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IL LABIRINTO - tavola di smeraldo

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Nuova Serie. Numero 12 Dicembre 2011<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong>Reg. Tribunale <strong>di</strong> Torino n.50 del 09/10/2009PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE CULTURALERIVISTA UFFICIALE DEL:In evidenza in questo numero:22 MARZO 1312:FINE DELL’ORDINETEMPLARE<strong>di</strong> Sandy FurliniPRINCIPIO E FINEDELLA MORTE<strong>di</strong> Federico BottigliengoANTROPOLOGIADEL LUTTO<strong>di</strong> Andrea Roanazzi


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSOMMARIOE<strong>di</strong>toriale pag 222 marzo 1312: fine dell’or<strong>di</strong>ne Templare pag 3Sovereto e il mistico omphalos (Pt.1) pag 4Principio e fine della morte pag 7S’accabadora (Pt.2) pag 10Sedazione palliativa (Pt.2) pag 13Testimonianze dalle piazze pag 15La sedazione nell’orizzonte cattolico pag 18Antropologia del lutto pag 19Saluto delle autorita’ pag 21Rubriche-Allietare la mente: poesie e recensioni pag 23- Conferenze ed Eventi pag 25Perio<strong>di</strong>co BimestraleNuova Serie – Numero 12 Anno II - Dicembre 2011RedazioneVia Maiole 5/A 10040, Leinì (TO)E<strong>di</strong>toreCircolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSede Legale: Via Carlo Alberto n°37, 10088 Volpiano (TO)Direttore E<strong>di</strong>torialeSandy FurliniDirettore ResponsabileRossella CarluccioDirettore ScientificoFederico BottigliengoComitato E<strong>di</strong>torialeFederico Bottigliergo, Paolo Galiano, Katia SomàImpaginazione e Progetto GraficoSandy FurliniFoto <strong>di</strong> CopertinaCimitero <strong>di</strong> Villach (Austria) - Katia Somà 2009Section e<strong>di</strong>torsAntico Egitto: Federico BottigliengoStregoneria in Piemonte: Massimo CentiniStoria dell’Impero Bizantino: Walter HaberstumpfArcheologia a Torino e <strong>di</strong>ntorni: Fabrizio DiciottiFruttuaria: Marco NotarioAntropologia ed Etnome<strong>di</strong>cina: Antonio GuerciPsicologia e psicoterapia: Marilia Boggio MarzetEDITORIALEUn numero molto ricco uscito con imperdonabileritardo….Nella viva speranza <strong>di</strong> essere perdonati dai nostrilettori, offriamo per questa nostra ultima uscita del 2011 unpalinsesto de<strong>di</strong>cato in modo particolare ai temi affrontatidurante l’ultimo grande sforzo della Tavola <strong>di</strong> Smeraldo: ilConvegno “Riflessioni su… la fine della vita”. E, per questoe<strong>di</strong>toriale, voglio spendere due parole sul percorso affrontato,sulle esperienze vissute, le sensazioni preziose che ci siamoportati a casa e… nel cuore.29 e 30 Ottobre 2011 a Volpiano si è svolto il SecondoMemorial de<strong>di</strong>cato ad Enrico Furlini, Me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Famiglia edAmministratore Comunale in Volpiano per 26 anni, venutoimprovvisamente a mancare il 1 Dicembre del 2008. A Luisono stati de<strong>di</strong>cati i due giorni <strong>di</strong> Convegno e le attività <strong>di</strong>riflessione portate in 7 sale per due mesi. Infatti a partire daiprimi <strong>di</strong> Settembre 2011, 7 appuntamenti si sono susseguiti in7 Comuni della Provincia <strong>di</strong> Torino arricchendo la <strong>di</strong>scussionesull’assistenza ai malati alla fine della vita grazie al contributo<strong>di</strong> professionisti, me<strong>di</strong>ci ed infermieri impegnati in questo<strong>di</strong>fficile compito, vivere con i malati e le famiglie la morte inprima persona. Associazioni, amministratori e citta<strong>di</strong>ni,insieme hanno con<strong>di</strong>viso momenti <strong>di</strong> grande emozionegettando le basi per un cammino che possa permettere al<strong>di</strong>alogo sulla morte <strong>di</strong> proseguire, al fine <strong>di</strong> giungere alla tantodesiderata meta, quella della serenità e della fine della paura.Il convegno ha visto circa 200 partecipanti alternarsi nelle duegiornate <strong>di</strong> lavori molto intense. Uno straor<strong>di</strong>nario spettacoloteatrale, portato in scena dalla Scuola Me<strong>di</strong>a Statale “DanteAlighieri” <strong>di</strong> Volpiano (TO), ha aperto il tema nella sede delconvegno lasciando a bocca aperta una sala gremita <strong>di</strong>giovani: anche per loro ci sono state riflessioni importanti maquesta è tutta un’altra storia… (Sandy Furlini)Registrazione Tribunale <strong>di</strong> Torino n°50 del 09/10/2009Tutti i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> proprietà sono riservati a: Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> Smeraldo nella figura del suoLegale RappresentanteLa Rivista “<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong>” viene pubblicata al sito web www.<strong>tavola</strong><strong>di</strong><strong>smeraldo</strong>.it, visionabile escaricabile gratuitamente. L’eventuale stampa avviene in proprio e con <strong>di</strong>stribuzione gratuita fino anuova deliberazione del Comitato E<strong>di</strong>toriale.La riproduzione anche parziale degli articoli o immagini è espressamente riservata salvo <strong>di</strong>versein<strong>di</strong>cazioni dell’autore (legge 22 Aprile 1941 n.633)Ogni autore è responsabile delle proprie affermazioniLe immagini sono tutte <strong>di</strong> Katia Somà. Per quelle specificate, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degliaventi <strong>di</strong>ritto.Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSede Legale: Via Carlo Alberto n°37 10088 Volpiano (TO)C.F.= 95017150012Reg. Uff Entrate <strong>di</strong> Rivarolo C.se (TO) il 09-02-2009Atto n° 211 vol.3ATel. 335-6111237 / 333-5478080http://www.<strong>tavola</strong><strong>di</strong><strong>smeraldo</strong>.itmail: <strong>tavola</strong><strong>di</strong><strong>smeraldo</strong>@msn.comAssociazione culturale iscrita all‘albo delle Associazioni del Comune <strong>di</strong> Volpiano (TO).Art. 3 Statuto Associativo:L’Associazione persegue lo scopo <strong>di</strong> organizzare ricerche culturali storiche, filosofiche, etiche ed antropologiche destinate alla crescita intellettuale dei propri soci edella collettività cui l’Associazione si rivolge.Stu<strong>di</strong>a in particolar modo la storia e la cultura Me<strong>di</strong>evale.Con la sua attività, promuove l'interesse e la conoscenza dei beni culturali ed ambientali del territorio.Collabora con Associazioni culturali nell’intento <strong>di</strong> rafforzare il recupero delle nostre ra<strong>di</strong>ci storiche in un’ottica <strong>di</strong> miglioramento del benessere collettivo. Particolareè l’impegno riguardo agli stu<strong>di</strong> etici, filosofico/antropologici nonché simbolici che possono essere <strong>di</strong> aiuto nel perseguimento degli obiettivi statutari.Pag.2


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> Smeraldo22 MARZO 1312: FINE DELL’ORDINE TEMPLARE(a cura <strong>di</strong> Sandy Furlini)“...con amarezza e dolore, non con sentenza giu<strong>di</strong>ziaria, ma con provve<strong>di</strong>mento od or<strong>di</strong>nanza apostolica, noi, con ilconsenso del santo concilio, sopprimiamo con norma irreformabile e perpetua l'or<strong>di</strong>ne dei templari, la sua regola, il suoabito e il suo nome, e lo assoggettiamo a <strong>di</strong>vieto perpetuo, vietando severamente a chiunque <strong>di</strong> entrare in tale or<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong>riceverne e portarne l'abito e <strong>di</strong> presentarsi come templare. Se poi qualcuno facesse il contrario, incorra ipso facto nellasentenza <strong>di</strong> scomunica...”.Con queste parole lapidarie Papa Clemente V attraverso la famosa Bolla “Vox in excelso” del 22 Marzo 1312 decretava lafine dell’Or<strong>di</strong>ne Templare, il più famoso, <strong>di</strong>scusso e affascinante or<strong>di</strong>ne cavalleresco me<strong>di</strong>evale. Tutt’ora fioriscono eventi,conferenze, gruppi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e circoli <strong>di</strong> ispirazione templare, ognuno <strong>di</strong>chiarando la propria “vera” <strong>di</strong>scendenza e/o <strong>di</strong>rettacontinuità. Su internet i temi templari sbocciano come funghi dopo una umida serata <strong>di</strong> Settembre e proprio nel momento incui sto scrivendo queste righe e voi le state leggendo, qualcuno in Italia e qualcun altro in qualche parte sperduta del globoterrestre sta celebrando un qualche rito <strong>di</strong> dubbia ispirazione templare spacciandolo per un recupero filologico <strong>di</strong> testimisteriosi riguardanti il Gran Maestro Jaques De Molay.E non a caso ho riportato questa traduzione della succitata bolla poiché sono proprio queste righe che hanno suscitato edeterminato varie interpretazioni, al punto da permettere a qualcuno <strong>di</strong> insinuare il dubbio anche sullo scioglimento stessodell’or<strong>di</strong>ne.Baldovino II, re <strong>di</strong> Gerusalemme, cede lasede del Tempio <strong>di</strong> Salomone a Ugo dePayns e Goffredo <strong>di</strong> Saint-Homer(miniatura da «Histoire d’Outre-Mer» <strong>di</strong>Guglielmo <strong>di</strong> Tiro)“...non per modum definitivae sententiae...” è la frase dellaVox in Excelso che ha determinato la nascita del falsostorico. Infatti da taluni è stata tradotta come “...non consentenza definitiva...” invece che “...non con sentenzagiu<strong>di</strong>ziaria...”. Non con sentenza definitiva, comporterebbequin<strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> sospensione dell’or<strong>di</strong>ne in luogo dellasoppressione. Ma ahimè anche in questo caso non si ètenuto conto che il Papa, vicario <strong>di</strong> Cristo in terra e <strong>di</strong>rettosuperiore del Gran Maestro Templare, se avesserealmente voluto sospendere l’or<strong>di</strong>ne, avrebbe anche,forse, in futuro potuto riabilitarlo, cosa che a quanto cirisulti ancora non è stato fatto. Ed è qui che sottolineo lanostra posizione: allo stato attuale dei fatti, secondoquanto sappiamo, non esiste alcun provve<strong>di</strong>mento dellaSanta Sede che possa far pensare ad una legittimaprosecuzione dell’Or<strong>di</strong>ne Templare ma siamo aperti aqualsiasi notizia che possa smentirci e, a <strong>di</strong>rla tutta, nesaremo anche felici… In quanto sostenitori del vero storicoe non dell’interpretazione soggettiva e capziosa, riteniamoimportante sottolineare questi punti chiave della storia deiTemplari poiché tale tema costituirà un importantemomento <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione per tutto il 2012, anno in cuiricorrono i 700 anni dalla soppressione dell’Or<strong>di</strong>ne.Generalmente si tende a non ricordare gli eventi storicinegativi ed in questo caso cosa potrà esserci <strong>di</strong> piùnefasto che la fine stessa del mito templare?Mi sembra un po’ come ricordare la battaglia <strong>di</strong>Teotoburgo del 9 d.C. Credo che per il 99,9% degliItaliani questo evento accaduto oltre Duemila anni fa nonvoglia <strong>di</strong>re molto. Nel 2009 nessuno ne parlò se non unarticolo della rivista “Storica” del National Geografic che ,nel numero 7 <strong>di</strong> Settembre 2009, de<strong>di</strong>cò un articolo alla“Sconfitta storica che fermò Roma”. Quasi una festanazionale per la Germania, nulla o poco più per gli ere<strong>di</strong>del grande impero. Ora, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>vagazione,nel 2012 de<strong>di</strong>cheremo un intera sezione del <strong>LABIRINTO</strong>alla storia della nascita dell’Or<strong>di</strong>ne Templare, grazie alprezioso contributo del Dr. Paolo Cavalla che ha redattoun interessante lavoro <strong>di</strong> ricerca sulla storia della PrimaCrociata, il primum movens da cui scaturì il nostroobiettivo: i Templari.Il percorso che seguiremo sarà pertanto dettato dalleseguenti tappe:-Stu<strong>di</strong>o del fronte islamico-Stu<strong>di</strong>o del fronte crociato-La fondazione dei Regni Latini d’Oriente-La nascita dell’Or<strong>di</strong>ne del Tempio-La fine dei TemplariPag.3


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSOVERETO E <strong>IL</strong> MISTICO OMPHALOSPuglia Templare: Un viaggio tra cavalieri teutonici,enigmatiche scritte e antiche energie – 1° parte(a cura <strong>di</strong> Andrea Romanazzi)Quando si pensa alla Puglia si ha l’immagine del “paese delSole”, spiagge e bellezze naturali, in realtà moltissimi sono imisteri che circondano la regione tanto da poterla quasidefinire il “paese della luna”, visione non tanto fantastica sepensiamo che il primo romanzo gotico, scritto da HoraceWalpole, “il Castello d’Otranto”, non è ambientato tra le brumedella Scozia, ma sulla soleggiata costa pugliese. La Regione<strong>di</strong>venta così punto <strong>di</strong> partenza per gli or<strong>di</strong>ni cavallereschi che,dai porti pugliesi viaggiavano verso Oriente. Questo scrittovorrebbe essere un virtuale viaggio tra il Bianco e il Nero…ADHONOREM. DEI ET VIRGINIS MARIE.A pochi chilometri dal comune <strong>di</strong> Terlizzi, in provincia <strong>di</strong> Bari, èsito uno dei più affascinanti e misteriosi luoghi <strong>di</strong> Puglia,crocevia per i pellegrini in transito lungo l’antica via Appiaverso la Terrasanta e da sempre “centrum” <strong>di</strong> anticheconoscenze e scrigno <strong>di</strong> antichi segreti templari. Sarà così pergiungere al cospetto della Vergine dal volto scuro, “nigra sumsed formosa”, che dovremo addentrarci tra antichi cultipreistorici e megalitici, misteriosi simboli <strong>di</strong> arcane religioni eaffreschi templari, tracce in<strong>di</strong>ssolubili <strong>di</strong> un passato che ancorariecheggia tra le mura della bellissima chiesa <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong>Sovereto.Fin dal periodo protostorico il sito doveva essere ritenuto un“Omphalos”, un luogo ove, con una accezione simileall’Etemenanki biblica, il “<strong>di</strong>vino” si unisce con il “terrestre” edove non c’è confusione <strong>di</strong> lingue. Il concetto <strong>di</strong> centro sacro lotroviamo in moltissime tra<strong>di</strong>zioni che tagliano trasversalmentel’intera Europa, dall’Italia alla Grecia, dalla Bretagna allaScan<strong>di</strong>navia. E’ l’idea <strong>di</strong> una proiezione in terra <strong>di</strong> un centroceleste, il “loco” ove <strong>di</strong>morano gli dei. In Omero, per esempio,l’isola <strong>di</strong> Ogigia è detta l’ombelico del mare, è solo in questoluogo ove umano e <strong>di</strong>vino posson <strong>di</strong>alogare che Ulisse incontrauna dea, Calipso, l’elemento femminile, che lo rigenera, lorinsavisce e finchè vi rimarrà potrà esser immortale. Dasempre il primitivo ha così cercato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care ai suoi similiquesti mistici luoghi <strong>di</strong> culto, questi “centri sacri” con Betili emenhir, tra<strong>di</strong>zione che già ritroviamo nella Bibbia ove si narra<strong>di</strong> Giacobbe che, durante il suo viaggio “essendo giunto in uncerto luogo, e volendo riposarsi dopo il tramonto del sole,prese una delle pietre che stavano per terra e, ponendola sottola testa, dormì in quello stesso luogo. E vide in sogno unascala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungevail cielo, e vide anche alcuni angeli che vi salivano e viscendevano. E in cima alla scala vi era il Signore, che gli<strong>di</strong>ceva :” io sono il Signore, il <strong>di</strong>o <strong>di</strong> Abramo, tuo padre, e il <strong>di</strong>o<strong>di</strong> Isacco. La terra sulla quale ti sei coricato la darò a te e allatua <strong>di</strong>scendenza”. Alla mattina, svegliatosi dal sonno eintendendo il potere della pietra che si era posto comeguanciale, Giacobbe la alzò, la piantò sulla terra a mò <strong>di</strong> stelee sparse dell’olio sulla sua sommità e pronunciò questeparole:” Questa pietra, che ho innalzato come tempio, saràchiamata casa <strong>di</strong> Dio”: Bethel. E’ così seguendo questo misticifilo d’Arianna che appro<strong>di</strong>amo all’Ogigia pugliese, il misticoomphalos <strong>di</strong> Sovereto.Etimologicamente per <strong>di</strong>versi stu<strong>di</strong>osi il suo nomesembrerebbe provenire da “Suberitum” e cioè dasuber, sughero, ma intrigante è l’idea <strong>di</strong> unaderivazione <strong>di</strong>versa, forse da “sovra ereto” o meglio“eretto sopra”, che fa pensare ad un qualcosa <strong>di</strong>importante sotto la contrada e che ci riporta nelgrembo ctonio della madre terra.Del resto già nelle campagne limitrofe troviamo i segni<strong>di</strong> antichi rituali le cui pietre sono rimaste uniche esilenti testimoni, ed ecco così che nel vicino Boscodelle vergini sono presenti ben quattro menhir allineati,un piccolo leys sicuramente molto più fitto in passato,ma che pian piano l’ignoranza popolare ha <strong>di</strong>strutto.Il Mistico OmphalosL’idea <strong>di</strong> “Centralità” del loco è ben espressa da unsimbolo “Fuori dal Tempo” che va dal periodoprotostorico a quello Rinascimentale e che ritroviamonella Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria e conosciuto con iltermine “TRIPLICE CINTA”. Questo <strong>di</strong>segno cheritroviamo in moltissimi luoghi sacri è rappresentato datre quadrati concentrici e da dei segmenti cheuniscono i punti me<strong>di</strong>ani dei lati e quasi stante a<strong>di</strong>n<strong>di</strong>care all’incauto viaggiatore la “centralità” e lasacralità del loco. Nella Bibbia in<strong>di</strong>ca il cortile con latriplice cerchia <strong>di</strong> mura del Tempio <strong>di</strong> Salomone, maanche la Gerusalemme Celeste e quella Terrestre, inuna idea <strong>di</strong> “coniunctio” tra mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi che troviamoall’interno della chiesa stessa, ove, proprio vicino allacripta, è rappresentato l’albero cosmico, il tramite tracielo, i rami, e terra, le ra<strong>di</strong>ci. Ed ecco la primaparticolarità, infatti questo strano simbolo è spessopresente in chiese attribuite o comunque collegate aiTemplari come quella <strong>di</strong> Priverno de<strong>di</strong>cata alla Verginee a S. Stefano iniziata nel 1187 o la chiesa goticocistercense<strong>di</strong> Alatri (FR) ove sulle gra<strong>di</strong>nate èraffigurato il nostro simbolo non lontano da una crocepatente Templare. Forse però il caso più interessanteè quello della antica chiesa <strong>di</strong> Maria in Monte D’Elio inCapitanata ove, opposta ad un affresco raffigurantedei cavalieri crociati nell’atto <strong>di</strong> partire per laTerrasanta troviamo il nostro enigmatico simbolo. Lascoperta ha portato alla luce un vero e proprio“percorso templare” che interessava 7 chiese daLucera a Monte Sant’Angelo in ognuna delle quali èstata ritrovata una rappresentazione della TRIPLICECINTA.Lastra sepolcrale. Foto <strong>di</strong> A. RomanazziPag.4


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoLa Santa Maria <strong>di</strong> Sovereto e gli Or<strong>di</strong>ni CavallereschiTornando alla nostra Chiesa la leggenda vuole che nell’anno1000 un conta<strong>di</strong>no, alla ricerca <strong>di</strong> una sua pecora scomparsa dalgregge, trovasse, in una grotta, una icona della madonna e unalampada accesa. Nacquè così, il culto <strong>di</strong> S. Maria <strong>di</strong> Sovereto. Seesaminiamo attentamente la leggenda essa nasconde echi <strong>di</strong>antichi culti pagani che riecheggiano nella mistica grotta dasempre il primo luogo <strong>di</strong> culto dell’uomo. Così magari l’anticaraffigurazione <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità pagana, madre e vergine, sitrasformerà, con l’avvento della religione Cristiana nella Madonnadal volto scuro, la Bruna Virgo <strong>di</strong> Sovereto, l’”eretto sopra” ilventre della sacra dea oggi magari identificabile con lo stessoipogeo presente al <strong>di</strong> sotto la grata presente nella chiesa.Schema della “Triplice cinta” e immagine presente nella Chiesa <strong>di</strong> Sovereto.Foto <strong>di</strong> A. RomanazziDa sempre il sito, ricco <strong>di</strong> fascino e mistero ha attratto pellegrinie cavalieri me<strong>di</strong>evali, richiamati anche dai taumaturgici poteri,<strong>di</strong>ventando così importante crocevia <strong>di</strong> quel “movimento” <strong>di</strong>pellegrini e guerrieri che oggi definiremmo crociata, termineanacronistico già che si iniziò ad usare solo verso il 200-300, eche in realtà veniva comunemente definito con “iter”, “auxilium”,“succursum” o infine “passagium”. Verso la fine del 1100 il sitoera <strong>di</strong>ventato talmente importante da far realizzare ben duecomunità conventuali, quella delle monache <strong>di</strong> San Marco e deiCavalieri Ospedalieri <strong>di</strong> San Giovanni. “…Divulgatasi la fama <strong>di</strong>questo santuario tutti coloro che andavano a Gerusalemmetransitando per la via Appia, vicinissima al nostro santuario nonmancavano <strong>di</strong> entrarvi…così si credè necessario <strong>di</strong> fondarsi inquel luogo e precisamente accanto al santuario un Ospedale…equin<strong>di</strong> per tale istituzione furono chiamati i cavalieri…per taleparticolare ufficio nel 1199…resta ben <strong>di</strong>mostrato e fermo che icavalieri <strong>di</strong> Soverito appartenevano all’or<strong>di</strong>ne Gerosolimitano…e si e<strong>di</strong>ficò <strong>di</strong>viso a forma <strong>di</strong> due monasteri, in uno dei quali vierano i frati che asistevano gli uomini e nell’altro le VerginiReligiose per assistenza alle femmine…” (P. De Giacò, IlSantuario <strong>di</strong> Sovereto a Terlizzi Bari 1872).Santuario <strong>di</strong> Sovereto Terlizzi Bari - Foto <strong>di</strong> A. RomanazziIn realtà però molte sono le tracce e gli in<strong>di</strong>zicelati nella chiesa che ci farebbero pensare adun inse<strong>di</strong>amento dei Cavalieri del Tempio,meglio noti come Templari sempre presenti neiluoghi <strong>di</strong> culto mariani e in particolare dellevergini brune. Sarà questa idea che ci guideràalla ricerca degli in<strong>di</strong>zi celati all’ombra delBianco Mantello crociato. Per cercare <strong>di</strong>comprendere se il Santuario fosse davverolegato all’Or<strong>di</strong>ne del Tempio cercheremo <strong>di</strong>seguire i vari in<strong>di</strong>zi che il tempo non è riuscito acancellare. La presenza templare nella zonanon è fuori luogo, sappiamo che l’Or<strong>di</strong>nepossiedeva delle proprietà terriere in agro <strong>di</strong>Molfetta, a Ruvo non si conosce il nome dellaPrecettoria ma è certo che esistesse una casatemplare “que est in Rubo”, mentre aGiovinazzo si conosce l’esistenza della Chiesa<strong>di</strong> San Pietro con ospedale annesso, unagrancia in “loco piczani” e proprietà terriere.Sarà il nome <strong>di</strong> questa località che ci porterà anuove e sconcertanti intuizioni. E’ poi certo chei Templari possedessero già nella zona <strong>di</strong>Terlizzi l’oramai scomparsa <strong>di</strong> Santa Maria delMuro come testimoniato da un documentodatato 18 Febbraio 1279 ove il precettore delTempio <strong>di</strong> Puglia, Viviano, cita appuntol’inse<strong>di</strong>amento.Santuario <strong>di</strong> Sovereto a Terlizzi Bari Foto <strong>di</strong> A. RomanazziPag.5


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoAlla Cerca delle Tracce del TempioE’ così che con mistico silenzio entriamo nel sacro luogo allacerca <strong>di</strong> segni e basta alzare lo sguardo nella corte che unacroce “patente” spunta sotto l’intonaco dell’antistanteospedale eretto dai cavalieri <strong>di</strong> San Giovanni. Guardandonell’acquasantiera ecco celarsi, <strong>di</strong>etro lo stemma del casatocome una strana croce a coda <strong>di</strong> ron<strong>di</strong>ne, immagine cheritroviamo anche sul blasone all’interno della chiesa e chesembra cercare <strong>di</strong> celare l’antico passato del sito senza peròcancellarlo. Come vedremo nel proseguo sarà questa unainteressante “usanza” che ritroveremo anche in altre chiesedei Templari come nella Mater Domini <strong>di</strong> Matera. NelSantuario sono poi presenti tre lastre tombali conrappresentati cavalieri anch’essi con insegne sul mantelloche ricorderebbero le simbologie del Tempio.Interno, Santuario <strong>di</strong> Sovereto a Terlizzi Bari Foto <strong>di</strong> A. RomanazziIcona della Vergine <strong>di</strong> Sovereto. Foto <strong>di</strong> A. RomanazziLa nostra attenzione si sofferma sulla lastra sepolcrale<strong>di</strong> destra. A <strong>di</strong>fferenza delle altre due presenti e legatead altri or<strong>di</strong>ni cavallereschi, colpisce il particolare dellebraccia poste in posizione crociata, la “X” del Xristos(da X in greco Chi) il nome del Messia da semprevenerato dai cavalieri “Non nobis, Domine, non nobissed Nomini Tuo ad gloriam”. Era così usanza deiTemplari farsi deporre con le braccia o le gambeincrociate a forma <strong>di</strong> “X”, idea che ricorda la morte eche è ancora utilizzata nelle rappresentazioni dellastessa dall’incrocio delle due tibie. In particolare larappresentazione presente sulla lastra può suggerireanche altre in<strong>di</strong>cazioni su colui che sarebbe statosepolto. Infatti l’incrocio degli “arti bene<strong>di</strong>centi” eratipico dei <strong>di</strong>gnitari ecclesiastici e non dei cavalieri cheavevano <strong>di</strong> contro incrociate le gambe, parte piùimportante per il guerriero, idea che potrebbe essereavvalorata anche della mancanza dellarappresentazione <strong>di</strong> armi bianche, spade o pugnali,sulla tomba. In realtà la bellissima chiesa è gelososcrigno <strong>di</strong> meravigliose scoperte, parafrasando Dantepotremmo ben <strong>di</strong>re“…aguzza qui,lettor,ben li occhi Alvero, che ‘l velo e’ ora ben tanto sottile, certo che ‘ltrapassar dentro e’ leggiero…” (Purgatorio, VIII, 19-21). E’ così che celati dal velo <strong>di</strong> intonaco gettatoproprio per nasconderli o proteggerli ecco che, il ventodella reminiscenza fa <strong>di</strong>sparire antichi affreschi<strong>di</strong>menticati nell’ombra <strong>di</strong> quello sfortunato Venerdì 13Ottobre 1307 [Data della Messa al Bando dei TemplariN.d.A.]Diffidano <strong>di</strong> ogni eccesso in viveri e in abiti, nondesiderano che il necessario e per essere più vicini allaperfezione evangelica vivono tutti…senza alcun beneproprio… ”. La concezione dualistica si basava su unconcetto dell’eterna eterna lotta tra il bene e il male,Michael contro Beliat, l’Arcangelo simbolo della lotta per lafede e dunque degli stessi cavalieri che si sentivanorappresentati dal combattente celeste e al qualede<strong>di</strong>carono molte delle loro costruzioni. E’ questo dualismoche spiega il significato del boucèant, il “bicolore”, ilfamoso gonfalone dell’Or<strong>di</strong>ne, bianco e nero come lapurezza e la forza e che non doveva mai cadere inbattaglia, o il simbolismo dei due pesci, presente in moltechiese del Tempio o ancora nella duplicità cromaticadell’abito degli stessi, bianco per i cavalieri e nero per isergenti. Saranno poi anche questi “segni” simboli dellagnosi templare che porteranno poi alle accuse <strong>di</strong> eresiadell’Or<strong>di</strong>ne. Ecco così che queste concezioni ritornanonegli affreschi <strong>di</strong> Sovereto, la scacchiera, il simbolo delpositivo e negativo, del bianco e del nero, del bene e delmale, della guerra e della preghiera, dell’intelletto e delladevozione. Questa simbologia doveva avere un caratterefortemente sacrale tanto che ai cavalieri del Tempio eraproibito <strong>di</strong>lettarsi al gioco degli scacchi, quasi fosse una“profanazione” <strong>di</strong> un qualcosa <strong>di</strong> molto più profondo <strong>di</strong> unsemplice gioco.Stesso significato riappare nella scala, simbolo dell’eternocollegamento tra il mondo terrestre e quello celeste comenel sogno <strong>di</strong> Giacobbe, ma anche questa dal “duplice piolo”del bene e del male come le vie che portano oallontanano dal Signore. Tale significato è evidente nelsimbolismo biblico della Scala <strong>di</strong> Giacobbe, lungo la qualegli angeli salgono e scendono. La scala <strong>di</strong> Giacobbe erasimbolo ampiamente utilizzato della vita contemplativa,parte integrante, ad esempio, della spiritualità benedettina,ed esplicitamente citata nella Regola "Fratelli miei, sevogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà earrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cuisi ascende attraverso l'umiliazione della vita presente,bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo lascala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la qualequesti vide scendere e salire gli angeli. Non c'è dubbio cheper noi quella <strong>di</strong>scesa e quella salita possono essereinterpretate solo nel senso che con la superbia si scende econ l'umiltà si sale."(CONTINUA)Pag.6


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoPRINCIPIO E FINE DELLA MORTEIl corpo del defunto(a cura <strong>di</strong> Federico Bottigliengo)La morte viene sempre interpretata in un luogo e in un tempoprecisi, riflettendosi nelle manifestazioni culturali dei vari gruppisociali. Nello specifico habitus egizio essa fu considerata unanecessaria con<strong>di</strong>zione tramite la quale poter raggiungere la“vera” vita, quella eterna: in un percorso evolutivo coinvolgentenon soltanto il corpo, ma anche tutte quelle parti extra-corporee(il ba, il ka, l’ombra e il nome) che rendevano l’in<strong>di</strong>viduo un’unitàfunzionale, il defunto l’avrebbe sconfitta definitivamente in unal<strong>di</strong>là promesso, trasfigurandosi in akh, un essere luminoso <strong>di</strong>con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>vina. La morte, al momento del suo arrivo,sconvolge brutalmente il gruppo sociale poiché lascia al suopassaggio un cadavere umiliante e immondo. L’uomo egizianosi trovava quin<strong>di</strong> nella necessità <strong>di</strong> manipolare il corpo deldefunto, con lo scopo <strong>di</strong> superare la crescente emozione,riempire il vuoto che si era formato e compensare ciò che eravenuto a mutare nell’or<strong>di</strong>ne sociale collettivo: era dunquenecessario intraprendere azioni atte a impe<strong>di</strong>re che il defunto<strong>di</strong>venisse un’ulteriore fonte <strong>di</strong> <strong>di</strong>spiacere, in quanto avrebbepotuto a<strong>di</strong>rarsi qualora non fosse stato trattato in manieraconveniente, oppure, ancor peggio, perdere per semprel’integrità fisica, trovandosi in una pericolosa con<strong>di</strong>zione.Testa <strong>di</strong> IsidoraIn altre parole, bisognava stabilizzare il <strong>di</strong>venire del cadaverenella cornice rituale dell’imbalsamazione.Ora, il periodo che intercorre tra il trapasso e la sepoltura erail momento più pericoloso, il tempo nel quale la definitiva<strong>di</strong>struzione poteva manifestarsi in tutto l’orrore del<strong>di</strong>sfacimento corporeo: ed ecco che il cadavere sidecomporrà, le sue ossa tutte si <strong>di</strong>sgregheranno, o voi<strong>di</strong>struttori dei cadaveri che rammollite le ossa, che cambiatele ossa in un liquame impuro; il cadavere puzza, sidecompone, si trasforma in vermi innumerevoli, tutto quanto;Libro dei Morti, capitolo CLIV].Per questo motivo, l’in<strong>di</strong>viduo defunto non poteva stare acontatto con i parenti e il suo posto nel gruppo socialerisultava vacante. Il <strong>di</strong>minuire o il dominare tale periodo sirivelava, in un certo qual modo, lo scopo primario del ritualefunebre. L’imbalsamazione stessa era legata a tale obiettivo:gli imbalsamatori, trattando il cadavere, salvaguardavano ilmorto dal non percepibile processo <strong>di</strong> transizione,assicurando al gruppo sociale la benevolenza del deceduto eimpedendo un’evoluzione incontrollata e ripugnante dellostesso.Maketaton (ricostruzione)Al culmine del trattamento il cadavere, un tempocontaminato e contaminante per la collettività, sarebbestato finalmente pronto, definitivamente mondato daogni corruzione e, con il risveglio <strong>di</strong> tutti gli organi <strong>di</strong>senso per mezzo <strong>di</strong> precise formule magiche,trasformato in un autentico nuovo corpo, perdurantenell’eternità.Con la sepoltura il pericoloso periodo <strong>di</strong> transizioneterminava e l’or<strong>di</strong>ne sociale era ripristinato.Il cadavere (khat), trovandosi nella transitorietà <strong>di</strong> unaforma non ancora stabile e definitiva e, soprattutto,impura e contaminante, non poteva rappresentare ilmorto.Gli antichi Egizi, nelle pochissime raffigurazioni sui primilavori dell’imbalsamazione o nelle scene <strong>di</strong> purificazionedel corpo, mostrano il defunto nell’aspetto <strong>di</strong> un viventeche indossa vesti, parrucca e gioielli; altrimenti,l’iconografia standard è quella mummiforme: èscrupolosamente evitata l’immagine del cadavere odello scheletro umano. Malgrado ciò, sono staterinvenute alcune pitture, che propongono un’insolitarappresentazione del deceduto. Esse sono state <strong>di</strong>pintesul Libro dei Morti <strong>di</strong> Tjenena, risalente alla XVIII<strong>di</strong>nastia e custo<strong>di</strong>to al Museo del Louvre (Papiro 3074),su due sarcofagi (datati alla XXVI <strong>di</strong>nastia e custo<strong>di</strong>ti alPelizaeus Museum <strong>di</strong> Hildesheim) e su un muro dellasala d’ingresso nella tomba <strong>di</strong> Isadora a Tuna el-Gebel.Nel papiro, all’altezza del capitolo LXXXIX (la formulache permette all’uccello-ba <strong>di</strong> riunirsi al cadaverenell’oltretomba), è stata <strong>di</strong>pinta una vignetta, la qualemostra il ba nell’atto <strong>di</strong> librarsi ad ali spiegate al <strong>di</strong> sopra<strong>di</strong> un corpo avvizzito e dalle giunture molto sporgenti(tale è lo stato in cui si trova un cadaveresuccessivamente <strong>di</strong>sseccazione natron e<strong>di</strong>mme<strong>di</strong>atamente prima dell’unzione e del bendaggio).L’immagine è unica.Pag.7


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoIl sarcofago della dama Mutir<strong>di</strong>s presenta nel secondo registroil rito <strong>di</strong> purificazione <strong>di</strong> un cadavere, <strong>di</strong>pinto come una sagomacompletamente nera: a sinistra in pie<strong>di</strong> (in realtà coricato nelcanaletto <strong>di</strong> scolo) per il lavaggio preparatorio; a destra,<strong>di</strong>steso sulla vasca contenente il natron. Nel quarto registro ilcadavere giace su un grande letto a forma <strong>di</strong> leone, deposto suciò che pare essere un pagliericcio, il capo sostenuto da unpoggiatesta: la scena descrive la tappa che precede l’unzionee il bendaggio delle membra. Il sarcofago del sacerdoteDjedbastetiufankh ci offre due registri <strong>di</strong> scene pressochéanaloghe a quelle precedenti.Infine, nella sala d’ingresso della tomba <strong>di</strong> Isadora, l’attenzioneè attirata dall’immagine <strong>di</strong> un cadavere stante, scheletrico ecompletamente nero, il quale riprenderà, imme<strong>di</strong>atamentedopo, la forma della giovane donna che era in vita, non appenagli dèi Thoth e Horo le avranno versato sul corpo l’acquapurificatrice.Le scene dei reperti, per quanto anomale, soltantoapparentemente sono in contrasto con la tra<strong>di</strong>zione; <strong>di</strong>fatti, ilcadavere è rappresentato esclusivamente dopo il<strong>di</strong>sseccamento nel natron, quando, cioè, non si trova più nelpericolo del <strong>di</strong>sfacimento corporeo, ma solamente una voltaraggiunta la sua con<strong>di</strong>zione stabile e definitiva.Esistono tuttavia due testimonianze non in sintonia con latra<strong>di</strong>zione che descrivono le scene <strong>di</strong> una lamentazionefunebre, il cui punto focale non è, come ci si dovrebbeaspettare, una mummia o un corpo integro nella nuova vita,bensì un cadavere vero e proprio: un frammento <strong>di</strong> sarcofagoin granito nero, proveniente dalla necropoli tebana, oracusto<strong>di</strong>to nel Museo dell’Università <strong>di</strong> Strasburgo, e le sceneche mostrano la morte della principessa reale Maketaton, nellacamera a delle Tombe Reali a Tell el-Amarna. Il frammento <strong>di</strong>sarcofago (risalente alla fine della XVIII <strong>di</strong>nastia) descrivel’immagine <strong>di</strong> una prefica al capezzale <strong>di</strong> un cadavere, <strong>di</strong>stesosu <strong>di</strong> un letto, imbottito con uno spesso materasso; la donnapoggia teneramente la mano destra sul capo del defunto,mentre la sinistra è sollevata sulla sua testa; il cadavere èraffigurato interamente <strong>di</strong> profilo (anche gli occhi, chiusi),rigido, le braccia lungo i fianchi; indossa una parrucca e unaleggera veste plissettata, indumento comune, proprio della vitaquoti<strong>di</strong>ana. La seconda testimonianza è offerta dalla scena checommemora la morte della principessa Maketaton: vienerappresentata una camera, all’interno della quale il faraoneAkhenaton e la regina Nefertiti piangono al capezzale della lorosecondogenita ormai morta, anch’essa <strong>di</strong>stesa su <strong>di</strong> un lettoimbottito.Frammenti <strong>di</strong> sarcofago post-amarniano (Museo <strong>di</strong> Strasburgo)DjedbastetiufankhPer spiegare le due immagini è necessaria unapremessa.La morte durante il periodo amarniano (cioè durante ilregno <strong>di</strong> Akhenaton), ed imme<strong>di</strong>atamente postamarniano,è presa in considerazione solamente daun punto <strong>di</strong> vista concreto e pragmatico, e coincidesemplicemente con l’impossibilità <strong>di</strong> contemplare il<strong>di</strong>sco solare (“Quando riposi nell’orizzonteoccidentale, la terra è nell’oscurità come se fossemorta”; “Quando sei sorto, tutti vivono, ma quandotramonti essi muoiono”). C'è dunque un rigetto <strong>di</strong> tuttociò che si riferiva alle antiche tra<strong>di</strong>zioni funerarie, equin<strong>di</strong> anche ai riti osiriani dell’imbalsamazione, con laconseguenza <strong>di</strong> un rispetto e devozione per ilcadavere e la messa al bando della mummia (brani <strong>di</strong>alcune lamentazioni funebri del periodo confermanol’avversione per l’imbalsamazione).Le due rappresentazioni <strong>di</strong> cadavere sono pertantoconseguenza <strong>di</strong> un profondo <strong>di</strong>stacco dai riti e daicanoni artistici della cultura religiosa tra<strong>di</strong>zionale. Taleinnovazione si è manifestata in questo caso, a livellofunerario, nella resa dell’evento-morte, e non del ritorelativo all’evento stesso, quale, invece, è ilpresupposto del culto tra<strong>di</strong>zionale; in tal modo leimmagini mostrano un cadavere non ancoraimbalsamato e infrangono uno dei tabù più inviolabili.Tirando le somme, non è possibile in<strong>di</strong>viduare unapercezione della morte che sia la medesima nel corso<strong>di</strong> tutta la storia della civiltà egiziana; ciò è dovuto allavariazione dei destinatari cui erano riservati i riti e leformule funerarie e per le influenze ra<strong>di</strong>cali che ebberole varie correnti teologiche nella creazione <strong>di</strong> tali riti eformule.Pag.8


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoBasti pensare al <strong>di</strong>verso approccio con il quale i Testi dellePirami<strong>di</strong> raggiungono l’obiettivo <strong>di</strong> conservare e rinnovarela vita nell’eternità rispetto, ad esempio, al Libro dei Morti: iprimi, intrisi <strong>di</strong> un'arcaica teologia solare e stellare, neganola realizzazione della morte, i secon<strong>di</strong> invece, poichéassimilano il defunto al <strong>di</strong>o Osiride, la affermano,considerandola con<strong>di</strong>zione temporanea ma necessaria allaresurrezione e alla vita eterna.Di seguito alcuni esempi.Nelle varie formule dei Testi delle Pirami<strong>di</strong> il termine“morte” non viene a mancare, tuttavia non è mai espressoin forma positiva e assoluta, ma solamente al negativo conl’evidente scopo <strong>di</strong> neutralizzare del tutto la sua attuazione(O N., non te ne andasti via morto, te ne andasti via vivo!;Afferra N. per la sua mano e porta N. al cielo, (cosicché)egli non morirà sulla terra tra gli uomini”; Alzati, o N.,(affinché) tu non muoia”). In effetti, lo status <strong>di</strong> sovrano nonpermette la realizzazione della morte – ogni re egizionasce nel tempo anteriore alla storia poiché incarnazionevivente del <strong>di</strong>o creatore, travalicando i comuni limititemporali: questo re è nato dal padre Atum quando nonera venuta in essere la terra, quando non erano venuti inessere gli uomini, quando non erano nati gli dèi e quandonon era venuta in essere la morte Pyr. 1466bd- , Il redunque non si ritrova sottoposto alla morte, ed essa <strong>di</strong>conseguenza non può essere descritta. Pertanto, ciò cheper gli uomini comuni si manifesta come trapasso, per ilmonarca si esplica in un <strong>di</strong>stacco dal corpo del suo ba(elemento <strong>di</strong>vino riservato solamente al re, che da lacapacità <strong>di</strong> trasformarsi e <strong>di</strong> muoversi), il quale si involaverso il cielo per unirsi agli dèi trasfigurandosi in uno spiritoluminoso, akh, quale stella imperitura del firmamento.Tomba <strong>di</strong> Isidora. Immagine Wikipe<strong>di</strong>aA partire dal Primo Periodo Interme<strong>di</strong>o (c. 2180-2060 a.C.), laconsapevolezza del possesso <strong>di</strong> un ba pare essere <strong>di</strong>venutaproprietà comune a tutto il popolo egizio a causadell’usurpazione del patrimonio testuale del sovrano da partedei privati citta<strong>di</strong>ni, con il conseguente mutamento anchedella concezione della morte.Libro dei Morti <strong>di</strong> Cenena - Particolare (cap. 89)Il ba è quin<strong>di</strong> reinterpretato come espressione dellatotalità delle funzioni biologiche in<strong>di</strong>viduali che sisommano in un’unica manifestazione e si <strong>di</strong>staccanodal corpo a causa della morte. Pertanto, dal momentoche il cadavere è un corpo privo <strong>di</strong> funzioni vitali,nell’antico Egitto si può asserire con certezza che ildefunto sia una persona priva <strong>di</strong> ba. La natura <strong>di</strong>quest’ultimo del resto è chiaramente contrapposta aquella del cadavere (il concetto viene sintetizzato daltitolo <strong>di</strong> una formula dei Testi dei Sarcofagi che afferma:il ba si separa dal cadavere, C .T. Spell 94, II 67a), inquanto non è e non deve essere soggetto allaputrefazione (tu vai da lui attraverso le secrezioni dellamia carne e dall’essudazione della mia testa, C.T. Spell101, II 100a-101a). I principi sin qui esposti sono statimantenuti anche nei testi più recenti, come il Libro deiMorti, come si può desumere da alcune formule:Formula per far sì che il ba non sia prigioniero [nelcorpo] (capitolo XCI); Il ba al cielo, il cadavereall’oltretomba. Tuttavia il ba rimane in<strong>di</strong>ssolubilmentelegato al cadavere, rivelandosene necessariaintegrazione, in quanto trova presso quest’ultimo l’unicoposto per riposare (Il suo ba si riposa all’interno del suocadavere (capitolo CLXIII), Formula per far sì che il basi congiunga al suo cadavere nell’oltretomba (capitoloCXXXIX).A questo punto quand'è che il ba può riunirsi (o essereindotto a farlo) al corpo del defunto? Certamente nonsubito dopo la separazione, altrimenti andrebbeincontro alla <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong>ssolvendosi con la sostanzadecomposta. Lo fa capire l'immagine del papiro <strong>di</strong>Tjenena: il ba nell’atto <strong>di</strong> posarsi su un cadavereavvizzito, cioè subito dopo esser stato <strong>di</strong>sseccato nelnatron. La riunificazione può avvenire solamentequando la salma è mondata da ogni impurità, priva cioè<strong>di</strong> tutte quelle parti molli che possono essere soggettealla putrefazione.La morte dunque ha un principio e una fine; è unperiodo ben delimitato nel tempo, i cui confini sonoriconoscibili nella separazione del ba dal corpo, il quale<strong>di</strong>venta cadavere, e nella riunificazione con esso, unavolta che sia stato essiccato, reso puro e santo, prontoa rendersi nuovamente il suo ricettacolo, ponendo cosìfine alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> morte.Pag.9


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoS’ACCABADORA(a cura <strong>di</strong> Massimo Centini) Parte IINel macrocosmo simbolico caratterizzante questa forma<strong>di</strong> eutanasia, va posto il giogo, che era collocato neipressi del morente per abbreviare le sue sofferenze.Così Dolores Turchi: “Durante alcune ricerche fatti <strong>di</strong>versianni orsono in numerosi paesi, si è potuto constatare chequasi tutte le persone <strong>di</strong> una certa età erano aconoscenza <strong>di</strong> questa pratica. Precisavano anche che ilgiogo doveva essere trattato con rispetto religioso e chenon si doveva mai bruciare. Secondo alcuni l’agoniaprolungata era data proprio dal fatto che il moribondo siera macchiato in vita del delitto <strong>di</strong> aver bruciato il giogo.A Urzolei si <strong>di</strong>ceva: Se il giogo è vecchio e inservibile sisistema in un angolo <strong>di</strong>etro al porta e si lascia lì. Non sideve mai mettere al fuoco. Un tempo, quando unapersona stentava a morire, si metteva il giogo sotto latesta.La stessa cosa <strong>di</strong> afferma a Orgosolo, Benetutti, Bitti,Oliena, Orotelli, Mamoiada, Dorgali. A Sarule siaggiunge: Se un in<strong>di</strong>viduo si <strong>di</strong>batteva a lungo tra la vitae la morte si prendeva il giogo, su juvale, si segnava ilmoribondo e gli si faceva baciare lo strumento che poi simetteva sotto la sua testa. Quando l’in<strong>di</strong>viduo moriva simetteva il giogo sotto il letto con due spie<strong>di</strong> incrociati”(Turchi D., Lo sciamanesimo in Sardegna, Roma 2001,pag. 154).Ricor<strong>di</strong>amo che il giogo ha svolto un ruolo importante nellinguaggio dei riti legati all’agricoltura e alla fertilità, quin<strong>di</strong>la sua ricorrente utilizzazione non deve stupire, anche inuna pratica come quella effettuata dalla s’accabadòra,soprattutto se si considera il suo presunto retaggio ritualera<strong>di</strong>cato nel passato lontano.“Il giogo, strumento in<strong>di</strong>spensabile in una cultura agropastorale,era considerato sacro e doveva essere trattatocon rispetto; quando poi l’usura lo rendeva inutilizzabiledoveva essere comunque conservato senza maibruciarlo o buttarlo via (…) Con il passare del tempol’usanza <strong>di</strong>venne sempre più simbolica e il pesante giogodei buoi venne sostituito con un modellino d’olivastro o <strong>di</strong>legno d’ulivo, su jualeddu, che per essere efficacedoveva essere intagliato in chiesa durante la messa delladomenica delle Palme o il giovedì Santo, durante laPassio, vale a <strong>di</strong>re nel momento in cui si commemoravala passione <strong>di</strong> Cristo e il suo trapasso dalla vita allamorte” (M.A. Arras, op. cit., pag. 51). Va considerato cheil giogo posto sotto la testa del morente poteva avere lafunzione <strong>di</strong> facilitare l’azione della s’accabadòra, che loutilizzava per rompere l’osso del collo della vittima. Cosìl’azione <strong>di</strong>retta a procurare la morte e il meccanismo deisimboli convivevano al fine <strong>di</strong> rendere meno paradossalel’azione della donna che doveva uccidere.Frontespizio dell'e<strong>di</strong>zionefrancese del 1826 del Voyage,parte prima.Prima pagina della secondae<strong>di</strong>zione francese dell'Atlante.Come abbiamo visto, l’eccessivo prolungarsi dell’agoniaera popolarmente in<strong>di</strong>cato come effetto dei gravi peccati(la <strong>di</strong>struzione o il furto <strong>di</strong> un giogo era uno <strong>di</strong> questi), neconsegue che l’intervento della donna portatrice <strong>di</strong> morte,assumeva una funzione liberatoria quin<strong>di</strong> faceva si che lastessa s’accabadòra risultasse accettabile nellacomunità.La s’accabadòra non era quin<strong>di</strong> una donna malvagia? Larisposta deve necessariamente tener conto delrelativismo implicito nella domanda: infatti, il suointervento era sempre subor<strong>di</strong>nato alle richieste deiparenti del morente e quin<strong>di</strong> vi era una complicità che, inparte, assolveva la portatrice <strong>di</strong> morte proprio perché lasua azione non era considerata un omici<strong>di</strong>o, maintervento atto a ridurre le sofferenze a chi, oltretutto,aveva delle colpe sulla coscienza rivelate appunto dallosmisurato prolungarsi dell’agonia. Praticamente assentile informazioni sulla collocazione della s’accabadòranella società al <strong>di</strong> fuori della sua attività, attività chepossiamo immaginare straor<strong>di</strong>naria. Mancando infattiriferimenti anagrafici precisi sulle persone praticantiquella primitiva forma <strong>di</strong> eutanasia, è piuttosto <strong>di</strong>fficilefarsi un’idea precisa. Dalle poche notizie che è possibileraccogliere, traspare comunque che la s’accabadòra erauna figura contrassegnata da notevole alterità, cheviveva ai margini della società nella quale erametabolizzata solo in funzione del suo ruolo, ma<strong>di</strong>staccata sul piano della quoti<strong>di</strong>anità. Sembrerebbe <strong>di</strong>poter in<strong>di</strong>viduare una connessione con la figura del boia:personaggio con un ruolo importante e con<strong>di</strong>viso, macontrassegnato da elementi culturali atti a demonizzarloe connotarlo con toni anche malvagi estrinsecati non solonella sua specifica attività, ma anche nelle quoti<strong>di</strong>aneesperienze.Pag.10


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSoffermiamoci adesso su un altro tema che, come abbiamo visto,per alcuni aspetti può essere posto in relazione al tema quiaffrontato: il riso sardonico.L’aggettivo “sardonico” è rinvenibile per la prima voltanell’O<strong>di</strong>ssea (XX, 302) ed è stato sempre oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussionein particolare per quanto riguarda il suo legame con la Sardegna.Due sostanzialmente le espressioni:riso caratterizzante gli anziani uccisi secondo l’antica pratica delgerontici<strong>di</strong>o (le cui applicazioni sono <strong>di</strong>versamente motivate)riso determinato dall’ingestione <strong>di</strong> erbe velenose.Per quanto riguarda il primo caso, le fonti non mancano: unframmento attribuito a Timeo <strong>di</strong> Tauromenio (325-260 a.C.)in<strong>di</strong>cherebbe che in Sardegna gli anziani <strong>di</strong> settant’anni eranouccisi a bastonate e sassate dai figli, quin<strong>di</strong> gettati in un fossato:“nel perire i vecchi ridevano <strong>di</strong> un riso che per la crudelesituazione e l’ambiente in cui si svolgeva il rituale, venivachiamato sardonio; secondo una <strong>di</strong>versa lettura a ridere eranoinvece gli uccisori, mentre i vecchi venivano sacrificati a Crono(…) Altre varianti imputano la soppressione dei settenni non aiSar<strong>di</strong>, ma ai Cartaginesi coloni in Sardegna “ (Didu I., I Greci e laSardegna. Il mito e la storia, Cagliari 2003., pagg. 22-23).Anche Demone <strong>di</strong> Atene, che all’inizio del IV secolo a.C. scrisseuna raccolta <strong>di</strong> proverbi, fa riferimento al riso sardonico: le sueinformazioni saranno riprese nel II secolo d.C. da Zenobio, ilquale aggiungeva che i vecchi ridevano perché l’ingiustizia subitagarantiva loro una morte nobile. Zenobio <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> riferirsi a Eschilo,secondo il quale gli ultrasettantenni sarebbero stati sacrificati aCrono dai Punici della Sardegna, ma il riferimento alle sue fonti èreperibile solo parzialmente.Un fatto comunque è certo, con sardonico si aggettiva quel risoche è amaro e che soprattutto ha in sé qualcosa <strong>di</strong> terribile, forseprelu<strong>di</strong>o alla vendetta. È in<strong>di</strong>cativa in questo senso la versionefornita da un informatore locale: un giovane che portava il vecchiopadre sulle spalle verso un precipizio dal quale intendeva farloprecipitare, fu colpito dal continuo ridere dell’anziano. Quandochiese lumi su quell’atteggiamento, il padre <strong>di</strong>sse che ridevaperché pensava a quando suo figlio si sarebbe trovato nella suaposizione. Da quel giorno la pratica del gerontici<strong>di</strong>o fu interrotta….Nelle fonti antiche il gerontici<strong>di</strong>o connesso al riso sardonicoassume espressioni non allineate a un modus operan<strong>di</strong> univoco,ma contrassegnato da variabili messe in campo dagli autori conintenti tra loro anche molto <strong>di</strong>versi.Ancora Timeo <strong>di</strong> Taormina: “In Sardegna erano soliti ridere ivecchi che venivano spinti con bastoni in una fossa, nella qualevenivano sepolti. Per questo alcuni sostengono che ci sia questodetto, poiché ridono <strong>di</strong> un riso triste”.Demone aggiunge: “Riso sardonico: proverbio <strong>di</strong> quelli chemuoiono ridendo; ciò perché i Sar<strong>di</strong> immolavano gli schiavi piùbelli e i vecchi ottuagenari a Saturno, i quali ridevamo mostrando<strong>di</strong> fronte alla morte la propria forza”.È stato anche suggerito un legame con la <strong>di</strong>vinità fenicia Sarda-Sandan: il concetto <strong>di</strong> riso sarebbe infatti determinato dalsacrificio spontaneo <strong>di</strong> quanti si immolavano nei fuochi accesi inonore <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>o. A questo punto osserviamo che però mentreab origine quel ghigno era una sorta <strong>di</strong> icona per simbolizzare lepratiche <strong>di</strong> gerontici<strong>di</strong>o, in seguito perse il proprio effettivo legamecon la storia definendosi come fossile culturale. La praticadell’uccisione dei vecchi si mo<strong>di</strong>fica, <strong>di</strong>venendo cosìun’esperienza riservata esclusivamente ai moribon<strong>di</strong>. Al tema quiaffrontato si lega quello dell’erba sardonica: una presenza in cuiconvivono mitologia e conoscenze erboristiche <strong>di</strong> atavicatra<strong>di</strong>zione. Un prodotto della natura che è stato descritto in alcunefonti antiche e da sempre oggetto <strong>di</strong> indagine da parte <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi<strong>di</strong> <strong>di</strong>versa formazione.Ranunculus sardous.Immagine tratta da wikipe<strong>di</strong>aInoltre, l’erba sardonica si lega al riso sardonico,un’altra presenza particolarmente importante nelbackground storico-mitico della Sardegna.Tecnicamente, in me<strong>di</strong>cina, con riso sardonico siin<strong>di</strong>ca la contrazione delle labbra negli spasmidei muscoli masticatori, in genere a seguitodell’infezione tetanica. Ma l’identica definizione èanche adottata per contrassegnare il risoconvulsivo determinato dall’assunzione <strong>di</strong>sostanze allucinogene e tossiche.Secondo alcuni ricercatori, quelle sostanzesarebbero state estratte appunto dalla cosiddettaerba sardonica. Gaio Giulio Solino (secondametà III secolo) e Pausania Periegeta (110-180)pongono in rilievo che l’erba sardonica crescevapresso i corsi d’acqua, mentre Discorde Pedanio(40-90 d.C.) nei cinque libri De Materia Me<strong>di</strong>cachiariva che “quell’erba che si chiama sardonia èveramente spetie <strong>di</strong> Ranuncolo. Beuta questa,over mangiata nei cibi fa alienare la mente, etfacendo ritirare la labbra dalla bocca genera uncerto spasimo, che par che ri<strong>di</strong>no coloro chel’hanno mangiata.La spetie <strong>di</strong> Ranuncolo sono più, come cheabbino tutte una medesima virtù ulcerativa.Quello della seconda specie è più lanuginoso,ha il fusto più lungo, e le fron<strong>di</strong> più intagliate, èacutissimo, e nasce abbondantemente inSardegna, dove lo chiamano apio selvatico” (DeMateria Me<strong>di</strong>ca, IV, XIV). Secondo unatra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>ffusa fino alla soglia del XIX secolo,quell’erba era posta dall’uomo nei pressi deitorrenti per fare in modo che i pesci ne fosserostor<strong>di</strong>ti: “che usciti moribon<strong>di</strong> sulla riva del fiumeo del lago facilmente vengono catturati” (S.Vitale, Annales Sar<strong>di</strong>niae, 1639).Pag. 11


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoDoman<strong>di</strong>amoci: vi sono relazioni tra l’erba sardonica e il risoaggettivato nello stesso modo?Già alcuni autori antichi ponevano in rilievo che l’espressione “rideresardonicamente” nascesse dal fatto che chi ingeriva <strong>di</strong> quelle erbemoriva assumendo un’espressione nel volto che aveva le sembianzedel riso.Da alcuni quell’erba era identificata nella Oenanthe crocata, usatanella pratica del gerontici<strong>di</strong>o; le sostanze tossiche contenutenell’erba producevano contrazioni facciali tali da determinare unafisionomia riferibile al riso.Qualcuno ha voluto vederne un riferimento nella nota maschera fittilerinvenuta a San Sperate e caratterizzata da una morfologia del voltoche si muta in una sorta <strong>di</strong> smorfia agghiacciante, per certi aspettisimile al riso. Tra gli altri vegetali relazionati all’erba sardonicaricor<strong>di</strong>amo il Ranunculus sceleratus, i cui effetti oggi non sonoconsiderati mortali, anche se possono determinare <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong> variotipo, tra i quali la contrazione dei nervi del viso. Inoltre ricor<strong>di</strong>amoche sembrerebbe presentare somiglianze con le descrizioni delsedano selvatico presenti nelle fonti antiche.Plinio il Vecchio fa riferimento a più specie <strong>di</strong> ranuncolo, tra i quali losceleratus che in<strong>di</strong>ca come tossico insieme al melissophyllon, alsedano selvatico, e all’aethusa cynaprium, segnalate comepericolose e “da ban<strong>di</strong>re in Sardegna per le proprietà venefiche”(Plinio il Vecchio, Historia naturalis, XXV, CIX).Oenanthe crocata. Immagine tratta da wikipe<strong>di</strong>aIl già citato Discorde Pedanio, nei cinque libri De Materia Me<strong>di</strong>ca,aggiungeva che per combattere gli effetti delle erbe dette“sardoniche” era d’uso somministrare al paziente “miele e acqua,fargli bere una grande quantità <strong>di</strong> latte, praticare bagni cal<strong>di</strong> a base<strong>di</strong> olio e acqua, frizioni, unzioni ed ogni genere <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>”.Molto in<strong>di</strong>cative le parole <strong>di</strong> Pausania: “L’isola è indenne da ognispecie <strong>di</strong> erbe velenose e letali, a eccezione <strong>di</strong> una che assomiglia alprezzemolo la quale, si <strong>di</strong>ce, faccia morire ridendo coloro che lamangiano. Da questo particolare, Omero per primo,successivamente gli altri, definiscono sardonico il riso che nascondeuna malattia mortale. Quest’erba cresce per lo più in vicinanza <strong>di</strong>ruscelli e tuttavia non trasmette all’acqua la sua potenza venefica”(Pausania Periegeta, Periegesi della Grecia, X, XVII). Sileno <strong>di</strong>Caleatte (fine III secolo a.C.), nel IV libro dei Fatti siracusani, scrive:“Eiste tra i Sar<strong>di</strong> una pianta dolciastra, simile al sedano selvatico;coloro che la mangiano <strong>di</strong>stendono le mascelle e la carne”. Platone,nella Repubblica (337) usa il termine sardanion, chiarendo che“nell’isola (la Sardegna, n.d.a.) cresce una “pianta molto somiglianteal sedano; quelli che ne mangiano hanno l’aria <strong>di</strong> ridere, mentre inrealtà muoiono tra le convulsioni”. Nelle fonti greche e latine, lamancanza <strong>di</strong> un’identificazione precisa dell’erba sardonica, sotto ilprofilo botanico, dell’erba sardonica “può così giustificare lecontrad<strong>di</strong>zioni che in essi si osservano su questaspecie, velenosa soltanto in Sardegna,amarissima per alcuni e dolce per altri, troppospesso descritta non per conoscenza <strong>di</strong>rettabensì per sentito <strong>di</strong>re, per opinione <strong>di</strong>ffusa edesunta da scritti precedenti” (Ribichini S., Il risosardonico, Sassari 2003, pag. 21).Nelle tra<strong>di</strong>zioni più antiche può succedere <strong>di</strong>trovare in<strong>di</strong>cazioni tendenti a relazionare l’erbasardonica all’uccisione degli anziani, secondouna metodologia che sembrerebbe rimandare auna sorta <strong>di</strong> eutanasia ante-litteraman. Inpratica, l’erba psicoattiva sarebbe statasomministrata ai morenti per facilitarel’intervento estremo <strong>di</strong> chi era incaricato <strong>di</strong>mettere fine all’esistenza del sofferente. Nellasostanza risulta che la relazione tra l’erbasardonica e l’omici<strong>di</strong>o rituale degli anziani non èimme<strong>di</strong>ato; infatti, come ha puntualizzato M.G.Cabiddu: “l’identificazione dell’erba sardonicanon apporta nessun elemento nuovo, utile achiare il complesso legame del riso sardonicocon l’uccisione dei vecchi. Col passare deltempo le testimonianze sull’uccisione dei vecchi- sempre nel contesto del riso sardonico - sonostate, in qualche modo, sovrapposte a quellesull’erba sardonica. Questa sarà lo strumentousato dai figli per creare sui propri volti, durantel’eliminazione dei padri, un tragico, rituale risosardonico. Quel riso dei vecchi davanti allamorte appare inaccettabile, incomprensibile. Unriso sardonico ritualizzato sui volti dei figli checompiono l’omici<strong>di</strong>o/sacrificio è in qualche modopiù giustificato. Viene così sancito un doppiolegame con la Sardegna da cui sarà <strong>di</strong>fficileliberarsi” (Cabiddu M.G., Akkabbadoras : risosardonico e uccisione dei vecchi in Sardegna in“Quaderni Bolotanesi”, 1989, 15, pag. 346). Inconclusione proviamo ad osservareschematicamente i materiali <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponiamoper capire se è possibile azzardare qualcherelazione:Gerontici<strong>di</strong>oriso sardonico↓(Mondo classico)erba sardonicaAlla luce dell’elementare schematizzazione,saremmo propensi a escludere una relazione<strong>di</strong>retta tra la pratica del gerontici<strong>di</strong>o e quellaeffettuata dalla s’accabadòra. In sostanza, laseconda non andrebbe considerataun’evoluzione della prima, se mai sarebbeun’estrema mo<strong>di</strong>ficazione maturata ex-novo nonsulla base <strong>di</strong> una volontaria continuità <strong>di</strong>esperienze rituali, ma frutto <strong>di</strong> esigenzeintrinseche alla comunità e interamentedominate da un’etica della sofferenzasocialmente con<strong>di</strong>visa.↓(Folklore sardo)s’accabadòraPag.12


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSEDAZIONE PALLIATIVA: UNA VALIDA ALTERNATIVAALL’EUTANASIA (Parte II)(a cura <strong>di</strong> Sandy Furlini e Katia Somà)Quale è la <strong>di</strong>fferenza fra SP ed Eutanasia?Nello scorso decennio si è svolto un vivace <strong>di</strong>battito sui rapporti fraSP ed eutanasia; in particolare, in un articolo pubblicato nel 1996 eprovocatoriamente intitolato Slow Euthanasia in cui Billings e Blockhanno sostenuto l’equivalenza della SP con l’eutanasia, attribuendoil successo della sedazione al fatto che essa permette <strong>di</strong>raggiungere pressappoco lo stesso risultato dell’eutanasia senzaimpegnare il me<strong>di</strong>co e la sua famiglia in una decisione <strong>di</strong>fficile e nellamaggior parte dei paesi giuri<strong>di</strong>camente illecita.Orentlicher (Orentlicher,1997) sosteneva che, almeno in alcuni casi,la SP equivale ad un’eutanasia. Infatti, se è vero che la sedazioneviene indotta allo scopo <strong>di</strong> alleviare la sofferenza e non <strong>di</strong> terminarela vita del malato, è vero altresì che la sospensione dell’idratazione edella nutrizione artificiale, spesso decisa contemporaneamenteall’inizio della SP, è - o può essere - <strong>di</strong>rettamente causa <strong>di</strong> morte.Agli argomenti <strong>di</strong> Orentlicher hanno replicato <strong>di</strong>versi stu<strong>di</strong>osi, fra cuiLynn (Lynn, 1998), che contesta l’equivalenza fra eutanasia e SP inquanto quest’ultima viene istituita in una fase in cui già il malato nonassume più cibo e bevande per cui la morte non viene accelerata,semplicemente la SP consente che essa si svolga senza sofferenza.In effetti, questa è anche la nostra esperienza: il problema dellanutrizione <strong>di</strong> fatto non si pone mai (è ben noto che l’assenza totale <strong>di</strong>nutrizione è compatibile con una sopravvivenza <strong>di</strong> molte settimane),semmai il problema che si pone è quello dell’idratazione, ma anchequesta, nei casi in cui viene intrapresa la SP, è per lo più giàspontaneamente ridotta.La conseguenza quin<strong>di</strong> dell’atto eutanasico è lamorte del paziente me<strong>di</strong>ante un appropriatodosaggio e tipologia <strong>di</strong> farmaci usati per talescopo. Il risultato della SP è il controllo dei sintomiincoercibili me<strong>di</strong>ante farmaci utilizzati a dosaggiappropriati per tale scopo. L’argomento riguardol’alimentazione/idratazioneha poco a che fare con la SP in quanto:- la sospensione dell’alimentazione causadecesso in non meno <strong>di</strong> un mese e la SP ha unadurata nettamente inferiore- se la si applica a con<strong>di</strong>zioni cliniche tipo <strong>di</strong>spneada edema polmonare o tamponamento car<strong>di</strong>aco,l’idratazione sarebbe ad<strong>di</strong>rittura peggiorativa delquadro clinico;-la SP dovrebbe essere applicata in una fase dellavita del paziente in cui se l’idratazione è presenteartificialmente non vi è alcun motivo persospenderla, se questa non è presente perché ilpaziente ha smesso da sé <strong>di</strong> idratarsi ed è in fasemolto avanzata <strong>di</strong> malattia per cui la morte sipresume possa giungere a breve, non ha alcunsenso iniziarla poiché l’idratazione nonallontanerebbe il momento del decesso,<strong>di</strong>ventando in questo caso trattamentosproporzionato. Secondo le linee guida olandesi(Verkerk, 2007) in tema <strong>di</strong> SP, laraccomandazione che viene data è quella <strong>di</strong> nonsomministrare flui<strong>di</strong> in un paziente sedatoprofondamente. Si riba<strong>di</strong>sce in questo contesto ilconcetto secondo il quale se l’aspettativa <strong>di</strong> vita èminore <strong>di</strong> due settimane, è assodato chel’interruzione dell’idratazione non affretterà lamorte mentre se questa è stimata in tempi piùlunghi, allora il paziente potrebbe morire prima per<strong>di</strong>sidratazione piuttosto che <strong>di</strong> altre cause ma inquesto caso ci si chiede se una SP possa trovarela giusta collocazione.William Blake. The Ancient of Days (1794) British Museum, LondonLa definizione <strong>di</strong> eutanasia aiuta nel <strong>di</strong>scriminare oggettivamente idue concetti: per eutanasia infatti si intende l’uccisioneintenzionale, attuata dal me<strong>di</strong>co me<strong>di</strong>ante somministrazione <strong>di</strong>farmaci, <strong>di</strong> una persona mentalmente capace che ne fa richiestavolontaria. (EAPC, 2003)Salvador Dalì. La nascita dell’uomo nuovoPag.13


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoConseguenze <strong>di</strong> una sedazione palliativaIn sintesi per ottenere una adeguata SP occorre undosaggio <strong>di</strong> farmaci sufficiente all’ottenimento dellasedazione <strong>di</strong> quella profon<strong>di</strong>tà proporzionale allarisoluzione dei sintomi per cui viene praticata. Il risultatonella SP è il controllo dei sintomi refrattari mentrenell’eutanasia è la morte del paziente; tecnicamente laprima è complessa perché richiede un attentomonitoraggio, proprio a garanzia che il quantitativo <strong>di</strong>farmaco utilizzato sia sufficiente al controllo del sintomomentre per la pratica eutanasia la tecnica è facile in quantoè sufficiente una massiccia infusione <strong>di</strong> farmaco tale dadeterminare, attraverso un proce<strong>di</strong>mento limitato neltempo, il decesso. Cambia l’obiettivo, il dosaggio ed ilrisultato. (Lynn, 1998) Partendo dalle caratteristichetecnico/scientifiche imprescin<strong>di</strong>bili cui deve rispondere laSP per essere messa in opera, si pone il quesito se abolireper sempre la coscienza possa equivalere ad uccidere.La persona è un insieme inscin<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> mente e corpo: lasedazione riduce il livello <strong>di</strong> coscienza, «abolisce» solo lamente intesa come contatto relazionale con l’esternoattraverso i normali canali <strong>di</strong> comunicazione e quin<strong>di</strong> nonuccide la persona (il corpo resta ed e’ persona).Non esistono ad oggi stu<strong>di</strong> che abbiano verificato il grado<strong>di</strong> elettricità cerebrale in situazioni <strong>di</strong> SP, ma si puòsupporre che la persona sia comunque in grado <strong>di</strong>mantenere una certa «capacità <strong>di</strong> sentire». Ad esempio, insituazioni <strong>di</strong> anestesia totale per interventi chirurgici, vieneannullata la capacità <strong>di</strong> interagire e, grazie al tipo <strong>di</strong>farmaci utilizzati, viene annullata la memoria, quin<strong>di</strong> lapersona al risveglio non ricorda nulla dell’accaduto. Ma sela stessa persona si sottoponesse ad una regressioneipnotica sarebbe in grado <strong>di</strong> raccontare esattamente tuttoquello che era successo in sala operatoria (Tirone, 2005).Inoltre da una recente revisione della letteratura risulta chela SP non determina abbreviazione della vita dei pazientirispetto alla non sedazione. (Sykes, 2003)Conoscere la possibilità <strong>di</strong> ricorrere a questa praticame<strong>di</strong>ca ed eventualmente proporla al paziente o ai suoifamiliari, nelle situazioni <strong>di</strong> sofferenza incoercibile,rappresenta un dovere etico e deontologico per il me<strong>di</strong>co<strong>di</strong> famiglia. In realtà, il desiderio <strong>di</strong> poter morire nel propriodomicilio non è così raro soprattutto nelle realtà piùperiferiche o ad<strong>di</strong>rittura rurali come nei paesi <strong>di</strong> campagna.E’ per questo che nella formazione <strong>di</strong> ogni Me<strong>di</strong>co <strong>di</strong>Famiglia dovrebbe essere compresa una buona dose <strong>di</strong>informazioni sulle cure palliative e sulla pratica della SP,atto me<strong>di</strong>co, sicuro, eticamente lecito (secondo tutte leteorie bioetiche, laiche e cattoliche), da con<strong>di</strong>videreall’interno <strong>di</strong> una equipe in cui venga assolutamentecoinvolto il paziente con la sua famiglia. Esaminata la SPdal punto <strong>di</strong> vista bioetico ed appurata la sua liceitàsecondo le <strong>di</strong>verse correnti <strong>di</strong> pensiero, mi voglio spingereun poco oltre l’uomo, magnifica creatura <strong>di</strong> Dio, con il suocorpo, la sua mente, le sue emozioni ed il suo spirito, il suovissuto e la sua storia. Ecco, credo che nel momento in cuila nostra vita volge al termine, trovandosi nellamalaugurata con<strong>di</strong>zione terribile quale quella del turbine<strong>di</strong>sastroso dei sintomi devastanti della terminalitàoncologica, e non solo, ricevere il conforto <strong>di</strong> una equipeche decide <strong>di</strong> accompagnarmi ad oltrepassare una portacosì angusta e ingoiare un calice così amaro,altro non potrà essere che un grande dono <strong>di</strong>vino, a<strong>di</strong>mostrazione che <strong>di</strong> là qualcuno ancora veglia su <strong>di</strong> noi.Allora una scelta sofferta quale può essere quella dellaSP, potrà <strong>di</strong>ventare un motivo per chi resta <strong>di</strong> cominciarein largo anticipo il percorso per una metabolizzazione dellutto; per chi và, <strong>di</strong>viene l’occasione per sganciarsidall’ostinata tensione materiale del nostro essere uomo<strong>di</strong> carne ed ossa e concedersi un «più generoso dono <strong>di</strong>sé». In questo senso faccio appello alla trascendenza edalla <strong>di</strong>mensione della vita oltre la vita: quel passaggio cheè mio e soltanto mio, vorrei poterlo vivere appieno percui... ti prego, cara, fammi dormire, sicché io possagiungere a Dio libero dalla materia.BIBLIOGRAFIA PARTE I E II«Il Giornale della PREVIDENZA dei Me<strong>di</strong>ci e degliOdontoiatri» Anno IX – n° 6-2007BUCARELLI ALESSANDRO, LUBRANO CARLO, 2003,Eutanasia ante litteram in Sardegna Sa femminaAccabbadora, E<strong>di</strong>z. Scuola Sarda e<strong>di</strong>trice CagliariCHERNY NI, PORTENOY RK, 1994, Sedation in themanagement of refractory symptoms: guidelines for evaluationand treatment, in «J.Palliat.Care»10:31-38CHERNY NI, PORTENOY RK,1994, Sedation in the teatmentof refractory symptoms: guidelines for evaluation andtreatment, in «J Palliat Care», 10: 31-38DI NOLA ALFONSO, 2006, La vecchiaia e la malattiainguaribile come causa <strong>di</strong> malasorte. La soppressione deglianziani, in «La nera signora – antropologia della morte e dellutto», E<strong>di</strong>z. Newton Compton Roma.EAPC, 2003, Ethics Task Force, in «Pall Med», 17;97-101LYNN J, 1998, Terminal sedation, in «N Engl JMed»,338:1230MORITA T, TSUNETO S, SHIMA Y, 2002, Definition ofsedation for symptom relief: a systematic literature review anda proposal for operational criteria, in «J Pain Sympt Manage»,24: 447-453ORENTLICHER D,1997, The supreme court and physicianassistedsuicide. Rejecting suicide but embracing euthanasia,in «N Engl J Med»,337:1236–1239PORTA SALES J, 2001, Sedation and terminal care, «Eur JPall Care». 8: 97-100RABOW M, HARDIE G, FAIR J, MCPHEE S, 2000, End-of-lifecare content in 50 textbooks from multiple specialties.«JAMA»;283:771–778SICP, 2007, Raccomandazioni della sulla SedazioneTerminale/ Sedazione Palliativa.(http://www.sicp.it/documenti_pubblici/documenti_sicp/Sedazione.pdf)SYKES N, THORNS A, 2003, Sedative use in the last week oflife and the implications for end-of life decision making, in«Arch Int Med»,163:341–344SYKES N, THORNS A, 2003, The use of opiods andsedatives at the end of life, in «Lancet Oncology» 4:312–318TIRONE GIUSEPPE, 2005, Il potere della parola nellarelazione d’aiuto psicologico – Geniosi e Counseling. E<strong>di</strong>tricePsiche Torino.Pag.14


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoTESTIMONIANZE DALLE PIAZZE: LE ESPERIENZE DELMORIRE(a cura <strong>di</strong> Sandy Furlini e Katia Somà)Parlare della fine della vita e quin<strong>di</strong> della morte è unargomento assai <strong>di</strong>fficile che spesso viene allontanato e nonaffrontato fino al momento in cui la vita ci costringe a farlo.Tutti sappiamo che la morte fa parte della vita ma nessuno<strong>di</strong> noi è pronto quando si presenta alla nostra porta o aquella dei nostri cari.Affrontare questo argomento durante un convegno ha comeobiettivo quello <strong>di</strong> riuscire a parlarne tutti insieme, me<strong>di</strong>ci,infermieri e citta<strong>di</strong>ni come protagonisti in prima persona <strong>di</strong>quello che sono le esperienze e le sofferenze <strong>di</strong> tutti.A questo scopo è stato formulato un questionario a rispostechiuse che è stato <strong>di</strong>stribuito alla citta<strong>di</strong>nanza e al personalesanitario senza <strong>di</strong>stinzione. La lettura ed elaborazione deiquestionari ha dato la possibilità <strong>di</strong> capire, anche se inpiccolissima porzione, i pensieri e le idee <strong>di</strong> una parte dellapopolazione e <strong>di</strong> avere degli spunti <strong>di</strong> confronto e<strong>di</strong>scussione durante il Convegno.Il questionario è stato somministrato tra Marzo ed Ottobre2011 via internet, presso gli ambulatori <strong>di</strong> alcuni Me<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>Me<strong>di</strong>cina Generale, Poliambulatori, Case <strong>di</strong> cura, ospedali edurante le serate <strong>di</strong> presentazione del Convegno al pubblicopresente in sala.Le persone che hanno risposto alle domande rappresentanouno spaccato <strong>di</strong> società molto vario che va dal singolocitta<strong>di</strong>no all’operatore sanitario per un totale <strong>di</strong> 233questionari compilati. L’età è compresa tra i 18 e gli 80 annicon prevalenza dei 50. I maschi sono stati 93 e le Femmine137.Inizialmente si era pensato <strong>di</strong> somministrare il questionarioattraverso un operatore appositamente formato, con loscopo <strong>di</strong> aiutare nella comprensione delle domande e altempo stesso sfruttare il momento per approfon<strong>di</strong>re lacomunicazione sull’argomento. Abbiamo dovuto desistere eriformulare il questionario in modo da poter essereautocompilato dalla persona senza ausilio <strong>di</strong> interme<strong>di</strong>ari inquanto si è verificato un duplice problema. Da una parte la<strong>di</strong>fficoltà per l’operatore <strong>di</strong> verbalizzare domande a volteimbarazzanti e coinvolgenti emotivamente, dall’altral’imbarazzo da parte delle persone <strong>di</strong> rispondere a domandemolto delicate e personali.Una delle domande <strong>di</strong> apertura del questionario chiedeva sesi era credenti o no, in<strong>di</strong>pendentemente dal tipo <strong>di</strong> religione.172 persone rispondono <strong>di</strong> SI mentre ben 46 risponde <strong>di</strong>non essere credente.Riportiamo qui <strong>di</strong> seguito le domande presenti nelquestionario e le relative risposte. In alcuni casi sono statedate più risposte alla medesima domanda.Perche’ al giorno d’oggi si muore?117 persone rispondo che si muore <strong>di</strong> malattie tumorali,praticamente a pari merito con quelli che pensano che laprincipale causa <strong>di</strong> morte sia dovuta a malattie car<strong>di</strong>ache evascolari. Solo 20 persone identificano la fine della vita conla vecchiaia e le malattie ad essa correlate.Infine 19 persone rispondono che la morte sopraggiungeper altre cause ma senza specificare.In realtà la principale causa <strong>di</strong> morte nel nostro paese èlegata a malattie car<strong>di</strong>ovascolari e quin<strong>di</strong> probabile che leinformazioni date dai mass me<strong>di</strong>a sulla patologiaoncologica influenzi in modo importante il pensiero dellepersone al punto <strong>di</strong> far credere che sia la maggior causa <strong>di</strong>morte.Secondo lei dove si muore maggiormente?La maggiore parte (152) identifica l’ospedale come luogo <strong>di</strong>maggior possibilità <strong>di</strong> andare incontro alla morte.La morte, in casa propria o dei propri congiunti, rappresenta42 risposte, mentre in casa <strong>di</strong> cura 34. In 17 rispondo altro.Il luogo dove si finisce la propria vita in genere èstrettamente collegato al tipo <strong>di</strong> malattia che ci conduce allafine, ma in questo caso non era richiesto nella domandauna correlazione quin<strong>di</strong> la risposta era assolutamente liberada possibili influenze. Negli ultimi decenni si sta creandouna nuova politica sociale che vede la <strong>di</strong>missionedall’ospedale, quale centro <strong>di</strong> cura e guarigione, perpermettere alle persone malate e alla fine della loroesistenza <strong>di</strong> terminare la vita al proprio domicilio con ilsupporto <strong>di</strong> servizi sanitari ed assistenza altamentequalificata.Immagini www.google.itDove vorrebbe finire la sua vita?Al contrario delle aspettative, la maggior parte (158)risponde che vorrebbe morire nella propria casa mentresolo 20 in ospedale. In 54 <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> voler finire la propriavita in altri luoghi ma solo in pochi specificano: Prato 1,In<strong>di</strong>a 1, Mare 3. Di questi 54 in 13 (tutti volontari <strong>di</strong> unhospice) rispondono <strong>di</strong> voler morire in Hospice, luogoparticolare e molto specifico per malattie terminali.Anche in questo caso le persone rispondono alla domandasenza pensare a quale potrebbe essere la causa <strong>di</strong> mortema idealizzando il luogo.Pag.15


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoLa scelta <strong>di</strong> poter morire nella propria casa mette in risalto,probabilmente, il desiderio delle persone <strong>di</strong> essere “curate” nel verosenso della parola. Il curare a casa permette a tutti gli attori <strong>di</strong>questo ultimo atto <strong>di</strong> poter esprimere al meglio il proprio ruolo: ifamiliari che non devono adeguarsi agli assur<strong>di</strong> orari delle visiteospedaliere (come rianimazioni o terapie intensive) e possono viverela complicità e l’intimità della relazione, il malato che può essereprotagonista fino alla fine scegliendo tempi e mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> cura (giro letti,visita me<strong>di</strong>ca, ecc sono ri<strong>di</strong>mensionati alle effettive esigenze delmalato), il personale sanitario che oltre alla prestazione tecnicade<strong>di</strong>ca molto tempo alla relazione e al supporto psicologico delmalato e dei familiari al fine <strong>di</strong> accompagnare alla fine della vita nelmiglior modo possibile.Come potrebbe essere la sua morte?Questa domanda non era <strong>di</strong> facile risposta in quanto esponeva lepersone ad una autovalutazione e autocritica sulle modalità <strong>di</strong>gestire la propria salute e sugli stili <strong>di</strong> vita.In numero molto simile (72/70) rispondono che prevedono <strong>di</strong> morireper incidente/trauma (quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> morte imme<strong>di</strong>ata)o per una malattialunga che costringe alla non autosufficienza.Solo in 15 valutano le loro abitu<strong>di</strong>ni/vizi come determinanti sullo stato<strong>di</strong> salute al punto <strong>di</strong> pensare che possano essere causa <strong>di</strong> morte.Considerando che il fumo, l’alcool e l’errata alimentazione provocanogravi alterazioni car<strong>di</strong>o-circolatorie che sono tra le prime cause(<strong>di</strong>rette o in<strong>di</strong>rette) <strong>di</strong> morte, probabilmente c’è poca criticità nelvalutare le abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> vita e le ripercussioni che possono avere sullasalute.In 70 rispondo altro e tra le risposte più frequenti si registra: Nonriesco a immaginarlo, Preferiscono pensare alla vita.Convegno - Foto K. SomàHa già dato <strong>di</strong>sposizioni per la fine ?In questa fase si evidenzia l’apparente <strong>di</strong>fficoltà nell’affrontare ledomande più <strong>di</strong>rette come questa. In 137 non hanno lasciato<strong>di</strong>sposizioni finali <strong>di</strong> alcun tipo, mentre in 93 affrontano in qualchemodo l’argomento con i familiari (in 69) anche se verbalmente.In 14 scrivono un documento informale e solo n 2 hanno depositatoun documento da un notaio/legale. Altro 11Ha paura della morte?Su questa domanda le risposte sono sud<strong>di</strong>vise in modo equo. Più <strong>di</strong>altre, questa prevede un coinvolgimento emotivo molto alto che è<strong>di</strong>fficile da esprimere con una risposta così lapidaria.Si 78No 79Preferisco non pensarci 66Altro 8Che cosa nella morte le fa più paura?In 129 rispondono che la più grande paura èquella <strong>di</strong> arrivare a quel momento con dolore esofferenza, quin<strong>di</strong> si soffermano ad una analisidell’ultimo momento della vita, il passaggio.Le altre risposte si spostano più sul pianofilosofico ed emotivo mettendo in risalto latragicità del <strong>di</strong>stacco dai propri cari con 59risposte e la paura <strong>di</strong> non essere pronto in 44.Non tutte le paure possono essere alleviate, macome operatori sanitari, possiamo supportare edaiutare i malati ad affrontare il dolore fisico, e avolte anche quello psicologico, con l’utilizzo <strong>di</strong>farmaci, presi<strong>di</strong> e supporto relazionale.In 19 rispondo Altro senza specificare.E’ favorevole all’eutanasia?La domanda formulata in modo così semplice,senza spiegazioni e specificazioni, da perscontato che il lettore sia ben informato sulsignificato della parola e dell’azione che essaprocura sia dal punto <strong>di</strong> vista fisico che etico emorale.La maggior parte delle persone rispondo <strong>di</strong>essere favorevoli con 136 risposte affermative,mentre 67 non sono favorevoli e 28 rispondonoAltro.In un periodo storico come questo, dove i me<strong>di</strong>ahanno “bombardato” <strong>di</strong> informazioni non semprechiare sul significato dell’eutanasia e sullemodalità con cui si svolge, non c’è da stupirsi delrisultato. Per rendere più esaustiva la risposta sisarebbe dovuto entrare in merito al perché sichiede l’eutanasia e in quali contesti si potrebbeapplicare.Che cosa significa secondo lei eutanasia?Le risposte previste sono state appositamentescelte per mettere in evidenzia il duplice aspettoche sta <strong>di</strong>etro ad una scelta eutanasica. Da unaparte la volontà <strong>di</strong> provocare la morte <strong>di</strong> un'altrapersona e quin<strong>di</strong> un analisi su un pianostrettamente fisico e materiale (a cui rispondono71 persone) e un'altra più sul piano filosofico edemotivo che vede l’eutanasia come la possibilità<strong>di</strong> sollevare da inutili sofferenze una personamalata (143 risposte).Solo in 17 rispondono Altro.Questi risultati mettono nuovamente in evidenzala paura che la maggior parte della persone ha<strong>di</strong> soffrire e provare dolore, trovandonell’eutanasia una possibile risposta.Ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> seguito una analisi incrociata <strong>di</strong>alcuni dati al fine <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> elaborare delleriflessioni sull’argomento.La somma dei risultati non sempre corrispondein quanto alcune persone non hanno risposto atutte le domande.Pag.16


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoAnalizziamo le 136 persone che hanno detto <strong>di</strong> essere favorevoli all’eutanasia e ve<strong>di</strong>amo che 125 ritengono che sia unSOLLEVARE DA INUT<strong>IL</strong>I SOFFERENZE e in 9 si rendono conto che comunque vuol <strong>di</strong>re PROVOCARE LA MORTEDi questi 125 in 87 hanno rispondono <strong>di</strong> aver paura <strong>di</strong> morire soffrendo/ con dolore.58 rispondono <strong>di</strong> NO all’eutanasia in quanto significa PROVOCARE LA MORTE <strong>di</strong> un'altra persona6 rispondono NO ma sono convinti che serva per SOLLEVARE DA SOFFERENZEQuesta ultima analisi parrebbe dare forza ad una scelta eutanasica ma in realtà mette solo in evidenza, a parer mio, la pocainformazione che esiste sull’argomento fine vita e dolore.La me<strong>di</strong>cina negli ultimi anni ha fatto gran<strong>di</strong> passi avanti sia dal punto <strong>di</strong> vista farmacologico, con la messa in commercio <strong>di</strong>nuove molecole, che dal punto <strong>di</strong> vista della presa <strong>di</strong> coscienza della necessità <strong>di</strong> applicare una proporzionalità delle cure edevitare l’accanimento terapeutico.Se la scienza me<strong>di</strong>ca, grazie alle conoscenze che ci mette a <strong>di</strong>sposizione, rende possibile affrontare il dolore e la sofferenzacon modalità e tecniche farmacologiche come la sedazione palliativa con buoni risultati ed abbattendo in modo sostanzialetutti quei sintomi che fino a poco tempo fa non era gestibili, forse allora bisognerebbe rivedere la posizione <strong>di</strong> quelli chesban<strong>di</strong>erano l’eutanasia come unica possibilità.Esaminiamo alcuni punti critici del <strong>di</strong>scorso:Che <strong>di</strong>fferenza c’è tra eutanasia e omici<strong>di</strong>o?L'eutanasia - letteralmente buona morte è il procurareintenzionalmente e nel suo interesse la morte <strong>di</strong> unin<strong>di</strong>viduo la cui qualità della vita sia permanentementecompromessa da una malattia, menomazione o con<strong>di</strong>zionepsichica.L'omici<strong>di</strong>o consiste nella soppressione <strong>di</strong> una vita umana adopera <strong>di</strong> un altro essere umano. Può essere volontario ocolposo a seconda che sia o meno compiuto conintenzionalità dal soggetto che lo pone in essere.L'omici<strong>di</strong>o del consenziente è un reato <strong>di</strong>sciplinatodall'articolo 579 del Co<strong>di</strong>ce penale italianoApparentemente sembrerebbe <strong>di</strong>fferente, ma pensiamo atutte quelle persone che non sono in grado <strong>di</strong> esprimere laloro volontà nella fase <strong>di</strong> malattia, e quando in salute nonhanno voluto affrontare l’argomento come abbiamo visto daiquestionari.Rivista on line: Social News Gennaio 2009Quali sono le persone che possono farei eutanasia?Nel Giuramento <strong>di</strong> Ippocrate (circa 420 a.C.) da cuiscaturisce il Co<strong>di</strong>ce Me<strong>di</strong>co, si legge: Nonsomministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, unfarmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio;similmente a nessuna donna io darò un me<strong>di</strong>cinaleabortivo.Nel Cod. Deontologico dell’Infermiere 2009 - Articolo38L'infermiere non attua e non partecipa a interventifinalizzati a provocare la morte, anche se la richiestaproviene dall'assistito.E’ singolare che si parli tanto <strong>di</strong> eutanasia ma non siprende in considerazione che nessun operatoresanitario potrebbe farlo.Forse la società del nostro tempo è incapace <strong>di</strong>interpretare la sofferenza umana e trovanell’eutanasia un modo sbrigativo <strong>di</strong> affrontarla?Vignetta <strong>di</strong> Le Monde (Gesù e Welby)Pag.17


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoLA SEDAZIONE NELL’ORIZZONTE CATTOLICO: UNA VALUTAZIONE ETICA(a cura <strong>di</strong> Don Giuseppe Zeppegno)La tra<strong>di</strong>zione morale cattolica, riflettendo sul problema della sofferenza, pone da tempo immemorabile l’accento sul dovere<strong>di</strong> curarsi e farsi curare utilizzando i mezzi or<strong>di</strong>nari e proporzionati alle oggettive situazioni cliniche. Il teologo domenicanoFrancisco de Vitoria (1483-1546) nel testo Relectiones Theologicae, pubblicato postumo (Lugduni 1586), precisò chel’obbligatorietà dei mezzi me<strong>di</strong>cinali deve essere messa in relazione con l’oggettiva or<strong>di</strong>narietà e le soggettive possibilità delsingolo (secundum proportionem status), la proporzionata speranza <strong>di</strong> un beneficio (spes salutis) e l’assenza <strong>di</strong> rischieccessivi (me<strong>di</strong>a communia et facilia).Chiarì che sono da ritenersi straor<strong>di</strong>nari e non obbligatori i mezzi che provocano gravi oneri fisici/morali (quaedamimpossibilitas), eccessivi dolori (ingens dolor), costi elevati (sumptus extraor<strong>di</strong>narius) ed evidenti sforzi e timori applicativi(summus labor et vehemens horror).Al contrario si <strong>di</strong>ffuse nella pratica pastorale e nei testi ascetici l’ideache è lodevole accettare umilmente la malattia, sopportarlapazientemente in unione con Cristo e offrirla per la venuta delRegno. Primeggiava ancora agli inizi del Novecento la teoriadell’utilità, della necessità, dell’eccellenza del dolore e la certezzache fosse la fonte più sicura <strong>di</strong> santificazione.Papa Pio XII ripropose nei suoi numerosi <strong>di</strong>scorsi ai me<strong>di</strong>cil’attenzione sull’importanza della cura. Nell’Allocuzione ai Membri delCongresso della Società Italiana <strong>di</strong> Anestesiologia (24 febbraio1957), consapevole degli importanti benefici arrecati dagli analgesici,asserì che è giustificata anche la possibilità <strong>di</strong> indurre a narcosi unapersona gravemente malata e dolente anche se ci fosse il fondatotimore che il farmaco abbia come effetto collaterale l’abbreviamentodella vita. Era sua convinzione che tale scelta non deve esseremessa in relazione con l’eutanasia, ma è giustificata dalla specificaintenzione <strong>di</strong> evitare ai pazienti dolori insopportabili cherenderebbero gli ultimi tempi dell’esistenza terrena troppo gravosi.Dagli anni Settanta dello scorso secolo la nuova <strong>di</strong>sciplina bioeticacui «è assegnato il compito immane e affascinante <strong>di</strong> dare pienezza<strong>di</strong> senso alle nostre conoscenze nel campo delle scienze della vita edella salute e orientare l’espandersi delle conoscenze tecniche escientifiche verso il bene autentico ed integrale dell’uomo,rispettando gli equilibri naturali del pianeta nel contesto dei quali si<strong>di</strong>spiega la sua avventura» (Faggioni, 2009: 27), incrementòl’impegno a dare sollievo al dolore dell’uomo.Il Magistero postconciliare, pur cogliendo il valore della sofferenzaredentrice (Giovanni Paolo II, Lett. Encl. Salvifici doloris, 1984), fecesue le istanze bioetiche e propose documenti che affrontarono laquestione della sofferenza alla luce del nuovo sentire. LaCongregazione della Dottrina della Fede nella terza parte della<strong>di</strong>chiarazione Iura et bona (1980) riprese e ampiamente citò gliargomenti proposti da Pio XII. Ricordò la drammaticità del dolorefisico.Teologo domenicano Francisco de Vitoria (1483-1546)Giovanni Paolo II 1978Notò che non sarebbe prudente imporre come normagenerale il comportamento eroico <strong>di</strong> rifiutare glianalgesici. Al contrario la prudenza umana ecristiana suggeriscono, quando se ne ravvisa lanecessità, l’uso <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cinali atti a lenire o asopprimere il dolore.L’anno successivo il Pontificio Consiglio Cor Unumnel testo Questioni etiche relative ai malati gravi e aimorenti con<strong>di</strong>vise la necessità <strong>di</strong> ricorrere aglianalgesici quando le sofferenze sono intollerabili enon <strong>di</strong>versamente gestibili. L’enciclica <strong>di</strong> GiovanniPaolo II Evangelium vitae (1995) sostenne infine che«si dà certamente l'obbligo morale <strong>di</strong> curarsi e <strong>di</strong> farsicurare, ma tale obbligo deve misurarsi con lesituazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezziterapeutici a <strong>di</strong>sposizione siano oggettivamenteproporzionati rispetto alle prospettive <strong>di</strong>miglioramento» (par. 65).Questi documenti <strong>di</strong>mostrano che la Chiesa«riconosce un valore intrinseco alla vita umana dalconcepimento alla morte naturale, ma non ritienedoveroso prolungare la vita ad ogni costo e oltre ogniragionevole attesa» (Zeppegno, 2011: 195). Èconvinta, infatti, che la <strong>di</strong>stanasia, cioè la morte<strong>di</strong>fficile e travagliata <strong>di</strong> chi è costretto a trattamentifutili, inefficaci, destinati unicamente a prolungare undoloroso processo <strong>di</strong> morte, è da evitarsi senzaperaltro abbandonare il malato. Le cure palliative, tracui la doverosa analgesia, devono avvolgerlo «<strong>di</strong>tutte le attenzioni necessarie affinché, controllati isintomi, possa vivere l’ultimo tratto della suaesistenza il più serenamente possibile» (Zeppegno,2011: 304).Pag.18


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoANTROPOLOGIA DEL LUTTO E MORTE RITUALE NELLE TRADIZIONI POPOLARIDal Mito <strong>di</strong> Sisifo alla Lamentazione delle Prefiche Lucane(A cura <strong>di</strong> Andrea Romanazzi)Il culto dei morti è da sempre elemento principale <strong>di</strong> tutte leculture sacre subalterne popolari e presente in molti aspettifolkloristici tra<strong>di</strong>zioni ancora attuali. Questa ricercasull’antropologia del lutto, ha lo scopo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare unarchetipo comune al rituale funebre del cordoglio e alle suevarie manifestazioni. Uno tra i più significativi rituali delcordoglio è quello della lamentazione funebre le cui tracce siperdono nella notte dei tempi. Per poter introdurci nelviaggio verso i sacri “lynos” dobbiamo però partire dalletra<strong>di</strong>zioni lucane, forse la regione che più <strong>di</strong> tutte haconservato il ricordo <strong>di</strong> questo antico rituale.Il lamento funebre lucano ed in particolare la “lamentazioneprofessionale”, è una pratica in via <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssolvimento opraticamente già <strong>di</strong>ssolta della quale rimane solo il vagoracconto delle anziane donne rivisitato in un’ottica <strong>di</strong>malcostume o vergogna. Ancora oggi accade che al doloredelle famiglie luttuate si unisca il cordoglio <strong>di</strong> altre persone,soprattutto quelle che da poco son state colpite a loro voltada un lutto, ma non si può parlare <strong>di</strong> vere lamentatici conl’accezione arcaica del termine, è solo un modo per riviveree riproporre il proprio dolore personale o esprimerecordoglio a persone che, anche se non strettamente legateda parentela, erano comunque conosciute nel piccolo paeseove vivevano. Del resto non possiamo <strong>di</strong>menticarci ilcontesto geografico dal quale parte questa ricerca: i paesipiù interni della Basilicata ove isolamento e arretramentofanno ancora avvertire al conta<strong>di</strong>no la sua stretta<strong>di</strong>pendenza dalle indomabili forze naturali (A. <strong>di</strong> Nola, 1976).E’ proprio questo status viven<strong>di</strong> che ha permesso ilperdurare <strong>di</strong> questi antichissimi ricor<strong>di</strong>, poi in partetrasformati dall’influenza cristiano-cattolica in una formasincretica che è tipica del Cristianesimo locale ed autoctonoe che si esprime in quel cattolicesimo popolare intessuto <strong>di</strong>influenze ed elementi “pagani”.Le stesse formule verbali mettono in evidenza una morte piùsimile a quella pagana che a quella i<strong>di</strong>lliaca e priva <strong>di</strong> corpocristiana.Vaso con raffigurato il lamento funebre sul corpo <strong>di</strong> AchilleCosì il defunto anche nell’al<strong>di</strong>là continuerà acondurre una vita non molto <strong>di</strong>ssimile da quellaterrestre “ora ti debbo <strong>di</strong>re cosa ti ho messo nellacassa: una camicia nuova, una rattoppata, la tovagliaper pulirti la faccia all’altro mondo, due paia <strong>di</strong>mutande una nuova e una con la toppa nel sedere,poi ti ho messo la pipa tanto che eri appassionato alfumo”.La lamentazione funebre poi sembrerebbe un ritualelegato al mondo agreste “…noi conta<strong>di</strong>ni e lepersone per bene an<strong>di</strong>amo al cimitero e piangiamosulle nostre tombe…le persone per bene vengono alcimitero ma non piangono…le persone ricchepiangono sì, ma non come noi pacchiani, noi chesiamo villani e conta<strong>di</strong>ni piangiamo <strong>di</strong> più….”Un particolare che ci ritornerà utile nel proseguodello stu<strong>di</strong>o. Tutto il rituale segue delle ben preciseregole che fanno della tra<strong>di</strong>zione una vera e propria“tecnica del pianto”. La lamentazione si presenta conun testo <strong>di</strong> cui “si sa già cosa <strong>di</strong>re”, secondo modellistereotipati. Normalmente non appaiono elementicristiani, invocazioni a Gesù, alla Vergine, ai Santi,anzi…vi è quasi una forma <strong>di</strong> protesta nei loroconfronti “oh che tra<strong>di</strong>mento ci hai fatto Gesù”.La prima fase è quella del ricordo del defunto “omarito mio buono e bello, come ti penso” poi il suolavoro la lamentatrice fa sempre riferimento al temadelle mani del morto “sei morto con la fatica allemani”, poi il ricordo <strong>di</strong> tempi belli “quanne scimme a”per poi inserire frasi sarcastiche del tipo “oh ilvecchio che eri” per persone giovani o “oh che malecristiane” per in<strong>di</strong>care uomo d’abbene. Poi viene ladescrizione della con<strong>di</strong>zione in cui viene a trovarsi lafamiglia, così per la neo sposa il lamento delle nozzenon ancora consumate, per la vedova il duro lavoroche l’aspetterà, per i figli la mancanza del Padre perpoi avere quasi un piccolo rimprovero per la morteprematura “come mi lasci in mezzo alla via con trefigli”.Pag.19


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSi passa poi al modulo “ora vien tal dei tali” che a sua voltarisponde “chi è morto” per infine ricordare le vicende tra ildefunto e questa persona “…non ti verrà più a chiamarealle 3 del mattino…”Particolare importanza acquista quella che potremmodefinire la mimica del cordoglio, l’oscillazione corporea,perfettamente integrata al suono, come in moltissimetra<strong>di</strong>zioni sciamaniche afro-amerinde, con una funzionequasi ipnogena (E. De Martino, 1959) molto simile anche aquella delle lamentatrici palestinesi o arabe.Interessante è la mimica del fazzoletto agitato sul corpodel defunto per poi essere portato al naso in una continuaincessante ripetizione dell’elemento gestuale. Anchequesta gestualità avrebbe un atavico archetipo, così infattila ritroviamo tra le lamentatici egizie. Qui il “gesto”sembrerebbe chiaramente destinato ad una forma <strong>di</strong>protezione dal defunto: Un solo braccio è portato verso ilcapo mentre l’altro si <strong>di</strong>stende avanti con la palma dellamano rovesciata. Gesto che poi ha assunto una valenza <strong>di</strong>saluto più che <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa.Lamentatrici egizie. Raffigurazione tomba <strong>di</strong> RamoseTra<strong>di</strong>zioni rituali <strong>di</strong> questo tipo sono presenti anche in altreparti <strong>di</strong> Italia, quasi ad in<strong>di</strong>viduare un comune denominatore.E’ così ad esempio simili tra<strong>di</strong>zioni le troviamo in Sardegnao più lontano in Brianza ove il curato <strong>di</strong> Casiglio scrive comel'uso della lamentazione funebre sia ancora ben presentenel suo borgo, ancora nel XV secolo, benché proibito, esarà lo stesso Carlo Borromeo che, assistendo ad unfunerale a Predama, in Val Varrone, rimase fortementesconcertato. Le prefiche le ritroviamo nel leccese ove sonochiamate “repite” e nell’area abruzzese molisana. Tra<strong>di</strong>zionisimili sono presenti anche in Valtellina ed in Sardegna.Antonio Bresciani così ci descrive l’usanza tra le donnesarde:“In sul primo entrare, al defunto, tengono il capo chino, lemani composte, il viso ristretto, gli occhi bassi e procedonoin silenzio…oltrepassando il letto funebre…in<strong>di</strong> alzati gliocchi e visto il defunto giacere, danno repente in unacutissimo strido, battono palma a palma e gittano le mani<strong>di</strong>etro le spalle…inverochè altre si strappano i capelli,squarciano cò denti le bianche pezzuole c’ha in manociascuna [altro particolare simile alla lamentazione lucanaN.d.A.]...segueFranco Corlianò [Murghi]: Le prefiche...si graffiano e sterminano le guance, si provocano adurli…a singhiozzi…altre stramazzan a terra…e sispargon <strong>di</strong> polvere…poscia le dolenti donne cosìsconfitte, livide ed arruffate qua e la per la stanzasedute in terra e sulle calcagna si riducono ad untratto in un profondo silenzio…” (A. De Gubernatis,1869)Nel napoletano era praticato un “riepito battuto”, unalamentazione accompagnata da un battersi rituale cheterminava con l’avvicinarsi <strong>di</strong> alcune donne allavedova che, al suono <strong>di</strong> “ah misera te”, le strappanouna ciocca <strong>di</strong> capelli e la gettano sul defunto. E’ daquest’area che deriverebbe l’antica filastroccafanciullesco-popolareMaramao, perché seimorto?Pane e vin non timancava,l’insalata eranell’ortoe una casa avevi tu.Come si può notare, in questa strofa sono elencateuna serie <strong>di</strong> buone ragioni materiali (<strong>di</strong> indubbioretaggio pagano) per cui il morto non avrebbe dovutomorire, con l’intento <strong>di</strong> esorcizzare o quanto menostemperare il dolore e l’angoscia attraverso un moduloletterario <strong>di</strong> lamentazione. Non solo ma lo stessonome “maramao” potrebbe essere una successiva<strong>di</strong>storsione della frase “Amara me perché sei morto”con appunto richiami ai <strong>di</strong>scorsi protetti lucani.(Consiglio-Panzeri)Orchestra CETRAE<strong>di</strong>zioni MELODIDa supporto 78 giriIncisa a Torino nel Giugno 1939Pag.20


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSALUTO DELLE AUTORITA’ DURANTE <strong>IL</strong> CONVEGNO “RIFLESSIONI SU... LA FINE DELLA VITA”Massimiliano MOTTA - CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTESaluto le Autorità Civili e Militari, i colleghi Consiglieri Regionali, il Sindaco <strong>di</strong> Volpiano, le Associazioni presenti, inparticolare gli organizzatori <strong>di</strong> AIMEF e Tavola <strong>di</strong> Smeraldo. Ringrazio, inoltre, comprendendo tutti, il ResponsabileScientifico e l’Organizzatore <strong>di</strong> questo evento il Dott. Sandy Furlini.L’uomo <strong>di</strong> fronte ad una malattia incurabile si pone pesanti interrogativi, sul significato della vita, sul destino e sullarealtà della morte.Per noi, spettatori a qualsiasi livello <strong>di</strong> questi dramma, è un dovere sociale trovare il modo <strong>di</strong> aiutare questa persona adare un senso alla vita che si sta vivendo qualunque essa sia con tutti i suoi valori ed i suoi limiti.I progressi scientifici ci hanno dato un senso <strong>di</strong> invulnerabilità che si trasforma in un senso <strong>di</strong> impotenza quando la vitadell’uomo volge al termine.Il ragionamento non è più solamente scientifico ma entrano in gioco prepotentemente i valori dell’uomo. Personalmentemi ritrovo in un pensiero filosofico che riconosce nel valore della persona umana il fondamentale punto <strong>di</strong> riferimento pertrovare una risposta, in cui la persona si pone come valore fondativo <strong>di</strong> ogni riferimento etico, situandosi all’origine e alcentro della società.La risposta non può essere l’eutanasia che considero personalmente come:”la scellerata conclusione <strong>di</strong> privare la persona del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> vivere la propria morte come protagonista responsabile”La risposta non può essere neanche l’accanimento terapeutico che considero come:una “mal pratica” sanitaria “che (come definito dal Prof. Zuccaro) priva allo stesso modo la persona della morte cheviene ricacciata in<strong>di</strong>etro in un tempo nel quale il malato terminale non sarebbe chiamato ad abitare”.Trattando <strong>di</strong> questi argomenti anche un politico non può non entrare nei dettagli tecnici della sedazione terminalecome pratica umana <strong>di</strong> alleanza terapeutica tra me<strong>di</strong>co e malato, approfondendo significati come la regola del doppioeffetto e l’importanza della “intenzionalità” nella pratica sanitaria in particolare quando si rivolge a pazienti alla fine dellaloro vita.La risposta pratica penso che sia in un’organizzazione sanitaria in grado <strong>di</strong> occuparsi del dolore e della sofferenza dellapersona nella sua <strong>di</strong>mensione fisica, psicologica e spirituale e parallelamente delle sofferenze della sua famiglia o <strong>di</strong> chigli sta vicino.Concludendo vorrei citare due autori:KowalskiRitroviamo dunque il senso primo della sofferenza nel saper preservare, nel desiderio <strong>di</strong> essere, lo sforzo per esisteremalgrado tutto, <strong>di</strong>segnando la nuova frontiera tra dolore e sofferenza soprattutto nel caso in cui queste abitino nellostesso corpo.eRussoLa vita umana non ha senso malgrado la morte ma grazie alla morte considerata come certezza finale, essa conferiscealla vita tutta la serietà <strong>di</strong> un tempo irreversibile e irrepetibile, vista come estremo compimento, è la luce che offrechiarezza al valore della vita trascorsa.Vi auguro una buona continuazione dei lavori e vorrei complimentarmi con voi per il vostro personale impegnoFoto <strong>di</strong> K. Somà - ConvegnoFoto <strong>di</strong> K. Somà – Sandy FurliniPresidente del Circ. Culturale Tavola <strong>di</strong>SmeraldoPag.21


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoSALUTO DELLE AUTORITA’ DURANTE <strong>IL</strong> CONVEGNO “RIFLESSIONI SU... LA FINE DELLA VITA”Antonio SAITTA - PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI TORINOLa Provincia <strong>di</strong> Torino ha concesso volentieri il patrocinio a questa iniziativa e voglio, attraverso il consigliere Ippolito,ringraziare gli organizzatori per la coraggiosa sensibilità <strong>di</strong> affrontare un tema non solo delicato ma fondamentale edesclusivo, del percorso esistenziale <strong>di</strong> ciascuno: la vita e il suo esito finale. Scorrendo il programma dei lavori ho notatoche, accanto alla scientificità me<strong>di</strong>ca, corse in parallelo l'aspetto legato all'etica, alla filosofia, alla testimonianza.Questo <strong>di</strong>mostra l'attenzione degli organizzatori nell'analizzare la fine della vita da <strong>di</strong>verse angolazioni, tutte degne <strong>di</strong>essere presentate.Oggi assistiamo alla scelta <strong>di</strong> accantonare, quasi anestetizzare (talora con esiti incerti per non <strong>di</strong>re grotteschi) il tema dellamorte, partendo magari dalla ricerca <strong>di</strong> formule che elogiano l'eterna giovinezza, arrivando ad auspicare come valoreun'esistenza protratta nel tempo, quasi che il senso della vita sia nel quanto a lungo si vive e non nel come si vive.Invece la vostra iniziativa sottolinea un'altra valenza, ben più importante. Il desiderio <strong>di</strong> stare vicino a chi giunge allacosiddetta "soglia fatale''. Voler star vicino a chi è prossimo alla morte significa davvero, nel concreto "con<strong>di</strong>videre". Unacon<strong>di</strong>visione intrisa <strong>di</strong> dolore profondo, irrime<strong>di</strong>abile che, in tanti casi, segna e lascia tracce nel tempo.Un'esperienza che tanti <strong>di</strong> noi hanno vissuto e che ci permette <strong>di</strong> rendere completo il nostro essere umani, nel più nobileed alto senso <strong>di</strong> questa definizione.La vita così come il suo antipode, la morte, per noi esseri umani è anche ricercare nel tempo della nostra esistenza unacon<strong>di</strong>visione con il prossimo, stare vicini per sorreggersi a vicenda, per dare un motivo in più, fondamentale alla vita <strong>di</strong>ciascuno.La me<strong>di</strong>cina è attenta, da sempre, a questo tema e la riprova non mancherà nel corso degli interventi autorevoli <strong>di</strong> questoconvegno.Forse qualcuno si sarebbe aspettato da queste mie riflessioni una nota "politica''. Sono dell'avviso che la politica puòentrare in questo tema da un'angolazione che ha come prospettiva prima <strong>di</strong> tutto la tutela della <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo,dalla nascita alla morte, salvaguardando e rispettando opinioni personali e credo religiosi.Io sono credente, ma rispetto chi non lo è.Sono convinto che oltre la porta che si apre sul tempo senza tempo ci sia un eterno futuro.Ammiro il lavoro <strong>di</strong> tanti che a vari livelli si impegnano a garantire a quanti stanno per lasciare Ia vita un commiato<strong>di</strong>gnitoso, rispettoso ed affettuoso, mai solitario e credo che il ricordo tributato attraverso il premio letterario alla memoriadel Dr. Furlini (scomparso qualche anno fa dopo una visita de<strong>di</strong>cata ai "suoi'' pazienti) sia la testimonianza migliore.Torino, 27 ottobre 2011Foto <strong>di</strong> F. Bottigliengo - ConvegnoCommemorazione: medaglia al valor civile del Dr E. Furlini -Foto <strong>di</strong> K. Somà . A sx Cav <strong>di</strong> Gran Croce Gino GronchiPag.22


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoALLIETARE LA MENTE...POESIE E PENSIERIRUBRICHEDalla raccolta “Riflessioni su...”“La vita: un’esperienza da con-<strong>di</strong>videre”Ananke Ed. Torino 2011.Premio “Enrico Furlini” 2011.Raccolta <strong>di</strong> poesie ine<strong>di</strong>te.INNAMORATA DELLA VITA<strong>di</strong> GIORGI Laura – GrossetoVoglio ritrovare la mia innocenza.Occhi non più ridotti a fessure,ma spalancati sul mondocon infantile stupore.Voglio guardare i cerchinell’acqua raggiungerela riva ad uno ad uno.Voglio danzare sopra lo scricchiolìocolorato delle foglie autunnali,attraversare indenne i temporaliestivi, svernare accanto ai fuochiaccesi dentro e fuori,inanellarmi <strong>di</strong> fiori le <strong>di</strong>ta,farmi orecchini <strong>di</strong> ciliegiee innamorami della vita.VINCITRICEPREMIO LETTERARIO NAZIONALE “ENRICOFURLINI”2° E<strong>di</strong>zione 2011“La vita: un’esperienza da con-<strong>di</strong>videre”LE FOGLIE DI SETTEMBRE(<strong>IL</strong> VALORE DELLA VITA)<strong>di</strong> MONARI Tiziana – PratoHa un piccolo sole addormentato sul cuorela vitagli occhi che fissano dolcemente sopra i mieibruniin un canto d’acqua nuovaninna poesie d’amoremascherando la paura col coraggioil dolore col piacerepoi si fa piccola in tiepi<strong>di</strong> sussurriaccarezzando le spine <strong>di</strong> una rosal’oleandro in fiorele gocce d’acqua che bagnano i limonie si contorce in siepe in canti <strong>di</strong> stagionecoltivando semi d’oroun Itaca <strong>di</strong> fiabe e ragnateleed io l’amo sulla rotta delle ron<strong>di</strong>ninelle albe <strong>di</strong> tenerissimo violabionda <strong>di</strong> luceimmensa e mia.La giuria conferisce menzione particolare per lo ST<strong>IL</strong>ELa poesia ha incontrato il favore della giuria per l'altadensità del contenuto, espressa da una sapiente ricercalessicale e fonico-ritmica. Si sono particolarmenteapprezzate la musicalità del verso, la cura formale, lacostruzione suggestiva ed allusiva delle immagini.Particolarmente intensa e ricca <strong>di</strong> forza positiva,inneggiante una vita <strong>di</strong> semplicità e <strong>di</strong> naturalearmonia. Una con<strong>di</strong>visione con l’universo intero, unrichiamo alla fanciullezza ed alla gioia <strong>di</strong> vivere.Con Laura impariamo tutti a danzare e ritorniamobambini nel perpetuo sogno evocato da queistraor<strong>di</strong>nari e commoventi orecchini <strong>di</strong> ciliegie.Pag.23


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoRUBRICHEALLIETARE LA MENTE...LE NOSTRE RECENSION<strong>IL</strong>A STREGONERIA IN ITALIA: SCONGIURI,AMULETI e RITI DELLA TRADIZIONESin dai tempi più arcaici gli uomini hanno cercato <strong>di</strong>contrastare le manifestazioni più estreme della Naturaattraverso un’azione magica, che si è evoluta nei secoligenerando credenze, riti e tabù. In Italia, in particolare,è sorta così una religione popolare <strong>di</strong> antica originepagana in grado <strong>di</strong> proteggere dalla Natura masoprattutto <strong>di</strong> rispondere alle esigenze terrene emateriali del devoto. Il libro affronta le espressioni <strong>di</strong>stregoneria popolari e rurali italiane, in un viaggio tra irituali e gli scongiuri che sanciscono i momenti <strong>di</strong>passaggio della vita umana in un attento quadro degliantichi usi e costumi della nostra penisola.Non è facile trovare un filo d’Arianna nella cercadell’Antica Tra<strong>di</strong>zione stregone italica. Amore però civiene in aiuto e guida il nostro viaggio tra i rituali e gliscongiuri che sanciscono i momenti <strong>di</strong> passaggio <strong>di</strong>nascita, fidanzamento, nozze e gestazione. Il suolinguaggio è infatti da sempre legato alla malìa. Non vi èdramma passionale o storia amorosa che a essa non sirianno<strong>di</strong>, e spesso l’arte della fascinazione si confondecon l’arte d’amare.Il testo “Stregoneria in Italia”, er<strong>di</strong>to Venexia E<strong>di</strong>trice, <strong>di</strong>250 pagine, tenta così <strong>di</strong> fare un “compen<strong>di</strong>o” <strong>di</strong> quellatra<strong>di</strong>zione stregone italiana, descrivendone tecniche,ritualistiche, scongiuri, formule ed amuleti, mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> trarrepronostici, la <strong>di</strong>scendenza della strega italica, lecredenze sul malocchio, la fattura, le modalità pertoglierle o realizzarle.per la prima volta in un corpus unico.Gli scongiuri e gli antichi riti raccolti e pubblicati,saranno tutti rigorosamente tratti dalla Tra<strong>di</strong>zioneItaliana. Questa è davvero La Stregoneria Italiana:Scongiuri, Amuleti e Riti della Tra<strong>di</strong>zione.Andrea RomanazziVenexia E<strong>di</strong>zioni 2009 Pagine 254Prezzo <strong>di</strong> copertina: 18 EGUIDA ALLE STREGHE IN ITALIAUn viaggio tra i borghi, le valli e le foreste incantate chehanno ospitato i raduni delle streghe. Questi vengonorievocati insieme alla caccia alle streghe, che fecedell'herbara un'entità malefica legata al demonio, eall'ere<strong>di</strong>tà pagana, i cui simboli resistettero all'avventodel cristianesimo e ai tentativi dell'Inquisizione <strong>di</strong>cancellarli. Regione per regione, l'autore narra leleggende e le tra<strong>di</strong>zioni che fecero <strong>di</strong> queste zone la<strong>di</strong>mora preferita <strong>di</strong> maghe e fattucchiere e offre allettore, grazie a mappe, in<strong>di</strong>rizzi e consigli pratici, glistrumenti per organizzare veri e propri itinerari magicitra i sentieri <strong>di</strong> campagna e gli anfratti nascosti delterritorio italiano, in cui guaritrici e sciamaneraccoglievano le erbe me<strong>di</strong>camentose e officiavano isacri riti in onore dei loro dèi. Il libro <strong>di</strong>viene così una“clavicula” per coloro che vogliono sentire, comel'autore, la sacralità delle terre del Sabba che nonfurono, come vedremo, <strong>di</strong>mora <strong>di</strong> demoni ed entitàmalefiche, ma espressione <strong>di</strong> antichi rituali pagani <strong>di</strong>fertilità e procreazione, gioia e fecon<strong>di</strong>tà, demonizzaticon l’emergere delle religioni monoteiste.Questo vuol essere il libro: un vademecum per chidesideri addentrarsi nel “Roseto delle <strong>di</strong>vinità”.Come novello Virgilio l'autore augura dunque un buonviaggio ai lettori, sperando che nel momento della visitapossano percepire il furor panico dei luoghi descritti, maanche le vibrazioni sottili e mai estinte <strong>di</strong> terre in cuioggi la storia del pagus rivive.Andrea RomanazziVenexia E<strong>di</strong>zioni 2007 Pagine 250Prezzo <strong>di</strong> copertina: 18 EPag.24


<strong>IL</strong> <strong>LABIRINTO</strong> N.12 Dicembre 2011Perio<strong>di</strong>co telematico <strong>di</strong> informazione culturale a cura del Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> SmeraldoCONFERENZE, EVENTISTORIA DEL MEDIOEVOIII CONVEGNO INTERREGIONALE“LA STREGONERIA NELLE ALPI OCCIDENTALI”Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta - 23 e 24 Giugno 2012 SAINT DENIS (AO)In collaborazione con il Comune <strong>di</strong>Saint Denis e l’Associazione Culturale“Il Maniero <strong>di</strong> Cly” sono inprogramma:Due giorni ricchi <strong>di</strong> attività con lapartecipazione <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong>rievocazione storica.Mercatino me<strong>di</strong>evaleVisita guidata al Maniero <strong>di</strong> ClyEscursioni tematiche sul territorioConvegnoMostra fotografica sulle streghe <strong>di</strong> Gambasca (CN)Mostra-installazione fotografica “Per Crucem Ad Lucem”Mostra sulla tortura Me<strong>di</strong>evaleMostra <strong>di</strong> stampe e libri antichi sull’InquisizioneCOME ASSOCIARSI alla Tavola <strong>di</strong> SmeraldoPossono iscriversi al Circolo solo i maggiorenni (Art 4 dello statuto)Per le attività destinate ai soli soci, i minorenni interessati potrannopartecipare solo se accompagnati da uno o più genitori che siano socied in regola con la quota associativa. Non sono previstiaccompagnatori NON soci. (Deliberazione del CD del 28-12-09)1) Collegati al sito www.<strong>tavola</strong><strong>di</strong><strong>smeraldo</strong>.it nella sezione “ISCRIVITI”2) Leggi lo Statuto Associativo3) Scarica il modulo <strong>di</strong> iscrizione e compilalo in tutte le sue parti4) Effettuare il versamento tramite bonifico bancario Unicre<strong>di</strong>t Ag. <strong>di</strong>Volpiano (TO) Via Emanuele FilibertoIBAN IT85M02008312300001008615665) Invia per posta prioritaria o consegna a mano copia del bonifico conil pagamento avvenuto + modulo <strong>di</strong> iscrizione debitamente compilato a"Circolo Culturale Tavola <strong>di</strong> Smeraldo c/o Dr S. Furlini Via CarloAlberto n°37 Volpiano (TO), 10088".Oppure invia il tutto via FAX: 011-9989278Pag.25

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