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2.1. I RIFERIMENTI STORICI. 2.1.1 DALLE ORIGINI ALLA FINE DEL ...

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Piano Territoriale Provinciale di Catania (ex art.12 L.R.9/86)RELAZIONE GENERALE <strong>DEL</strong>LO SCHEMA DI MASSINA.CAPITOLO SECONDO.<strong>2.1.</strong> I <strong>RIFERIMENTI</strong> <strong>STORICI</strong>.<strong>2.1.</strong>1 <strong>DALLE</strong> <strong>ORIGINI</strong> <strong>ALLA</strong> <strong>FINE</strong> <strong>DEL</strong> XVIII.Le più antiche testimonianze, che hanno interesse per la storia delterritorio nella provincia di Catania, riguardano vari fossili della fauna cheabitava l’Isola quando questa si presume avesse legami fisici con ilcontinente africano. Ossa fossilizzate d’ippopotami, cervi ed altri animalisono venute alla luce dagli scavi di contrada Perriere Sottano (nel territoriodi Ramacca) e, quando avvenne di scoprire il cranio di un elefante, il granforo su cui era impiantato l’organo della proboscide fu scambiato perl’orbita di un unico occhio in mezzo alla fronte. Le dimensioni enormi delcranio e quel particolare “difetto” fisico avevano innescato nella fantasiadegli antichi il mito di presenze inquietanti che abitavano l’area etnea: iciclopi e con essi il mitico Polifemo.Anche della seconda metà del secondo millennio si hanno numerosetestimonianze, in modo speciale sulle balze rocciose delle coste di SantaFebronia e nella contrada “Montagna” di Caltagirone. Numerosissimiinsediamenti della facies di Thapsos e di Pantalica si trovano sparsi sumolte alture difese dalla natura dei luoghi. Sono i villaggi dei cosiddettisiculi: gli abitanti che i greci trovarono nella Sicilia orientale al loro arrivo,agli inizi del secondo quarto del primo millennio avanti Cristo.I principali insediamenti di tale periodo, sui cui antichi toponimi sisono avvicendate molte proposte di identificazione, si trovano sul MonteJudica, sulla Montagna di Ramacca, sul Monte San Mauro di Caltagirone,sulla montagna di Ganzaria, a Licodia Eubea, sul monte Catalfaro e nellastessa Mineo, ad Occhiolà presso Grammichele, a Paternò, a Santa Mariadi Licodia, al Mendolito di Adrano, a Tartarici di Maletto e certamente nellasicula Catana.La fondazione di Catania, secondo lo storico Tucidide, avvenne nel729 a.C. e ne fu ecista Evarco, compagno di Teocle, che cinque anniprima aveva fondato NaxosNell’arco del sesto secolo la penetrazione greca, all’interno delterritorio isolano, interessa una fascia di circa cinquanta chilometricomportando sostanziali trasformazioni nei centri abitati. Durante il quintosecolo avvengono importanti fatti che coinvolgono la provincia di Catania.L’aggressione del territorio da parte di Ippocrate di Gela; la conquista diCatania da parte del tiranno siracusano Ierone I, la sua formale“fondazione” con il cambio del nome in Aitna e la deportazione dei suoiabitanti presso la sicula Hybla.Qualche decennio dopo, la tirannide dei dinomenidi è minacciatadall’apparire sulla scena di Sicilia di un movimento antigreco guidato da unCAPITOLO SECONDO4


Piano Territoriale Provinciale di Catania (ex art.12 L.R.9/86)RELAZIONE GENERALE <strong>DEL</strong>LO SCHEMA DI MASSINA.capo carismatico di nome Ducezio, nativo di Mineo da lui stesso rifondata.La formazione della “sunteleia”, ossia della federazione armata compostadi un gruppo di abitati siculi grecizzati contro lo strapotere greco, incidenotevolmente sulla fine della tirannide ma influenza anche la formazione diuno stato democratico a Siracusa e la conseguente disfatta di Ducezio edel suo esercito siculo. Il centro di Palikè, fondato nei pressi del celebresantuario dei Palici, è la testimonianza più rilevante di tali eventi.Nel corso della guerra tra Atene e Siracusa (315-313) l’ospitalitàimposta a Catania dall’ateniese Alcibiade, compromette la città tanto dacausarne, un decennio dopo, la distruzione da parte di Dionisio il Vecchioche ne sposta gli abitanti ad Aitna-Inessa, sul versante sud-occidentaledel cono etneo. E’ lo stesso Dionisio il Vecchio che fonda, a monte dellacittà sicula (di contrada Mendolito) presso il Simeto, Adrano attorno altempio dell’omonima divinità.Alla fine della prima metà del terzo secolo a .C., durante il regno diIerone II, l’esercito romano invade con l’intera Sicilia anche la provincia diCatania. La città capoluogo, nei decenni che seguono, assurge ad uninsperato livello; il rango della popolazione romana che vi abita comportala realizzazione di case lussuose, terme pubbliche, palestre, un teatrocapiente dodicimila spettatori, un odèon per mille e cinquecento posti, ilcirco, la naumachia, un anfiteatro per diciottomila spettatori e quant’altro dicui i nobili patrizi e il popolo catanese romanizzato non sapevano fare ameno.Anche il territorio della provincia è interessato da tali nuovi equilibricon l’edificazione di ville suburbane (villa di contrada Castellito aRamacca), edifici termali (terme di Misterbianco e di Santa Venera alPozzo) ed acquedotti (principalmente quello che conduceva l’acqua daSanta Maria di Licodia sino in città). Gli interventi nel territorio sono tantoincisivi che anche le strade e la stessa divisione agraria risentono ancoradelle impostazioni romane.L’età bizantina reca, in modo capillare, aspetti contrastanti e diffusinel territorio. Da una parte si riscontra la presenza di chiese rupestri edabitazioni ricavate ampliando preistoriche camere sepolcrali arroccate neipunti più impervi (Coste di Santa Febronia, presso Palagonia), dall’altra siassiste al riuso di antiche solide fabbriche romane, come la terma diCatania detta “la Rotonda”, dove il tepidarium diventa edificio di cultocristiano, a pianta centrale con ampia cupola. Non manca la presenza dinuove costruzioni chiesastiche. Tra le più significative ricordiamo la chiesadel Salvatore, in seguito divenuto ipogeo cristiano annesso al PalazzoBonajuto a Catania; quella dell’Annunziata, presso Mascali; la cappellettaImbischi, presso Randazzo; la chiesa di Dagala del Re, presso SantaVenerina; San Nicolò presso Castiglione e la vicina chiesa di SantaDomenica, di straordinaria composizione architettonica, nota con il nomedi Cuba.I secoli di dominazione araba e il periodo successivo, normanno esvevo, portarono la città ad un migliore inserimento nella regione e nellaCAPITOLO SECONDO5


Piano Territoriale Provinciale di Catania (ex art.12 L.R.9/86)RELAZIONE GENERALE <strong>DEL</strong>LO SCHEMA DI MASSINA.provincia, in cui si verificarono grandi trasformazioni agrarie con ladiffusione, accanto alle principali colture tradizionali, di nuove piante(canna da zucchero, agrumi, gelso) grazie ad una migliore utilizzazionedelle acque per scopi irrigui. La sistemazione delle vie di comunicazionecon l’interno favorì le attività commerciali e artigianali di Catania, che nelsecolo X era la terza città della Sicilia e aveva una discreta floridezza,grazie anche agli intensi rapporti con l’Africa.Durante la dominazione normanna, Catania e il suo territorio furonoteatro di scontri con gli ultimi focolai arabi e vennero innalzate torri ecastelli a difesa del territorio (Motta, Paternò, Adrano). Il più interessantecastello lo fece costruire, in età sveva, Federico II completando così ladifesa della costa ionica iniziata con i castelli di Siracusa e Augusta. Ilcastello Ursino fu dimora di corti vicereali e teatro di lotte baronali. Nel1535 vi soggiornò Carlo V di Spagna cui si deve il miglioramento dellacinta muraria e la formazione di una nuova porta che reca il suo nome.Catania nel tardo Medio Evo visse una vita piuttosto assopita e nonebbe un ceto borghese capace di rinnovarne le tradizionali basieconomiche, perciò il suo tessuto urbano si arricchì di pochi elementidifferenziatori dovuti ad una borghesia ricca o ad un’aristocrazia laica. Néfu risparmiata dalle pestilenze, che a più riprese colpirono la Sicilia e laPenisola.Alla vigilia della spaventosa eruzione del 1669 Catania, come si puònotare da un’analisi delle stampe precedenti, presentava una piantacompatta affacciata sul mare ed era cinta da mura con due bastioniavanzati, uno verso sud in corrispondenza del castello Ursino, e uno versooriente all’estremità nord-orientale della rada.Oltre l’area entro le mura, la struttura urbana di Catania si estendevaal di fuori di esse con la presenza di significative emergenze, quali chiese,monasteri e villaggi rurali.La città contava, ai primi del secolo XVII, circa 15.000 abitanti, maquasi altrettanti ne vivevano nei numerosi casali, che punteggiavano lefalde dell’Etna, verdeggianti per estese aree boschive e per floride colture(olivo, vite, gelso, alberi da frutta), e che andavano da Misterbianco aPedara e a San Giovanni la Punta.Questa era la situazione del territorio catanese, quando fu colpito,nel 1669, dalla più imponente eruzione eccentrica dell’Etna che l’uomoricordi. La lava sgorgò ai primi di marzo abbondantissima e fluida pressoNicolosi (Monti Rossi) e invase nel giro di pochi giorni il territorio diMalpasso, Mascalucia, S. Pietro Clarenza, Camporotondo, Gravina, SanGiovanni di Galermo, sommergendo vaste aree coltivate e centri abitati,mentre nubi di materiali eruttivi provocavano abbondanti piogge di ceneri escorie.La ricostruzione settecentesca, che seguì il terremoto del 1693 delVal di Noto, fece di Catania una città ed una provincia moderne. Lafastosità barocca risalta, quasi nell’intero territorio provinciale, sia negliedifici ecclesiastici sia in quelli laici, ma l’esuberanza degli intaglidecorativi, opera di valenti maestri lapicidi, non nasconde la compiutezzaCAPITOLO SECONDO6


Piano Territoriale Provinciale di Catania (ex art.12 L.R.9/86)RELAZIONE GENERALE <strong>DEL</strong>LO SCHEMA DI MASSINA.architettonica di alcune piazze e strade e di edifici isolati all’interno deicentri abitati.Il fervore edilizio si attenuò verso la fine del secolo in relazione aglieffetti della crisi economica e politica che cominciò a travagliare l’Europa,ai provvedimenti per la soppressione di alcuni ordini religiosi (i Gesuiti nel1776) e alla confisca dei loro beni.<strong>2.1.</strong>2. Il RISVEGLIO COMMERCIALE <strong>DEL</strong>L’800.Nel nuovo ordinamento amministrativo subentrato nel 1818 i Valli diMazara, Noto e Demone furono elevati a sette e ripartiti in distretti ecircondari, ed assunsero successivamente la denominazione di province.Catania, capoluogo del Vallo, comprendeva nel 1818 i tre distretti diCatania, Caltagirone e Nicosia, ai quali nel 1838 si aggiunse quello diAcireale, Mascali-Giarre, Linguaglossa.Nella Catania del primo Ottocento, ristagno dell’agricoltura e declinodell’industria causarono una depressione per un lungo periodo di tutto ilsistema economico, ad arginare la quale fu necessaria una revisioneprioritaria dei cardini fondamentali e la creazione di infrastrutture, dalmomento che quelle esistenti erano divenute anacronistiche edinsufficienti (se non mancanti del tutto).Vero è che dei 378 km di strade, costruite nell’isola tra il 1808 ed il1824, buona parte era toccata al Val di Catania ed era servita a mettere incomunicazione alcuni piccoli comuni rurali del territorio, tra cui Viagrande,Belpasso e Gravina con il capoluogo; ma è pur vero che, ancora nel 1819,mancavano le strade esterne rotabili e che solo da quell’anno venneroiniziati i collegamenti con Acireale e con Misterbianco, e si sarebberoprogettate le strade dirette al Simeto e la litoranea Messina-Catania.Della prima metà dell’Ottocento si ha uno spaccato considerevoledello stato socio-economico della provincia della destinazione dei suoli edei limiti territoriali dato dalle risposte ad un questionario divulgato dallaDirezione Centrale di Statistica, nel 1829, istituita sotto il regno diFerdinando II di Borbone.Nel 1839 vennero completate le direttrici Catania-Palermo e Catania-Messina e nel 1848 la Catania-Siracusa, ma furono in gran partedanneggiate dalle azioni rivoluzionarie del 1848, senza che potessero,ancora, influire sul miglioramento delle relazioni commerciali interne edesterne; e si trattava di una rete che, al 1851, aveva già raggiunto circa317 km, passando subito dopo, nel decennio 1851-1860, a ben 1.356,506km, senza, tuttavia, un metro di strada ferrata.Scarsezza di capitali circolanti, mancanza di istituti creditizi edassenza di associazioni commerciali agivano in concomitanza, con lasopravvivenza di privilegi esclusivi, di privative commerciali e di doganeinterne, ad inibire lo sviluppo del settore del commercio; a Catania laCAPITOLO SECONDO7


Piano Territoriale Provinciale di Catania (ex art.12 L.R.9/86)RELAZIONE GENERALE <strong>DEL</strong>LO SCHEMA DI MASSINA.situazione si presentava ancor più grave per la mancanza di un adeguatoporto artificiale, la cui costruzione, decisa nel 1829, si procrastinavaancora nel 1841, fra discussioni circa le modalità d’appalto dell’opera.Non v’è dubbio che, superati gli anni più difficili della sua vitaeconomica, compresi nel primo quarto del secolo, Catania cominciasse adevolvere per spirito d’iniziativa e volontà di ripresa, rispetto alle consorellePalermo e Messina, anche per effetto della riforma doganale del 1824.In tutto il Regno delle Due Sicilie le nuove tariffe doganali, benchénon prive di difetti, stabilendo la libera esportazione dei prodotti indigeni elasciando il dazio sulle merci necessarie alle industrie interne,contribuirono ad eliminare molti degli ostacoli che si frapponevano alrisveglio del commercio estero.Alla ripresa contribuirono pure i vari trattati commerciali nel tempostipulati dal governo centrale con le maggiori potenze europee sulprincipio della reciprocità, che orientarono il protezionismo verso unliberismo moderato, in modo da incrementare la navigazione e gli scambicon l’estero. Di conseguenza, il commercio estero del catanese cominciòad aumentare, sia per il volume sia per il valore dei beni.Nel 1839, Catania figurava in testa fra tutti i comuni della provincia,come centro della più intensa attività commerciale, seguita a distanza daCaltagirone, Giarre, Acireale.Altri segni di rilievo del suddetto risveglio commerciale interno erano,inoltre, le autorizzazioni di fiere periodiche a Trecastagni nel 1839, aMilitello nel 1845, le quali si aggiungevano alle altre esistenti sin dal bassomedioevo a Catania, Caltagirone, Lentini, Nicosia, Randazzo.<strong>2.1.</strong>3. LE PREMESSE ALLO SLANCIO POST-UNITARIO.Quando in un’economia prevalentemente agricola i profitti delcapitale terriero sono entrati in regresso persistente, e con essi i valoridelle mercedi che ne derivano, non resta, almeno per le categorie socialiinferiori, che adattarsi ad una sola, triste, realtà: la miseria. Bassaremunerabilità del capitale e del lavoro danno l’idea del quadro della vitaeconomica siciliana durante la prima metà del secolo XIX.Ci si potrebbe chiedere a questo punto come mai una città operosacome Catania, il cui slancio espresso all’alba dell’unificazione nazionalenon a torto è stato assimilato a quello di Milano, dovesse di continuoessere alle prese con un’economia che aveva del prodigioso, ma chemetteva spesso in forse la sua esistenza. La spiegazione ci è data dallanatura stessa dello sviluppo al quale contribuirono sia la popolazioneprevalentemente rurale della provincia, sia quella industriale urbana, e conun ritmo che fu più intenso e più veloce rispetto agli altri due centri,Palermo e Messina, presso i quali non si manifestò uno spiritod’intraprendenza altrettanto spiccato. Le quali intensità e velocità di ritmoequivalsero, pertanto, ad incremento accelerato anche dal marcato eCAPITOLO SECONDO8


Piano Territoriale Provinciale di Catania (ex art.12 L.R.9/86)RELAZIONE GENERALE <strong>DEL</strong>LO SCHEMA DI MASSINA.costante aumento della popolazione. E ci sembra, appunto, che vadaricercato proprio in questo intenso incremento demografico il motivo difondo dello squilibrio del sistema economico, non essendo stata sempre ingrado, la produzione, di adeguarsi ad esso, soprattutto quando era inibitada avversioni naturali. La popolazione dell’area catanese, tra il 1798 ed il1855, crebbe nella misura percentuale del 41,12% passando da 289.501 a408.529 abitanti, e quella di Catania capoluogo da 40.724 a 62.935, conun aumento del 54,54% rispetto al 1798, di contro la produzione granariadi tutta la provincia, durante il periodo 1840-1855 denota stazionarietà, traalti e bassi dovuti in genere ad influenze climatiche.CAPITOLO SECONDO9

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