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La guerra delle donne - Fondazione Museo Storico del Trentino

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contano, proprio quelle che l’esilio forzato mette a dura prova, espropriandoqueste <strong>donne</strong> degli spazi <strong>del</strong>la domesticità e <strong>del</strong>la socialità di villaggio” 3 .Oltre la soglia troviamo l’originalità dei testi e l’individualità <strong><strong>del</strong>le</strong> scriventi, chenon si sentono un “noi”, ma ognuna un “io” diverso. Questo per dire che nonsono, queste, scritture seriali e intercambiabili, né sul piano linguistico e <strong>del</strong>larealizzazione testuale, né su quello <strong>del</strong>l’autorappresentazione (o lo sono in misuraincomparabilmente minore dei diari <strong><strong>del</strong>le</strong> infermiere italiane). Ma vivendo glistessi eventi e la medesima condizione le scriventi finiscono per insistere sualcuni temi, per descrivere alcune situazioni, per dar spazio a sentimenticondivisi.1. <strong>La</strong> separazione dal marito che raggiunge il fronte sprofonda queste giovani<strong>donne</strong> in una condizione di solitudine caratterizzata dall’attesa, spesso frustrata,di notizie. Il pensiero <strong>del</strong> marito è invadente e pervasivo.“23/4 [1915] Un giorno piovoso e triste come sono pochi. Così l’animo mio giàdisposto alla mestizia, sofre ancor più. Son gia tredici giorni che son priva di tuenotizie! Quanti son lunghi questi giorni; tristi e desolate le ore <strong>del</strong>la sera, quandoritornata a casa faccio corricare i bambini, e poi fatte le mie divozioni, mi guardoattorno. Tutto dice abbandono! Ho perduta tutta la buona volontà al lavoro,faccio quel che bisogna per vivere e niente più. Come sarà? Mi scriverai?Oppure ti han già fatto muto per sempre? Questo terribile pensiero non mi lasciapace! […] Ora vado a dormire ho molto bisogno di riposo; ma quando mi sentocomoda e coperta, il pensiero di te mio caro, mi avvelena quel po’ di riposo” 4 .E il giorno 6 maggio scrive: “Io sono di continuo in pensieri…”. Che significaessere preoccupata per la sorte <strong>del</strong> marito, ma anche vivere in uno stato dicontinua elaborazione narrativa: sono ricostruzioni, ipotesi, scenari di morte cheminano la serenità di Giuseppina e che si proiettano nel buio <strong>del</strong>la notte.“6/6 [1915] Povero Gregorio! Quanto ho pensato anche sta’notte a te! Mi sonsognata che sei morto, ho tanto pianto! Mi ci volle <strong>del</strong> bello prima che mipersuadessi che era un sogno. Mi scriverai?” 5 .Pensieri che diventano ancor più angosciosi quando a causa <strong>del</strong>l’evacuazione e<strong>del</strong>l’interruzione <strong><strong>del</strong>le</strong> normali comunicazioni postali queste <strong>donne</strong> rimangonosenza notizie per mesi.Luigia Senter Dalbosco, contadina di 33 anni, è addirittura sopraffatta dalpensiero <strong>del</strong> marito e il suo diario non è altro che un lungo, circolare, ripetitivo3 A. Rivera, Vite d’esilio scritte sul fondo di un baule, in “<strong>La</strong> Gazzetta <strong>del</strong> Mezzogiorno”, 16 maggio 1997.4 Diario di Giuseppina Filippi Manfredi, operaia di 28 anni, in Asp; edito in “Scritture di <strong>guerra</strong>”, n. 4, 1996. <strong>La</strong>citazione si trova alle pp. 104-105 <strong>del</strong>l’edizione a stampa.5 Ivi, p. 113.

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