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La guerra delle donne - Fondazione Museo Storico del Trentino

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soliloquio, quasi la scrittura di una endofasia, incapace di strutturarsicompiutamente in testo e che rivela bene la sua funzione riparatrice 6 .“Di mio Marito non so niente o Dio che pena e questa ossi quando verà quelgiorno <strong>del</strong>la pace ovieni giorno aspetato da me e spero datutti e voi omio Diofate che torna presto quei giorni che si pasava in compagnia <strong><strong>del</strong>le</strong> nostrefamiglie. Adesso sono 16 giorni che mi trovo qui e non so più niente <strong>del</strong> miopovero Antonio ne seè vivo omorto non so soche loò lasiato allastazione dirovereto ma altro non so più niente ne<strong>del</strong> tirol ne di altre parti dove sono flageloma mio Dio quae pegio che in una prigione non sapere proprio nula di nissunone meno di colui che amo tanto” 7 .2. Il senso di privazione, di sottrazione si estende al patrimonio dei sentimenti,alla memoria affettiva, al futuro.Scrive Giuseppina Filippi Manfredi il 15 ottobre 1915 nel settimo anniversario dimatrimonio: “<strong>La</strong> <strong>guerra</strong> ci tolse anche l’incanto che dà il dovere compiuto conamore e la gioia di poter stare uniti uno accanto all’altro felici di poter amarci evederci crescere attorno i nostri figli. Da otto mesi entrambi soffriamo tortured’ogni colore; io ad un modo, tu in un altro. Chi mai avrebbe previsto un disastrosi terribile? Come finirà? Saremmo uniti in un altro anniversario?” 8 .Cecilia Rizzi Pizzini, un’altra giovane donna, contadina di 24 anni, in un diario chevorrà intitolare Memoria dolorosissima sopra la più grande <strong>guerra</strong> che s’abbiavista sulla terra, <strong>guerra</strong> Europea, descrive, con accentuata sensibilità, lamilitarizzazione <strong>del</strong> territorio quasi come una profanazione. <strong>La</strong> distruzione daparte <strong>del</strong>l’esercito dei luoghi <strong>del</strong>la sua infanzia è percepito come sottrazione dimemoria, distruzione degli stessi ricordi, perdita di parte di sè. E diventa, ladistruzione di un paesaggio familiare, il simbolo ben visibile di una rotturatemporale.Scrive il 4 aprile 1915, giorno di Pasqua: “Camin facendo osservo quà e là,Oime! Sei tu mio caro fae luogo mio <strong>del</strong>izioso memore di tante mie dolcezzeverginee?? Sei tu? Io non ti conosco!!. Ad un tratto mi fermo quasi immobile ealla testa mi fo apoggio colle mani e mi trovo nella più profonda mestizia,pensando specialmente a bei giorni trascorsi che come il lampo fuggi e nontornano più mormorando solo qui riposano i fiori <strong>del</strong>la mia gioventù. Ah! Chescorgo? Dove sono?”. E più avanti, sull’eco di un “Addio” tanto noto, Ceciliascrive: “Addio caro fae! Addio <strong>del</strong>iziosa selva! Addio piante sotto le quali siamo6 Per una definizione, cfr. S. Ferrari, Scrittura come riparazione, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 1994.7 L. Senter Dalbosco, Memoria Del nostro Fugimento, in Asp; edito in “Scritture di <strong>guerra</strong>”, n. 4, 1996. <strong>La</strong>citazione è alle pp. 200-202 <strong>del</strong>l’edizione a stampa.8 Diario cit., p. 121.

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