malacrea, Medico neuropsichiatra infantile<strong>Il</strong>ia Martellini, Psicologa e psicoterapeuta, responsabile consultori familiari,Ass 5 “Bassa Friulana”Tiziana Martuscelli, Psicologa e psicoterapeuta, Responsabile consultorifamiliari, distretti Est e Sud Ass 6 ”<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”Luisa Menegon, Assistente sociale, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong>, Ass 3 “Alto<strong>Friuli</strong>”Adriana Monzani, Psicologa e psicoterapeuta, <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Ass 2“Isontina”Maria José Mores, Psicologa e psicoterapeuta, <strong>consultorio</strong> Noncello -PordenoneLuisa Onofrio, Assistente sociale, giudice onorario presso il Tribunale peri minorenni di Trieste


Paolo Piergentili, Direttore sanitario, Azienda per i servizi sanitari n. 6“<strong>Friuli</strong> <strong>Occidentale</strong>”Maria Antonia Pili, Avvocato, Foro di PordenoneLucio Prodam, Assistente sociale, giudice onorario presso il Tribunale peri minorenni di TriesteMario Puiatti, Responsabile <strong>consultorio</strong> <strong>familiare</strong> Associazione italianaper l’educazione demograficaLuciana Ramon, Medico ginecologo, Ass 5 “Bassa Friulana”Massimo Sigon, Medico, direttore Distretto sociosanitario di San Danieledel <strong>Friuli</strong>, Ass 4 “Medio <strong>Friuli</strong>”Giovanni Zanolin, Assessore alle politiche sociali del Comune diPordenone, presidente dell’Assemblea dei sindaci dell’Ambito sociale urbano6.5


Finito di stampare nel mese di marzo 2010da Iacobelli, Via Catania 8, Pavona di Albano Laziale (Roma)

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